lunedì 26 giugno 2023

Ferrovia Cumana - Progetto Prolungamento alla Stazione Centrale

 


Ferrovia Cumana

Progetto di Allacciamento alla Stazione Centrale di Napoli

 

Il periodico settimanale “Rivista Generale delle Ferrovie e dei Lavori Pubblici”, di domenica 17 luglio 1887, riporta una interessante proposta da attuare sulla costruendo “Ferrovia Cumana” [1].

Gli ingegneri Antonino Liotta e Alessandro Galasso pensano che, nel frattempo la ferrovia Napoli – Pozzuoli – Cuma sia aperta all’esercizio entro due anni, convenga in questo frattempo collegare questa linea, che si muove quasi nel cuore di Napoli, al altre esistenti stazioni.

E ciò a beneficio dello sviluppo sempre crescente di Pozzuoli e del vasto Cantiere Armstrong.

 

A buon diritto escludono l’allacciamento a Capua, sulla direttrice Roma – Napoli distante 40 chilometri dalla Cumana, e sono dell’idea di allacciarla alla Stazione Centrale di Napoli.

A tal proposito pensano che la diramazione debba partire al chilometro 0,279 della linea; ovvero in galleria subito dopo il portale di Montesanto.

La nuova linea, che avrebbe uno sviluppo totale di metri 6.008,84, sarebbe composta di due parti; una in galleria della lunghezza di metri 5.443,00 e l’altra all’aperto della lunghezza di metri 565,84.

La parte in galleria passerebbe sotto i seguenti punti notevoli della città: Corso Vittorio Emanuele, Via Salvator Rosa, Via della Salute, Salita dello Scutillo [Scudillo], Tondo di Capodimonte, Cupa sant’Efremo Vecchio, San Giovanniello [Ottocalli], Strada del Campo.

Quella all’aperto, dopo lo sbocco in prossimità del Camposanto Vecchio, percorre le Paludi e poi, con due cavalcavia, attraversa la Cupa del Cannolo e la Strada vecchia di Poggio Reale.

 

La galleria comincia, partendo dalla vicina stazione di Monte Santo, piegando a destra con una curva di 300 metri di raggio alla quale succedono alternativamente quattro rettilinei e tre curve, sempre a destra [2].



L’ultimo rettilineo andrebbe ad innestarsi alla linea Napoli – Foggia pochi metri prima del cavalcavia sulla Strada Nuova di Poggio Reale.

Il dislivello totale da superare sarebbe di metri 25,84 e, essendo distribuito in più punti, solo in un caso raggiungerebbe una pendenza del 6 per mille.

E’ stato progettato un casello di guardia al bivio in galleria sotto Monte Sant’Elmo ed una casa cantoniera in prossimità dello scambio d’innesto alla progressiva chilometro 5+900.

Il tratto di linea all’aperto non ha difficoltà tecniche, il terreno è pianeggiante in quelle località per l’appunto dette “Le Paludi”, e sarebbero necessarie solo due opere d’arte sulle strade da attraversare; una travata metallica, della luce di metri 4,00, sulla Cupa del Cannolo e un cavalcavia in muratura, dalla luce di metri 8,00, sulla Strada Vecchia di Poggio Reale.

 

Per quanto riguarda la galleria da perforare da uno studio geologico risulta che il sottosuolo da percorrersi sia composto quasi tutto da tufo compatto, e questo porterebbe ad un grande risparmio di rivestimento in muratura.

Pozzolana e lapillo s’incontreranno probabilmente nell’ultimo tratto presso il Camposanto Vecchio ed a tal proposito sono stati progettati tre pozzi di attacco di poca profondità ed in vicinanza di strade che renderanno comodo il trasporto dei materiali estratti ai pubblici scaricatoi.

In questo modo la galleria potrà essere attaccata da ben otto punti; ovvero dall’imbocco a Monte Santo, dallo sbocco al Cimitero Vecchio, e da due punti per ognuno dei tre pozzi scavati.

Ove mai si desiderasse guadagnare ancora in brevità di tempo si potrebbe stabilire, nelle vicinanze del Tondo di Capodimonte, un altro pozzo il quale risulterebbe di metri 59,00 di profondità e andrebbe a dividere in due il lungo tratto compreso tra i pozzi n. 1 e n.2.

 

I tre pozzi sarebbero scavati trasversalmente con diametro di metri 6,00, cosa che renderebbe facile il transito delle carriole, e a lavoro finito questi posti resterebbero aperti al fine di conservare una buona ventilazione e dare facile uscita al fumo delle locomotive.

Il tempo necessario al completamento della intera galleria sarà stabilito dal tempo necessario al perforamento del nucleo più grande, che sarebbe quello compreso tra il pozzo n. 1 e quello n. 2 della lunghezza di metri 2.400,00.

Quindi attaccando il lavoro contemporaneamente su tutta la linea il perforamento di questo lungo tratto deciderà la durata di tutto il lavoro.

L’esperienza dimostra, nei materiali previsti, un avanzamento giornaliero di metri 2,00 per ogni punto di attacco; pertanto per i 2.400 metri del lungo tratto, avanzando di 4,00 metri giorno, metri 2,00 per ogni lato, sarebbero necessari 22 mesi.

Quanto sopra compreso il cavamento dei pozzi n. 1 e n. 2; poi sarebbero necessari altri cinque mesi per il rivestimento dei tratti in cui sarà necessario.

 

Il progetto non prevede fermate sotterranee ma, in vista dell’ampliamento della città di Napoli, i progettisti consigliano di istituire una fermata all’aperto nelle vicinanze di San Giovanniello [Ottocalli]; in questo modo la galleria resterebbe divisa in due parti dall’anzidetta fermata e la sua lunghezza, considerando il tragitto da fare in superficie, diminuirebbe di circa 800,00 metri.

Al progetto è poi allegata una tabella che riporta il riassunto della spesa totale da affrontare, certo non eccessiva per l’epoca e per i benefici che apporterebbe alla Comunità [3].

 


I progettisti terminano con l’affermare che questa linea ferrata, col concorso delle stazioni di Fuori Grotta, del Corso Vittorio Emanuele e di Monte Santo appartenenti alla Ferrovia Cumana, delle stazioni da loro progettate di San Giovanniello e della Centrale, nonché di quelle previste sul tronco in costruzione pel nuovo porto, creerebbe una ferrovia di semi circonvallazione d’immensa e indiscussa utilità alla città di Napoli.

 

Se realizzata questa linea avrebbe permesso un rapido collegamento tra quartieri di non facile viabilità ed è stato un vero peccato perché a fine ottocento sarebbe stata fattibile e di costo contenuto.

Negativamente è da segnalare la mancanza di fermate intermedie che avrebbero consentito ad un considerevole numero di cittadini di poter usufruire di un rapido spostamento tra punti nevralgici della città.

La trazione a vapore impediva la costruzione di fermate sotterranee che comunque avrebbero fatto oscillare i costi di realizzazione; inoltre la trazione elettrica era ai primi passi e non offriva potenza e sicurezza.

Tuttavia notiamo che la stessa linea metropolitana, realizzata dalle Ferrovie dello Stato ai primi del novecento sul quasi medesimo tragitto, pur prevista ad alimentazione elettrica sarà fornita di solo tre fermate sotterranee (Piazza Amedeo, Monte Santo, Piazza Cavour).

Anche questa ferrovia, ora nota come Linea 2, in fase di costruzione perse le grandi opportunità e comodità che le metropolitane di Londra, Parigi, etc., offrivano con le loro fermate poste ad una distanza di 500 metri, e anche meno, collegando tra loro ogni piazza, quartiere o centro nevralgico.

 


 

GIUSEPPE PELUSO – giugno 2023

 


giovedì 22 giugno 2023

Incidente Ferrovia Cumana

 


Ferrovia Cumana

L’incidente del 7 giugno 1920 e la critica situazione di tutte le Gallerie della collina di Posillipo

 

Alle 5.30 del 7 giugno 1920 dalla Stazione di Monte Santo della Ferrovia Cumana parte il primo treno, il n. 102 diretto a Pozzuoli.

Il convoglio composto da cinque carrozze, due moderne di costruzione Reggiane e tre del vecchio tipo di costruzione belga, è trainato da una Locotender Henschel a tre assi accoppiati; probabile sia la n. 32, già appartenuta alle Ferrovie dello Stato [1].

Il treno è carico di operai che, svegliatesi di buon’ora, sono pronti ad iniziare il primo turno di lavoro; chi presso l’ILVA di Bagnoli, chi presso la più lontana Armstrong di Pozzuoli.

Dopo aver attraversato il lungo tunnel Sant’Elmo, il treno giunge alla stazione di Corso Vittorio Emanuele [2].


Questa è munita di doppio binario, e qui dovrebbe incrociare l’altro treno proveniente in senso inverso da Fuorigrotta.

Nonostante il macchinista metta in azione tutti i freni il convoglio non si ferma e prosegue la sua corsa imboccando il tunnel che, perforando la collina di Posillipo, con un percorso dotato di unico binario in discesa conduce a Fuorigrotta [3].


Il convoglio non raggiunge questa stazione perché in senso inverso sopraggiunge il treno atteso alla fermata del Corso per la prevista coincidenza. I due macchinisti avvedutasi dell’imminente inevitabile disastro cercano entrambi di dare il controvapore; riescono appena a far rallentare la corsa dei due treni ma non ad evitare l’urto.

Questo avviene nell’oscurità dello stretto tunnel fra lo spavento dei viaggiatori, numerosi su entrambi i treni, e tra i pianti e i clamori delle donne.

L’urto è violento e le due vaporiere, di recente acquistate dalle Ferrovie dello Stato, si accavallano l’una su l’altra fracassandosi.

Uguale sorte accade per otto vetture che si rovesciano sul binario; molte donne svengono mentre si sentano grida e gemiti di persone evidentemente rimaste ferite.

Immediatamente i più animosi rimasti incolumi organizzano i primi soccorsi e contemporaneamente, dalle stazioni di Fuorigrotta e del Corso, si procede all’invio di torce e di barelle per il trasporto di feriti; questi sono venticinque di cui quattro in gravi condizioni.

Essi sono quasi tutti estratti dal di sotto dei rottami delle macchine e delle vetture e poi caricati sopra un camion per essere trasportati all’Ospedale della Regia Marina a Mergellina.

Lungo il percorso l’autista che guida il camion, per la fretta di giungere all’Ospedale, investe una povera bambina che sta attraversando la strada; è anch’essa trasportata all’Ospedale dove purtroppo versa in imminente pericolo di vita.

Il sinistro, con il susseguente blocco del traffico ferroviario per la rimozione dei rotabili incidentati, aggiunge disagio ai collegamenti, in quel momento già precari, tra Napoli, Fuorigrotta e i Campi Flegrei tutti.             

Il persistente disagio è dovuto al fatto che il precedente 11 novembre 1919 il Comune di Napoli è stato costretto a chiudere al traffico, in seguito a un franamento interno, il tunnel stradale esistente tra Piedigrotta e Fuorigrotta [4].


Tale tunnel, che al suo interno ospita anche la preziosa linea tramviaria diretta a Pozzuoli, e l’unico varco esistente tra Napoli e la zona Flegrea; ancora non esiste la galleria Laziale e la vecchia Crypta Romana si trova nelle stesse condizioni odierne, ovvero pericolante e abbandonata.

La nuova galleria, costruita nel 1884 proprio per sostituire l’antica rimasta in funzione per circa duemila anni, già da tempo presenta fenomeni di crolli e di dissesto; pertanto, dopo un’ultima frana verificatosi nel novembre del 1919, si decide di chiuderla e vietarvi qualsiasi passaggio, sia pedonale, sia di carri, sia di tram.

In attesa del suo ripristino, che si preannuncia lungo, il Comune di Napoli e l’Azienda Tranviaria decidono la rapida costruzione di un piccolo tunnel, parallelo a quello franato, con all’interno un solo binario che permetta il passaggio dei tram a senso unico alternato [5].

 


Già il 5 febbraio l’onorevole Arturo Labriola (Napoli 1873 – 1959) presenta alla Camera dei Deputati una interrogazione con la quale chiede:

«Ai Ministri dei Lavori Pubblici e dei Trasporti Marittimi e Ferroviari quali provvedimenti intendano prendere allo scopo di ristabilire le comunicazioni tra la città di Napoli, la frazione di Fuori Grotta e tutta la plaga Flegrea oggi interrotte a causa delle condizioni in cui trovasi il tunnel di Fuorigrotta.»

 

La risposta all’interrogazione arriva dall’onorevole Anselmo Ciappi (Camporotondo di Macerata 1868 – Roma 1936), sottosegretario di Stato per i Lavori Pubblici:

«La città di Napoli è allacciata al villaggio di Fuorigrotta mediante la ferrovia Cumana ed una linea delle tramvie urbane di Napoli, che passava per il tunnel franato. In seguito alla sospensione dell'esercizio su detta linea tramviaria, il Circolo di Napoli ha interessato la Società esercente la ferrovia Cumana ad intensificare il movimento dei treni fra Fuorigrotta e Napoli per supplire alla mancanza della comunicazione tramviaria, e sono stati attuati numerosi treni facoltativi in mezzo ai tanti ordinari, in modo che da Fuorigrotta parte un treno ogni 20 minuti per Napoli.

Inoltre è stata istituita una linea automobilistica provvisoria attraverso il tunnel della direttissima Roma-Napoli, transito ordinario, finché non saranno riparati i danni del tunnel franato, per cui una Commissione di tecnici è stata nominata dal prefetto.

Fo poi presente che il Circolo di Napoli fin dal 1918 fece rilevare alla Società esercente le tramvie napoletane prima, ed all'azienda autonoma poi, le cattive condizioni statiche del tunnel di Fuorigrotta, e con provvedimento del 3 agosto 1919, pregò la Egregia Prefettura di Napoli d'ingiungere la esecuzione d'urgenza dei lavori necessari tanto al comune di Napoli che alla decaduta Società delle tramvie. E risulta che la Prefettura invitò il Municipio a preoccuparsi di tale grave questione, ma a tutto il mese di ottobre nessun provvedimento fu preso.»

 

Altra risposta arriva dal senatore Edmondo Sanjust di Teulada (Cagliari 1858 – Roma 1936), Sottosegretario di Stato per i Trasporti Marittimi e Ferroviari [6]:


«A complemento della risposta data direttamente dal sottosegretario di Stato per i Lavori Pubblici per la parte di sua competenza, fo noto che in seguito al franamento avvenuto il giorno 11 novembre 1919 nella galleria Grotta Nuova, per cui sono impedite le comunicazioni tra la città di Napoli e Fuorigrotta, tanto l’Egregio Commissario straordinario presso il municipio di Napoli, quanto le altre autorità locali, interessarono il Ministro dei Trasporti Marittimi e Ferroviari per la concessione del pubblico transito nella galleria ferroviaria di Posillipo.

Alle prefate autorità fu detto che dovessero prendere all'uopo degli accordi diretti col signor ingegnere cavaliere Enrico Bazzaro, capo divisione dirigente l'ufficio costruzioni di Napoli per la linea direttissima Roma-Napoli al quale erano state già date istruzioni in proposito. Nel senso che dovesse concedersi per la viabilità ordinaria, la maggiore larghezza della galleria suddetta, compatibile con l'impianto, affatto libero ed indipendente, di un binario di servizio a scartamento ridotto di m. 0.60, indispensabile per la continuazione dei lavori della galleria sotto Napoli della direttissima [7]. 


Lavori, che, secondo le intenzioni del ministro dei trasporti debbono essere intensificati quanto più è possibile, nel doppio intento di dar lavoro al massimo numero di operai e di affrettare l'ultimazione di quella galleria per poter incominciare ad aprire all'esercizio, senza ulteriore indugio, almeno qualche tratto della linea in parola».

 

Ma perché tante frane nei tunnel di Posillipo?

Questi dissesti nelle gallerie scavate nel tufo non trovano sempre una concorde spiegazione.

Il geologo Michele Guadagno, che per vari anni ebbe ad interessarsi del sottosuolo cittadino, nel 1928 disse che ben otto manufatti attraversanti la collina di Posillipo in questo tratto avevano dato segni di notevole dissesto.

Questi manufatti erano:

-      la antica galleria romana;

-      le due vecchie e contigue gallerie dei trams dette rispettivamente la Grande e la Piccola che poi furono trasformate in un'unica grande galleria;

-      la galleria della Direttissima;

-      la galleria Laziale;

-      i collettori cosiddetti di Cuma e di Coroglio;

-      il grosso fognone di Posillipo.

Secondo lui la sovrapposizione di due unità di tufo giallo, con l'interposizione di materiali piroclastici poco lapidificati, era all'origine dei dissesti di diverse opere che attraversavano in sotterraneo questa zona della collina.

Ricordava, ad esempio:

-      la Vecchia Galleria Romana con le innumerevoli frane che l’hanno interessata nel corso di quasi due millenni.

-      la Nuova Grande Galleria (già galleria municipale dei tramways) aperta nel 1884, chiusa per dissesti nel 1890; riparata e poi di nuovo chiusa per la citata frana del 1919.

-      la Galleria della Direttissima Napoli-Roma, collaudata nel 1917, che denunzia danni nel 1922; poi in riparazione fino al 1925 e nuova presenza di dissesti nel 1931.

-      la Galleria della Laziale, ultimata nel 1926, dopo che si sono manifestati numerosi dissesti durante la costruzione, e presenza di nuovi danni nel 1932.

 

In tutte queste gallerie si era osservata la rottura longitudinale delle calotte e lo schiacciamento dei piedritti.

Analoghi dissesti saranno poi riscontrati nella più recente Galleria della Circumflegrea, che pure attraversa la collina del Vomero, terminata di scavare nel 1954 e soggetta a riparazioni tampone alla fine degli anni ’60 ed a sistemazione definitiva solo con la costruzione del secondo tunnel, per raddoppio dei binari, tra Monte Santo e Soccavo.

 

GIUSEPPE PELUSO – GIUGNO 2023


lunedì 19 giugno 2023

Prolungamenti Ferrovia Cumana

 


Ferrovia Cumana

Progetti di Prolungamento per Bacoli, Cappella, Miliscola, Miseno

 

Dopo l’inaugurazione del 1889 la Ferrovia Cumana continua, per molti anni, la sua tranquilla esistenza fino al 1926, quando si annunciano delle novità.

Innanzitutto l’elettrificazione in corrente continua a 1.500 V., per eliminare il problema del fumo nelle numerose gallerie, e poi il prolungamento da Torregaveta a Bacoli e Miseno, in funzione del notevole sviluppo turistico e urbanistico acquisito da queste zone.

Il Regime concede l’assenso alla trasformazione da trazione a vapore a trazione elettrica a patto che la Società assuma l’obbligo dell’accennato prolungamento.

La Cumana accetta questo impegno e in conseguenza chiede ed ottiene un aumento del contributo governativo, stabilendo che entro due anni avrebbe presentato il relativo progetto del nuovo tronco ferroviario.

In verità nel termine di tempo prescritto la Cumana presenta il progetto [immagine 2] che prevede:



1 - La diramazione da costruire inizia poco prima della stazione terminale di Torregaveta; passa per la contrada Cappella, Comune di Monte di Procida; prosegue per la spiaggia di Miliscola; infine si attesta presso il Lago Miseno, in prossimità del centro storico di Bacoli.

2 -  Nel complesso si tratta di costruire poco più di tre chilometri di ferrovia, tutti in piano, senza gallerie e viadotti impegnativi, e con soli due passaggi a livello.

3 – I terreni da attraversare sono quasi tutti demaniali, non ci sono privati edifici da espropriare, ed i lavori possono eseguirsi con speditezza ed economia.

 

Il 3 luglio 1927 la linea è alacremente elettrificata [immagine 3], 

mentre non c’è alcuna traccia della prevista prosecuzione a Miseno; numerosi interventi e pressioni non ottengono l’esecuzione delle gare e l’annunciato prolungamento non è neppure appaltato.

Anche “Il Mattino” nel 1933 riprende l’argomento e, tra l’altro, scrive:

«le rotaie, purtroppo, sono depositate sulla spiaggia di Torregaveta ad arrugginire e ancora oggi il treno non va a Miseno».

Non se ne fa un bel nulla e solo in un secondo momento la Cumana esibisce un altro progetto mediante il quale si apportano sensibili modifiche al tracciato precedente:

1 – La diramazione questa volta parte dalla stazione di Baia, s’immette con un tunnel nella collina del Selvatico, infine esce presso il Lago di Miseno dove si attesta.

2 – Da questo percorso restano tagliati fuori il Monte di Procida, con la sua frazione di Cappella, e le spiagge di Miliscola e Miseno.

3 – Il percorso, quasi tutto in galleria e quindi con un costo quasi raddoppiato, non presenta fermate intermedie.

 

Questo secondo progetto va all’esame della Sovraintendenza dei Monumenti perché le rotaie passerebbero ad una dozzina di metri dal Tempio di Mercurio e, uscendo dalla galleria della collina del Selvatico, incontrerebbero una zona archeologica.

 

Il 1° ottobre del 1933 il ministro delle Comunicazioni e dei Trasporti Costanzo Ciano, padre di Galeazzo e consuocero del Duce, con un treno speciale della Ferrovia Cumana si porta a Torregaveta da dove poi raggiunge Miseno.

Qui, come titola il “Roma” di quel giorno, sosta nella vana attesa di un treno disperso tra la poesia di un orario ferroviario e la realtà, tra due diversi progetti, tra il tunnel del “Selvatico” e l’archeologia, il Tempio di Mercurio, le rotaie e la contrada Cappella.

Sua Eccellenza Ciano auspica la rinascita della Plaga Flegrea, di ridare a questa terra di sogno il prestigio della sua trascorsa grandezza, di valorizzare Miliscola, la più bella spiaggia del mondo [immagine 4].

Belle parole ma alle popolazioni interessa che il tronco ferroviario sia realmente costruito e, soprattutto, realizzando il primo progetto perché esso arrecherebbe benefici al Comune di Monte di Procida, alla sua Contrada Cappella, e percorrerebbe tutto il lido di Miliscola.

Ma la linea non prosegue, i dirigenti della Cumana non attuano iniziative per migliorare il servizio e per sviluppare la rete; essi si limitano alla semplice gestione, limitata alla più stretta economia.

Nel frattempo sopraggiunge la guerra e di prolungamento più non si parla.

 

Al ritorno della vita civile si cominciano a definire le nuove direttrici di traffico nel Napoletano e il 17 marzo 1946 è autorizzata la nuova ferrovia che prende il nome di “Circumflegrea”.

Essa, partendo sempre da Napoli Montesanto, attraversa il settentrione dei Campi Flegrei e raggiunge Torregaveta dove ritrova la “Cumana”.

Il 16 aprile 1948 è stipulata la relativa concessione che prevede pure la realizzazione del tronco Torregaveta – Bacoli - Miseno.

Si tratta di un terzo e diverso progetto che, inteso ora come prolungamento della Circumflegrea e non della Cumana, raggiunge Miseno dopo un percorso di 4.530 metri.

Da questa nuova linea, sempre a semplice binario, si distacca poi una diramazione di 1.300 metri che raggiunge la contrada Cappella del Comune di Monte di Procida.

 

Avvincente la mappa del progetto [immagine 5]

che, oltre a mostrare le popolazioni servite dalla nuova “Circumflegrea”, mostra le popolazioni servite dai previsti raccordi per Monte di Procida e Bacoli.

Interessante inoltre apprendere il numero dei residenti a Soccavo. Pianura, Quarto, ed altri centri nel 1948.

Nel corso degli anni sessanta è portata a termine la realizzazione della Circumflegrea e la rielettrificazione dell’intera reta a 3.400 V., ma della tratta per Miseno anche stavolta non c’è traccia.

Negli anni ottanta del novecento si riparla del prolungamento, attraverso Monte di Procida e Bacoli, fino a Capo Miseno dove si prevede di realizzare un grande porto turistico.

In verità le idee sono ancora confuse poiché si auspica di inserire questo nuovo progetto nel preventivato collegamento Miseno – Torregaveta – Licola – Varcaturo - Lago Patria – Ischitella – Castelvolturno - Mondragone sfruttando il già esistente tracciato tra Torregaveta – Lido Fusaro – Cuma - Licola; il tutto a servizio dei numerosi ed ormai popolosi centri che affacciano sul Tirreno. 

Ma anche questi restano “sogni”, racchiusi nei sibillini progetti politici, ed oggi, trascorsi altri quaranta anni, si riparla del collegamento ferroviario Torregaveta – Bacoli che, per la diversa e molteplice urbanizzazione, si presenta alquanto complesso e costoso.

 

REFERENZE

R. Cocchi & A. Muratori – Ferrovie Secondarie Italiane

F. Ogliari – Storia dei Trasporti Italiani

CRAL SEPSA – Storia Ferrovia Cumana

 

 GIUSEPPE PELUSO – giugno 2023


Furlone sequestrato

 


Il Furlone sequestrato dal Capitolo Diocesano

 Nel 1775 il canonico Raffaele Ragnisco, rettore del Capitolo Diocesano, chiede alla “Regia Corte di Giustizia” di Pozzuoli il sequestro di un “furlone”.

Il canonico Raffaele appartiene alla nota e nobile Famiglia dei Ragnisco che tanto lustro ha dato alla città di Pozzuoli con ecclesiastici, avvocati, notai, politici, fino a Pietro, storico italiano della filosofia (Pozzuoli 1839 - Roma 1920), professore nelle università di Palermo, Padova e Roma; socio nazionale dei Lincei (1913).

Sue opere principali: Storia critica delle categorie dai primordi della filosofia greca fino a Hegel (1871); Il principio di contraddizione (1883).

Ha pubblicato studî su Kant, Schopenhauer, N. Vernia, G. Zabarella, ecc..

Il capitolo, o collegio, nella Chiesa Cattolica è un'assemblea di presbiteri o di religiosi dotata di personalità giuridica e di autorità normativa. Esso è si riunisce nella Cattedrale di una Diocesi ed è un soggetto autonomo nelle decisioni che riguardano i suoi membri. Per questo motivo solo chi ne fa parte può intervenire nelle votazioni e nei dibattiti.

Il “furlone”, in corretto italiano “frullone”, è una macchina utile a separare la farina dalla crusca. Per i piccoli quantitativi è utilizzato un semplice setaccio, ma questo arnese non si adatta alla lavorazione di grossi volumi e pertanto il “frullone” sovviene in aiuto di molitori e commercianti.

Singolare il fatto che il “frullone” sia l’emblema dell’Accademia delle Crusca, cernere ed estrarre il fiore dalla farina significa distinguere la buona dalla cattiva lingua!

La funzione dello strumento richiama gli scopi del sodalizio; l’Accademia estrae la sostanza più pura dalla tradizione letteraria, così come fa l’utensile che setaccia la materia grezza uscita dalle macine per rilasciare la farina.

L’insegna del “frullone” troverà nel 1590 la sua versione definitiva, dopo accese discussioni, con l’aggiunta della frase ispirata da Petrarca:

«il più bel fiore ne coglie».

Incuriosito dalla iniziale richiesta del sequestro di questo arnese, come riportato dall’inventario della Diocesi di Pozzuoli pubblicato sulla pagina dei “Beni Culturali della Campania”, ho cercato ulteriori notizie apprendendo solo poche altre novità.

La richiesta del Capitolo è dovuta al mancato pagamento del fitto di casa da parte di un certo Pasquale Grande.

Il Grande occupa una casa di proprietà della Mensa Vescovile, che ne possiede moltissime sia al Rione Terra che giù al borgo; moltissime poi le masserie, di sua proprietà concesse in enfiteusi a coloni in cambio di un “estaglio” annuale, sparse in tutti i Campi Flegrei.

Ricordo che la “Mensa Vescovile” è l'insieme dei beni a disposizione di una Diocesi cattolica per garantire una rendita sufficiente al mantenimento del vescovo, della sua residenza, e della intera Curia Diocesana.

Purtroppo per il “Capitolo Diocesano” Pasquale Grande è fuggito a Civitavecchia, probabilmente con l’aiuto di qualche pescatore amico, portando con sé tutto quanto possa essere di valore.

Il Rettore Raffaele Ragnisco, a nome del Capitolo che rappresenta, intima alla di lui moglie Elena Zuppariello il pagamento dei cinque ducati dovuti per il fitto maturato.

La povera Elena, forse anche abbandonata dal legittimo coniuge, non ha questa somma e don Raffaele, con il suo consenso, chiede alla citata Regia Corte il sequestro dell’unico oggetto ritrovato nella casa di Pasquale Grande:

“un furlone per uso di cernere farina”.

 


1775 – Indice 200-20-38 e Indice 305-30-65

 

Giuseppe Peluso – giugno 2023