L’enorme polpo che rubava nei malazè
Eliano racconta dei furti subiti dai mercanti
puteolani
Dell’erudito Claudio Eliano, nato a Preneste (odierna
Palestrina - Roma) intorno al 170 d.c., ci danno notizie Flavio Filostrato, suo
contemporaneo, e Suida, una enciclopedia storica del X secolo scritta in greco.
Eliano si considera a buon diritto romano
anche se proprio in Preneste copre l'ufficio di “gran sacerdote”. Non ha moglie
né figli ed è, tra il 190 e il 197 d.C., scolaro del sofista Pausania di
Cesarea. Poiché Filostrato c'informa che visse più di 60 anni, possiamo pensare
che sia morto intorno all’anno 235.
Della sua opera maggiore “Sulla natura degli animali” ci
restano solo 17 libri, qua e là modificati, una prefazione e un epilogo. Con
essa Eliano si propone di dimostrare che gli animali hanno anch'essi, come
l'uomo, sentimenti quali la giustizia, l'affetto, la devozione, l'odio, la
gelosia e anche la crudeltà.
Secondo Eliano il confronto tra la vita degli
animali e quella degli uomini non è favorevole a questi ultimi.
Un'infinità di esempi, di aneddoti, di storie
meravigliose servono a mettere in rilievo la fedeltà dei cani, o la docilità
degli elefanti, o l'intelligenza musicale dei delfini, ecc., e tutto questo è
ben narrato e documentato nonostante Eliano si vanti di non aver mai
oltrepassato i confini d'Italia e di non aver mai viaggiato per mare.
Nel “Terzo Libro” della citata sua opera
racconta delle affascinanti avventure di un polpo nella Puteoli Imperiale.
L’animale, pur vivendo nel mare, sale sulla terra per divorare animali terrestri e poi, non
sazio, si dà a saccheggiare il pesce affumicato che alcuni mercanti conservano
in un magazzino. Il polpo, camminando attraverso certi condotti,
raggiunge i “malazè” dei nostri antenati facendo gran preda di cose salate.
I mercanti puteolani s’accorgano dei danni ma
non sanno chi ne sia l’autore; pertanto decidono di mettere un uomo di guardia,
armato di uncino.
Quella notte, al chiarore della luna, questa
sentinella vede arrivare il ladro marino che, raggiunto il deposito, rompe i
grossi vasi stringendoli fortemente; quindi divora i cibi che vi sono
custoditi.
Al guardiano pare così grande e mostruoso
che, quantunque egli sia tutto armato e di animo molto audace, non ha il
coraggio di affrontarlo e aspetta che faccia giorno per riferire il tutto ai
suoi compagni.
Questi, per accertarsi di cosa esattamente sia
e liberarsi da così insidioso nemico, si forniscono molto bene di armi e decidono
di mettersi in agguato per la notte che verrà. In questa azione sono accompagnati
da molti altri pescatori e pescivendoli; tutti allettati dalla curiosità senza però
stimare l’eventuale pericolo che il mostro possa rappresentare.
I puteolani del secondo secolo conoscono, da come
scrive Plinio, la forza del polpo che con le sue zampe rompe i ricci marini e
le coperte delle ostriche che sono dure come le pietre. Con le sue stesse
zampe, continua Plinio, cinge a volte gli uomini che nuotano e con le tante
bocche che hanno succhiano loro il sangue e li uccidono. Non vi è animale di
lui più terribile e più forte per uccidere l’uomo nell’acqua; molte volte, con
i suoi lunghi tentacoli, lo rapisce dalla stessa nave.
I nostri superano la paura e la notte
successiva, quando il polpo arriva nel “malazè”, l’affrontano spavaldi; dopo
lungo combattimento e grande fatica riescono ad ucciderlo.
Riescono così a fare una notevole pesca, però
non con le reti ma con le armi; e non nell’acqua, ma nella terra asciutta.
In questo modo conclude Eliano, con
l’acquisto di questo pesce fresco, si ricompensano il danno subito con la
perdita del pesce salato.
Puteoli del II secolo d,c. - Rricostruzione di Jean-Claude Golvin
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