A CAVALCIONI DI CARONTE
Paese che vai, Elisio che trovi - I reumi di Nerone -
La via per l'altro mondo - Biglietti da visita alla Sibilla
Caronte senza barba e con l'acetilene
Il quotidiano “La Stampa” di giovedì 25 ottobre
1934, riporta un interessante articolo, intitolato “A Cavalcioni di Caronte”,
dedicato ad Alessandro Santillo custode della pseudo Grotta della Sibilla e
papà dell’indimenticato Carlo Santillo.
Pietro Silvio Rivetta,
detto Toddi
Il saggio è firmato da Toddi, pseudonimo di Pietro
Silvio Rivetta di Solonghello (1886-1952), di origini aristocratiche, giornalista,
scrittore, cineasta, e tanto altro ancora.
Toddi conosce ben quattordici lingue, tra cui
cinese e giapponese per le quali ottiene una cattedra presso il Regio Istituto
Orientale di Napoli.
Dai racconti di una serie di viaggi in Italia
effettuati da Toddi dalla fine degli anni 20 ai primi anni 30, viene fuori un
libro dal titolo ”Itinerari Bizzarri”, pubblicato nel 1934. Tra i luoghi
visitati, per la compilazione della sua Italia insolita e curiosa, non possono
mancare i Campi Flegrei.
I Campi Elisi
Per colpa — o merito che sia stato — della
fiorentina consorte di Enrico IV, i turisti di oggi non possono udir nominare i
“Campi Elisi” senza pensare ai maestosi viali parigini. Da quando, nel 1616,
Maria de Medici fece piantare il triplice “Cours la Reine” là dov'era un'impaludata
propaggine della Senna, e ancor più da quando il mondo elegante del secondo impero
predilesse quel quartiere e ne fece la capitale della capitale della Francia,
gli “Champs Elysées” hanno usurpato e deformato il titolo al soggiorno dei
beati greco-romani.
Soltanto al margine estremo del golfo
subvesuviano, dove i ricordi classici si addensano più fitti, le familiari
indicazioni greco-latine ritrovano il loro vero aspetto e la loro topografia
precisa. Questo meraviglioso golfo partenopeo è saturo di ellenismo e, ancor
più, di romanità; è racchiuso tra questo Promunturium Misenum ove arse il rogo
funebre del trombettiere di Enea, e Punta della Campanella, che era il
Promunturium Minervae perchè vi sorgeva il tempio della dea; o v’è ancora la
Torre Minerva con la stazione radiotelegrafica.
Qui gli augusti nomi imperiali hanno chiaro recapito;
se pronunzi quello di Tiberio a un vetturino o ad un agente municipale di
Pozzuoli o di Bacoli, l’interrogato, con un sorriso amabile e un po' commiserante,
ti fa comprendere che hai sbagliato indirizzo. Per trovare Tiberio bisogna
andare al Molo Beverello di Napoli e imbarcarsi per Capri, ove Tiberio è tuttora
legittimamente domiciliato.
Da queste parti invece c'è Nerone, il quale veniva
qui non sempre con quelle grave intenzioni che i posteri attribuiscono ad ogni
suo gesto, quasi che il Barba-di-Rame incendiasse Roma ogni pomeriggio e non
potesse prender la sua merenda senza udire i lamenti di alcuni martiri
torturati. Qui, è vero, Nerone fece uccidere Agrippina, ma, assai prima di complottare
il matricidio con il liberto ammiraglio Aniceto, già egli veniva a curarsi i
reumi nella stufa naturale che, ancor caldissima, è presso la strada di Baia.
Il vecchio Ferdinando Zocco, custode e affittuario
del «Sudatorium Imperatoris Nerouis», ci indica una delle nicchie scavate nel
fumigante sasso e, abituato a farsi comprendere in tutte e lingue, sintetizza
in un solo nome: — Nerone!
Nella semi-oscurità, non riesci a scorgere se
Nerone sia ancora addormentato sulla soffice “culcita”. Per non desiarlo, dai
la mancia a Ferdinando ed esci in punta di piedi.
A Bacoli, però, trovi qualcosa di più che non
semplici ricordi imperiali. Qui, presso il Mare Morto — che è la Palude Stigia
— il Romano de Roma rimane stupito di trovare, dinanzi al fiorito giardinetto pubblico,
nientemeno che un “Bar dei Campi Elisi”. Non è una imitazione esotica,
pariginizzante. No, si tratta dei Campi Elisi quei veri, i quali sono qui
presso, alle falde idilliache del Capo Miseno. Quei praticelli tranquilli,
residenza d'oltre-tomba per i defunti classici, impressionano assai più che non
i maestosi templi di Diana e di Venere, a il voltone gigantesco del Tempio di
Mercurio a Baia, o la Piscina Mirabile, conservatissima, che sta maestosamente
a dimostrare con quanta ingegnosa cura i romani rifornissero d’acqua la flotta
ancorata a Miseno.
I Campi Elisi, beata sede dei virtuosi antichi, sono
ora sotto la giurisdizione diretta della Regia Marina. Perciò è vietato
severamente fare schizzi o prendere fotografie del paradiso greco-romano.
L'oltre-tomba, per i Romani, era verso sud. All'inizio
della Via Appia i nostri padri avrebbero potuto collocare un cartello
turistico: «DI QUI SI VA ALL'ALTRO MONDO»
Perciò numerosissime furono le tombe erette lungo
la Regina Viarum, la più romana delle strade romane. L'Elisio e l'Averno erano
a meridione, verso Napoli, un po' a destra prima di arrivare al golfo grande.
Ma chi vi andò, all'altro mondo, e ne ritornò come Enea, ci ha lasciato detto
in modo preciso come fosse l'ingresso e come avvenisse il passaggio.
Il resoconto virgiliano (Eneide, VI, 102 e segg.)
diventa più vivo ed interessante quando non si debba più tradurlo a scopi
ginnasiali, ma lo si rilegga con intenzioni turistiche. Dante Alighieri,
topograficamente non si compromise; la selva selvaggia ed aspra e forte, la
valle e il colle celeberrimi non hanno riferimenti geografici che ne permettano
la localizzazione, e la porta dal triplice «per me si va» non è reperibile in
alcun posto di Toscana o d'Italia.
Invece, con le indicazioni di Virgilio si ritrova
l'ingresso all'Averno sul lago omonimo.
Il Lago d'Averno doveva essere più cupo ancora
quando era circondato da boschi che Agrippa fece abbattere. Allo sbocco della
stradella su la sponda è una larga stele con i versi virgiliani:
«…spelunca alta fuit uastoque immanis hiatu,
scrupea, tuta lacu nigro nemorumque tenebris,
quam super haud ullae poterant impune uolantes
tendere iter pennis: talis sese halitus atris
faucibus effundens supera ad conuexa ferebat...
…Procul,
o procul este, profani,´
conclamat uates, ´totoque absistite luco…»
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«…vi fu una profonda spelonca ed enorme per il vasto abisso,
rocciosa, protetta da nero lago ed ombre di boschi,
sopra la quale nessun volatile poteva impunemente
volgere il volo con l´ali: tale alito, esalando
da nere bocche, si portava alla volta celeste...
…lontano, oh, lontano
state, profani,
grida la profetessa, allontanatevi da tutto il bosco…»
Ma ben pochi fra i turisti esteri internazionali
intendono che quello è il grido della Sibilla, urlante ai profani troiani o
moderni di allontanarsi. Proprio su quel marmo il turista sacrilego appone la
sua firma: poi desidera recarsi senza indugio all'ingresso infernale, alla alta
spelonca per cui passò Enea.
Mentre i sapienti discutono se la Grotta della
Sibilla per cui Enea discese sia davvero questa, e finché non se ne trovi un’altrettanta
impressionante, noi accontentiamoci delle pittoresche spiegazioni che il
custode dell'antro, Alessandro Sautillo, fornisce in abbondanza. L'ingresso
all'anticamera dell'altro mondo costa appena una lira: il vestibolo
dell'al-di-là è proprietà privata: appartiene al cav. Giuliano Pollio,
proprietario del lago di Lucrino, dell'Averno e della collina intermedia.
Fino a 130 chili
Su l'architrave della porta stretta, chiusa a
catenaccio, sono infissi numerosi lunghi chiodi, rudimentali porta carte sui
quali i visitatori appiccano i loro biglietti da visita. Soltanto la Sibilla,
veggente tutto, leggerà quei nomi.
Il custode Alessandro Santillo apre l’uscio
dell’oltretomba ed accende una lampada ad acetilene.
L’antro è ampio, lunghissimo; a meta del percorso
un corridoietto laterale discende a chiocciola; si è già fra le strette pareti
nerastre in uno scenario ultramondano.
Il custode precede, stratagliato in nero
sull'alone dell'acetilene: l'Averno greco-romano ha l'odore agliaceo del
carburo bagnato. Alessandro Santillo rimbocca le brache sino a mezza coscia e
scende nell'acqua nera che sbarra il cunicolo ed ha uno sciacquio funereo. Per
attraversare il sotterraneo guado devi montare a cavalcioni del bizzarro
Caronte, che non ha barca, ma due giovani spalle asciutte e nerborute. Ti
assicura: — Fino a 130 chili li posso portare. Non saranno poi numerosi i
turisti superiori a tale peso. Se qualcuno ce n'è, non si avventuri
nell'ingresso dell'Averno; rimarrebbe incastrato nel corridoio stretto. Il
Caronte senza barca e senza barba ti depone su un marciapiede di legno umido,
in una stanzetta allagata; con la lampada va illuminando resti di musaico
indecifrabile. Tu pensi che, se la lampada si spegne, la via d'uscita non la
ritrovi di sicuro!
Di lì s'andava in
Purgatorio
Caronte ti vede pensieroso; deve sapere per
esperienza che, a questo momento della sotterranea gita, ogni visitatore ha
desiderio di ritornare alla luce del giorno. Ma il percorso è ancora lungo;
bisogna risalire su le spalle del Caronte Santillo, il quale, guazzando con
sicurezza nel nero Stige (che è un duplicato sotterraneo o una mitica
propaggine di quello di Bacoli) ti parla di Minosse e Cerbero, Virgilio e
Dante, confondendo un po' i due Inferni, quello dell’Eneide e quello della Commedia.
Del resto, l'Inferno non è forse uno solo, fusione
di tutti gli inferni di tutti popoli? L'umano somiero ti depone ai piedi di una
scala, sbarrata: — Di lì si andava al Purgatorio. Un purgatorio greco-romano
non te l’aspettavi, nemmeno nelle umide viscere della terra, presso l'Averno!
Meglio rimanere al di qua, in questo ridentissimo lembo partenopeo, un po'
dimenticato dalle grandi correnti turistiche.
Eppure, qui, ad ogni passo c'è una leggenda. Su lo
stemma di Bacoli c'è Ercole il quale da queste parti trasportò i buoi sottratti
a Gerìone, in Spagna; e Boualia, che ricordava tali mitici buoi divenne Bauli
dei tempi di Servio commentator di Virgilio e Bacoli dei tempi nostri.
Bacoli ha per frazione Baia, della quale Orazio,
nell'epistola I a Mecenate, diceva, per bocca di un riccone:
«Nullum in orbe sinus Baiis praelucet amoenis»
«nessun golfo del mondo è più splendido dell'amena
Baia».
Con questo po' po' di diploma turistico, e con una
tale firma, ha diritto a celebrità mondiale.
Bacoli, ai margini degli unici autentici Campi
Elisi.
GIUSEPPE PELUSO - dicembre 2023
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