La Rivolta di Masaniello e l’assedio a Pozzuoli
Il
borgo vicereale difeso da “chelle piezz' ‘e puzzulane”
Quello che leggerete è Storia vera che meriterebbe
essere ogni anno commemorata; una vicenda nel corso della quale i puteolani
(contadini, pescatori, artigiani, sacerdoti, anziani, invalidi, donne e bambini),
tutti trasformati in combattenti, sono chiamati a difendere la loro Città, la
loro Casa, la loro Dignità.
Inizialmente un accenno al contesto storico in cui
questo episodio è inserito.
Siamo nella Pozzuoli
vicereale che fin dal 1503, unitamente a tutto il Regno di Napoli, è sotto
diretto dominio della Spagna che governa a mezzo di un viceré, nominato da
Madrid.
C’è un pesante carico
fiscale, esoso e scellerato, i tributi non sono utilizzati per le opere
pubbliche ma per finanziare i fasti della corte spagnola e le spese delle
guerre intraprese. Le tasse gravano particolarmente sul popolo perché la
nobiltà e il clero godono di enormi privilegi e notevoli esenzioni.
La rivolta scoppia il 7
luglio del 1647 quando alcuni contadini della città di Pozzuoli, avendo la
mattina di quel giorno portate alcune sporte di fichi al mercato di Napoli,
sono sollecitati dagli esattori del dazio al pagamento della relativa gabella.
Uno de’ contadini, il puteolano Maso Carrese cognato di Tommaso Aniello (Masaniello) [1], non avendo denaro versa rabbiosamente, e con una imprecazione, un cesto di fichi per terra.
Accorrono molti
a raccoglierli, alcuni con risa e altri con collera, e al rumoroso strepitio
sopravviene Masaniello che, insieme a numerosi scugnizzi, comincia a
saccheggiare il posto daziale, scacciandone le guardie e dando così inizio alla
famosa insurrezione.
Presidi militari
difendono Pozzuoli da incauti attacchi tentati dai rivoluzionari e nel contempo
rifornimenti di armi e vitto partono dal nostro molo verso la truppa spagnola
asserragliata nei forti della capitale.
Masaniello è assassinato il seguente 16 luglio ma la sua morte non spegne la sedizione capeggiata ora dall’armaiolo Gennaro Annese che cerca di dar vita a una repubblica.
La posizione di Annese
si rafforza portando avanti un programma di aperta ribellione alla Spagna dalla
quale giunge anche una armata comandata da Giovanni d’Austria [2], figlio
naturale di re Filippo IV.
Gli spagnoli tentano di
occupare punti nevralgici di Napoli, bloccando l’arrivo di vettovaglie dai
dintorni, per costringere in tal modo i popolani alla resa.
Allora Annese chiede aiuto alla Francia, nemica storica della Spagna. L’appello è raccolto dal francese duca Enrico di Guisa [3], nominato “Capo militare” dell’appena proclamata “Real Repubblica Napoletana”, il quale riscuote subito gran successo presso i baroni dell’entroterra cui promette titoli e cariche.
In questo periodo la lotta tra regi e popolani si sviluppa particolarmente per l’approvvigionamento dei viveri da distribuire nella parte della città di Napoli rimasta fedele all’uno o all’altro schieramento.
I regi mirano a creare
un blocco intorno alla città per evitare che giungano rifornimenti consistenti
ai ribelli; pertanto consolidano l’occupazione di Acerra, di Nola e di altre
piazze che sono sulle principali strade che provengono dagli Abruzzi, dalle
Puglie e dalle Calabrie.
Intanto il duca di
Guisa, consapevole che Napoli possa cedere senza approvvigionamento di viveri,
raccoglie circa tremila popolani e ai primi di dicembre assale Aversa e altri
luoghi tenuti dai regi per liberare le strade, aprire il transito ai viveri e
proseguire alla conquista del Regno.
La strada da Aversa, attraverso
Giugliano, Marano, Quarto e Pozzuoli, finisce per essere controllata dai popolani,
per cui i trasporti dei generi alimentari, seppure scortati dall’esercito, spesso
finiscono nelle mani dei ribelli.
Il poco
vettovagliamento che giunge a Pozzuoli è opera di laboriosa contrattazione e
scambi che i puteolani effettuano direttamente con i contadini dell’agro
aversano-giuglianese. Prodotti del mare in cambio di prodotti della terra e
questo in barba ai notabili puteolani che patteggiano apertamente per gli spagnoli
e ai notabili dei Casali che patteggiano apertamente per i francesi.
Comunque quel poco che
pur giunge a Pozzuoli, non potendo passare attraverso la grotta che collega
Fuorigrotta con Piedigrotta controllata dai ribelli, è spedito a Napoli via
mare [4a].
L’otto ottobre gli
insorti ingiungono ai puteolani l’invito a partecipare attivamente alla
ribellione con l’inviare in loro soccorso cinquecento armati e li minacciano
che in caso di rifiuto sarebbero venuti ad incendiare la città.
Il 19 gennaio del 1648
i popolani napoletani, offesi che i puteolani non solo non si sono uniti a loro
nella sollevazione ma continuano a fornire aiuti ai regolari spagnoli, con
seimila uomini armati si muovono per assalirla e soggiogarla.
I rivoltosi partenopei,
che comunque non sono riusciti a conquistare i forti della stessa città di
Napoli, sono ben consci di non essere un esercito regolare e di non possedere
attrezzature e tecniche per tentare un assedio alla munita roccaforte (Rione
Terra) puteolana difesa anche da truppe regolari spagnole.
Si incamminano quindi verso
il capoluogo flegreo con l’intento di conquistarne, devastarne e derubarne il
solo indifeso borgo; con i ricchi magazzini ed il porto con il numeroso
naviglio.
Sperano che quest’azione
possa intimorire ed indurre a capitolare i puteolani che sicuramente si saranno
rifugiati sulla rocca, all’interno del munito “castrum”.
Attraverso i colli
della Solfatara si dirigono verso Pozzuoli ma sono accolti da una nutrita
scarica di fucili e palle di cannoni che provocano ampi vuoti tra le loro fila.
Dopo questo
ammaestramento si consultano e si accostano alle difese puteolane con maggior
circospezione. Decidono di dividersi in due colonne e avvicinarsi a Pozzuoli da
due differenti direzioni; lungo la strada di Santa Caterina (ora San Raffaele
in via Rosini) e lungo la strada di San Francesco (ora Sant’Antonio in via
Pergolesi).
Ma queste due Chiese
sono state rafforzate tanto da costituire delle vigorose roccaforti e,
unitamente al “Palazzo Fortezza” del Marchese di Villa (attuale Palazzo
Capomazza nell’omonimo viale) e al Palazzo e Torre di Don Pedro di Toledo, costituiscono
i quattro perni su cui va ad ancorarsi la principale difesa della città [4b].
Questi caposaldi sono tra loro collegati da vigorose opere di resistenza e tutta la città di Pozzuoli, con il suo campo di battaglia, è stato ben raffigurato nella mappa realizzata, poco dopo questi avvenimenti, da Alberico de Cuneo su commissione di Martin Leon y Cardenas [5a].
Gli assalitori
napoletani ignorano, e proprio non immaginano, che i puteolani non hanno
abbandonato il borgo alla facile conquista dei rivoltosi e che hanno realizzato
possenti opere difensive esterne al Rione Terra.
La rocca ora costituisce
solo il secondo anello protettivo, per quanto riguarda il fronte terrestre;
solo le sue ripidi pareti, a picco sul mare, continuano a far parte della linea
difensiva principale [5b].
Il nuovo e complesso fronte
difensivo merita d’essere descritto per intero lungo tutto il suo perimetro.
-
La linea difensiva del tratto orientale, che domina
sulle parule lungo la via che porta al Monte Olibano, è difeso dalle estreme
alte mura del Rione Terra nonchè dai contrafforti che sostengono l’alta
terrazza marina [6a, 6b]. Lungo la litoranea ci sono tre piccoli presidi,
attestati in altrettante antiche fabbriche termali, idonei a rintuzzare
improbabili assalti provenienti dai Bagnoli. Improbabili perché la costa è
pattugliata dalla flotta vicerale e la squadra navale francese, anche se
rappresentata nella citata mappa del ‘de Cuneo, ancora non osa schierarsi
apertamente contro la Spagna.
-
La linea difensiva retta che corre tra la Chiesa di
Santa Caterina e il Palazzo del Marchese di Villa (che nella mappa del ‘de
Cuneo appare come un fortino), la più interessata ad un probabile attacco come
in effetti si verificherà, presenta interessanti opere difensive [7a, 7b]. I
nostri concittadini hanno scavato una trincea, lungo l’attuale viale Capomazza,
con doppio fossato ed hanno eretto una palizzata lungo tutto il percorso. La strada
San Giacomo (attuale via Rosini) è stata tagliata per interromperla ed impedire
assalti diretti.
- La linea difensiva che corre tra il Palazzo del Marchese di Villa e il complesso di San Francesco presenta anch’essa una trincea con doppio fossato e palizzata [8a, 8b]. Non corre in linea retta ma segue e si appoggia a innumerevoli ruderi romani, che forniscono ostruzioni e sbarramenti già pronti, nonché al fortificato palazzo e torre del Principe di Noia. Questa linea difensiva è attraversabile in un solo punto, lontano dalle due principali strade di comunicazione, e davanti a questo varco c’è una mezzaluna (ovvero una fortificazione avanzata, sporgente dal recinto) fornita di ulteriore porta. Il fossato, che qui disegna un’ampia curva attorno alla mezzaluna, può essere superato dai difensori con un provvisorio ponte levatoio che si trova davanti alla menzionata porta.
-
La linea difensiva che corre dal complesso
conventuale di San Francesco fin giù a Palazzo Toledo si aggrappa sia su opere dell’uomo,
costituite dai già esistenti e possenti muraglioni delle Terme di Nettuno e dal
palazzo di Geronima Colonna, sia su opere della natura, costituite dalle
scoscese pareti del vallone Mandra [9a, 9b].
-
La linea difensiva che corre lungo il perimetro del
complesso Toledo, costituito dalla Cavallerizza, dal Palazzo e dalla Torre, è
di già fortificato. Fin dall’origine questo complesso di edifici è stato
concepito anche ad uso militare; naturale che ora possa contribuire alla difesa
e rintuzzare eventuali attacchi provenienti dal largo della Malva (attuale
villa comunale) rimasto al di fuori del perimetro fortifico del borgo [10].
-
La linea difensiva del borgo vicereale, che corre
dal Palazzo Toledo al mare e confinante anch’essa con la grande piazza della
Malva, è stata fortemente rafforzata con cortine, baluardi e tamponatura della
maggior parte dei varchi, portoni e finestre [11]. Tutti accorgimenti necessari
a respingere un assalto, ritenuto comunque improbabile, che possa provenire
dalla piana della Starza e da Lucrino.
Tutti lavorarono ai
miglioramenti difensivi, comprese le donne, i bambini, i nobiluomini ed i
religiosi con a capo il vescovo Martin de Leon nominato Governatore di Pozzuoli
direttamente da don Giovanni d’Austria.
Chi è rimasto fuori dai
luoghi fortificati si affretta a raggiungerli; si radunano gli averi e le
provviste alimentari facendo affidamento sulle cisterne del Rione Terra, e sul
ripristinato acquedotto campano, per le riserve idriche.
A guardia di tutto
questo perimetro difensivo si trovano cinquecento puteolani, guidati dal
giovane patrizio Antonio di Costanzo, e pochi cavalieri spagnoli.
Il caposaldo di Santa
Caterina è comandato dal Marchese di Fuscaldo e dal Tenente Maestro di Campo
Davide Petagna [12].
L’altra estremità, il
caposaldo di San Francesco, è comandato da don Ferrante di Tovara e Antonio
Carafa. Cento moschettieri custodiscono palazzo e torre del Principe di Noia e trecento
puteolani presidiano il complesso Toledo.
Altri puteolani, ai
quali sono stati aggregati dei calabresi, li troviamo a difesa del Rione Terra.
Qui, sulla rocca, ci sono poi le batterie, costituite da datati ma pur sempre
validi cannoni, affidate a veterani, invalidi e vecchi cannonieri che hanno
servito in marina [13].
Gli spagnoli sono
appena quarantacinque per lo più dislocati nei menzionati tre piccoli presidi lungo
la litoranea via per la pietraia.
Altri sessanta Valloni
(mercenari provenienti dai Paesi Bassi spagnoli) sono poi inviati di rinforzo a
Pozzuoli dal vicino forte di Baia.
Tutte queste opere
hanno il compito, e il fine, di mantenere lontano dal Rione Terra e dal Borgo
qualsiasi attaccante e di non lasciare incustodito il numeroso e prezioso
naviglio (da guerra, da carico e da pesca) ormeggiato o tirato in secco.
Pochi gli storici nazionali che riportano, e ancora meno quelli che analizzano, questo assalto che presenta interessanti e strategiche soluzioni difensive.
Per la prima volta i
puteolani affrontano un assalto in modo ben diverso dai numerosi precedenti
subiti in circa 2500 anni di storia cittadina.
La difesa non è più
arretrata e limitata al “castrum”, la rocca fortificata.
E’ una difesa avanzata,
“alta” diremmo oggi in termini calcistici, con drappelli che inizialmente
controllano la pietraia di Monte Olibano, le alture della Solfatara, il valico
della Montagna Spaccata.
Queste punte avanzate,
al sopraggiungere dei nemici, ripiegano sia verso la linea difensiva alta (Chiesa
di Santa Caterina – Palazzo del Marchese di Villa - Chiesa di San Francesco)
sia verso la linea difensiva bassa (Palazzo Toledo – Porto); poste entrambe a
salvaguardia del borgo.
La grossa novità, nei confronti dei vecchi assedi, è costituita proprio dalla presenza del borgo i cui numerosi residenti non possono essere accolti nel ristretto Rione Terra, come avveniva in passato.
Nei primi anni del
seicento, grazie anche ad un periodo relativamente tranquillo, c’è stato un significativo
impulso dell'artigianato e del piccolo commercio con la ripresa del mercato
cittadino, scambi sempre più intensi coi paesi vicini ed un naturale aumento di
nuovi mestieri richiesti per attività prima impensabili; di conseguenza a
queste nuove esigenze ha corrisposto un incremento demografico del borgo [14].
Pertanto il ricco sobborgo
andrà ora difeso a tutti i costi unitamente alle banchine tanto necessarie alla
pesca ed agli scambi economici cittadini, oltre che alla strategia militare
spagnola.
Per tutto questo è
stata creata questa nuova linea difensiva esterna che però non è molto lontana
dalla rocca le cui batterie, oltre che essere poste sulla Piazza chiamata il
Castello (per la difesa lato mare), sono poste anche sui bastioni orientali nel
largo della Porta Reale (attuale piazza Sedile di Porta). Sono proprio queste
le batterie di cannoni che mantengono sotto tiro gli attacchi provenienti dalla
direttrice Anfiteatro – Villa Cardito.
Si ha notizia di soli
altri due cannoni, esterni al perimetro del Rione Terra, piazzati sulle parti
alte del complesso Toledo ed in grado di battere il settore relativo al
convento di San Francesco che sembra sia stato momentaneamente conquistato dai
popolani rivoluzionari.
Si combatte dalle undici del mattino sino al tramonto del sole ed i napoletani ne guadagnano solo ferite e morti. I puteolani combattono con ostinato valore e con molto ardore vi partecipano pure numerosi chierici e sacerdoti che impugnano le armi seguendo l’incitamento del loro pastore.
Il vescovo De Leon
corre da per tutto portando il suo valido contributo e provvedendo a ciò che
abbisogna; munizioni, vettovaglie, messaggi.
Non sono assenti le
donne che, con le scarse armi che han potuto procurarsi, combattono e assistono
i combattenti nei punti dove la mischia è più feroce.
Tra queste donne
guerriere, degne discendenti di Maria Puteolana, c’è né una che è stata eletta loro
Capitana. In seguito si vanterà coraggiosamente, dinanzi al vicerè conte
d’Ognatte, d’aver condotto in battaglia la “Compagnia delle pozzolane” che hanno
combattuto e sempre combatteranno per la difesa del dominio del Re di Spagna.
Purtroppo resta ignoto
il nome di questa “piezz' ‘e puzzulane”,
anche se il suo aspetto non dovrebbe molto discostarsi dalla Giuditta, e dalla
sua ancella, divinamente ritratte da Artemisia Gentileschi in quello stesso
periodo [15].
Neppure ci sono stati
tramandati i nomi di tantissimi fanciulli che sono costretti a combattere, come
faranno gli scugnizzi della resistenza, facendo uso di fionde e sassi.
La giornata del 19 gennaio 1648,
che vede combattere fianco a fianco, sulle stesse barricate, nobili, plebei,
sacerdoti, commercianti, pescatori, contadini, uomini, donne e bambini, mariti
e moglie, padri e figli, esalta gli animi e quadruplica le forze di questi
combattenti.
I puteolani tutti
condividono ora comuni ideali e l’atmosfera e la solidarietà che viene a
crearsi sopperisce alle fatiche ed ai dolori.
Il pozzolano, ed è bene non dimenticarlo, si è
trasformato in combattente e si è barricato dietro tutto; dietro la ricchezza e
dietro la miseria, dietro le cose sacre e quelle profane; dietro cataste di
carri e di legno, confessionali e botti, poi materassi, letti e cenci.
Tra le armi abbondano le fiocine dei pescatori e i forconi degli agricoltori, i coltellacci dei buccieri (macellai) e le asce dei falegnami.
Nel contempo c’è speranza e condivisione e il tutto per anni resterà, nell’immaginario pubblico, un evento epico da tramandare ai figli ed ai figli dei figli unitamente al ringraziamento ricevuto dal Sovrano.
A Pozzuoli resta, quale
regalo dell’epoca, il detto volgare “spara Santillo” che significa: “sbrigati,
fai presto”.
Raimondo Annecchino
ritiene che esso tragga origine dal nome dell’artigliere Santolo, o Santillo,
che in occasione di questo assedio sparò senza tregua sui napoletani.
Nei giorni seguenti
continuano a molestare i puteolani, sempre con l’ingannevole intento di far
loro abbandonare le sicure opere difensive, e di tanto in tanto avvengono
scorrerie e sanguinose scaramucce con la distruzione di poderi e masserie, presi
dall’una e dall’altra parte.
Poi col passare del
tempo, non essendo attrezzati e abituati a un assedio e pressati dai villici di
Fuorigrotta (stanchi di queste scorrerie e solidali con i puteolani e il loro stesso
vescovo), i ribelli napoletani sono costretti a desistere ritornando
definitivamente oltre la cripta romana che taglia la collina di Posillipo.
Sprezzante dei pericoli
e dei disagi, dirige le battaglie; il carico delle vettovaglie dirette a Napoli;
fa recapitare avvisi importati che da Roma o da Madrid gli capitano; soccorre
con i suoi beni personali i poveri bisognosi della città e i soldati.
Spendendo tutto questo resta poverissimo e, una volta riconquistato definitivamente il regno, il Re Filippo IV, grato, gli invia una lettera di ringraziamenti e nel 1650, per vantaggio economico, lo crea Arcivescovo di Palermo, prelatura nobilissima di ricca rendita. Nel 1651 gli è conferito pure l’ufficio di Presidente del Regno di Sicilia, ovvero vicario del Viceré.
Lo stesso Re Filippo
IV, nel luglio del 1648, per la dimostrata lealtà alla corona di Spagna, conferisce
ai puteolani il diritto di decorare lo stemma cittadino col titolo di “FIDELISSIMA”,
da affiancare a quello di “CIVITAS” che fregia Pozzuoli fin dal 1296 [17].
Annecchino R. – Storia di Pozzuoli
Capecelatro F. – Diario degli anni 1647-1650
Giamminelli R. – Articoli e opere
varie
Ronga N. – La rivolta di Masaniello ad Aversa
Grazie Giuseppe Peluso... molto interessante.
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