Leonarda Cianciulli
Dolcetto o…..saponetta?
La
Casa Circondariale di Pozzuoli ha spesso custodito personaggi divenuti
sinistramente famosi. Ricordiamo Vito Cascio Ferro, un “padrino” che, tra
Sicilia e Stati Uniti, fu tra i capi mafiosi a inizio del ’900. Acerrimo nemico
e presunto assassino del poliziotto italoamericano Joe Petrosino. Muore nel 1943
proprio a Pozzuoli. Il carcere è abbandonato per paura dei bombardamenti; scappano
pure le guardie e don Vito muore, dimenticato, di fame e di sete.
Nel
1955 l’Istituto di Pozzuoli diviene Manicomio Giudiziario Femminile, fino al
1975 quando è chiuso dopo la tragica morte tra le fiamme, legata al suo letto, di
Antonia Bernardina.
Tra
gli ultimi ospiti, dal 1975 quando Pozzuoli è solo carcere femminile, Pierr Di
Maria la moglie di Duilio Poggiolini, ed ancora, recentissima, Angela Devenuto,
moglie di Gianpaolo Tarantini.
Sicuramente
la più tristemente famosa resta Leonarda Cianciulli comunemente conosciuta come
la “Saponificatrice di Correggio”.
Leonarda
nasce a Montella (Avellino) nel 1893, concepita in seguito a una violenza
carnale subita da Emilia Di Nolfi. Emilia è costretta a sposare il suo
violentatore Mariano Cianciulli e odierà per sempre quella creatura, sopratutto
dopo che, morto il marito, si risposa ed ha altri figli.
Leonarda
trascorre un'infanzia infelice, come racconta nel suo memoriale intitolato “Le
confessioni di un'anima amareggiata”: «Ero una bambina debole e malaticcia,
soffrivo di epilessia, ma i miei mi trattavano come un peso, non avevano per me
le attenzioni che portavano agli altri figli. La mamma mi odiava perché non
aveva desiderato la mia nascita. Ero una bambina infelice e desideravo morire. Cercai
due volte di impiccarmi; una volta arrivarono in tempo a salvarmi e l’altra si
spezzò la fune. La mamma mi fece capire che le dispiaceva rivedermi viva.»
Nel 1914, all'età di 21 anni sposa, in aperto contrasto con i familiari
che hanno individuato per la sposa un altro candidato, Raffaele Pansardi. La
Cianciulli racconta di essere stata maledetta dalla madre che, alla vigilia
delle nozze, tronca ogni rapporto con lei; un fatto questo che segna
profondamente la personalità della futura assassina.
La coppia va a vivere a Lauria (Potenza) dove la giovane Leonarda subisce
alcuni processi che si risolvono in un nulla di fatto o in piccole condanne.
Nel 1930, dopo il terremoto del Volture, si trasferisce a Correggio (Reggio
Emilia) dove si organizza per cercare di risollevare le sorti economiche della
famiglia; avvia un piccolo ma fiorente commercio di abiti usati.
Dall'inizio del matrimonio Leonarda ha ben 17 gravidanze che si risolvono
in 3 parti prematuri, 10 figli morti in tenera età e 4 sopravvissuti; questi ultimi
diventano per Leonarda un bene da difendere a qualsiasi prezzo. Nel 1939, allo
scoppio della guerra, l'unica figlia femmina, Norma, frequenta ancora l'asilo
delle suore; i due figli maschi più giovani, Bernardo e Biagio, sono militare
il primo e iscritto al ginnasio il secondo; Giuseppe, il figlio più grande e
più amato, è studente all'Università di Milano.
Dunque ha già l'età necessaria per essere chiamato al fronte ed al solo
pensiero della sua sorte Leonarda cade preda dello sconforto e prende una drastica
quanto folle decisione; fare sacrifici umani in cambio della vita del figlio. Sembra
che anni prima si fosse fatta leggere la mano da una zingara e che questa le
avesse detto: “Ti mariterai, avrai
figliolanza, ma tutti i figli tuoi moriranno”. Quindi si era rivolta a
un’altra zingara ancora, che pure aveva sentenziato: “Vedo nella tua mano destra il carcere e nella sinistra il manicomio”.
Su questo argomento così scrive nelle sue memorie: «Non potevo sopportare la perdita di un altro figlio. Quasi ogni notte
sognavo le piccole bare bianche, inghiottite una dopo l'altra dalla terra
nera... per questo ho studiato magia, ho letto i libri che parlano di
chiromanzia, astronomia, scongiuri, fatture, spiritismo; volevo apprendere
tutto sui sortilegi per riuscire a neutralizzarli.»
A Lauria è stata tacciata di essere una poco di buono, invece a Correggio
Leonarda, specie dopo l’abbandono del marito, è benvoluta e stimata da tutti. Frequenta
molta gente, a tutti offre i deliziosi dolci che ama cucinare, e in particolare
riceve spesso tre amiche, tutte donne sole e non più giovani, insoddisfatte di Correggio
e desiderose di rifarsi una vita altrove. Approfittando di questo loro
desiderio, Leonarda le attira nella sua trappola.
La più anziana delle sue vittime, la prima a finire nel pentolone della
Cianciulli il 18 dicembre 1939, è Faustina Setti. Si tratta di una donna di settant'anni,
semianalfabeta ma romantica, che è attirata da Leonarda con l'assicurazione di
averle trovato un marito a Pola. Leonarda convince la donna a non parlare a
nessuno della novità, per evitare invidie e maldicenze. Così il giorno della
partenza Faustina si reca a casa dell'amica, per farsi dare le ultime
istruzioni e per farsi dettare da Leonarda una lettera da spedire alle amiche
appena giunta a Pola, nonché per firmare a Leonarda una delega per gestire i
suoi beni.
Ma il viaggio è destinato a non cominciare mai; Leonarda infatti uccide
la sua anziana amica a colpi di ascia, poi trascina il corpo in uno stanzino e
lo seziona in nove parti, raccogliendo il sangue in un catino. Ecco come ella
stessa scrive nel memoriale redatto nel carcere in attesa del giudizio: «Dopo aver fatto a pezzi il cadavere, misi
la caldaia sul fuoco la sera alle ore 19 e per tutta la notte la lasciai
andare, fino alle 4 del mattino. Il calderone conteneva 5 chili di soda
caustica in ebollizione. I pezzi non adatti alla saponificazione, deposti in un
bidone a parte, li versai un po’ nel gabinetto, e un po’ nel canale che scorre
vicino a casa mia. Finita l’operazione mi accorsi che nel sapone c’erano dei
pezzi più grandi. Erano delle ossa che non ero riuscita a saponificare, ma che
pure erano diventate fragilissime, tanto che si dissolvevano a toccarle. Quanto
al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno lo
macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a
un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di
pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne
mangiammo anche Giuseppe e io.»
La seconda
vittima, un'insegnante d'asilo di nome Francesca Soavi, a cui Leonarda ha
promesso un lavoro al collegio femminile di Piacenza, cade nella trappola il 5
settembre 1940. Per stornare i sospetti e per evitare di far conoscere la sua
destinazione, almeno fino a quando non sarà sicura di aver ottenuto il posto, Leonarda
la convince a scrivere delle cartoline ai familiari per scusarsi dell'assenza e
a spedirle da Correggio. Il copione si ripete, dopo averla uccisa Leonarda ruba
i pochi soldi della vittima e, con il permesso che costei le ha concesso prima
di morire, si fa carico di vendere tutte le sue cose. Il figlio Giuseppe va a
Piacenza a spedire le lettere della vittima. Leonarda non può ancora saperlo,
ma Francesca non ha mantenuto la promessa di tenere la bocca chiusa sul suo
imminente trasferimento; una vicina di casa, infatti, è a conoscenza della
destinazione della sua amica, ma non si fa avanti e la vicenda viene
dimenticata.
La terza vittima è la cinquantanovenne Virginia Cacioppo, una ex soprano di
buon successo. Leonarda attira la sua curiosità offrendole un impiego a Firenze
come segretaria di un misterioso impresario teatrale, e contemporaneamente la
stuzzica ventilandole l'ipotesi di un possibile futuro ingaggio. Anche Virginia
è pregata di non dire niente a nessuno ma ancora una volta la promessa viene
infranta; Virginia infatti si confida con un'amica la mattina stessa della sua
"partenza".
La poveretta scompare il 30 novembre 1940 quando finisce nel pentolone di
Leonarda Cianciulli che, in proposito, cosi scriverà più tardi nel suo
memoriale: «Finì nel pentolone, come le
altre due (…); ma la sua carne era grassa e bianca; quando fu disciolta vi
aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori
delle saponette cremose. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i
dolci furono migliori; quella donna era veramente dolce.»
A incastrare
Leonarda Cianciulli non sono né un errore madornale né un investigatore geniale
ma una parente impicciona e un prete avido.
Una cognata della Cacioppo
si insospettisce del suo prolungato silenzio. La donna apprende che i vestiti
di Virginia sono stati venduti da Leonarda e poi scopre della inesistenza
dell’impresario di Firenze. Avverte la questura che, messa in guardia, durante
dei controlli incappa in un Buono del Tesoro della Cacioppo depositato in Banca
da un prete di campagna. Interrogato dagli inquirenti il parroco confessa di
aver comprato il Buono da Prosperi, amico-amante della Cianciulli.
Leonarda è alle
strette. A seguito di una ispezione, vengono rinvenuti nella casa del complice
i gioielli dell'ultima vittima. La Cianciulli è arrestata e la Procura ventila
anche l'ipotesi di un coinvolgimento del figlio maggiore, Giuseppe Pansardi.
Questo viene indagato e finisce sotto processo perché pare impossibile, anche
agli avvocati, che una donna piccola e minuta come lei abbia potuto da sola
uccidere, tranciare i cadaveri, sezionarli e saponificare i corpi delle sue
vittime in così poco tempo.
A questa
insinuazione la Cianciulli
s'infuria e, nel corso del processo iniziato nel 1946 a Reggio Emilia, in mezzo
all'aula grida con forza che il figlio non sa nulla di tutta la vicenda e che
la colpa è tutta sua e propone alla corte di eseguire per loro ciò che ha fatto
alle altre donne. L'accusa sostiene che la “saponificatrice” ha agito per pura
avidità nei confronti del denaro delle sue tre vittime; Leonarda si
intestardisce a giustificare i suoi omicidi come un tributo di sangue, dovuto
alla memoria della madre morta, che le sarebbe comparsa in sogno minacciandola
di prendersi le vite dei suoi figli se lei non avesse versato sangue fresco ed
innocente in cambio di quello delle sue creature.
Si narra che,
durante il processo, sarebbe stata portata di nascosto in un obitorio per
provare le sue parole e, con l'aiuto di seghe e coltelli, sarebbe riuscita a
smembrare un cadavere in solo dodici minuti. Ma è solo una leggenda. La perizia
del professor Filippo Saporito, docente universitario e direttore del manicomio
criminale di Aversa, riesce a convincere la giuria solo della seminfermità
mentale dell'imputata.
Al verdetto il prete e il suo amante se la cavano con un'accusa di
ricettazione, ma la Cianciulli, ritenuta colpevole dei tre omicidi, delle
rapine e del vilipendio dei cadaveri, è condannata a trent'anni di reclusione e
tre anni di manicomio criminale da scontare ad Aversa.
In seguito è inviata Manicomio Giudiziario Femminile di
Pozzuoli.
Qui spesso riceve le visite dei figli, intrattiene una vivace
corrispondenza con curiosi che le scrivono, lavora ad uncinetto e cucina
biscotti e dolcetti.
Una suora del carcere ricorda che malgrado gli scarsi mezzi di cui
disponeva preparava dolci
gustosissimi, che però nessuna detenuta mai si azzardava a mangiare. Credevano
che contenessero qualche sostanza magica.
La Cianciulli continuava ad offrirli alle altre
detenute ed ironicamente, con riferimento al suo passato e portandoli in giro
per i cameroni, sussurrava: «dolcetto o
saponetta?»
Inconsapevole di imitare la filastrocca di Halloween
ora diffusa anche in Italia.
Leonarda sconta solo ventiquattro dei trenta anni di condanna; il 15
ottobre 1970 muore nel manicomio criminale, all'età di 77 anni, per apoplessia
cerebrale, venendo poi seppellita in una fossa comune del cimitero di Pozzuoli.
Fu una detenuta cordiale e socievole, leggeva
le carte a tutti ed a se stessa; diceva che nel 1970 sarebbe ritornata libera.
Giuseppe Peluso - Pozzuoli Magazine del