mercoledì 17 febbraio 2016

Le ricerche della corvetta Daino a Baia



Corvetta Daino
Archeologia subacquea nel mare di Ulisse

L’archeologia subacquea è una disciplina piuttosto recente; solo all’inizio del novecento cominciano a datare le prime scoperte e solo negli anni ’50 vengono promossi i primi scavi sottomarini, condotti con metodologie più rigorose, finalizzati alla ricerca di reperti.
A metà di quegli anni è in corso di formazione, ad Albenga, un gruppo di archeologia subacquea che cerca di acquisire esperienza con le prime e pazienti prove, sotto la direzione del prof. Nino Lamboglia [1].


Nel 1958, dopo che questo gruppo iniziale ha acquistato esperienza e consistenza, avviene la definitiva e ufficiale costituzione del “Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina” ed il seguente 2 luglio durante il “II Congresso Internazionale di Archeologia Sottomarina”, sempre ad Albenga, i partecipanti lanciano la richiesta di una nave destinata alla ricerca archeologica.
Così si esprime Nino Lamboglia, riferendosi al relitto di Spargi, al suddetto Congresso: «Sono quindi ben contento che il caso e l’entusiasmo del dott. Gianni Roghi ci abbiano sospinto a cercare la nave adatta per un nuovo esperimento in Sardegna. La Sardegna è ricchissima di giacimento sottomarini e basta soggiornarvi qualche tempo per avere notizie di decine e decine di giacimenti o ritrovamenti casuali lungo le sue coste, difficili da controllare».
Questo voto di speranza è reso realtà nello stesso anno dal VII Congresso Internazionale di Archeologia Classica tenutosi a Roma; grazie all’intervento del Ministero della Pubblica Istruzione (Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti) e l’appoggio del Ministero della Difesa Marina. La Marina Militare destina nave “Daino” alle ricerche archeologiche subacquee e oceanografiche ed a tale scopo è riadattata alla nuova destinazione tra i mesi di marzo e maggio del 1959, presso l’Arsenale di La Spezia.

La “Daino”, che unitamente alle gemelle “Antilope” e “Gazzella” appartiene ad una classe di ex dragamine germanici, è stata costruita nei cantieri "F. Schichau Werft" di Koenigsberg, varata il 19 ottobre 1944 e consegnata alla Kriesgsmarine il 17 gennaio 1945 con sigla “M 803”.
Ha uno scafo con corto castello seguito da una tuga sistemata tra il centro e la poppa. L’albero è a tripode e dietro di esso c’è un grosso fumaiolo; l’ampia poppa è circondata da un parapetto metallico.
La lunghezza è di metri 67.75, la larghezza di metri 9.0, l’immersione di metri 2.68, il dislocamento è di 821tn a pieno carico.
L’apparato motore è a vapore e la combustione delle caldaie a carbone, combustibile adottato causa la scarsità di nafta nella Germania in guerra; la potenza è di 2150hp che imprimono una velocità di 17 nodi.
L’armamento è costituito da due cannoni da 105/45mm sistemati uno a prua ed uno a poppa in postazioni scudate; da due mitragliere da 37/57 sistemate una su di una sovrastruttura davanti alla plancia ed una dietro al fumaiolo; su di una sovrastruttura a poppa c’è un complesso quadrinato da 20/65 ed altri 4 pezzi singoli di questo calibro sono attorno alla plancia. Naturalmente è presente l’attrezzatura per il dragaggio ed, in alternativa, i binari per il trasporto di 24 mine oppure bombe di profondità antisommergibili.
Sono, con 107 uomini d’equipaggio, riuscitissime unità adatte al pattugliamento, alla scorta antisommergibile ed antiaerea, utili come posamine oltre che validi dragamine. 821t

Al termine del conflitto, nel maggio 1945, è catturata dagli Stati Uniti e la “U.S.Navy” gli assegna la sigla “US 36”; il 27 luglio 1945 passa in gestione alla “German Mine/Sweeping Administration” (GM/SA), l'ente americano che nell’immediato dopoguerra, con navi ed equipaggi tedeschi, si incarica del dragaggio delle acque del Baltico e del Mare del Nord. Finito questo servizio il 14 novembre 1947 passa a “Office of the Military Government/US (Amministrazione Militare Americana in Germania – OMG/US).
Nel febbraio 1948 è affittata alla società "L. Nimitz" che ne progetta la trasformazione in “Casa Galleggiante” (Wohnschiff) per essere utilizzata quale nave caserma dalla polizia di Amburgo; nella zona d’occupazione britannica.  Qui di case rimaste in piedi ce ne sono un po' poche, insieme ad altre unità avrebbe dovuto anche incrementare le sovrastrutture per aumentare le capacità di alloggio.

Ma poi gli americani decidono, nell’aprile 1949, di assegnarla all'Italia che dal febbraio ha aderito alla “N.A.T.O.”; passaggio questo che avviene il 20 Luglio 1949 e nella Marina Militare Italiana riceve la classificata di nave ausiliaria con sigla "B 2".
Secondo l’esperto De Domenico le curiose sigle B 1/B 2/B 3 assegnate ai tre ex dragamine tedeschi, derivano dal luogo di presa in consegna, Bremerhaven, base navale americana, ovvero enclave all'interno della zona di occupazione inglese della Germania post-bellica; all'epoca la zona di occupazione americana non ha sbocco al mare.

Presso l’Arsenale di La Spezia le tre unità subiscono lavori di riassetto generale con sbarco dell’armamento tedesco e delle apparecchiature di dragaggio. In seguito, anche perché si deve ricorrere a fuochisti civili per mancanza di adeguato personale militare, le tre unità subiscono la trasformazione delle caldaie e la combustione passa da carbone a nafta. Sono quindi riclassificate come navi pattuglia, dal 1 gennaio 1950, e rinominate “Antilope”, “Daino” con sigla “DI” e “Gazzella”.

Dal 1 ottobre 1953 assumono la classificazione di Dragamine Meccanici, la “Daino” con sigla NATO “M 5339”, senza tuttavia reimbarcare l’apparecchiatura per il dragaggio [2].


Il 1 giugno 1956 assumono la classificazione di Corvette (La “Daino” assume la sigla NATO “F 541”) e, all’armamento cannoniere composto da un pezzo da 100/47 e tre mitragliere da 40/56, aggiungono a prua un porcospino ed a poppa due lanciabombe e due tramogge antisommergibili [3].


Intanto la più usurata “Antilope” è radiata nel corso del 1958; la “Gazzella” è trasformata in nave scuola per i cadetti nel 1960, e la “Daino”, protagonista di questa storia, trasformata in nave ricerche archeologiche sottomarine, assumendo la sigla NATO “A 5308” [4].


Benché di piccolo tonnellaggio ha una buona lunghezza e, al vantaggio di un pescaggio minimo, aggiunge una larga estensione dei ponti di coperta; praticamente una disponibilità di spazio relativamente grande in relazione alla stazza. Tra marzo e maggio 1959 la “Daino”, sempre presso l’arsenale di La Spezia, è riadattata alla nuova destinazione; sono aboliti cannoni, mitragliere ed ogni altro impianto bellico; riducendo di conseguenza il numero dei componenti dell’equipaggio a 54 uomini, ottenendo così lo spazio per alloggiarvi sommozzatori e personale civile degli Istituti di Ricerca.
I picchi di carico sono rinforzati e muniti di verricello elettrico munito di lunghi cavi per rendere possibile il recupero di oggetti pesanti a buone profondità; allo stesso fine è perforato il ponte di coperta mettendolo in comunicazione con la stiva che così diventa deposito di reperti.
Al posto dei precedenti battelli da salvataggio a bordo sono collocate una motolancia da 7,50mt per palombari; una motolancia da 6,40mt per collegamenti e due battelli appoggio con motori fuoribordo.
A poppa è ricavato un locale sommozzatori, con armadi e spogliatoi, ed a prua un dormitorio per 10 sommozzatori civili; inoltre si ricava un alloggio per il Direttore Archeologo ed un altro alloggio per tre Assistenti Civili [5].


A centro nave è sistemata una sala operativa nella quale sono concentrati il lavoro di disegno, biblioteca, assistenza archeologica, ed altro; essa è collegata con la plancia dove c’è il comandante al quale resta la responsabilità marinaresca e militare della nave.
Un locale è trasformato in gabinetto fotografico munito di moderne apparecchiature subacquee; l’infermeria è completamente rammodernata e vengono installati due potenti compressori Junkers, oltre un compressore più piccolo, fornito dal Ministero della Pubblica Istruzione, che servirà ad azionale la “sorbona”, un particolare aspiratore subacqueo. La nave è fornita di ecoscandaglio utilissimo nella prospezione dei siti, data la sua capacità di percepire “anomalie” volumetriche sui fondali. Le possibilità di impiego dell’ecoscandaglio sono intuite da Lamboglia già nello stesso 1959 quando fa effettuare dalla “Daino” più passaggi, con rotte diverse, sul relitto di una nave romana fuori Albenga. Lo scandaglio sonoro in quella occasione traccia un grafico che segnala solamente un rialzo del fondale corrispondente alla sagoma della nave.
Altro pressante problema, caldeggiato dal prof. Lamboglia, e quello della sicurezza.
In attesa del finanziamento per l’acquisto di una camera di decompressione si costruisce una campana che possa fungere come tale. Nello stesso tempo questo aggeggio, una vera e propria torretta batoscopica, funziona da appoggio ai sommozzatori ed inoltre consente all’archeologo, che non si immerge, di seguire dal suo interno lo scavo subacqueo [6].


Al termine dei lavori il 5 giugno 1959 è sottoscritta una convenzione tra i Ministeri della Difesa Marina e della Pubblica Istruzione dove sono regolati gli interventi; successivamente è stipulata una convenzione, tra il Ministero della Pubblica Istruzione e l’Istituto di Studi Liguri, per l’esecuzione di ricerche archeologiche sottomarine lungo le coste italiane.
La “Daino” inizia la prima campagna in Liguria, ad Albenga, e poi si reca nelle acque della Sardegna già nella seconda metà di agosto del 1959, pochi mesi dopo il suo nuovo “varo”, per la seconda campagna di scavo presso il relitto di Spargi.
In seguito, il primo settembre dello stesso 1959, su invito del prof. Amedeo Maiuri, giunge nel Golfo di Pozzuoli iniziando la sua campagna di ricerca nel seno di Baia.

Per quanto riguarda l’archeologi sottomarina della zona di Baia così scrive Amedeo Maiuri nel 1958: 

«Trent’anni fa si dragava il piccolo porto di baia che, a quel tempo, oltre ai velieri che vi ormeggiavano per il carico della pozzolana, serviva anche per l’attracco dei battelli della linea per Procida ed Ischia. Ma i fondali erano bassi e gli approdi rischiosi; le carte dell’Ammiragliato segnavano secche sommerse dal limo; occorreva una draga ed una benna robusta per rimuovere dal fondo quelle secche. Incominciato il lavoro e calata in acqua la benna per addentare e divellere, si vide che in luogo di secche e di scogli, venivano tra le mascelle della secchia brandelli di fabbrica, pezzi di pavimenti a mosaico, frustali di marmo e qualche membro dilacerato di statua. Era il lido di Baia che riassommava dal fondo delle acque, il lido della Baia sommersa dal  bradisismo che l’aveva sprofondata lentamente nei secoli, in un millennio e mezzo almeno di anni.»

Dopo una lunghissima serie di rinvenimenti occasionali con il recupero di varie decine di sculture il ninfeo di Punta Epitaffio è per la prima volta messo in evidenza dal prof. Nino Lamboglia che inizia un rilievo volto a determinare la morfologia dei complessi architettonici di Baia i quali dalla collina continuano per centinaia di metri in mare, fino a 16 metri di profondità.
Le ricerche subacquee sono state precedute da rilievi aerofotografici e studiati dallo stesso Maiuri; ma mentre le costruzioni sommerse di Pozzuoli sono state tradotte sulla carta, almeno complessivamente, quelle di Baia, per la acque quasi sempre torbide, presentano difficoltà alle foto aeree e subacquee.

Si sceglie il rilevamento diretto da parte dei sommozzatori e come punto di riferimento e partenza è presa Punta Epitaffio. Il mare antistante è diviso, mediante la collocazione di gavitelli, in 24 quadrati numerati in modo da dare una carta archeologica totale della Baia sommersa [7].


Subito ci accerta che l’estremo limite delle costruzioni si trova ad 800 metri da Punta Epitaffio ad un massimo di 18 metri di profondità; una serie di enormi blocchi di muratura segna l’antica linea di costa. Internamente ad essa si dipartono strade e resti di edifici la cui interpretazione risulta difficile per i sommozzatori, ma il dott. Gianni Roghi vede che la stessa linea di costa piega verso l’interno del porto di Baia formando una insenatura o porto artificiale. Purtroppo le moderne installazioni portuali e la presenza di navi in carico o in disarmo rendono difficile estendere le indagini.

Si rinforza la squadra dei sommozzatori con tre studenti in architettura di Napoli e si cerca di stabilire pianta, sezione e orientamento generale dei reperti affidandone il rilievo di dettaglio ad una seconda squadra operante in contemporanea con la prima. Nella lancia da palombaro è creata una specie di sala disegno navigante che trascrive immediatamente le misure prese sul fondo [8].

In 20 giorni è così possibile tracciare la pianta di circa metà del quadro “I°” ed il risultato acquisisce enorme valore dal punto di vista sperimentale, creando i presupposti per una esplorazione sistematica e continuativa; a tale scopo sono fissati sul fondo i punti topografici dei gavitelli per la ripresa delle ricerche in tempi successivi poiché il programma del 1959 è interrotto da mancanza di fondi e da ostacoli burocratici.

Dieci anni più tardi, proprio dove hanno avuto luogo le ricerche del Lamboglia, sono rinvenute dal “Gruppo Subacquei di Baia” e dai sommozzatori del nucleo Carabinieri due statue, ancora in piedi nella collocazione originaria, nell'abside di un grande edificio rettangolare di cui si intravedono appena i contorni superiori affioranti dal fondo marino. Anche le statue emergono dalla sabbia solo con la testa, che perciò risulta sfigurata dai litodomi. Si riconosce in esse due dei protagonisti della celebre scena omerica dell'inebriamento di Polifemo da parte di Ulisse. Da un lato dell'abside è, infatti, collocata la statua dell’eroe di Itaca che porge la coppa di vino al ciclope; dall'altro, quella di un suo compagno raffigurato nell'atto di versare altro vino da un otre.
Oltre queste due altre cinque statue sono state rinvenute [9], 

di cui la più bella e integra è di Dioniso giovane e una statua di una probabile figlia di Claudio. Ora nella Torre Tenaglia del Castello di Baia, presso il Museo Archeologico Flegreo, è allestita la mostra permanente del ninfeo di Punta Epitaffio ed esso appare come una sorta di “galleria” di ritratti dinastici della gens Claudia [10].

Negli anni seguenti nave “Daino” riprende le sue campagne di ricerche nelle acque di tutta la penisola italiana, ma questo esula dal nostro intento. Nell’anno 1964 è messa in disarmo, per totale mancanza di fondi, è nel 1966 è avviata alla demolizione.

Anche in questo Nino Lamboglia dimostra un’impressionante capacità di preconizzare quale sarebbe stato il destino di questa unità e di coloro che ne avrebbero dovuto fruire, come mezzo operativo, se la sua gestione fosse stata affidata alle competenze del Ministero e alle abituali procedure burocratiche. Così scrive ad un amico nel 1959: «Non sognarti neppure che un’attività simile possa essere sostenuta e finanziata coi normali uomini e sistemi della nostra amministrazione statale e col controllo della Corte dei Conti: naufragheremo alla prima settimana…Vorrei convincerti precisamente da questo esempio (riferendosi ad Angelo Rizzoli che ha finanziato la prima campagna sul relitto di Spargi), che il modo migliore per servire lo Stato e la nostra amministrazione è proprio quello di fare tutto quello che si può dal punto di vista contabile e formale, fuori dalle pastoie amministrative…Non devi dimenticare che, se non ci mettessimo sotto il dichiarato usbergo del Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina la nave archeologica sarebbe ben presto in balia dei vari dilettanti sportivi e giornalisti, degli archeologi che fanno poesia e dei deputati delle varie regioni italiane».

BIBLIOGRAFIA
AA.VV – Forma Maris Antiqui – 1959
F. Pallares – Vecchie e nuove esperienze nell’archeologia subacquea – 2004
F. Pallares – L’attività del centro sperimentale di archeologia sottomarina - 1984
R. Petriaggi, Nino Lamboglia, l’archeologia subacquea e la burocrazia – 2007
G. De Pasquale – Collezione privata - 2015
G. Galuppini – Guida alle navi d’Italia - 1982

1 commento:

  1. Ottima ricerca complimenti per questo meraviglioso servizio sulla storia archeologica subaquea flegrea .Grazie

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