sabato 30 settembre 2023

La Mansio di Quarto

 


E’ un Tempio? No, non è un Tempio!

E’ una Taberna? No, non è una Taberna!

E’ una Mansio? No, non credo sia una Mansio!


I più importanti resti archeologici romani son quelli rimasti sempre in vista, attraverso il medioevo, l’età moderna e quella contemporanea.

I competenti li han sempre visitati; anfiteatri, teatri, fori, templi, mausolei, descrivendone gli usi cui erano adibiti o dedicati.

Ma il popolo, e tutti coloro che nei secoli bui hanno vissuto lontano dal sapere, osservandoli ha con frequenza stabilito che fossero luoghi di culto; di conseguenza gli “eruditi” a questi templi hanno anche affibbiato un titolo, spesso scelto perché vicini a qualche particolare che ricordasse una certa divinità.

 

I Campi Flegrei, data la passata grandezza, son pieni di questi esempi; ed alcune intitolazioni risalgono a tempi lontani, come attestato sin dai primi scritti in volgare.

Per l’uomo medioevale, stretto tra la miseria, l’ignoranza e la religione, gli unici importanti edifici, sia pubblici che privati, che vedevano altro non potevano essere che santuari dedicati al Culto.

Impensabile per loro che i predecessori, di cui non capivano ed apprezzavano il grado di civiltà, possano aver costruiti edifici utilizzati come Terme, Calcidico, Foro, o altro.

Questi contadini e pescatori consideravano che tutti questi grandiosi edifici fossero Templi, dedicati alle infinite divinità romane, così come i moderni dedicati a San Gennaro, San Procolo, San Sossio o San Celso che vedevano alzarsi attorno a loro.

 

Tanto per citarne solo alcuni, tra i più famosi nei Campi Flegrei, i Templi di Mercurio, di Diana e di Venere; essi altro non sono che grandiose Sale Termali, inconcepibile per chi poco curava il proprio corpo e poco sapeva degli imperiali ozi baiani.

Sulle rive del vicino Lago di Averso insiste un’altra grandiosa Sala Termale (il quarto trullo per Petrarca e contemporanei) e questo, data la vicinanza al creduto ingresso agli inferi, non poteva non essere dedicato ad Apollo, il Dio dell’Oltretomba.

Nella stessa Pozzuoli sono stati erroneamente definiti tali i grandiosi resti delle Terme di Nettuno; in particolare l’ambiente principale, il Calcidium, destinato al passeggio dei frequentatori. Anche in questo caso la sua funzione originale era impensabile per i più moderni puteolani. Le sue rovine erano talmente grandi, e visibili da lontano, che i letterati pensarono fosse quel Tempio di Nettuno sotto i cui portici Cicerone, stando a Baia, vedeva passeggiare il suo confidente Avieno.

Sempre a Pozzuoli è il Tempio di Diana; in pratica una fontana monumentale in cui furono rinvenuti bassorilievi marmorei che raffiguravano cani e cervi e un frammento marmoreo su cui sembra fosse inciso il nome della dea cacciatrice.

Giusta invece la definizione di Tempio per il principale edificio sacro che, mantenendo la sua originale funzione, continuava a svettare sull’alto della Rupe tufacea.

Infine l’ultima scoperta nel 1750, quel mercato monumentale anch’esso confuso per tempio, consacrato a Serapide, una divinità egiziana.

 

Una certa analogia di catalogazione la si riscontra nei più recenti rilevamenti di ruderi, ridotti al solo livello stradale, attribuendo loro la funzione di Taberne.

Questa mansione mercatale la si sta affibbiando, con disinvolta facilità, anche a strutture conosciute da molto tempo e il cui unico peccato è l’essere poste al piano terra, di alti edifici non più esistenti; alcuni pur lontani dalla viabilità.

Vero è che di Taberne doveva esserne piena la Puteoli cosmopolita (sempre accogliente verso i portatori di ricchezza, novità e religioni), e vero è che per Taberna si intendeva non solo il luogo di somministrazione di cibo o di riposo ma anche il luogo dedicato a qualsiasi attività commerciale, ad attività artigianale e pure attività amministrative a contatto con il pubblico.

Ma è pur vero che non tutti i locali posti al piano terra fossero Taberne; la gran parte serviva da abitazioni, come in seguito lo saranno i vasci con accesso diretto dalla strada; molti servivano quale deposito delle enormi quantità di legname richiesto dai focolari domestici; oppure erano adibiti a scuderie per muli e cavalli, destinati ad essere cavalcati o al traino dei carri; molti altri servivano da stalle per bovini e ovini che in numero elevato vivevano in città.

Dopotutto fino a tutti gli anni sessanta i paesini arroccati nei nostri appennini erano così, nel percorre le loro stradine notavi che, tranne qualche cantina e drogheria, tutti i locali posti al piano terra erano occupati da animali; no da Taberne.

 

Tutto questo preambolo è servito ad esporre una personale supposizione in merito alla definizione di Mansio del magnifico edificio esistente da sempre a Quarto Flegreo.

Non ricordiamo chi per primo gli abbia affibbiato questa destinazione d’uso, certo è che non la riportano come tale né il Dubois nel suo libro del 1907 né il Chianese nel suo del 1938, né Maiuri che si interessò a vicini reperti archeologici, e neppure Caputo, Camodeca e Giglio nel loro saggio del 2013.

Questo bellissimo manufatto si sviluppa su due piani, ognuno dei quali costituito da quattro ambienti comunicanti, separati da archi in laterizio aventi funzione di rinforzo della copertura a volta. Ognuno degli ambienti è illuminato da due lucernari a bocca di lupo contrapposti sulle pareti Nord e Sud; le stanze terminali sono dotate di aperture anche sulle pareti laterali Est ed Ovest.

La parte inferiore dell’edificio, ora adibito a stalla, non ha subito modifiche di rilievo se si eccettua la separazione, mediante tramezzo, della stanza più ad Est.

La parte superiore, attualmente abitata, è stata suddivisa in più parti da tramezzi.

 

Wikipedia ci dice che la Mansio era una stazione di sosta lungo una strada Romana gestita dal Governo centrale e messa a disposizione di dignitari, ufficiali, o chi viaggiasse per ragioni di stato, come i semplici portatori di dispacci.

Insomma il loro scopo era garantire un’adeguata ospitalità ai viandanti di servizio e, spesso, era messa a disposizione dello stesso imperatore se in viaggio.

Facile dedurre che una Mansio, per assolvere il suo compito, doveva essere fornita di ambienti destinati a dormitorio per ospiti e operatori, di cucine e refettori dove consumare i pasti, scuderie per ricovero dei cavalli sia dei viandanti che quelli da dare in cambio, locali con funzione di deposito per alimenti e foraggi, ampi spazi esterni per la sosta di carri merci e carrozze passeggeri.

I conosciuti ruderi di alcune Mansio, ritrovati lungo le consolari imperiali, ci dicono che in genere, avendo anche spazio a sufficienza tutto intorno, queste costruzioni si espandevano orizzontalmente e non in altezza; dopotutto non necessitavano di piani rialzati ed il servizio offerto era più rapido ed utile se svolto a livello stradale.

 

Ora cosa, della struttura di Quarto, ci porta a riconoscerla come una Mansio e cosa invece la accomuna ad una qualsiasi fattoria di campagna?

Conosciuta da sempre come “Masseria Crisci”, alquanto vasta come altre similari in questo stesso Territorio, fu probabilmente sopraelevata dal suo “padrone” al di sopra dei locali rustici affinché potesse servire anche come luogo di “ozio”, oltre che per meglio seguire l’opera dei fattori nei momenti essenziali di un Podere.

La stessa evoluzione edile la riscontriamo, fino a tempi recenti, con la sopraelevazione di ambienti padronali al di sopra delle preesistenti masserie; come era Villa Maria alla Starza, Villa Spinelli o come le esistenti Villa Cordiglia, Villa Cardito, ed altre ancora.

 

Volendo credere che l’edificio di Quarto sia una Mansio, con forte immaginazione e giusto per seguire le mode archeologiche, viene allora da chiedersi perché sia stata costruita in quel luogo.

Generalmente queste stazioni sono erette lungo le strade consolari a distanza di mezza giornata di viaggio tra loro in modo che, partendo di buon mattino, sia possibile usufruire dei suoi servizi durante la pausa pranzo o la pausa notturna.

In questo caso la Mansio di Quarto non avrebbe avuto necessità di esistere in quanto la Pozzuoli romana si trova a solo mezz’ora di strada e Capua, l’altro capolinea della Consolare Campana, sarebbe facilmente raggiungibile in mezza giornata di viaggio.

Quale sarebbe stata la necessità di fermarsi a Quarto?

Rapportata al tempo d’oggi sarebbe come imboccare la Tangenziale ad Arco Felice e, prima d’iniziare un lungo viaggio, fermarsi a prendere un caffè all’Area di Servizio “Antica Campana”.

 

Resta l’ipotesi che questa di Quarto non sia una Mansio intermedia ma una terminale, ovvero la meta finale per coloro che dovevano raggiungere Pozzuoli per poi imbarcarsi per l’Oriente o per dignitari designati a risiedere in questa città.

Ma allora perché costruirla a Quarto e non nella stessa Pozzuoli in modo che i viandanti possano più facilmente raggiungere a piedi qualunque centro di potere, luogo termale, di svago, o punto d’imbarco?

Solo in tempi recenti le barriere autostradali sono state spostate a Caserta Sud, a Nola, a San Giorgio a Cremano; son trascorsi pochi anni da quando erano ubicate sul retro di piazza Garibaldi dove garages multipiano e capienti alberghi ospitavano auto e viaggiatori che, una volta rifrescatosi dopo il lungo viaggio, si immergevano nella cosmopolita vita notturna di un movimentato Suburbio.

 

 PELUSO GIUSEPPE – SETTEMBRE 2023