Ospedale, Ospizio e Chiesa di Santa Marta
Risale al 1572 la
costruzione di Santa Marta, con annesso ospizio e nuovo ospedale, realizzata al
quadrivio dell’Annunziata in sostituzione dell’omonimo complesso distrutto a
Tripergole dalla eruzione del 1538.
La chiesa è a pianta
rettangolare ad unica navata con tre piccole cappelle laterali che sono ad
archi, sorretti da pilastri, e sormontate da altrettanti finestroni su ogni
lato.
La zona dell’altare
maggiore, preceduta da un arco trionfale, termina in alto con un’alta cupola
ornata da finestroni.
L’ingresso, rivolto
verso l’attuale corso Terracciano, è abbellito da un portale in piperno,
sormontato da una lunetta; nella facciata si apre un piccolo rosone e tra
questo e il sottostante portale si ammirava lo stemma di Santo Spirito in Saxia
a Roma, patrono di questo Oratorio come del primitivo distrutto a Tripergole.
Più che una Chiesa è
infatti un Oratorio riservato agli ospiti dell’Ospedale e dell’Ospizio. Non
possiede arredi sacri, solo in due cappelle laterali ci sono figure
rappresentanti Santa Marta e Santa Maddalena, e le messe sono officiate dai
frati del vicino convento di San Francesco.
Il sagrato della
chiesa è tuttora collegato col corso Terracciano con rampe di scale ricavate in
una rientranza del muro di contenimento.
L’Ospedale sorge
nella zona antistante la chiesa, ma distaccato, e ad entrambi si accede
mediante una stradina in salita distrutta negli anni ’70 per la costruzione di
nuovi edifici.
L’ambiente principale
dell’Ospedale è costituita da un'unica aula,
detta sala grande, e di un attiguo giardino con alberi da frutta; i
poveri vi sono ospitati per 40 giorni solo dopo la Pasqua.
Altri locali sono
addossati alla parete posteriore della basilica e questi confinano con un area
sottostante alla chiesa adibita inizialmente a cripta dell’ospedale e per breve
periodo (nel 1838-1843) a sepoltura pubblica.
L’Ospedale non sarà
mai completamente terminato e malsana sarà la sua gestione da parte della dalla
Real Santa Casa dell’Annunziata di Napoli che alla fine dello stesso secolo
favorisce la realizzazione del nuovo Ospedale di Santa Maria delle Grazie
presso l’omonima chiesa sorta nel borgo di Pozzuoli.
A tutto questo
complesso è annesso lo xenodochio, ovvero ospizio dall’unione delle due parole
greche xénos, (ospite) e dochèion
(ricettacolo), come tanti esistenti nel medioevo con lo scopo di offrire
ospitalità gratuita a pellegrini e forestieri sulle strade dei pellegrinaggi,
presso le grandi cattedrali o nella stessa Pozzuoli per accedere ai bagni
termali.
Questo ospizio annualmente
resta aperto per brevissimo periodo e ai poveri ospiti stranieri e puteolani si
offre un pasto molto frugale e solo per un massimo di tre giorni.
Lo xenodochio continua
a svolgere la sua attività per tutto il XVII secolo , seppure in forma molto
ridotta anche per la presenza di altre strutture simili esistenti a Pozzuoli
(ospizio dei Cappuccini a via Napoli, dei Pasqualini in via Ragnisco e dello
stesso vicino Convento di San Francesco).
Nel 1705 papa
Clemente XI ne autorizza la sospensione decennale ed infine nel 1725 sarà papa
Benedetto XIII a sospenderne definitivamente ogni attività sociale.
Inizia così il lungo
periodo di abbandono del complesso che incide sul suo degrado fino a che con
l’Unità d’Italia, con le leggi di soppressione degli ordini religiosi e
incameramento dei loro beni, questi ruderi sono acquisiti al patrimonio del
Comune di Pozzuoli.
Nel 1910 il conte
Vincenzo Cosenza, procuratore presso la Corte di Appello di Messina, acquista
l’intero complesso per la somma di Lire 400,00 dando incarico all’ing. Antonio
Causa di trasformare tali ruderi in civili abitazioni.
Il Causa lascia
intatte le preesistenti strutture portanti e dalla chiesa ricava tre piani con
la semplice inclusione di solai. Il corpo più basso è lasciato ad un sol piano,
come prima, e dagli ambienti che ospitavano l’Ospedale ricava la residenza
personale del senatore Vincenzo Cosenza.
Successivamente sul
lato della Piazza Capomazza, ai piedi dell’edificio, sono realizzata una
squallida serie di negozi ed altri locali industriali sono realizzati nella
parte opposta ed interna.
Con la crisi
bradisismica del 1970 le abitazioni sono sgombrate e con l’ultimo restauro il
complesso si presenta con una nuova e decorosa veste.
Gli ariosi archi a
piano terra, e la completa trasformazione del corpo basso con l’inserimento di
pregevoli finestre, hanno dato alla facciata un “sapore” antico donando
eleganza e sobrietà allo storico quadrivio.
GIUSEPPE PELUSO
Pubblicato su Segni
dei Tempi – luglio/agosto 2024
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