sabato 6 aprile 2024

Eugenio Scalfari

 

Eugenio Scalfari, Civitavecchia e Pozzolani.

 


Cento anni fa, il 6 aprile del 1924, a Civitavecchia nasceva Eugenio Scalfari; scrittore, politico e giornalista fondatore di “La Repubblica”, che ci ha poi lasciati nel luglio del 2022.

In un suo libro autobiografico ha raccontato gli inizi della sua vita dove troviamo intrecci con Pozzuoli e le isole flegree.

Il suo bisnonno materno si chiamava Domenico Scotti, nato e vissuto per lungo tempo a Procida.

 Gli Scotti sono armatori e Domenico possiede tre navi a vela che trasportano grano, carbone, tessuti e altre mercanzie tra Tunisi e Pozzuoli; su quelle navi suo nonno Francesco fa le sue prove da mozzo e poi da marinaio.

Verso la metà dell’Ottocento Domenico Scotti decide di trasferire la Famiglia e i suoi velieri da Procida a Civitavecchia e nel frattempo il figlio Francesco acquisisce la patente di capitano di lungo corso per cui è lui a guidare per i mari la flottiglia dei tre velieri.

Poi anche questa fase finisce, perché i vapori prendono il posto delle navi a vela; ma gli Scotti restano nel porto laziale dove acquistano un grande appartamento in un palazzo costruito, nei primi anni dell’ottocento, nella piazza centrale della città.

In quell’alloggio resta Francesco che, con sua moglie e la numerosa Famiglia, occupa tutto l’ultimo piano del palazzo.

Francesco Scotti ha cinque figli, la Madre di Scalfari è la seconda e gli altri sono due femmine e due maschi.

Nonno Francesco muore nel 1923, zia Maria si sposa e va a vivere in un’altra casa, zia Lidia si sposa anch’essa e si trasferisce a Roma dove vanno a vivere anche la nonna e i restanti suoi due figli maschi; nella casa restano solo Eugenio e i suoi genitori.

 E’ in quella casa che la sua memoria comincia ad accumulare sensazioni e ricordi; alcune finestre affacciano sulla piazza il cui lato opposto si apre sulle banchine dove attraccano le navi chiamate “postali” perché portano la posta, i passeggeri e le merci nei porti sardi di Olbia, Golfo degli Aranci e Cagliari.

Proprio sotto casa c’è una costruzione di grande interesse, risalente all’epoca romana, che alloggia fondachi, pescherie, botteghe di attrezzi e reti da pesca, protetti da una fila di portici, dove sono allestiti i banchi del pesce che le paranze sbarcano la mattina e il pomeriggio.

Spigole, orate, ricci di mare, aragoste, cefali, merluzzi luccicano su quei banchi; le donne, quasi tutte “pozzolane”, ne illustrano il pregio e richiamano l’attenzione dei compratori mentre i “postali” puntano la prua verso la bocca del porto a sirene spiegate.

Le sere della bella stagione il piccolo Eugenio si affaccia sul balcone insieme a sua madre che in quella casa c’è nata ventitre anni prima di lui.

Sul mare aperto si vedono le luci delle lampare, le barche da pesca che stendono le reti al largo e pescano a strascico, suonano le sirene dei postali e le luci delle cabine brillano in alto mare.

La mattina, prima dell’alba, partono le paranze e tornano la sera con il loro carico di saraghi, triglie, merluzzi, cefali e calamari.

La sera partono le lampare e restano fuori tutta la notte attirando nelle reti stese a pelo dell’acqua banchi di sarde e di alici.

Le famiglie dei pescatori provengono quasi tutte da Pozzuoli e da Procida e conservano di quei loro paesi di origine una parlata che col tempo si è corrotta e mischiata con le inflessioni del luogo, dando vita ad una cadenza spuria e sguaiata.

Ma le donne sono belle, con gli occhi di un blu profondo e capelli morbidi e scuri; aspettano al tramonto le barche dei loro uomini e sono loro a sistemare i pesci nelle ceste, a preparare i banchi sopra i quali esporre le spigole argentee, le triglie color di rosa e gli scorfani rossi.

 Un giorno, su quel balcone, la Madre gli dice:

 “… dobbiamo andar via, lasceremo questa casa, è troppo grande per noi, ne avremo un’altra, ti piacerà….”

Lui, piangendo disperato, gli risponde:

“Quando sarò grande te la ricomprerò e torneremo qui…”

Forse quella promessa l’avrebbe mantenuta, ma, quando fu grande e tornò in quel luogo dell’infanzia, la casa non c’era più, sprofondata in un cratere di bombe.

La guerra era passata furiosamente distruggendo le banchine del porto, il muraglione dell’Arsenale, le pescherie, la Torre della Rocca, la chiesa di Santa Firmina e i palazzi di piazza della Vittoria.

Al posto della casa dove era nato vent’anni prima c’era solo quel cratere.

 Era lì che era cominciata la sua vita, la sua memoria, la sua malinconia; quel pianto disperato in braccio alla Madre era il suo primo ricordo, insieme alla finestra sul mare, il cesso sul balcone e la ringhiera di ferro, le navi del porto che partivano e arrivavano, il suono della sirena del postale che salpava per la Sardegna e i gabbiani che volavano maestosi e all’improvviso cadevano a picco sui pesci del mare.

Era sempre lì che era cominciato anche il suo risentimento e la voglia di compensare un torto subito.

 


Bibliografia:

Eugenio Scalfari - Incontro con io, Rizzoli, Milano 1994

www.poetidelparco.it – Civitavecchia

Don Filo Puteolano – Abbàscio o’ mare

Giuseppe Peluso – I Pescatori di Pozzuoli lungo le coste Laziali – Pozzuoli Magazine


GIUSEPPE PELUSO – APRILE 2024