Giambattista Vecchioni
Un illustre puteolano al servizio dei Borbone
Dal nono volume “Memorie di Religione, di
Morale e di Letteratura”, edito a Modena nel 1826 dai “Tipografi Reali eredi
Soltani”, estrapoliamo il necrologio di un illustre cittadino puteolano.
La notizia, scritta dal cronista cav.
Francesco de Angelis, riporta che il giorno 13 febbraio 1826 cessa di vivere in
Napoli il Signor Don Giambattista Vecchioni, Gran Croce dell’ordine
Costantiniano, e già Direttore delle reali Segreterie di Stato [1].
L’abate Giuseppe De Criscio, in un suo volume,
riferisce che la nobile Famiglia Vecchioni, originaria di Nola dove è
documentata fin dal ‘500, si trasferisce a Pozzuoli nel seicento.
Non si conosce la causa di questo
trasferimento e la loro prima data certa a Pozzuoli è relativa all’anno 1700
con Andrea Vecchioni, nominato vicario generale.
Questa Famiglia solo nel 1744 è aggregata al
Sedile dei Nobili di Pozzuoli quando, unitamente alla Famiglia Migliaresi, è
ammessa al patriziato cittadino anche se non si distingue per alcun particolar
merito [2].
Il redattore del necrologio scrive che Giovan
Battista Romualdo Valentino Francesco Ignazio Benedetto Maria Giuliano Aniello
Rafaele Vecchioni nasce in Pozzuoli, città antichissima del Regno, nel di 14
gennaio 1757 alle ore 18 ed un quarto ed è battezzato il 27 dello stesso mese nella
cattedrale dedicata a San Procolo Martire.
I suoi Genitori, che furono Don Nicola e
Donna Lucrezia Migliarese Patrizi di detta città, nulla omisero onde il
prediletto loro figlio ricevesse un’ottima educazione mercé la quale potesse divenire
un giorno utile alla società ed alla patria. Egli infatti dimostrò sin da suoi
primi anni un gran talento, ed una singolare memoria. Ben presto terminò in
Napoli il corso dei studi, rendendosi versatissimo nelle lettere, nella
filosofia, nella politica, e nella giurisprudenza alla quale instancabilmente si
applica diventando un eccellente avvocato.
Un così degno soggetto non può sfuggire alla
vista del Governo che nel 1798 lo promuove alla carica di Giudice della Gran
Corte della Vicaria.
Passa poi alla carica di Consigliere del
Tribunale del Commercio; Delegato della Giunta dei Veleni; Prefetto dell’Annona;
ecc.. ecc..
In mezzo a così delicate e difficili cariche
il Vecchioni si muove sempre con fedeltà, con moderazione, saggezza, senza far
pompa dei suoi alti talenti e senza ombra di incompatibilità.
La sua fame non sfugge neppure agli occhi dei
francesi che, giunti a Napoli nel 1799, nel corso del mese di aprile lo
arrestano rinchiudendolo nel Monastero di San Francesco delle Monache,
trasformato in carcere.
Per il cronista è arrestato solo perché
conosciuto come suddito fedele, della migliore dottrina, avverso ai venti
rivoluzionari e grato ai vecchi sovrani che lo hanno meritatamente innalzato e
promosso, ma non riferisce quanto storicamente accertato. Il Vecchioni ha avuto
parte attiva nella nota “Congiura dei Baccher”. Complotto filoborbonico,
svelato da Luisa Sanfelice, avversa alla Repubblica Partenopea.
Con la prima restaurazione borbonica, e la tragica
fine della repubblica filo francese, Vecchioni ritorna libero e S.M. Ferdinando
IV (Dio Guardi) lo nomina Presidente dell’Ammiragliato; Caporuota del
Magistrato del Commercio; ed in seguito Consultore della Curia del Cappellano
Maggiore e Delegato Ordinario della Pubblica Istruzione.
Poi alla fine del 1805 c’è il ritorno dei
francesi e sul trono del napoleonico Regno di Napoli ascende Giuseppe Bonaparte.
Dati i suoi talenti di bravo magistrato Vecchioni viene da questi nominato
membro del Consiglio di Stato. Il cronista, palesemente filo borbonico,
aggiunge che questa nomina è elargita affinché possa rendere legale la
usurpazione dei transalpini e faccia decidere per la causa francese molti di
coloro che nel 1799 sono rimasti spaventati dai rigori della repubblica ed ora
si tengono nascosti ed indecisi.
Il Vecchioni però, che ha succhiato il latte
puro dalla fonte della vera morale e che ha spiegato per la legittima dinastia
dei Borbone una fedeltà sorprendente ed una viva riconoscenza, rifiuta e si
ritira a vita privata nel suo palazzo di Pozzuoli per coltivare la virtù e nutrirsi
della lettura dei migliori autori [3].
Indispettito il Capo del Governo Militare,
per non aver potuto tirare al suo partito un sì degno soggetto, lo fa arrestare
sotto effimeri pretesti e lo fa rinchiudere nel forte di S. Elmo.
Praticamente è accusato di intrattenere una
corrispondenza segreta con i Reali in esilio a Palermo mentre lui afferma che
le missive, che affida a barche che attraccano nel porto di Pozzuoli, sono
dirette ad un amico residente a Capri.
Il Vecchione, come egli stesso riporterà,
teme una condanna a morte per decapitazione, pertanto, nel marzo 1807, stila le
sue disposizioni testamentarie.
Anche il suo cronista parla di condanna a
morte ma, continua, l’onnipotente mano divina salva l’innocente suo seguace che
viene semplicemente esiliato dal Regno. Sempre per il cronista egli deve la sua
vita alle lagrime della sua desolata e virtuosa consorte, Donna Maria Rosa, la
quale, unitamente al tenero suo figlio Don Nicola, dopo aver sparsa gran copia
di aureo filosofico metallo, muove da Pozzuoli e si presenta al re Giuseppe Bonaparte
per implorar grazia.
Grazie che ottiene poiché la pena capitale è
prima tramutata in detenzione, da scontarsi alla tristemente famosa fortezza di
Fenestrelle, e poi tramutata in condanna all’esilio.
Egli parte per Torino ove resta per due anni
e quattro mesi. Passa in seguito a Clermont Ferrand, capitale dell’Alvergna e
antica provincia della Francia, e vi si trattiene per altri 18 mesi.
Ivi, riconosciuto come uomo grande che ingiustamente
ha sofferto, nel 1810 gli è accordata la grazia di poter rimpatriare. Il 29
gennaio 1811 ritorna a Napoli, dove dal 1808 regna Gioacchino Murat dopo che il
trono si è reso vacante per la nomina di Giuseppe a re di Spagna, e si ritira
nuovamente a Pozzuoli nel suo antico palazzo.
Al definitivo ritorno nel regno di S.M.
Ferdinando IV (Dio Guardi) di gloriosissima memoria, il Vecchioni il 29 giugno
1815 è promosso alla carica di Procuratore Generale presso la Suprema Corte di
Giustizia ed il 16 marzo 1816 passa alla piazza di Presidente della Gran Corte
dei Conti [4].
La sua attività presso il Tribunale
rappresenta una pietra miliare per i moderni dibattiti processuali e per il
diritto di procedura penale. Vecchioni non si limita ad assistere, accusare o
giudicare; egli è un vero attore e come tale “fa spettacolo”. Quando c’è lui
popolo e legali corrono in tribunale; i primi per gustare una esibizione unica
e irripetibile, i secondi per apprendere quell’arte che darà un primato al foro
napoletano e che sarà poi ben rappresentata dalle interpretazioni
cinematografiche di Vittorio De Sica.
Nella ribellione del 1820, e in tutto il
tempo della ridicola Costituzione, così come ancora scrive il cronista, il
Vecchioni tiene quel contegno che conveniva a si grande uomo. Il Re Ferdinando
da Firenze, nel 1821, lo nomina di “motu proprio”, non senza qualche
contraddizione, uno dei membri del Governo Provvisorio, assegnandogli il
Dipartimento dell’Interno.
In seguito gli è dato il portafoglio anche del
Ministero di Grazia e Giustizia, dell’Ecclesiastico, ed in fine quello del
Ministero della Polizia.
Tutte questa cariche ministeriali sono da
quest’insigne personaggio sostenute con zelo, e con piena soddisfazione del
Sovrano, e della Nazione.
Egli non si dimentica mai, nell’esercizio di
tali cariche, di essere stato solo un particolare; sempre si rende accessibile,
moderato, e giusto con tutti.
Attributi, tutti quelli elencati, certamente
degni di un vero uomo di stato.
Vecchioni, che tra l’altro è autore di
trattati giuridici e politici, promuove e rianima le belle arti; è attento a
far risplendere l’istruzione pubblica e ad installar nuovamente i Corpi di
religiosi che sono stati soppressi dal Governo Militare.
Si deve all’attività di questo grand’uomo, di
cui ora si deplora la perdita, il ritorno in Napoli della Compagnia di Gesù che,
scacciata dai rivoluzionari nel decennio francese, ritorna a Napoli mercé le
cure e l’inarrivabile attività del nostro puteolano concittadino.
Vecchioni si occupa moltissimo per dar
regolamento alle scuole elementari, per istituir utili riforme nei professori e
nei studenti dell’università della capitale e del regno, incaricandosi
moltissimo dell’istruzione, non che della pratiche religiose e dei costumi
della gioventù tanto trascurata e tradita.
Quantunque il Vecchioni sia instancabile,
sostenendo con zelo, ed esattezza i suddetti quattro Ministeri, pure il suo
fisico patisce da gran tempo per aver menata una vita spinosa in mezzo a tante
fatiche letterarie, non che alle pene di suo lungo esilio, ed infine per aver
perduta la prudente, fedele e virtuosa sua Consorte.
Pertanto nel 1823 Sua Maestà il Re gli accorda
benignamente l’implorato ritiro; lo decora della Gran Croce dell’Ordine
Costantiniano e gli concede un’annua pensione di ducati 5.400.
Tutti sanno però che l’ottimo attuale monarca
del Regno delle due Sicilie Francesco I (Dio Guardi), così continua il
cronista, segretamente e di continuo lo consulti, e si serva dei lumi di
tant’uomo, tutto dedicato alla Borbonica dinastia, per quei lavori che medita
per la futura felicità dei suoi sudditi.
Il Vecchioni, carico di tanti onori Sovrani,
cerca nel suo gabinetto di formare dei scritti eruditi per le Accademie del Regno
e straniere, delle quali fa parte, e di continuare a conversare coi suoi
antichi e virtuosi amici, tra i quali il celebre fu Cavaliere Poli, col fu Duca
di Lupiano, Don Gaspare Mello, con Monsignor Giunti, con Monsignor Porta, con
Monsignor Olivieri, e con altri rispettabili Personaggi.
Poi è improvvisamente rapito ai viventi, il
13 febbraio 1826, mentre si trova in carrozza a Napoli, e chiude la gloriosa
carriera della sua vita invocando soccorso da Gesù Cristo. Egli con ragione
vien pianto dall’unico suo figlio, da tutti i letterati e da tutti gli amici,
per essere stato un suddito fedele, il Mecenate delle lettere, ed il sostegno
dei compagni oppressi, come appare dallo stesso suo olografo testamento nel
1822, che è l’esempio della Cristiana Religione, lo specchio dei Padri di Famiglia,
ed il modello della vera amicizia.
S.M. Francesco I (Dio Guardi), all’annuncio
infausto della morte di così degno soggetto, ordina che gli siano resi tutti
gli onori dovuti al suo rango da tutta la Magistratura, e da tutti i Direttori
delle Reali Segreterie di Stato.
Giuseppe Peluso
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