Guglielmo
Giannini
Dall’Uomo
Puteolano all’Uomo Qualunque
Guglielmo Giannini [1] nasce a Pozzuoli il 14
ottobre 1891 da Federico, eccentrico giornalista d'origine pugliese, e
dall'inglese Mary Jackson.
E’ piacevole ricordare che durante il
ventennio a Papà Federico, ormai anziano e senza sostegni, il regime fascista
propone un impiego, a sua scelta, e lui si offre al Duce come assistente
quotidiano, con l’incarico di ripetergli ogni mattina: «Benì, nun te scurdà ca
si fesso».
Una funzione simile a quella dello schiavo
che ammoniva i duci romani durante i trionfi; purtroppo il regime non apprezza
l’ironia e il pover’uomo resta senza sussidio.
Della Madre Mary sappiamo che nasce a Glasgow
da Giovanni Guglielmo e da Elisabetta Kennedy, decana delle giornaliste
irlandesi.
Mary è sorella di Giovanni Giorgio Jackson
che fu dirigente del cantiere Armstrong di Pozzuoli, raffinato traduttore [2] e,
unitamente alla moglie Assunta D’Oriano, acquirente del secondo e poi del terzo piano dell’edificio, ubicato nella principale piazza di Pozzuoli, che da allora è comunemente riconosciuto come “Palazzo Jackson”.
unitamente alla moglie Assunta D’Oriano, acquirente del secondo e poi del terzo piano dell’edificio, ubicato nella principale piazza di Pozzuoli, che da allora è comunemente riconosciuto come “Palazzo Jackson”.
Dalla Madre il nostro Guglielmo eredita
probabilmente una certa dose di “empirismo” che nel futuro gli tornerà comoda.
Fondamentale, nella formazione di Guglielmo,
è la figura del padre il quale, coerente con la propria fede anarchica, limita
la frequenza scolastica del figlio alla quinta elementare provvedendo
personalmente alla sua ulteriore istruzione che basa su ideali libertari.
Il comunismo è la passione giovanile del
Giannini che nel 1946 ricorda:
"È orribile pensare che, da ragazzi,
c'entusiasmava il comunismo di cui avevamo un'idea idilliaca. Poi, un po' più
avanti negli anni, leggemmo il “Capitale” di quel fregnone di Carlo Marx, e ne
rimanemmo affascinati per anni; fino a che la ragione, soccorrendo la naturale
intelligenza, non ci provò che la biblica fesseria di Marx era la biblica
fesseria che è".
Da bambino Guglielmo gioca “abbascio ‘o mare”,
in quei vicoli che gli forniranno idee per le sue commedie dialettali, spunti per
i suoi discorsi politici, esempi per le sue scaramanzie.
Si diverte tra nasse, reti, gozzi, mare e
sole; tanto che il suo volto di rosea aragosta, scrive Gianni Race, sembrava
quello di un qualunque marinaio puteolano.
Dopo svariati mestieri, da muratore a
commesso in un negozio di tessuti, svolti tra la sua Pozzuoli e Napoli, dove la
Famiglia s’è trasferita e dove nasce la sorella Olga che sarà deputata eletta
nel fronte creato dal fratello [3].
Giovanissimo Guglielmo intraprende, forse per
contrasti con la Famiglia, vari viaggi per l’Europa e al rientro in Italia inizia
a farsi strada nel mondo del giornalismo introdotto dal Padre, al quale si è riavvicinato,
che gli trasmette la passione per la scrittura.
Nel 1910, a soli diciannove anni, collabora al
“Giornale del Mattino” diretto da papà Federico; passa poi al giornale
umoristico “Monsignor Perrelli” e nel contempo si occupa con successo della
rubrica mondana "Le Vespe" su “Il Domani”. Scrive con una prosa
vivace che rapidamente gli porta popolarità.
Combattente di leva nella guerra di Libia (1911-12), e da volontario nella prima guerra mondiale (1915-18), dopo nove anni tra servizio militare e prigionia, va a vivere a Roma e torna al giornalismo come redattore capo del “Contropelo”. E’ poi direttore del “Monocolo”, infine fondatore e direttore della rivista cinematografica “Kines”.
Nel frattempo si sposa ed ha tre figli; la
bellissima Gloria [4],
Yyvonne che diventerà una brava giornalista (dopo una parentesi da attrice in qualche film diretto dal Padre) e direttrice del settimanale “La Donna Qualunque”, e poi Mario, l’amatissimo figlio maschio.
Yyvonne che diventerà una brava giornalista (dopo una parentesi da attrice in qualche film diretto dal Padre) e direttrice del settimanale “La Donna Qualunque”, e poi Mario, l’amatissimo figlio maschio.
Guglielmo diventa piuttosto famoso anche
perché ha un fisico massiccio, alto e biondo e con portamento da gentiluomo va
in giro avvolto in un doppiopetto di vistosa eleganza [5].
Ha sempre una sigaretta tra le labbra e una catenella che gli attraversa il panciotto per infilarsi in un taschino nel quale è nascosto un ciondolo a forma di pitale. Il tutto, assieme all’inseparabile monocolo, gli dà decisamente un’aria d’altri tempi.
Ha sempre una sigaretta tra le labbra e una catenella che gli attraversa il panciotto per infilarsi in un taschino nel quale è nascosto un ciondolo a forma di pitale. Il tutto, assieme all’inseparabile monocolo, gli dà decisamente un’aria d’altri tempi.
E’ un napoletano verace e stravagante,
amabile e irruente, divertente e sopra le righe, anticonformista, pirotecnico e
contestatore. Ama circondarsi di amuleti, sfoggia un portachiavi che ha un fallo
d’oro, munito di ali, che getta con noncuranza sotto il naso delle signore
della Roma bene; come a dire:
“a buon intenditore, poche parole”.
Si racconta che gli venne presentato un
giovanissimo Giovanni Spadolini già noto per la sua immensa erudizione.
Spadolini gli snocciola un buon quarto d’ora di sapienza storica. Giannini gli
tocca la guancia paffuta e gli dice:
«Ne’ giuvinò! Chiavamm’!»
Un invito esplicito ad occuparsi meno dei
fatti della storia e più della carne, come fa lui che ama le belle donne, la
bella vita, la buona cucina.
Nonostante sia in possesso della sola “Licenza
Elementare” è un uomo amabile e geniale; scrive benissimo e parla quattro
lingue; suona il piano, il mandolino e la chitarra [6].
Del suo essere partenopeo così riferisce:
«Essere napoletano dà un senso di sventura;
io che non posso dimenticare di esserlo ogni tanto mi umilio e mi faccio
piccino. Poi, come accade in questi speciali momenti, mi credo di nuovo
superiore a tutti e proclamo che solo la mia terra partorisce gente degna. Tutto
il resto dell’umanità mi appare allora composta di stomachevoli burattini; noi
almeno abbiamo il pernacchio.»
Col passare degli anni viene fuori la sua
estrosa personalità e tutto il suo talento; con lo pseudonimo di “Zorro” è
autore di moltissime canzoni di successo che sono diventate dei classici ed è l’autore
della “Canzone dei Sommergibili” che ancora oggi è l’inno ufficiale dei
sommergibilisti italiani [7].
E’ attratto dalla nascente arte
cinematografica per la quale si definisce uno esperimentatore e da solo
costruisce una moviola che poi durante la guerra sarà costretto a vendere per
acquistare alimenti alla borsa nera. Per il cinema scrive decine di soggetti ed
è apprezzato regista di molti film, in alcuni dei quali recita la figlia Yvonne
[8].
Ma Giannini è attratto soprattutto dal teatro
che lo riporta agli anni della sua giovinezza, ai personaggi della strada.
Le sue commedie, in totale ne scriverà 54
spesso rappresentate da proprie compagnie teatrali e da attori famosissimi, gli
procurano, negli anni trenta, un certo successo e benessere.
Queste, appartenenti al genere giallo-comico
e rosa, sono attaccate dalla critica fascista perché non esprimono il "tipico
teatro del tempo". In effetti titoli come “La bambola parlante” (1932), “Mimosa”
(1934), “La casa stregata” (1934), “Mani in alto” (1935), “Supergiallo” (1936),
“Maschio e femmina” (1937), “Eva in vetrina” (1939) esprimono, per i seguaci
del regime, soltanto il "tipico teatro borghese, il tipico teatro da
cucina”.
Come molti italiani, Giannini accetta
passivamente, anche se benevolmente, il fascismo durante il quale la sua vita è
caratterizzata da un sostanziale disimpegno politico; "fu una vita (ricorda
sempre nel 1946) che mi piaceva trascorrere giocondamente, poco curandomi delle
sciocchezze che udivo o leggevo”.
Ammise poi di aver scritto due commedie
fasciste, “L'angelo nero” (1935) e “Il miliardo” (1942), e qualche articolo,
come “Il granello di pepe”, contro il monopolio inglese di tale spezia, apparso
sul “Corriere di Napoli” il 21 luglio 1940. Nel procedimento d'epurazione
avviato contro di lui nel 1945, inoltre, viene fuori una sua lettera del 10 agosto
1940 al ministro Pavolini nella quale paragona il fascismo a un nuovo
rinascimento e Mussolini a Lorenzo il Magnifico.
Comunque i compromessi col fascismo non vanno
oltre questi episodi; non costituiscono certo gravi colpe l'aver ottenuto dal
ministero della Cultura Popolare, come altri autori, contributi per le proprie
compagnie teatrali, né l'iscrizione al Partito Nazionale Fascista nel 1941,
indispensabile, evidentemente, per poter proseguire in tranquillità l'attività
professionale.
Ma la seconda guerra mondiale muta
radicalmente l’atteggiamento del commediografo puteolano che è profondamento
segnato dalla perdita dell'unico figlio maschio, Mario morto in un incidente
aereo mentre si trova sotto le armi. Così Giannini lo ricorda:
"Una
meravigliosa creatura d'amore, che cessò di vivere all'età di ventuno anni,
undici mesi, ventisette giorni, nel pieno della salute e della bellezza, il 24
aprile 1942. Una versione ufficiale dice che egli cadde nell'adempimento del
proprio dovere verso la patria, ma in realtà fu assassinato insieme a milioni
di altri innocenti esseri umani da alcuni pazzi criminali che scatenarono la guerra".
Giunge il 25 luglio 1943 e Giannini, con 25
anni di più e lo strazio dei suoi lutti nel cuore (nel 1943 perde anche il
Padre morto quasi di stenti per una polmonite buscata in un rifugio durante gli
allarmi aerei) matura avversione per il fascismo e un impellente desiderio di
impegno politico.
Si rende conto che con quella sua assenza
dalla politica, durata un quarto di secolo, ha contribuito a rovinare la sua
Patria, poiché solo a causa dell'assenza sua e d'altri milioni d'italiani che,
come lui, hanno egoisticamente badato solo ai propri affari, Mussolini è
divenuto padrone d'Italia.
Diventa urgente, nell'animo semplice del Giannini,
tentare di realizzare una grande riforma del potere, capace di impedire
l'eterno susseguirsi, nella storia, di guerre, lutti e distruzioni.
Propone, come soluzione all'eterno dramma
dell'umanità, il passaggio dallo "Stato etico" allo "Stato
amministrativo", che significa il trasferimento dell'effettivo governo dai
politici alla burocrazia, composta "di persone che sanno governare,
illuminandoci le strade di notte, provvedendo a che le fognature funzionino, e
che le derrate arrivino sui mercati e a tutti gli altri bisogni pubblici".
Giannini decide di riparare al suo errore e
d'entrare in un partito politico; tenta di farsi accogliere, con le sue idee
rivoluzionarie in qualcuno dei ricostituiti partiti, ma è respinto da tutti.
Vani risultano anche i suoi contatti per entrare nella redazione di un
giornale; così decide di presentare alle occupanti autorità alleate domanda per
poterne stampare uno proprio.
Nel 1944 fonda a Roma il settimanale “L'Uomo
Qualunque” [9], dal quale prenderà il nome il movimento d'opinione detto appunto
“Qualunquismo”.
Il successo del nuovo settimanale, 80.000
copie vendute in due giorni, è accresciuto dal procedimento d'epurazione
conclusosi il 16 maggio 1945 con una sentenza che si limita a infliggergli,
quale giornalista, la "sospensione di un mese, col significato di censura
solenne".
L'episodio conferma l'inconsistenza dei
trascorsi fascisti di Giannini che abilmente lo sfrutta per porsi come simbolo
degli italiani "oppressi" dalle ingiustizie dell'epurazione, dal
comportamento dittatoriale dei Comitati di Liberazione e dai presunti progetti
rivoluzionari delle sinistre.
Nell’autunno del 1945 la diffusione di “L'Uomo
qualunque” tocca le 850.000 copie e Giannini, nella sua martellante polemica,
fa sfoggio di tutto il suo stile che oscilla tra ironia, sberleffi e insulti
volgari. Al fondo delle sue ingiuste generalizzazioni esiste una verità di cui
sono consapevoli anche gli esponenti dei partiti antifascisti; l’epurazione,
lungi dal punire i veri responsabili e complici della dittatura, sta colpendo
soltanto i "pesci piccoli", in una generale situazione di
trasformismo che vede il pieno reinserimento della classe dirigente del periodo
fascista nella nuova realtà politica.
In giro si dice: «Solo da noi i fascisti
diventano antifascisti» e celebre diventa la sigla “UPP” (Uomini Politici di
Professione), coniata dallo stesso Giannini.
Nel luglio 1945 pubblica anche il volume
"La folla" [10],
dedicato al figlio Mario e, in fondo, anche al padre; il libro parla delle dittature, della storia, delle guerre, dei governi, dei partiti, dei popoli. In questo trattato esprime le sue idee e "Capi" e "Folla" sono, in questo testo, gli elementi antagonisti della storia dell'umanità. I primi si identificano negli "uomini politici professionali" in eterna lotta tra di loro per la conquista dei vantaggi personali conferiti dal potere; la “folla” è invece costituita dai "galantuomini", cioè dalla gente di "buon senso, buon cuore e buona fede, onesta laboriosa e pacifica che forma l'enorme maggioranza della popolazione in tutti i paesi del mondo".
dedicato al figlio Mario e, in fondo, anche al padre; il libro parla delle dittature, della storia, delle guerre, dei governi, dei partiti, dei popoli. In questo trattato esprime le sue idee e "Capi" e "Folla" sono, in questo testo, gli elementi antagonisti della storia dell'umanità. I primi si identificano negli "uomini politici professionali" in eterna lotta tra di loro per la conquista dei vantaggi personali conferiti dal potere; la “folla” è invece costituita dai "galantuomini", cioè dalla gente di "buon senso, buon cuore e buona fede, onesta laboriosa e pacifica che forma l'enorme maggioranza della popolazione in tutti i paesi del mondo".
In fondo sono le stesse affermazioni di Totò
nel film “Siamo uomini o caporali?”, quando parla degli “uomini qualunque” che
nella loro semplicità si contrappongono agli odiosi caporali avendo
puntualmente la peggio.
In questo periodo Parri è il leader della
coalizione alla guida del Paese e grande è, specie nel Meridione che non ha
vissuto la stagione della Resistenza, la diffidenza nei confronti di questo
governo che si è presentato dopo la Liberazione come espressione del
"vento del nord" e che Giannini ribattezza "rutto del nord".
Nel dicembre 1945 questo governo è costretto alle dimissioni, per iniziativa
del Partito liberale italiano, e questa caduta è considerata conseguenza dell’enorme
successo scaturito delle battaglie di dura opposizione a mezzo stampa del
Giannini che convince i liberali a rendersi anch'essi interpreti del malumore
dei moderati.
Impressionato dall'impetuosa crescita dei
consensi attorno alla sua azione giornalistica, Giannini scrive con enfasi di
non poter rimanere insensibile di fronte al "grido di dolore" che si
leva verso di lui da ogni parte d'Italia.
Pertanto intensifica gli sforzi per
convincere il partito liberale ad accettare la confluenza in esso del suo
movimento d'opinione. Il secco rifiuto dei dirigenti liberali e dello stesso
Benedetto Croce induce Giannini a scendere in prima persona nell'agone
politico, con la pubblicazione, nel novembre 1945, del programma politico dell'uomoqualunque.
Cerca finanziatori per il suo progetto e li
trova nei Fratelli Scalera, industriali del cinema proprietari di una
importante villa a Bacoli, con cui ha già lavorato e che accettano di servire
da prestanome. Nasce così il “Fronte dell'Uomo Qualunque” e a Roma, nel
febbraio 1946, si celebra il suo primo congresso nazionale [11].
Il Movimento partecipa, seppure non in tutte
le circoscrizioni, alle elezioni per l'Assemblea Costituente del 2 giugno 1946
che, come è noto, si svolgono in simultanea con il quesito referendario sulla
scelta istituzionale, tra Monarchia o Repubblica.
Giannini, nel corso dell’animata campagna
elettorale, percorre l’intera Italia e tiene un comizio [12] anche nella piazza
principale di Pozzuoli dove tra gli oltre duemila ascoltatori ci sono studenti
repubblicani che fischiano, comunisti che gridano, socialisti che protestano.
Insomma, come già successo in altre “piazze
calde” tentano di boicottarlo e di non farlo parlare; ma quando la gazzarra si
fa alta Guglielmo grida:
«Ma come, mi fanno parlare dovunque… Vengo in
piazza per parlare ai miei concittadini e questi mi prendono a fischi.»
C’è un momento di smarrimento tra la gente
che poi si accalca curiosa.
«Vi meravigliate? Sono puteolano come voi e
vi chiedo di ascoltarmi!»
Giannini ottiene un significativo successo
nelle elezioni rivelandosi, con oltre 1.200.000 voti, il 5,3% di percentuale e
30 seggi, il quinto partito a livello nazionale.
La sua affermazione è
destinata a rivelarsi ancora più strepitosa nei mesi successivi quando Alcide
De Gasperi, con la sua Democrazia Cristiana, conferma la sua strategia politica
varando un governo fondato essenzialmente sulla collaborazione con comunisti e
socialisti. Questa scelta diventa l'obiettivo polemico centrale
dell'opposizione qualunquista; Giannini presenta il suo partito come il
"vero" partito dei cattolici in contrapposizione alla DC accusata, in
quanto alleata dei comunisti, di tradimento della religione e di
"bolscevismo nero"; in un suo discorso proclama:
"C'è un partito
che dovrebbe essere un partito di ordine e che invece è il partito del
disordine e dell'equivoco, il quale ha monopolizzato quella che è la
Cattolicità; questo partito non ha fatto altro che compromessi, trattative, mancando
all’obbligo contratto con otto milioni di italiani.”
Questa politica porta
ad ulteriori forti consensi e i risultati delle elezioni amministrative del
novembre 1946 rivoluzionano il quadro politico italiano. Il Fronte dell'Uomo
Qualunque si rivela, a Roma e nell'Italia meridionale, il partito più votato, e
la maggior parte del suo incremento elettorale avviene ai danni della D.C. che
esce da queste elezioni letteralmente sconfitta.
Lo strepitoso
successo qualunquista assume l'evidente significato di una protesta di massa
della piccola e media borghesia moderata contro la continuazione della
collaborazione con comunisti e socialisti perseguita dal governo De Gasperi.
Ma nel 1947 il
partito "qualunquista" assume un atteggiamento più conciliante verso la
DC che, dopo ampia riflessione critica, ha estromesso i comunisti dalla
compagine governativa; questo rappresenta l’inizio della fine del successo
popolare del Fronte che poi subisce un netto ridimensionamento con le politiche
del 1948. Il clima di estrema contrapposizione ideologica fa rifluire da destra
verso la DC le masse dei ceti medi moderati, convinte che il partito di De
Gasperi rappresenti l'unica diga sicura contro il comunismo.
Giannini definisce “false e bugiarde" le
ideologie che si affrontano e semplici "fesserie la sinistra e la destra,
il fascismo, l'antifascismo, il comunismo, l'anticomunismo" [13].
L'Italia, a suo avviso, non dovrebbe aderire a nessuno dei due blocchi, ma impegnarsi nella costruzione degli Stati Uniti d'Europa, i quali dovrebbero dire all'Oriente e all'Occidente: “fate i vostri affari all'infuori di noi e tenetevi lontani dai nostri territori e dai nostri interessi".
Interessante un suo discorso, con cui lancia
segnali in codice che non lasciano insensibile Togliatti, che fornisce un
saggio della sua arte oratoria:
"Se il comunismo è elevazione degli
umili, abolizione della povertà, benessere per tutti, Cristo era comunista, San
Francesco era comunista, io sono comunista. Disgraziatamente il partito
comunista italiano si rivela sempre più come movimento nazionalista straniero.
Trovi modo di liberarsi dalle catene che lo
avvincono a mentalità e poteri che sono fuori dai confini d'Italia e troverà in
noi dei fratelli che lo aiuteranno a compiere la sua nobile missione sociale
".
Ufficialmente si crede che la mancanza di
ideologia e l’inesperienza abbiano contribuito al fallimento dell’avventura
politica del movimento che inizia così la sua parabola discendente. Prima delle
elezioni politiche del 1953, abbandonato dalla maggior parte dei suoi collaboratori,
Giannini scoglie il partito da lui stesso fondato.
Ma Achille Lauro, nelle pagine della sua
autobiografia, ci svela i retroscena di quella che lui stesso definisce una
“sporca operazione”.
Il segretario della DC Piccioni, con la
benedizione di Costa, si reca da Lauro e lo prega di intercedere da
concittadino con Giannini; “Bisogna fermarlo” gli dice, e questa è la grande
occasione del Comandante.
Lauro si reca a casa del battagliero
giornalista-politico, degente a letto per una fistola anale che gli produce
dolori intensissimi tali da renderlo irrequieto. Giannini è poco incline al
dialogo e non fa che ripetere in maniera ossessiva:
"Debbo dare un colpo in testa alla
Democrazia Cristiana e lo darò!"
Non c'è spazio per alcuna trattativa, non
resta che convincere singolarmente i deputati del partito a tradire. A tale
scopo Lauro li convoca tutti ad una riunione segreta in una sala dell'Albergo
Moderno di Roma e lì, con lusinghe mielose e velate minacce, riesce a
convincerli in massa, assicurando loro la rielezione alle prossime
consultazioni in un nuovo partito, che egli s'impegna solennemente a fondare e
a finanziare.
Il 5 ottobre 1947 la mozione di sfiducia al governo
De Gasperi è respinta con 270 voti contro 236, grazie unicamente ai 33 voti dei
qualunquisti. E' il trionfo di Lauro e il tracollo di Giannini, che infuriato è
messo in disparte a tacere.
I suoi giornali cessano le pubblicazioni dopo
pochi giorni, perché vengono tagliati i fondi e, inquietante, cala il silenzio.
Lauro eredita il suo elettorato, quasi tutto
meridionale, e sposta a destra anche notevoli frange di sottoproletariato, che sono
così sottratte alle ammalianti sirene della sinistra. Una massa di voti per
appoggiare il governo a Roma in cambio del “Nulla Osta” nell'amministrazione
della città di Napoli.
Giannini, il nemico dei partiti che ha fondato un
partito, il nemico degli uomini politici di professione che finisce soffocato
dai politici di professione, assiste incredulo alla veloce fuga di questi
professionisti che con altrettanta velocità erano saliti sul suo carro vittorioso.
Nel frattempo Giannini è tornato al suo
grande amore, il Teatro, per il quale scrive ancora “Il sole a scacchi” (1950),
“Il pretore De Minimis” (1951), “L’abito nero” (1951), “L’attesa dell’Angelo”
(1952).
Comunque non rinunzia
all'idea di un personale rilancio politico; nelle elezioni politiche del giugno
1953, rifiutato l'invito di Togliatti a candidarsi con il PCI, si presenta come
indipendente nelle liste della DC e nelle successive, del maggio 1958, in
quelle del Partito Nazionale Monarchico; in entrambe le occasioni, anche se
eletto per un ricorso, subisce una cocente delusione.
Egli è tra i primi a intuire le potenzialità
dell'immagine; memorabile la sua performance canora al "Musichiere",
con il conduttore Mario Riva entusiasta che un politico, per la prima volta,
mostri il suo lato ironico [14].
Giannini muore a Roma il 10 ottobre 1960 e sarà
ricordato, più che per le sue indubbie doti artistiche ed oratorie, per il
termine “qualunquismo” che nel tempo ha acquisito una valenza dispregiativa.
Da aggiungere che nipote prediletta di Guglielmo è la
nota valletta e showgirl Sabina
Ciuffini, nata dalla figlia Yvonne, lanciata
da Mike Buongiorno nel programma televisivo “Rischiatutto” [15].
Indubbiamente Giannini ha sofferto di ingenuità e di dilettantismo,
ma di sicuro ha avuto qualche giusta intuizione.
Come suoi concittadini possiamo ben dire che nella sua
vita è stato di tutto, tranne che un uomo qualunque.
BIBLIOGRAFIA
Piero Melograni – L’Uomo
Qualunque non ama la folla – 2002
Gianni Race – Pozzuoli – 1984
Sandro Setta – Guglielmo Giannini - Dizionario
Biografico degli Italiani
Piero
Vassallo - L’Uomo Qualunque, Geniale movimento in un vicolo cieco.
Generoso Picone – I napoletani
– Ed. Laterza
Simona Capodanno – Guglielmo
Giannini – Radio 24Giuseppe Peluso
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