Ezechiele Guardascione
Ombre e crepuscoli di un paesaggista flegreo
Insieme a Pasquale Manduca, Vincenzo Ciardo,
Giovanni Brancaccio, Leon Giuseppe Buono ed al più giovane Salvatore Volpe, Ezechiele
Guardascione appartiene alla Scuola
Puteolana di Pittura conosciuta come Gruppo
Flegreo.
Ezechiele nasce a Pozzuoli il 2 settembre 1875 da Vincenzo, proprietario terriero, e da Rosa; la sua giovanile formazione di pittore si svolge all'Istituto di Belle Arti di Napoli, all'epoca in cui ancora vi insegna Domenico Morelli. In questa scuola è accolto, su segnalazione del commendatore Alfonso Simonetti, da Filippo Palizzi che lo accetta senza esitazioni al suo corso di pittura. Tale insegnamento lo conduce a preferire il tema del paesaggio ed in particolare le marine del porto di Napoli e Pozzuoli nelle ore misteriose e silenti. Diventa un impressionista d’ingegno vivace e versatile e lavora con la stessa disinvoltura a tempera ed a olio.
Ezechiele nasce a Pozzuoli il 2 settembre 1875 da Vincenzo, proprietario terriero, e da Rosa; la sua giovanile formazione di pittore si svolge all'Istituto di Belle Arti di Napoli, all'epoca in cui ancora vi insegna Domenico Morelli. In questa scuola è accolto, su segnalazione del commendatore Alfonso Simonetti, da Filippo Palizzi che lo accetta senza esitazioni al suo corso di pittura. Tale insegnamento lo conduce a preferire il tema del paesaggio ed in particolare le marine del porto di Napoli e Pozzuoli nelle ore misteriose e silenti. Diventa un impressionista d’ingegno vivace e versatile e lavora con la stessa disinvoltura a tempera ed a olio.
Vive a Pozzuoli fino alla fine dell’ottocento
partecipando alla vita culturale della città intrecciando fertili rapporti con
colleghi artisti e letterati, ospiti della sua casa che svolge funzione di
cenacolo culturale. Nel 1892 è tra gli autori del giornale “Don Checco” diretto
da Raimondo Annecchino. Ezechiele è responsabile della cronaca e vi
pubblica le gustose “macchiette
puteolane” che ritraggono tipiche figure popolari. Risale al 1898 la sua partecipazione
all'Esposizione Nazionale di Torino con
il dipinto “Nel pantano” raffigurante una veduta della tenuta reale di Licola, attualmente
a Napoli nel Palazzo della Provincia, che ottiene il primo premio.
Agli inizi del Novecento sposa Giovanna
Scattoni, di nobili origini, dalla quale ha due figli, Vincenzo e Francesco. A
partire da questo periodo Guardascione alterna l'attività di pittore a quella
di critico, insegnante e promotore della cultura artistica napoletana; dedicandosi
con sempre maggior impegno a questi campi e riducendo la partecipazione alle
esposizioni.
Nel 1910 inizia ad operare da uno studio galleggiante;
una chiatta messa a sua disposizione da un industriale del carbone, il
commendatore Roberto De Sanna. Costui,
che per un certo tempo è stato anche impresario del teatro San Carlo nonché
amico ed ispiratore di Eduardo Scarfoglio, è il padre della signorina Maria De
Sanna che nel 1918 acquista dalle sorelle Ferraro, Maria e Immacolata, il Casino Ferraro sito in località la Starza
a Pozzuoli. Guardascione racconta che
quando Roberto De Sanna vede alcune sue
macchie di Napoli gli domanda se per caso conosce il lato del porto dove attraccano
i grandi vapori del carbone. “Andate mi disse, telefonerò al capo guardiano
che si mette a vostra disposizione. Così ebbi una vecchia zattera sulla quale
era stata costruita una specie di baracca che venne imbiancata al mio arrivo”.
Le marine e le scene di porto sono i temi
preferiti di quegli anni; le opere dipinte costituiscono un’interpretazione
visionaria della vita portuale di una grande città, che Guardascione rende
attraverso un colore fuligginoso, mentre le forme si impastano in un’atmosfera
grigia, in cui emergono, come fantasmi, sartiame, gru, fumaioli, in un intrigo
fitto di segni neri che danno un senso dinamico ed inquieto.
Nel 1911 espone la sua opera “Il Porto” alla XXXIV Promotrice Salvator Rosa che è
premiata dal Regio Istituto di Incoraggiamento
e acquistata dal suo presidente Achille Minozzi. Il dipinto, impostato secondo
un taglio orizzontale che suggerisce quiete e attesa, presenta barche e zattere
alla banchina nell'ora serale. Dello stesso periodo e di affine sensibilità è “Sera”,
custodito dalla Galleria Nazionale d'Arte
Moderna di Roma, in cui delle baracche di pescatori sono avvolte dalle
ombre crepuscolari.
Negli anni immediatamente precedenti e
successivi alla prima guerra mondiale partecipa sporadicamente a esposizioni
collettive di interesse nazionale, nel 1921 espone quattro dipinti alla prima
ed unica edizione della Biennale Nazionale
di Napoli. Al 1924 risale la sua prima
partecipazione alla XIV Biennale di
Venezia, dove presenta il dipinto intitolato “Sera a Pozzuoli”, oggi nella Galleria Nazionale d'Arte Moderna.
Ma ora gli interessi dell'artista si
rivolgono prevalentemente alla critica; conosce Benedetto Croce e Salvatore Di
Giacomo, che gli accordano la loro protezione e amicizia; nel 1924 pubblica,
per Laterza di Bari, il volume “Gioacchino Toma - Il colore in pittura”. Il
saggio, che riscuote un certo successo editoriale e l'apprezzamento di storici
e critici d'arte, tende a rivalutare la figura del pittore ottocentesco. Il Guardascione
volge in senso positivo le critiche che nei decenni precedenti hanno decretato
un declino critico della figura di Toma e tra queste, in primo luogo, quella
relativa alla sua sobrietà cromatica, che ne fa un pittore atipico e contestato
dell'ottocento napoletano. Ezechiele individua nel frequente ricorso ai toni di
grigio da parte di Toma non già una lacuna nell'uso del colore, quanto
piuttosto l'efficace espressione di ambientazioni intime e di stati d'animo
sommessi.
Tra coloro che si interessano al saggio di Guardascione
spicca Ugo Ojetti, con il quale intrattiene, a partire da questa data, una
lunga corrispondenza. Il carteggio inedito (Roma, Galleria nazionale d'arte
moderna, Archivio storico, Fondo Ojetti) evidenzia la profonda ammirazione di Guardascione
per il celebre critico e la costante ricerca della sua approvazione.
Nel 1927 Guardascione redige per l'Enciclopedia
Italiana, su commissione di Ojetti, la voce biografica sul pittore Costanzo
Angelini; nell'anno successivo, traendo spunto da una riflessione sugli scritti
di Ojetti e dagli scambi epistolari con quest'ultimo, Ezechiele pubblica un
articolo fortemente critico sull'opera di Vincenzo Gemito.
Il breve saggio, apparso sul secondo numero
della Rivista di Cultura, suscita
nell'ambiente artistico napoletano delle vivaci proteste, culminate nella
richiesta, da parte della Federazione
Provinciale dell'Artigianato, di estromettere Guardascione dalla Biennale di Venezia, dove è stato
selezionato quell'anno con un quadro intitolato “Castello e barche”. Nello
studio su Gemito Guardascione intende ridimensionare la figura dell'artista nel
momento della sua massima celebrità, pur riconoscendone la felicità degli esiti
nei ritratti di popolane e in talune sculture; in particolare Guardascione, uomo
antiretorico e spregiatore dell'ipocrisia in arte, ritiene sopravvalutate le
doti di Gemito quale disegnatore, così come le famose superfici materiche delle
sue sculture. A una lettura odierna il saggio pressoché dimenticato del Guardascione
appare frutto di un punto di vista originale e coraggioso per il tempo in cui vede
la luce, oltreché godibile sotto il profilo letterario per il lessico ricco e
avvincente. L'eco del contenuto dell'articolo deve essere stato grande se in
una lettera a Ojetti del 12 aprile 1928 Guardascione afferma essere andato a
Roma da Cipriano Efisio Oppo, direttore della Quadriennale di Roma, e da Margherita Sarfatti per trovare
protezione dopo le polemiche sorte dalla pubblicazione del saggio. La
partecipazione alla Biennale del 1928, oltre a essere coronata dalla vendita
del dipinto esposto, acquistato da Attilio Piscitelli così come attestato dalla
lettera che Guardascione scrive a Ojetti ringraziandolo per le belle parole di
recensione, vede il pittore impegnato al fianco di Ojetti nella selezione dei
dipinti napoletani del XIX secolo, per la mostra sulla pittura ottocentesca
italiana che vi si tiene.
Particolare e degna di nota, negli anni venti
e trenta, la sua attività di scenografo e decoratore di saloni secondo un gusto
neobarocco.
A Napoli dipinge le sovrapporte del caffè Gambrinus con paesaggi e affresca con
scene capresi d'ispirazione settecentesca il vestibolo della Banca Commerciale Italiana nello storico
Palazzo Zevallos Stigliano. Sue
sarebbero le perdute decorazioni dell'Hotel
des Palmes di Palermo, delle Terme di Fiuggi e del Palace Hotel di Roma.
Nel contempo la sua produzione pittorica, in
cui i paesaggi del golfo di Napoli sono soggetto quasi esclusivo, sono ora presentati
con una tavolozza rischiarata e con inquadrature rese con una pennellata veloce
e liquida.
Tra i suoi allievi di questo periodo troviamo
il pittore Luigi Bellini (1912-1989), uno degli ultimi artisti della Scuola di
Posillipo.
Convinto fascista, nel corso degli anni trenta,
Guardascione riveste un importante ruolo culturale attivandosi per iniziative a
favore dell'Opera Nazionale fascista e scrivendo su riviste vicine al partito. Tra
il 1934 e il 1935 firma alcune pagine critiche di rilevante interesse storico, tra
cui un violento attacco all'arte novecentista colpevole di spacciare per
originalità istanze di stile e di contenuto già appartenute a precedenti
movimenti e già risolte storicamente. Queste appaiano nella rivista guidata da
Giovanni Preziosi, ”La vita italiana”, e tra esse ricordiamo “Quale sarà la pittura del Novecento?” del giugno 1934; “Il palazzo del littorio” del dicembre 1934; “La II quadriennale d'arte” del marzo 1935.
Guardascione
è uomo eclettico e incline al cambiamento. Si diletta di poesia e raccoglie
un'importante collezione di statuine settecentesche da presepe con la quale
allestisce presepi scenografici a scopo benefico per le opere assistenziali del
partito; a Milano nel 1930 e nel 1934 quindi presso i Mercati Traianei a Roma
(1931 e 1936) e ancora a Bari (1938), riscuotendo un grandissimo successo. Nel
1934 pubblica a Napoli un piccolo libro dal titolo “Il presepe” dal quale riprendiamo:
“La costruzione del presepe napoletano non
dipendeva sempre dalla volontà o dalla sensibilità dell’ artista. Molte volte
questa libertà veniva troncata, o mutata, perché interveniva spesso il
proprietario e i suoi capricci. Interveniva la moglie, intervenivano i figli e
si aggiungevano le più strane e buffe particolarità. Qualche volta il divino pargoletto
nasceva ai piedi del Vesuvio in eruzione e, sullo sfondo, attraverso gole di
montagne simili a masse di lava raffreddata, si scorgeva la linea del Vulcano,
dalla cui sommità, con un gioco di luce rossastra, scorreva la terribile e
prepotente lava. E così molte volte anche le stagioni erano capovolte. Dal dicembre
si passava con un gioco magico alla primavera; case con tetti ricoperti di
neve, accanto ad altre, sui cui ampi loggiati infiorati e ombreggiati da
pergole fiorite, al suono di nacchere a tamburelli, si ballava la tarantella.”
Ezechiele sfrutta queste manifestazioni di
richiamo per promuovere la sua pittura; nel 1936 espone alcuni paesaggi a
Milano, presentato da Elena Somarè, presso la Casa d'Artisti, mostra che gli vale
l'acquisto di due dipinti da parte del Museo
Civico d'Arte Moderna; nel 1938 vi è una sua personale anche a Bari.
Riporta Curzio Malaparte, in un ritratto del
Guardascione tratteggiato nel “Corriere della Sera”, che il pittore realizza un
grandissimo telone decorativo (m 20×20) per la Triennale d'Oltremare tenutasi a Napoli nel 1940,
dove raffigura "una prospettiva
marina, con navi, e moli, e torri, e monti a picco e nuvole", secondo
i temi a lui congeniali e con una tavolozza delicata di verdi e azzurri.
L'opera, perduta, è forse l'ultimo grande impegno pittorico di Guardascione,
che nel 1943 scrive per l'editore fiorentino Sansoni, con prefazione di Alfredo
Gargiulo, il volume “Napoli pittorica.
Ricordi d'arte e di vita”, in cui raccoglie memorie autobiografiche e alcuni
articoli, già apparsi in varie riviste, sull'ottocento pittorico napoletano; epoca
che egli ritiene di massima gloria artistica. Libro interessante, da leggere
tutto d’un fiato, con gustose note di vita puteolana. Amedeo Maiuri, nella
prefazione al suo saggio sulla “Cena di Trimalchione”, riferisce che le figure
della Cena, scritta da Petronio Arbitro, sono identiche ai personaggi
napoletani descritti nelle saporose e colorite pagine del libro di Ezechiele
Guardascione. Afferma che c’è molta affinità, nonostante i duemila anni
trascorsi, e che dopo tutto la graeca
urbs è Pozzuoli e non Napoli; continua con la constatazione che Ezechiele
del resto è, prima d’essere napoletano, puteolano.
Personaggio stravagante, benevolmente definito Ingordo Autodidatta da Gianni Race, Guardascione è una figura ancora da indagare; la causa principale del disinteresse storiografico e critico è da ricercare verosimilmente nella sua compromettente e piena adesione al fascismo.
Muore a Napoli il 23 novembre 1948 e questo
comune dedica alla sua memoria una piazzetta di Ponticelli, già detta di San
Rocco, situata sul retro dell’ospedale “Villa Betania”.
Bibliografia
Maura Picciau
– Ezechiele Guardascione - Dizionario Biografico degli Italiani
Gianni
Race – Pozzuoli, storia, tradizioni e immagini
Lucia
Lopriore – I duchi di Sangro, storia della famiglia
Gennaro
Chiocca – Collezione privata
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