martedì 15 aprile 2025

Cavalleggeri Aosta



RIONE CAVALLEGGERI AOSTA

Area di passaggio e di frontiera in cui si respira la storia dei Lancieri Aosta e delle Fabbriche Napoletane



Incastrato tra Bagnoli e Fuorigrotta troviamo il rione Cavalleggeri d’Aosta, un popoloso quartiere di Napoli come i vicini Pianura e Soccavo.

Geograficamente appartengono ai Campi Flegrei e storicamente sono da sempre integrati nella Diocesi di Pozzuoli.

Il Rione Cavalleggeri si sviluppa all’interno di un triangolo i cui vertici sono costituiti dalla Chiesa di S. Maria Solitaria in via Diocleziano, dalla chiesa dei Sacri Cuori di Gesù e Maria a piazza Neghelli e dalla chiesa di S. Ciro in via Carnaro.

 

Il fulcro del rione è nelle traverse e sullo stesso omonimo viale; ottocento metri di trafficato asfalto che attraversava un area di passaggio e di frontiera, tra zone industriali, quartieri operai e quartieri militari.

Nei primi anni trenta del novecento in vicinanza del Tiro a Segno di Campegna e della Piazza d’Armi di Coroglio, su di una superficie di oltre 115.000 mq, è realizzata  la caserma di cavalleria intitolata al Conte di Torino. Trattasi di Vittorio Emanuele di Savoia-Aosta, Conte di Torino per nomina dello zio re d’Italia Umberto I° e comandante della Cavalleria Italiana nella Prima Guerra Mondiale.

 


Con la riforma del Regio Esercito si sta provvedendo alla nuova dislocazione dei Corpi d’Armata e si ha intenzione d’aggregare un reggimento di cavalleria alla Divisione acquartierata a Napoli. L’antica caserma della cavallerizza a Chiaia è diroccata ed è impensabile ripristinarla in una zona ormai centrale, giusta quindi l’idea di realizzarla in aperta campagna non lontana dal nuovo passante ferroviario e dalla Piazza d’Armi.

La scelta del reggimento di cavalleria ricade sul glorioso “6° Lancieri d’Aosta”, fondato il 16 settembre dell’anno 1774 (250 anni questo settembre 2024), che si distingue in innumerevoli fatti d’arme dalle Guerre Napoleoniche, alle Campagne del Risorgimento, alla Grande Guerra.



Nel primo dopoguerra “Aosta” vive le vicende del “ripensamento” della Cavalleria, da molti già ritenuta anacronistica; pertanto il 20 maggio del 1920 perde la “lancia” come arma principale ed assume la denominazione di “6° Reggimenti Cavalleggeri di Aosta”.

Il primo ottobre del 1932 avviene il trasferimento da Ferrara alla nuova caserma di Napoli e contemporaneamente è battezzato con lo stesso nome del reggimento il nuovo viale che collega la caserma con l’antica via Regia, oggi via Diocleziano.

Poco più di un anno dopo, l’otto febbraio del 1934, il reggimento riassume la denominazione tradizionale di “Lancieri di Aosta”; riprende il fregio dei “lancieri” ma mantiene invariato l’armamento più moderno dei “cavalleggeri”. 

Ma il viale, appena battezzato, non muta il suo nome; resta come “Cavalleggeri Aosta” tramandando per sempre un titolo che nella realtà il reggimento di riferimento ha avuto solo per breve tempo.



Non solo, in breve tempo il suo toponimo si estende all’intero rione che va formandosi attorno ed in seguito anche ad una nuova stazione della metropolitana realizzata per meglio servire questo popoloso agglomerato.

 


Il reggimento dei Lancieri è formato da due gruppi (corrispondenti ai battaglioni delle fanterie) a loro volta composti da tre squadroni (corrispondenti alle compagnie delle fanterie) montate a cavallo più uno squadrone mitraglieri autocarrati.

Intanto la politica espansionista del fascismo porta ad incrementare la consistenza del reggimento e nel 1935 sono costituiti altri due gruppi di mitraglieri; ognuno su tre squadroni ed uno squadrone comando.

Non potendo essere ospitati nella caserma “Conte di Torino” il III Gruppo è costituito a Torre Annunziata ed il IV Gruppo a Baia. In quest’altra località flegrea i lancieri sono alloggiati nelle palazzine popolari rimaste vuote allorché le maestranze dei chiusi Cantieri Navali di Baia sono trasferite, unitamente alle Famiglie, presso i cantieri navali di Castellammare di Stabia.



Il 27 settembre 1935 i circa 500 lancieri del IV Gruppo di Baia, comandati dal maggiore Travaglianti, si imbarcano per Mogadiscio dove ricevono autocarri Ford e con questi conquistano Neghelli in Etiopia.

Gli squadroni rimpatrieranno nella tarda primavera del 1937 e saranno subito disciolti, ma il reggimento, seppure diviso in Gruppi, parteciperà all’occupazione dell’Albania e alle offensive in Grecia ed in Africa.

Ma la caserma, ancora con funzione deposito di reggimento, sarà minata ed in gran parte distrutta dai tedeschi nel settembre del 1943; i cavalli, scappati nei prati dei dintorni, forniranno un caldo e sostanzioso pasto a molti sfollati.

Il boom economico del dopoguerra favorisce il mercato edilizio che si mangia la zona rurale; sparisce il verde e, al costo d’un alto tasso d’inquinamento, si costruisce a ridosso della ILVA, della CEMENTIR e della ETERNIT.

La vivibilità è sacrificata in nome del lavoro che sfama migliaia di famiglie che ben presto formano una comunità locale peraltro integrata nelle tradizioni partenopee. Come non ricordare due “grandi” musicisti figli di questo rione; Beppe Vessicchio che vi nasce nel marzo del 1956 e Gigi D’Alessio qui nato nel febbraio del 1967.

La crisi economica della metà degli anni '80 decreta la chiusura delle industrie e lo sgretolamento del tessuto sociale prosperato all’ombra delle ciminiere.

Anche un pezzo della storica caserma è demolito per accogliere i container che ospitano parte dei terremotati del 1980. Il campo è sgombrato dopo una decina d’anni e al suo posto nasce un presidio dei carabinieri ma, purtroppo, la porzione di caserma ancora in piedi resta abbandonata.



 

GIUSEPPE PELUSO

Pubblicato su Segni dei Tempi di settembre 2024



 

sabato 12 aprile 2025

Teatro Sacchini

 


LA FABBRICA DEI SOGNI DI POZZUOLI

Il SACCHINI

Un Teatro tra Belle Epoque e Termalismo



L’area della villa comunale, dedicata al poliziotto medaglia d’oro Pierluigi Rotta, fino al 1885 è conosciuta come largo Malva [fig. 1].



E’ prevalentemente utilizzata da pescatori per alare barche e stendere reti; inoltre ospita un antico cantiere navale che realizza lance e gozzi, l’attuale via Cesare Battisti è conosciuta come via Cantiere [fig. 2]



Nello stesso anno la zona è ceduta in uso al nascente Stabilimento Armstrong che qui ammassa i macchinari, provenienti dalla casa madre inglese, sbarcati nel porto puteolano.

Il largo Malva, sgomberato da questo materiale, nel 1887 è risistemato a villa comunale dedicata al musicista Antonio Maria Gaspare Sacchini, erroneamente ritenuto nativo di Pozzuoli [fig. 3].



Negli ultimi anni dell’ottocento sulla parte settentrionale dell’area [fig. 4] 



il Municipio fa progettare e costruire, da Gaetano Volpe, un teatro che, completato nel 1906, è anch’esso dedicato al compositore Antonio M. G. Sacchini.


Questo teatro è un’opera architettonica di grande pregio artistico; nella sua forma ovale, con platea e palchi ai piani superiori, ricalca la disposizione dei classici teatri italiani [fig. 5].



Il Sacchini, unico teatro di Pozzuoli e dintorni, per lunghi anni ospita prestigiose compagnie teatrali, opere liriche e concerti.

Sono gli anni della Belle Epoque, del Liberty e del Termalismo Flegreo che registra i favori di una Clientela colta e benestante; gli ospiti degli stabilimenti termali e balneari amano trascorrere piacevoli serate tra passeggiate, concerti, caffè e teatri.

Sono talmente tante le rappresentazioni che, per evitare reciproco disturbo, si ritiene opportuno trasferire l’adiacente Cassa Armonica, in cui si esibisce la locale Banda Musicale, nella centrale piazza oggi detta della Repubblica [fig. 6].



Il Teatro Sacchini  ospita compagnie famose come la De Riso e nello stesso tempo compagnie locali come quella diretta dal regista, attore e musicista Procolo Matarese [fig. 7].



Il 7 giugno del 1914 il Conservatorio San Pietro a Maiella di Napoli partecipa alle celebrazioni del restauro della tomba di Pergolesi e per l’occasione la sua orchestra esegue nella cattedrale di Pozzuoli lo “Stabat Mater” con la soprano Ines Maria Ferraris. In serata, al Teatro Sacchini, Salvatore Di Giacomo tiene un discorso commemorativo seguito da una impareggiabile esecuzione della “Serva padrona”, accolta da applausi interminabili; solisti ancora la soprano Ines Maria Ferraris, la mezzosoprano Argia Casano e il baritono Giuseppe Kaschmann.

Nel maggio del 1917, in piena Grande Guerra, le cronache riportano la presenza, al teatro Sacchini di Pozzuoli, di Antonio de Curtis, il principe della risata.

Preziosa è la notizia che nel 1920 in questo teatro è eseguita la ‘prima assoluta’ del più bel canto degli emigranti mai scritto. Si tratta della canzone “Santa Lucia Luntana” di E.A. Mario cantata al Sacchini da Fulvia Musette, una bellissima e apprezzata cantante dei primi del ’900 [fig. 8].



Con l’avvento del regima fascista al teatro è addossato un nuovo edificio, realizzato dall’ingegnere Nicola Ercieri, che ne ripropone le linee architettoniche; si tratta della “Casa del Fascio” e dell’alta “Torre Littorio” [fig. 9].



Negli anni del ‘consenso’  il teatro Sacchini è sempre più utilizzato per riunioni e adunate del Regime tanto che per talune manifestazioni in alto all’edificio compare la scritta “Teatro Littorio” [fig. 10].



Nello stesso periodo sulla balconata del piano superiore sono sistemati degli altoparlanti da cui, il sabato pomeriggio, gli scolari possono ascoltare le trasmissioni di “Radio Rurale” che ha propositi educativi oltre che propagandistici. La domenica mattina sono i contadini che qui si riuniscono perché va in onda “L’Ora dell’Agricoltore” [fig. 11].



Dagli stessi altoparlanti i puteolani apprendono, direttamente dalla voce del Duce, grandi e tragiche notizie come la conquista dell’Impero e la dichiarazione di guerra [fig.12].



Il Teatro si adegua ben presto alla proiezione cinematografica che, già dal periodo bellico, diventa attività principale; la stessa Sofia Loren nelle sue memorie e interviste lo nomina spesso per avervi visionato memorabili pellicole e indimenticabili attori [fig. 13].



Il Cinema Teatro Sacchini, come il “Nuovo Cinema Paradiso” di Tornatore, resiste alle nuove mode perché suoi diretti concorrenti sono il “Cine Teatro Lopez” e due Arene con sala scoperta; pertanto, specialmente nei mesi freddi, continua ad essere frequentato da un pubblico affezionato [fig. 14].



In seguito, con l’apertura delle più Moderne sale cinematografiche “Mediterraneo” e “Serapide”, gli incassi diminuiscono e si è costretti a proiettare film scadenti e diversificare le offerte ospitando convegni politici e riunioni di pugilato [fig. 15].



Nel corso degli anni cinquanta la confinante ex “Casa del Fascio”, che dall’immediato dopoguerra è stata trasformata nella Scuola Elementare Giovanni Bovio, nonostante varie manifestazioni popolari è da Demanio destinata ad ospitare il Commissariato di Polizia di Pozzuoli [fig. 16].



All’inizio degli anni sessanta per i gestori del Cinema Teatro Sacchini diventa favorevole la proposta di cedere anche questo fabbricato al confinante Commissariato di Polizia”. Della struttura resta la sola facciata, il suo interno è completamente sventrato e adibito a garage, proprio come succede al “Nuovo Cinema Paradiso” che nel film diventa parcheggio [fig. 17].



Ingloriosa fine per quello che fu la “fabbrica dei sogni” puteolana.



GIUSEPPE PELUSO

Pubblicato su "Segni dei Tempi" di febbraio 2025


martedì 8 aprile 2025

Santa Marta

 


Ospedale, Ospizio e Chiesa di Santa Marta

 


Risale al 1572 la costruzione di Santa Marta, con annesso ospizio e nuovo ospedale, realizzata al quadrivio dell’Annunziata in sostituzione dell’omonimo complesso distrutto a Tripergole dalla eruzione del 1538.

 

La chiesa è a pianta rettangolare ad unica navata con tre piccole cappelle laterali che sono ad archi, sorretti da pilastri, e sormontate da altrettanti finestroni su ogni lato.

La zona dell’altare maggiore, preceduta da un arco trionfale, termina in alto con un’alta cupola ornata da finestroni.

L’ingresso, rivolto verso l’attuale corso Terracciano, è abbellito da un portale in piperno, sormontato da una lunetta; nella facciata si apre un piccolo rosone e tra questo e il sottostante portale si ammirava lo stemma di Santo Spirito in Saxia a Roma, patrono di questo Oratorio come del primitivo distrutto a Tripergole.



Più che una Chiesa è infatti un Oratorio riservato agli ospiti dell’Ospedale e dell’Ospizio. Non possiede arredi sacri, solo in due cappelle laterali ci sono figure rappresentanti Santa Marta e Santa Maddalena, e le messe sono officiate dai frati del vicino convento di San Francesco.

Il sagrato della chiesa è tuttora collegato col corso Terracciano con rampe di scale ricavate in una rientranza del muro di contenimento.

L’Ospedale sorge nella zona antistante la chiesa, ma distaccato, e ad entrambi si accede mediante una stradina in salita distrutta negli anni ’70 per la costruzione di nuovi edifici.

L’ambiente principale dell’Ospedale è costituita da un'unica aula,  detta sala grande, e di un attiguo giardino con alberi da frutta; i poveri vi sono ospitati per 40 giorni solo dopo la Pasqua.

Altri locali sono addossati alla parete posteriore della basilica e questi confinano con un area sottostante alla chiesa adibita inizialmente a cripta dell’ospedale e per breve periodo (nel 1838-1843) a sepoltura pubblica.

L’Ospedale non sarà mai completamente terminato e malsana sarà la sua gestione da parte della dalla Real Santa Casa dell’Annunziata di Napoli che alla fine dello stesso secolo favorisce la realizzazione del nuovo Ospedale di Santa Maria delle Grazie presso l’omonima chiesa sorta nel borgo di Pozzuoli.

A tutto questo complesso è annesso lo xenodochio, ovvero ospizio dall’unione delle due parole greche xénos, (ospite)  e dochèion (ricettacolo),  come tanti esistenti nel medioevo con lo scopo di offrire ospitalità gratuita a pellegrini e forestieri sulle strade dei pellegrinaggi, presso le grandi cattedrali o nella stessa Pozzuoli per accedere ai bagni termali.



Questo ospizio annualmente resta aperto per brevissimo periodo e ai poveri ospiti stranieri e puteolani si offre un pasto molto frugale e solo per un massimo di tre giorni.

Lo xenodochio continua a svolgere la sua attività per tutto il XVII secolo , seppure in forma molto ridotta anche per la presenza di altre strutture simili esistenti a Pozzuoli (ospizio dei Cappuccini a via Napoli, dei Pasqualini in via Ragnisco e dello stesso vicino Convento di San Francesco).

Nel 1705 papa Clemente XI ne autorizza la sospensione decennale ed infine nel 1725 sarà papa Benedetto XIII a sospenderne definitivamente ogni attività sociale.

 

Inizia così il lungo periodo di abbandono del complesso che incide sul suo degrado fino a che con l’Unità d’Italia, con le leggi di soppressione degli ordini religiosi e incameramento dei loro beni, questi ruderi sono acquisiti al patrimonio del Comune di Pozzuoli.

Nel 1910 il conte Vincenzo Cosenza, procuratore presso la Corte di Appello di Messina, acquista l’intero complesso per la somma di Lire 400,00 dando incarico all’ing. Antonio Causa di trasformare tali ruderi in civili abitazioni.

 

Il Causa lascia intatte le preesistenti strutture portanti e dalla chiesa ricava tre piani con la semplice inclusione di solai. Il corpo più basso è lasciato ad un sol piano, come prima, e dagli ambienti che ospitavano l’Ospedale ricava la residenza personale del senatore Vincenzo Cosenza.

Successivamente sul lato della Piazza Capomazza, ai piedi dell’edificio, sono realizzata una squallida serie di negozi ed altri locali industriali sono realizzati nella parte opposta ed interna.

 


Con la crisi bradisismica del 1970 le abitazioni sono sgombrate e con l’ultimo restauro il complesso si presenta con una nuova e decorosa veste.

Gli ariosi archi a piano terra, e la completa trasformazione del corpo basso con l’inserimento di pregevoli finestre, hanno dato alla facciata un “sapore” antico donando eleganza e sobrietà allo storico quadrivio.

 


 

GIUSEPPE PELUSO

Pubblicato su Segni dei Tempi – luglio/agosto 2024


lunedì 7 aprile 2025

La Calcara di Pozzuoli

 



La Calcara di Pozzuoli

 Fino a tutti gli anni sessanta sono molti i cortili di Pozzuoli che al loro interno nascondono un variopinto mondo fatto di lavoro e d’umanità.

Tra questi quello detto “La Calcara” in cui ci si immette dallo scenografico androne al civico 9 dell’allora via Miliscola; un vivace borgo che prende nome da una fornace che produce calce, “carcara” in dialetto, a mezzo cottura delle pietre calcaree.

Le calcare hanno spesso rappresentato una parte significativa dell’economia di un luogo, caratterizzandone il paesaggio con la loro mole, e quella di Pozzuoli, seppure vaghe siano le sue origini, risale agli immediati anni post eruzione di Montenuovo; quando forte è la necessità di ricostruire e ritornare nei luoghi natii.

 

Nei Campi Flegrei sono reperibili i tre elementi essenziali per le costruzioni edilizie; il tufo giallo facilmente lavorabile, la pozzolana che ha proprietà cementizie ed il calcare per la produzione di calce.

Si! Il calcare!



Quest’ultimo elemento è anche più facile da trovare; lo si prende dai templi, dagli anfiteatri, dalle grandiose terme e dai ruderi archeologici che abbondano in questa Terra.

Colonne e statue, il cui marmo è costituito da rocce calcaree, sono raccolte e immesse nella grande bocca che con il fuoco ha, per secoli, divorato il nostro passato.

L’iniziale fornace resta in attività fino al XVIII secolo quando, per le sempre più forti richieste di calce, ne sarà costruita una più grande che resta in funzione fino al 1885.

 




La Calcara di Pozzuoli fonda la sua fortuna sull’attiguo “Alveo Campano”, da cui attinge acqua per la formazione di calce viva, e per il piccolo molo in legno sul mare che facilita l’imbarco della calce sulle “bilancelle” che imbarcano anche tufo e pozzolana nelle numerose e vicine cave.

Naturalmente statue e colonne, che iniziano a scarseggiare, non sono sufficienti a fronteggiare una sempre più forte richiesta e pertanto si decide di importare pietre calcaree dai monti in cui sono presenti.

Le cave di Maddaloni sarebbero più economiche e raggiungibili a mezzo strade pianeggianti, ma il trasporto stradale a mezzo traino animale permette la movimentazione di piccole quantità a costi elevati, anche per la necessità di richiedere massi già frantumati.

Così si opta per le cave presenti nelle penisola sorrentina che, a mezzo “bilancelle” e “feluche”, assicurano grossi quantitativi in tempi più rapidi.

Nello stesso periodo in cui arriva la Armstrong, tra l’altro nell’accordo tra Comune di Pozzuoli e Amministratori Inglesi è specificato che il limite meridionale da occupare è costituito proprio dalla esistente Calcara, crolla la volta della fornace ed i proprietari decidono di ricostruirla secondo gli ultimi aggiornamenti; questa volta il suo camino piramidale raggiunge l’altezza d’oltre 18 metri.



Nel novecento, con l’avvento del moderno trasporto stradale, ridiventa conveniente acquistare il calcare dalle cave di Maddaloni e Valle di Maddaloni.

Le grosse rocce sono scaricate dai camion a ridosso della struttura dove vengono frantumate e suddivise in pezzi più piccoli sferrando colpi con grossi martelli.

Quest’operazione è svolta da un nutrito gruppo di manovali che poi afferrano le più grandi portandole direttamente in spalla verso la parte alta della fornace mentre le più piccole sono raccolte in “caldarelle” ed egualmente scaricate alla sommità.

La parte alta della fornace la si raggiunge a mezzo rampe in muratura, parte esterne e parte interne, che girano attorno al focolare; la visione di quegli uomini che portano grandi pesi, a torso nudo e con la testa avvolta in un “maccaturo”, mi riporta ad un infernale girone dantesco dove i dannati sono costretti a girare per l’eternità sotto pesanti carichi in un ambiente infuocato.

 

La struttura è gestita dalla Famiglia di don Gennaro De Falco che come dipendenti fissi dispone solo di un esperto “fuochista” per l’accensione e il controllo della temperatura e di un esperto “carcataro” per la sistemazione e controllo delle rocce.

Tutti gli altri manovali sono avventizi; in genere ragazzi alle prime esperienze, disoccupati o pescatori che necessitano d’arrotondare.

Dopo le rocce si posa il legname nella camera bassa dove si accende un fuoco che raggiunge una temperatura di quasi 1.000 gradi costringendo l’aria, che alimenta la combustione, a filtrare attraverso la massa dei materiali da cuocere.

Il fuoco è tenuto vivo per circa 5/8 giorni quindi, per controllare lo stato di cottura, si prende uno dei sassi e lo si butta nell’acqua fredda per verificarne la tumultuosa (e rischiosa) reazione.

Raggiunta la cottura si spegne il fuoco, si raccolgono le ancora bollenti ceneri che sono depositate in una vicina zona, delimitata da una linea che i bimbi son tenuti a non attraversare, e si lascia raffreddare l’ottenuta calce.



Parte di questa è poi messa a contatto con l’acqua sprigionando calore; comincia a ribollire e, mediante un pericoloso processo, è trasformata in “calce viva”.

 

Tutto questo è durato fino alla metà degli anni sessanta quando la ditta degli Ing. Grillo acquisisce la zona, abbatte questo e vecchi adiacenti edifici, e vi costruisce un moderno fabbricato.

Sono gli anni in cui si completa “L’Autostrada del Sole”, in cui circola il “Treno del Sole”, in cui si canta “La Canzone del Sole”; pertanto sembra loro “alla moda” battezzare “Palazzo del Sole” questo nuovo edificio.

Con la calcara sparisce anche un borgo, un paesaggio, un mondo; solo nei ricordi restano i salti nella cenere bollente, l’autofficina di Fortuna, i pullman dei Fratelli Iaccarino, le suore che insegnano il ricamo e donano grattate irrorate di sciroppo, il cantiere di quel mast Filippo che ha insegnato a fare barche agli ebrei esuli a Bacoli, e la piccola spiaggia da cui ci lanciavamo in un familiare ma rosso mare, ricco di sangue e di vongole veraci.



GIUSEPPE PELUSO 

Pubblicato su Segni dei Tempi di giugno 2024