giovedì 16 ottobre 2025

Goniostadiometro

 




Goniostadiometro! Chi è costui?

Le Officine Galileo nelle memorie di 

Giulio Martinez

 

Nel 1896 il napoletano ingegnere Giulio Martinez acquista le “Officine Galileo”, fondate a Firenze nel 1862 (1).



Da sempre la Famiglia  Martinez è con la Real Marina Borbonica; nel 1743, con la flotta organizzata da Re Carlo per contrastare i barbareschi, si mette in luce Giuseppe Martinez, nato a Cartagena nel 1702 e giunto a Napoli nel 1732. Giuseppe, comandante della galera "Sant'Antonio", per le sue gesta ardite assume la dimensione di un eroe quasi leggendario; a Napoli è popolarmente acclamato come "Capitan Peppe" [2].



In seguito Gabriele Martinez sarà Ammiraglio; il fratello Errico ingegnere e Capitano di Vascello; l’altro fratello Ernesto ingegnere e Tenente Generale del Genio Navale e il di lui figlio Giuseppe sarà Contro Ammiraglio.

L’ultimo fratello, Edoardo Martinez, sarà ingegnere e poi guardiamarina; grado che ricopre quando nel 1866, unitamente al fratello Gabriele, partecipa alla battaglia di Lissa.

 

Nella Famiglia Martinez tutto parla di navi e di mare, ma Giulio Martinez, figlio dell’ammiraglio Gabriele, nel 1895 lascia la Regia Marina Italiana, dove non prevede una rapida carriera, e arriva a Firenze con il padre per recarsi presso le “Officine Galileo” con l’intenzione d’acquisirne una partecipazione.

Entrambi non hanno molta pratica del capoluogo toscano, benché il Padre vi sia stato destinato nel ‘68 al tempo del suo matrimonio, e non sanno dove sia l’officina. Saliti in fiacchere, al tubato fiaccherai, domandano se conoscesse dove era la Galileo e questo risponde: “E chi non conosce l’Officina Galileo?”

Arrivati che furono, oltre l’allora barriera daziaria, chiedono del Direttore e il padre fa passare la sua carta da visita che porta l’indicazione “Vice-Ammiraglio in posizione ausiliaria”.

Il Direttore Golfarellis li riceve nel suo alquanto disordinato ufficio e poi li fa visitare lo stabilimento informandoli che la Fondazione proprietaria desidera liberarsi della Galileo [3].



L’officina ha dato ingenti guadagni negli anni precedenti ma ora, cessati i lavori militari e mancando di mercato civile, richiede continuo aiuto finanziario che il proprietario “Istituto Agrario Vegni” non può darle, senza sacrificare la Fondazione voluta dal Vegni.

 

Giulio Martinez trasforma l’iniziale officina in una delle maggiori industrie italiane di ottica e meccanica di precisione; imprimendogli una svolta importante. Ma, nelle sue memorie, descrive con semplicità e chiarezza le difficoltà incontrate, i successi ottenuti, la scelta dell'innovazione, i contatti internazionali e i rapporti cordiali con il personale tecnico.

Inizia la produzione di periscopi, proiettori e telemetri per il Ministero della Marina; nel mentre la produzione di strumenti didattici e da laboratorio passa in secondo piano e anche se nel campo dell'ottica astronomica le “Officine Galileo” continuano a realizzare telescopi di grande potenza per vari osservatori.

 

Giulio narra che quando prende il comando della Galileo quello che ne era il vice-direttore, Paolo Triulzi, lascia l’officina e il ruolo che in essa ricopre, senza avergli mai parlato.

Triulzi, che collabora alla Galileo fin dal 1880, è un disegnatore progettista e tecnico di grande valore che realizza diversi tipi di Telemetri; in seguito sarà comunemente riconosciuto come il padre del periscopio per sommergibili.

Strumento inventato quando la Galileo è ufficiosamente invitata, nel Febbraio del 1901, dal Comandante del “Delfino” (primo sottomarino italiano costruito in gran segreto nell’Arsenale di La Spezia tra il 1890 e il 1892) a studiare il problema dell’assenza di visibilità con il battello in immersione.

Martinez, saputo delle competenze del Triulzi, lo fa richiamare riconoscendogli i grandi meriti e stipula una convenzione di collaborazione con lui e col Maggiore Scipione Braccialini insieme al quale si occupa di terminare in gran segretezza, e in un locale dal quale anche lo stesso Giulio Martinez è rimasto escluso, uno speciale telemetro che, dal suo inventore, sarà brevettato come “Goniostadiometro Braccialini” [4].



Questo è uno strumento che misura la distanza, la velocità e la direzione delle navi; in pratica un avanzatissimo telemetro da costa richiesto dalla marina imperiale giapponese; un bellissimo prodotto meccanico cui lavorano riservatamente solo pochi tecnici ed operai.

Quando è terminato lo Goniostadiometro parte per Porto S. Stefano ed è sistemato sulla costa dove si fanno degli esperimenti che hanno buon esito determinando una ordinazione di 6 o 7 apparecchi da parte della Imperiale Marina giapponese.

Per tutto il 1898, e anche più, gran parte dell’officina è occupata in questo lavoro che permette una discreta tranquillità finanziaria [5], ma nel contempo si decide di costruirne uno in più in modo che i tecnici della Galileo possano utilizzarlo per saggiare miglioramenti e adattamenti.

Poco dopo, nell’autunno dello stesso 1898, questo “Goniostadiometro Braccialini”  è installato a Pozzuoli per farne dei collaudi in via sperimentale.

Le varie prove sono effettuate con l’appoggio logistico della Armstrong il cui direttore è, dal 1889, Roberto De Luca zio di Giulio Maritinez.

De Luca è un ex ufficiale di Marina presso la quale è stato alto dirigente della Divisione Difesa Costiera; un ruolo importante per la casa inglese, visto che l’Armstrong vende anche cannoni destinati alla difesa delle coste.

La base principale del Goniostadiometro è collocata fuori del Cantiere, a strapiombo sul Terrazzo Marino della Starza, presso quel gruppo di case costruite espressamente per ospitare le maestranze venute dall’Inghilterra [6].



All’interno di questo piccolo villaggio c’è la grande villa destinata al direttore del grande opificio puteolano che, come ricorda Martinez nelle sue memorie, è in quel momento occupata dalla Famiglia del vice direttore conte Alessandro Pecori Giraldi.

Alessandro è fratello di Guglielmo Pecori Giraldi, che sarà Maresciallo d’Italia e poi Senatore, ed è padre di Corso Pecori Giraldi. Corso, che proprio in questa villa nasce il seguente anno 1899, coprirà la carica di Capo di Stato Maggiore della Marina Militare dal 1955 al 1962 [7].

 


I tecnici della Galileo utilizzano uffici e sale tecniche dell’Armstrong per fissare i loro appunti e sistemare i loro disegni.

C’è poi la benevole collaborazione della Regia Marina, la quale dispone che una torpediniera faccia delle corse su rotte determinate nel golfo di Pozzuoli. Questa piccola unità militare va avanti e indietro compiendo un percorso tra l’estrema punta del lungo molo del Cantiere Armstrong e la “meda”, che in seguito sarà famosa come “Torre di Pulcinella”, emergente dai ruderi del Portus Julius, davanti Lucrino [8].



Queste prove nel golfo di Pozzuoli dimostrano come col Goniostadiometro possano determinarsi esattamente le rotte seguite e come si possa facilmente determinare la velocità delle navi.

 

Nei sui ricordi Giulio Martinez aggiunge qualche nota folkloristica come quando un giorno viene ad assistere agli esperimenti anche un ufficiale diartiglieria ed insieme hanno una colazione, consumata presso la mensa interna al Cantiere Armstrong di Pozzuoli.

Un’altra volta va a fare colazione in un’osteria vicina; con molta probabilità il “Restaurant La Sirena” condotto dalla Famiglia Mavilio; gli servono un eccellente piatto di spaghetti al pomodoro che non può esimersi dal richiedere il bis, nonostante che occorra un quarto d’ora per poterli ricevere (sic!) [9].



 Scipione Braccialini è assai soddisfatto delle prove ed inizia una campagna tendente ad ottenere un’ordinazione dal Ministero della Marina o da quello della Guerra; cosa che gli riesce nel 1912 quando i suoi strumenti sono inseriti nelle stazioni goniostadiometriche delle batterie costiere in massima parte munite di cannoni e cupole corazzate prodotti dalla Armstrong di Pozzuoli.

 

 GIUSEPPE PELUSO 

Pubblicato la prima volta a settembre 2019 sul Notiziario del "Centro Studi Tradizioni Nautiche" della Lega Navale Italiana.

 

REFERENZE

G. Franceschini, O. Martinez - La Galileo nelle memorie di famiglia di G. Martinez

A.M. Trivulzio, S. Triulzi - Paolo Triulzi Inventore del periscopio per sommergibili

L. Bennati - Il generale Scipione Braccialini

 


venerdì 10 ottobre 2025

Le origini di Dicearchia

 


C’ERA UNA VOLTA DICEARCHIA – LA CITTA’ DEL GIUSTO GOVERNO

UN PICCOLO INSEDIAMENTO DEGLI ESULI DI SAMO

 

Le notizie sull’esistenza di Dicearchia provengono principalmente da due fonti classiche; lo storico greco Polibio e il poeta romano Gaio Lucilio.

Se mettiamo in dubbio i loro scritti, in merito a quanto riportano sulle origini della nostra città, dovremmo poi diffidare delle altre loro preziose cronache. Per il greco Polibio, che su Dicearchia riporta testimonianze orali di antiche tradizioni greche, dovremmo mettere in dubbio tutto quanto ha poi scritto in merito alla storia di Roma del periodo repubblicano. Per il romano Lucilio, che su Dicearchia riporta notizie apprese da antichi testi greci andati persi, dovremmo mettere in dubbio tutti i riferimenti storici cui accenna nelle sue opere.

Tuttavia la quasi totale assenza di testimonianze archeologiche greche a Pozzuoli, pur tenendo conto delle enormi trasformazioni dei luoghi causate dalla natura vulcanica, dal bradisisma e dalla profonda opera di risistemazione che il luogo ha dovuto subire, pone seri dubbi sulla consistenza e la durata dell'insediamento samio.

In ogni caso esso deve essere stato di limitate dimensioni e Dicearchia non dovrebbe aver mai avuto statuto di città. La tradizione dominante vuole che sia stata fondata intorno al 530 a.C. da un gruppo di esuli Sami che le danno quel nome col quale è conosciuta dalla storiografia greca. Un'altra tradizione, più recente, vuole invece che Dicearchia sia stata solo un porto (epìneion) dei Cumani.

La contraddizione tra queste due notizie è solo apparente. E’ molto probabile che i Cumani abbiano impiantato uno di quegli scali che, come Partenope e Miseno, garantisca loro il controllo del Golfo di Napoli.

I Sami sarebbero apparsi sulla scena in un secondo momento dando alla località il nome di Dicearchia “La città del giusto governo”, e questo per commemorare le circostanze del loro stanziamento motivato dall'affermarsi di un ”ingiusto governo” tirannico nella patria che hanno dovuto abbandonare.



Naturalmente l’esodo da Samo non è stato di massa, come molti puteolani oggi immaginano; sarà stata la fuga di una “elite” di possidenti e politici contrari al sistema instaurato con prepotenza dal tiranno Policrate. Analogamente il filosofo Pitagora, anche lui un possidente di Samo, lascia l’isola per motivi politici in quanto non approva la tirannide di Poilicrate.

Personalmente mi piace paragonare gli esuli di Samo ai Padri Pellegrini che nel 1620 sbarcano in Nord America e fondano una colonia di puritani. Ad abbandonare l’Inghilterra, e imbarcarsi sul Mayflower, sono solo in 102 (52 uomini, 18 donne e 32 bambini); durante il viaggio molti si ammalano e alcuni muoiono, ma i superstiti portano con loro sani principi di democrazia.

Tradizione vuole che i Padri Pellegrini mettano piede per la prima volta in America nel sito dove si trova la Roccia di Plymouth (nome dato in ricordo del porto da cui sono partiti) ma, non essendoci oggi visibili evidenze architettoniche, non ci sono prove storiche che lo confermino. Eppure questa cittadina e questo avvenimento rivestono un ruolo essenziale nella tradizione e nella storia degli Stati Uniti d’America.

Come i Padri Pellegrini scappati dal Regno d’Inghilterra così un gruppetto altrettanto eseguo di coloni sami scappa dal Regno di Policrate. Nonostante questo re-despota porti l’isola al massimo splendore artistico e culturale, governa Samo con tirannia allo scopo di ottenere la supremazia sull’intero Egeo.

I fuggiaschi, forse pochi e su di una sola nave come sarà poi per il Mayflower, approdano in terra flegrea e con il consenso di Cuma fondano la città di Dicearchia.

Data l’esiguità dei fuggiaschi, dopotutto a Samo ci si vive bene e son pochi i dissidenti di Policrate, e data la breve durata della colonia, oggi non esistono tracce del suo insediamento.

Probabilmente anche Dicearchia, come il primo insediamento dei Padri Pellegrini americani, è stato un piccolo borgo e, contrariamente a molti altri insediamenti greci radicati su ambiti promontori, è stato eretto in riva al mare.

Quasi certamente a ridosso del molo a formare un piccolo borgo fortificato; proprio come esisteva nella natia Samo.

Dove sono oggi i suoi resti?

Sommersi, per effetti bradisismici, e probabilmente appena visibili nel 215 a.C. quando, per evitare che Annibale se ne impadronisse, i romani fortificano quella rocca che sarà il cuore della Puteoli imperiale.

L’attuale fase ascendente, fonte di danni ed ansie, potrebbe un domani svelare le nostre origini.



GIUSEPPE PELUSO

Articolo pubblicato inizialmente ad aprile 2025 su:

"Segni dei Tempi"


mercoledì 17 settembre 2025

Mare e Cielo a Pozzuoli

 




MARE E CIELO A POZZUOLI

Un primato di volo conseguito nel golfo puteolano

 

I Campi Flegrei hanno avuto un importante ruolo nella storia del volo; da quello mitologico di Dedalo, che atterra a Cuma e vi costruisce il Tempio di Apollo, a quello storico dell’Aeronautica che a Pozzuoli ha costruito la sua Accademia.

Da segnalare inoltre che in questo golfo il Tenente di Vascello Bruno Brivonesi nel 1914, con un traballante idrovolante, raggiunge i mille metri di altitudine; un primato mai raggiunto prima da questa tipologia di aeromobili.

 

Bruno Brivonesi, nato ad Ancona nel 1886 e morto a Roma nel 1973, è stato un ammiraglio italiano che ha preso parte alla guerra Italo-Turca, alla Prima ed alla Seconda Guerra Mondiale.

Suo nonno e suo Padre (entrambi marinai) sono originari di Rovigno, in Istria, dove il loro cognome autentico è Brionesi; ossia abitanti dell’isola di Brione.

Nel 1903 inizia il primo anno di corso presso l’Accademia Navale di Livorno da dove ne esce nel 1906 con la nomina a Guardiamarina.

E’ subito imbarcato sulla corazzata Regina Margherita con la quale nel 1908 contribuisce ai soccorsi in favore dei terremotati di Messina.

Fa poi domanda di partecipazione ai corsi per pilotare i primi dirigibili della Regia Marina ed appena brevettato è sulla navicella che porta in alto Re Vittorio Emanuele III, primo sovrano al mondo ad effettuare una ascensione.

Con queste aeronavi a fine 1911 partecipa in Libia alla campagna militare volta all’occupazione di questa colonia.

Lascia Tripoli nel gennaio del 1913 e, dopo il momentaneo imbarco su di un rimorchiatore, è destinato alla corazzata Dante Alighieri appena entrata in servizio [2].



 Il Comando Marina ha intenzione di provare ad imbarcare su questa unità un velivolo “Curtiss Flying Boat”. Nello stesso 1913 è indubbiamente l’anno si svolta nella storia dell’aviazione navale. Il Capo di Stato Maggiore Amm. Paolo Thaon de Revel istituisce ufficialmente una Sezione Autonoma Aeronautica; pertanto invita Brivonesi a frequentare il primo corso di pilotaggio per idrovolanti; gli aspiranti pilota sono cinque e alla fine Bruno riceve la tessera con il brevetto N. 5 di Pilota per Idrovolanti.

 

Brivonesi ritorna a bordo della corazzata e dopo un inizio rocambolesco, che meriterebbe essere narrato, prende sempre più confidenza con il suo piccolo apparecchio al quale si affeziona e dal quale cerca di ottenere il massimo rendimento.

Ed è così che la Dante Alighieri diventa la prima unità della Regia Marina ad imbarcare un aereo, seppure in via sperimentale, ed è vanto dell’Italia di aver iniziato, prima nel mondo, un vero servizio organico di idrovolanti.

 

Dal 20 aprile al 20 maggio del 1914 la Dante Alighieri trascorre un mese nella rada di Pozzuoli a motivo di importanti lavori di settaggio alle artiglierie di grosso calibro (i dodici pezzi da 305/46 disposti in quattro torre trinate) che sono state fabbricate nel locale Cantiere Armstrong [3].



Verso la fine di aprile passa nei pressi di Pozzuoli il grande panfilo Imperiale tedesco “Hohenzollern” che ha a bordo la Famiglia imperiale, dignitari, militari d’alto grado ed ospiti illustri.

Brivonesi s’alza in volo con il suo idrovolante, raggiunge la nave al largo del golfo, la sorvola più volte, e nota che il Kaiser Guglielmo II insieme ad alcuni personaggi del seguito, l’osserva dalla passeggiata superiore della grande nave [4].

 


Sempre a Pozzuoli, nella prima quindicina di maggio, mentre la Dante Alighieri è ormeggiata alla punta del lungo molo, sotto la potente gru della Armstrong, Brivonese vuole sperimentare il comportamento del suo “Curtiss” a quota elevata.

 

L’idrovolante “Curtiss Model H” all’epoca genericamente denominato “Curtiss Flyin Boat” e riconosciuto come il primo costruito con successo, è munito di motori assai più potenti di quelli degli apparecchi terrestri, perché con motori di poche diecine di cavalli un idrovolante, al momento di partire, non potrebbe vincere l'aderenza del galleggiante sulla superficie dell'acqua.

Il suo galleggiante è a sezione rettangolare, simile ad una lunga cassettina, a fondo piatto con le estremità appena smussate, con al centro l'incastellatura del motore; lo stesso galleggiante sorregge le ali, a cellula biplana, la coda e gli equilibratori.

Ai due lati della cellula, fra i due piani portanti, sono gli alettoni, enormi e potentissimi; la coda è sorretta da un sistema di tubi, e, oltre all'equilibratore posteriore, esiste un secondo equilibratore anteriore, fissato sulla prua del galleggiante.

La cosa più buffa di tutto l’insieme è quel rettangolo di tela che si chiama col nome pomposo di “seggiolino del pilota”; costituito da una piccola cornice di legno di forma quadrata, ricoperta di tela, e posta a un metro circa al disopra del galleggiante e molto più avanti delle ali.

In tal modo il pilota, completamente scoperto, prima ancora di partire in volo viene bagnato dalla testa ai piedi dagli spruzzi dell'acqua, e poi, quando è in aria, viene investito in pieno dal vento della velocità e travolto dal freddo.

Tutto questo è accompagnato dalla sensazione di restare completamente sospeso nel vuoto.

L’acceleratore del motore è comandato da un pedale come quello delle vetture automobili ma un'altra strana particolarità del “Curtiss” è quella che gli alettoni si muovono con le spalle.

Il piccolo quadrato di tela che funziona da seggiolino porta difatti una specie di spalliera mobile, nella quale si entra col corpo; facendo forza con la schiena a dritta od a sinistra si spostano gli alettoni da un lato o dall'altro, secondo il bisogno.

Il sistema non è del tutto irrazionale, perché i movimenti che occorre fare con le spalle sono abbastanza istintivi, ma, nelle giornate di aria mossa, si scende coi muscoli della schiena tutti indolenziti, perché essi debbono compiere un lavoro intenso al quale non sono affatto abituati.

 

Non tutti i piloti montano volentieri questo velivolo, a motivo della sgradevole impressione che qualcuno prova volando così perfettamente scoperti, e così sospesi nel vuoto.

Ma questo stranissimo apparecchio ha però delle buone qualità di volo per l'epoca in cui è nato, tanto più che risulta leggerissimo ed ha un motore certamente esuberante per il suo peso.

Ed è questo il motivo per cui Bruno Brivonesi decide di effettuare su questo idrovolante il suo esperimento a quota elevata.

Si munisce di un barografo, che assicura provvisoriamente alla gamba sinistra, si inerpica sul sediolino di pilotaggio, fa mollare gli ormeggi e flottando si dirige verso Baia iniziando a sollevarsi [5].



Lentamente ma regolarmente s’alza sempre più e, proprio al centro del golfo puteolano, supera e s’avventura di poco oltre i mille metri d’altitudine.

Poi, tutto soddisfatto per il bel volo, inizia una deliziosa discesa planata che, da quella quota insolita, sembra non dovesse mai finire.

Finalmente ammara su di una superfice leggermente increspata e flottando raggiunge sottobordo la Dante Alighieri. Qui il pilota trasborda su di una lancia di servizio e il velivolo è agganciato ad un picco di carico che lo isserà a bordo della corazzata [6].



Bruno Brivonesi crede di non aver compiuto nulla di eccezionale, e come d’obbligo, compila il solito rapportino.

Invece, dopo qualche giorno, la notizia, apparsa in qualche giornale locale, viene a conoscenza dell'Aero Club d'Italia, che scrive al Comando di bordo chiedendone conferma e domandando qualche documento probatorio. La quota che ha raggiunto Brivonesi [7] costituisce il record di altezza dell'epoca per gli idrovolanti del tipo adoperato.

 


Subito dopo però altri idrovolanti di tipo più moderno e più efficiente del primitivo “Curtiss”, in servizio dal 1913 a fine 1915, stanno entrando in servizio. Fra gli altri, un nuovo “Curtiss” a scafo centrale ed il “Bréguet” a fusoliera con elica trattiva e con galleggiante unico. Questo ultimo apparecchio è uno dei più grossi idrovolanti esistenti e può portare a bordo quattro persone.

Il Ministero della Marina decide di imbarcarne uno sulla Dante Alighieri, ed ordina al comando di bordo di mandare Brivonesi in missione alla Scuola Idrovolanti di Venezia per eseguire il passaggio del brevetto sul “Bréguet”.

Pur essendo assai lusingato all'idea del prossimo cambio, Brivonesi si separa con sincero rammarico dal suo primo piccolo velivolo che gli ha dato tante soddisfazioni ed al quale s’è molto affezionato.

 


GIUSEPPE PELUSO

Pubblicato inizialmente sul numero di aprile 2023 del Notiziario del Centro Studi Tradizioni Nautiche della Lega Navale Italiana.



REFERENZE

B. Brivonesi – Mare e Cielo 2014

https://it.wikipedia.org/wiki/Bruno_Brivonesi

https://www.earlyaviators.com/edefilip.htm

 

 



mercoledì 3 settembre 2025

Il Palazzo del Maggiore

 


Storie di famiglie e case nel centro del Rione Terra

A via Crocevia il Palazzo e il Giardino del Maggiore

 

Su via Crocevia, la strada che percorre il punto più alto del Rione Terra, si trova l’ingresso principale del Tempio di Augusto, oggi Cattedrale si Pozzuoli. E’ questo il centro dell’antica rocca; qui si esibisce l’amazzone Maria Puteolana e qui, per millenni, si sono svolte solenni cerimonie civili e religiose.

Su questa stessa strada affacciano due palazzi gentilizi, un tempo abitati da nobili famiglie; palazzo dei Lucignano e palazzo dei Mirabella e Ragnisco [1].



I Mirabella sono una nobile famiglia giunta nel seicento dalla Sicilia; non altrettanto i Ragnisco che, pur avendo uno stemma familiare, sono notai e professionisti e annoverano loro esponenti nella amministrazione municipale e nel clero diocesano. Il primo Ragnisco, Giacomo Antonio, è sindaco di Pozzuoli nel 1716; il notaio Ferdinando Ragnisco, rivoluzionario e simpatizzante giacobino, alla restaurazione borbonica è condannato a quindici anni di deportazione; il più famoso, Pietro Ragnisco docente universitario, ha avuto dedicata una strada. L’ultimo discendente, Raffaele Ragnisco, ha involontariamente donato un appellativo alla nominata residenza; oggi da tutti indicata come “Palazzo e Giardino del Maggiore”. 

 Raffaele nasce a Pozzuoli il giorno 11 novembre 1889 da Achille, notaio, e da Maria Carolina Lucignano. A fine 1907 si arruola nella Regia Marina e, prima come allievo e poi come macchinista di seconda classe, imbarca sull’incrociatore Giovanni Bausan, sulla corazzata Napoli sulla gemella Sardegna e sulla Regina Margherita [2].



Tutto il periodo della guerra italo turca lo trascorre a bordo del cacciatorpediniere Fulmine partecipando al bombardamento della città libica di Zuara.

Passa poi sui cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Ostro; lo scoppio della Grande Guerra lo trova imbarcato sull’esploratore Alessandro Poerio.

Nel 1915 riceve la nomina a 1° macchinista e, sempre in guerra, sarà imbarcato per cinque mesi sulla torpediniera 61OL e per altri undici sulla torpediniera Albatros.

Il 30 dicembre del 1917 riceve la nomina a sottotenente del Genio Navale e destinazione l’incrociatore Varese sul quale resta per ventuno mesi dei quali circa otto in periodo bellico.

Il 30 marzo 1919 riceve la nomina a Tenente Macchinista e per nove mesi imbarca sulla corazzata Andrea Doria, per altri due sull’esploratore Premuda, un mese sulla corazzata Duilio ed altri cinque di nuovo sulla Doria.

Il 2 dicembre del 1923 riceve la nomina a capitano e per due anni dirige la sala macchina della torpediniera Calipso.

Nel 1926, ormai 37enne, sposa la nobile 19enne Maria Mirabella che, essendo a 12 anni rimasta orfana del padre Giuseppe, è dalla madre messa in collegio dove impara anche a suonare, cantare, ricamare e dipingere. Maria gli è cugina in quanto sua madre Maria Carolina Lucignano è sorella di Maria Teresa Lucignano madre della giovane.

Maria porta in dote l’antico nobile palazzo, col pertinente giardino di via Crocevia, dove gli sposi prendono ufficiale residenza.

 Ma Raffaele deve lasciare a Pozzuoli la giovanissima sposa ed imbarcare per altri nove mesi sulla corazzata Duilio e due mesi sull’esploratore Aquila. E’ poi destinato all’Istituto Idrografico di Genova dove saltuariamente presta servizio sulle navi dell’istituto, la Magnaghi, la Brennero, l’Istria e l’Ardito.

Poi è destinato, sempre a Genova, a Ufficio Tecnico Genio Navale e in seguito come Direttore di Macchina imbarca per 19 mesi sul cacciatorpediniere Aquilone, otto mesi sull’incrociatore Venezia e dodici mesi sul cacciatorpediniere Strale.

Intanto, dopo la nomina a Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia nel 1931 ed aver ricevuto la Croce d’Oro per Anzianità di Servizio nel 1932, il 23 gennaio 1933 riceve la nomina a maggiore nel Ruolo Tecnico Navale ed inviato in Licenza Ordinaria di novanta giorni.

 Il maggiore Raffaele Ragnisco trascorre questi tre mesi a Pozzuoli presso la Famiglia ed è ben accolto dal vicinato che così inizia ad identificare il palazzo con il suo occupante che, per la sua piacevole personalità, desta sempre più simpatia e curiosità. Quando lo si vede uscire o rientrare a casa, con la sua candida uniforme, è tutto un vociare di scugnizzi e la fornaia dell’adiacente via Ripa non accende il forno per non sporcargli la divisa con la fuliggine.

Così il vecchio nobile palazzo diventa il “Palazzo del Maggiore” e l’adiacente orticello, munito di grazioso gazebo dove Raffaele ama godersi meritati riposi, diventa per tutti il “Giardino del Maggiore”.

 Nel maggio del 1933 è destinato alla Direzione delle Costruzioni Navali di Taranto dove trova alloggio anche sua moglie Maria che, in questa città marinara, partorisce l’unica figlia Marta.

Saltuariamente imbarca sugli esploratori Guglielmo Pepe e Carlo Mirabello e per un anno, tra il 1937 e 1938, svolgerà la funzione di Giudice Effettivo del Tribunale Militare Marittimo di Taranto.

Il 10 settembre del 1938 è inviato presso la Corderia Marittima di Castellammare di Stabia e, data la vicinanza con Pozzuoli, la moglie ritorna nel palazzo del Rione Terra.

La dichiarazione di guerra trova i due coniugi nelle citate destinazioni; nelle grotte d’età romana, ubicate nei sotterranei dell’antico palazzo, sono ricavati rifugi anti aerei che si rileveranno molto utili per gli occupanti e per il vicinato.

 Il 20 dicembre 1940 il maggiore Ragnisco lascia Castellammare ed ha solo poche ore da trascorrere a casa, con moglie e figlia, prima di raggiungere Tobruk, in Libia. Il giorno 5 gennaio del 1941 si imbarca sull’incrociatore San Giorgio; questa nave, seppure ancorata nella baia, necessita di un maggiore che diriga le macchine utili ai piccoli spostamenti e alla fornitura di energia.

Innumerevoli saranno gli attacchi subiti dal glorioso incrociatore, specialmente nel corso dell’Operazione Compass, nella difesa di quella importante piazzaforte [3].



Il 22 gennaio del 1941 l’estremo sacrificio; il San Giorgio è affondato e gli inglesi catturano l’equipaggio che è inviato in India, nei campi intorno Bangalore. Raffaele, in quanto ufficiale, è inviato nel famoso “camp 25” di Yol [4].

 


Per un anno e più non si hanno notizie del maggiore e Il vicinato, con grande rispetto, giornalmente chiede notizie di quel simpatico ufficiale che per tanti anni ha visto percorrere affabilmente i vicoli della rocca.

La guerra infuria e le conseguenze son ben presto palpabili in una zona abitata per lo più da pescatori a giornata e da manovali avventizi.

Su al “Rione Terra” diventano celebri due finestre del “Palazzo del Maggiore”; sono quelle dell’ampia cucina posta a piano terra con affaccio su vico SS. Acuzio e Eutichete. Fuori questi varchi in molti si fermano a guardare la servitù indaffarata, ad annusare gli odori e fantasticare sulle preparazioni. Da queste stesse aperture, nel corso del lungo conflitto, usciranno pietanze per piccoli e grandi bisognosi dell’antica rocca di Pozzuoli.

 Raffaele Ragnisco, dopo oltre cinque anni di dura detenzione, è rilasciato a Bombay il 4 aprile del 1946 e raggiunge a Napoli il seguente giorno 22. Subito ritorna a Pozzuoli ed ancora oggi la figlia afferma che, pur avendo trascorso una vita intera in paesi lontani, il luogo che il maggiore ha sempre identificato come casa è qui, al Rione Terra.

Per la fragile condizione fisica, che risente delle privazioni sofferte in prigionia, è dispensato dal servizio attivo e collocato a riposo nella Riserva.

 I disagi, e il clima, subiti nei sessantatre mesi di prigionia incidono sulla sua salute e saranno la causa della sua prematura morte, avvenuta in data 12 maggio 1953.

Solo l’otto settembre del 1950, poco prima della morte, riceve la nomina a Tenente Colonnello del Genio Navale. In questo Corpo la carriera è più lenta che nel Corpo Stato Maggiore e la prigionia ha certamente ritardato una promozione che sarebbe giunta anche prima [5].



Seppure la figlia racconti che il Padre era Tenente Colonnello tutti coloro che l’hanno conosciuto lo ricordano come il “maggiore”.



PELUSO GIUSEPPE

- Articolo pubblicato a giugno del 2025 sul numero 154 del Notiziario Centro Studi Tradizioni Nautiche della Lega Navale Italiana.

- Articolo pubblicato a giugno del 2025 sul numero 6 di Segni dei Tempi, giornale di attualità sociale, culturale e religiosa della Diocesi di Pozzuoli.

- Le due foto a colore del Rione Terra, che riprendono l'ex Palazzo e l'ex Giardino del Maggiore, sono di Assunta Mele.


lunedì 26 maggio 2025

I Fratelli Ferraro - Primi Sportivi Puteolani

 GUIDO E MARIO FERRARO

PRIMI SPORTIVI PUTEOLANI

La loro vita tra giochi, passioni, guerre, emozioni, amori e curiosità


Nella Pozzuoli di fine Ottocento - primi anni del Novecento, lo sport rappresenta un aspetto del tutto secondario della vita cittadina. Solo un ristretto gruppo di giovani dell’agiata borghesia, e della piccola nobiltà, si cimenta in alcune discipline come la scherma, il ciclismo, la caccia, l’equitazione; tutte attività che richiedono una costosa attrezzatura.

Gli operai scoprono la ginnastica, il canottaggio, il podismo, il calcio ed il nuoto; discipline che non necessitano di investimenti da parte dei singoli.

L’amico Gennaro Gaudino, giornalista e massimo storico dello sport puteolano, nel suo libro “La Tradizione Sportiva Puteolana – Storia e Ricordi dal 1902” (pubblicato nel 2018), ci informa che risalgano al 1902 le prime notizie su avvenimenti sportivi nella zona Flegrea e sulla nascita di circoli sportivi rivolti ai giovani; con l’intento di favorirne lo sviluppo delle forze fisiche ed intellettuali.

 

Il primo giornale che riporti una specifica gara ed i nominativi dei vincitori è “La Stampa Sportiva” di Torino (giornale fondato nel gennaio del 1902) che in data 6 settembre 1903 ci informa di due gare di nuoto, svoltasi nel golfo di Pozzuoli, e dei suoi partecipanti. Vincitori della prima di queste gare, organizzate dal Circolo “Virtus”, sono Guido e Mario Ferraro.

Il giornale scrive:

«Nella ridente baia di Pozzuoli hanno avuto luogo due gare di nuoto sul percorso di 1.250 metri. Nella prima di queste gare giunsero primi i fratelli Guido e Mario Ferraro con il tempo di 32 minuti e 17 secondi; terzo il signor Ascione con il tempo di 37 minuti e 5 secondi.»

Dalla lunghezza del percorso e dai tempi impiegati si ha motivo di ritenere che Guido, o Mario viceversa, abbia atteso il fratello per tagliare insieme il traguardo. Si ritiene che sia quasi impossibile arrivare insieme in una gara di nuoto svolta su di un percorso di 1.250 metri e che richiede un tempo di oltre 30/35 minuti. Probabilmente avranno fatto in modo di vincere insieme, aspettandosi, ma senza dare il destro per essere battuti dal nuotatore Ascione che arriverà terzo sopraggiungendo con circa cinque minuti di ritardo.

 


Immagine tratta da "La Tradizione Sportiva Puteolana – Storia e Ricordi dal 1902" di Gennaro Gaudino


L’estate seguente Guido Ferraro inizia fantastiche navigazioni con la sua barca a vela, la mitica Zizià; imbarcazione armata con due vele latine, maestra e mezzanella, oggi totalmente abbandonate.



La barca è stato il regalo, per la conseguita laurea in giurisprudenza, ricevuto da sua zia Clotilde, sorella maggiore di sua Madre che ha sposato suo nonno Francesco rimasto vedovo. La barca ha questo strano nome che deriva dal soprannome con cui in Famiglia è chiamata la zia, e nonnastra, Clotilde che l’ha regalata.

Zizià è una delle pochissime unità da diporto padronali del golfo e per anni Guido sarà tra i promotori della costituzione di un “Reale Yacht Club Puteoli” al quale, come insegna, vorrebbe donare la fiamma di Famiglia che sventola all’albero principale della barca e che ancora oggi è possibile ammirare in casa di suo figlio, ammiraglio Renato Ferraro.


Il 18 settembre  dello stesso 1904 il giornale “PUTEOLI”, Gazzetta del Circondario di Pozzuoli,  scrive che in occasione delle feste dell’Addolorata il “Club Virtus”, ridente ritrovo di baldi ed eleganti giovanotti, presieduto dal notar Giovanni Oriani, volle dare delle gare di nuoto, che riuscirono importanti e emozionanti per il valore dei nuotatori e per il lungo tratto da percorrersi.

Le gare erano due; una di velocità, l’altra di resistenza.

Giunse per primo, superando non lievi difficoltà, il giovane Mario Ferraro, allievo del Collegio Militare di Napoli. Un simpatico, gagliardo ed intraprendente tipo di sportman che conta al suo attivo non lievi vittorie; una promessa valida e sicura per il nostro esercito.

Mario Ferraro, malgrado questa prima ed interessante vittoria, volle, nulla curando, pigliar parte, fuori gara, anche alla seconda, riuscendo primo pure in questa.

 


Immagine tratta da "La Tradizione Sportiva Puteolana – Storia e Ricordi dal 1902" di Gennaro Gaudino


Ma chi sono i Fratelli Guido e Mario Ferraro, e che rapporto hanno con Pozzuoli?

Guido e Mario sono due tra i numerosi figli di Maria Antimo Luigi Ferraro di Silvi e Castiglione (Napoli 19-12-1845 + 20-01-1913), marchese,  avvocato, Consigliere, Assessore, Vicesindaco e Sub Regio Commissario del Comune di Napoli, Ufficiale dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia.

Luigi Ferraro è proprietario di un ridente villino a Pozzuoli, conosciuto all’epoca come “Casina alla Starza”, o “Villa Ferraro”. Questo immobile sarà in seguito acquistato dalla famosa imprenditrice Maria De Sanna e trasformato nella imponente “Villa Maria”, in stile Liberty, dedicata alla memoria della Madre che fu moglie del finanziere, impresario e commendatore Roberto De Sanna.

Poi, nel 1929, “Villa Maria alla Starza” sarà acquistata dalla Famiglia Peluso ed oggi, completamente espropriata, risulta abbattuta per far posto alla erigenda nuova stazione della “Ferrovia Cumana”.

 


La “Casina alla Starza”, con annesso Territorio, è stata, fin dal cinquecento, una masseria di proprietà dalla Mensa Vescovile di Pozzuoli annualmente concessa in enfiteusi. Nel 1844 è acquistata, all’asta giudiziaria, da Francesco di Paola Ferraro (Napoli 2-9-1816 + 30-3-1870), Consigliere particolare di Re Francesco II delle Due Sicilie, Avvocato della Corona.

Francesco di Paola Ferraro realizza una residenza padronale al di sopra del Casone e del Cellajo dell’antica masseria; costruisce una edicola votiva dedicata a San Francesco da Paola di cui è devoto (come pure il suo Re), e ricava un elegante e marmoreo gazebo agli estremi confini del Territorio. L’intera tenuta diventa un confortevole “casino di delizie” dove trascorrere vacanze e momenti di relax; vicini al mare e immersi nella quiete e nel verde di una fattoria di circa quattro moggia condotta da una famiglia di agricoltori; primi coloni sono state alcune generazioni della Famiglia Daniele, in seguito della Famiglia Monaco.

Alla morte di Francesco Ferraro la Casina, come pure il piano nobile del Palazzo di Napoli, passa al primogenito Luigi continuando però ad essere usufruita anche dagli altri figli; ovvero Enrico, Eugenio, Clotilde, e loro discendenti.

Luigi Ferraro sposa Matilde Caterini, sorella di Cleonice Caterini che sposa Eugenio fratello di Luigi, e sorella della già nominata Clotilde Caterini che sposerà suo Padre Francesco, quando resterà vedovo.

Luigi e Matilde saranno genitori di Riccardo nato nel 1875, Valentina nata nel 1877, Guido nato nel 1880, Mario nato nel 1885, Maria nata nel 1889 e Immacolata nata nel 1891. Molte vecchie foto di famiglia li ritraggono a Pozzuoli; teatro delle loro vacanze e delle loro avventure.

 


L’ammiraglio Renato Ferraro, figlio di quel Guido giunto primo insieme al fratello Mario nella gara del 1903, così scrive:

«Mio Padre fu sempre molto orgoglioso di questa sua vittoria e in genere della sua resistenza al nuoto. Inoltre, siccome era solito fare lunghissime nuotate, tra l’altro partendo da Pozzuoli andava a Nisida e tornava, aveva preso l’abitudine di mangiare nuotando.»

Ad avvalorare quanto scritto invia una vecchia foto del 1907 con il padre Guido (il primo a sinistra) nello specchio d’acqua antistante il Lido Ortodonico (precedente al Lido Spina), con in mano un grappolo d’uva che si accinge a mangiare.

 


All’epoca nella Famiglia Ferraro è invalso l’uso di chiamare i bambini con dei nomignoli; Ame per Amerigo, Vale per Valentina, Mimià per Maria, Tracola per Immacolata (diventata poi Babà per la sua dolcezza).

Fratelli e cugini usano chiamare Guido Co’, da Cotto, per le cotte che continuamente prende; però, poiché alla delusione amorosa segue in genere una crisi mistica e dice di voler farsi prete, in tale fase lo si chiama Pre'.

Prima di sposarsi (piuttosto tardi, a 46 anni) è stato, per i suoi tempi, un grande viaggiatore, ma anche un grande “tombeur de femmes”. In uno dei suoi viaggi ha occasione di conoscere una signorina triestina, sorella di un allora celebre scrittore. Fra i due sorge una disputa circa la rilevanza del cibo in un contesto romantico; la “mula” si dichiara decisamente contraria, ritenendo che il solo parlar di mangiare sia una volgarità.

Un bel giorno la signorina, forse con qualche mira matrimoniale, si presenta a Napoli “en touriste”, e Guido, gradendolo molto, crede sia suo dovere di farle da cicerone. Nel contempo però pensa che sia giunto il momento di riaffermare il proprio punto di vista sulla vecchia querelle. La povera triestina è trascinata a piedi (il racconto originale romanticamente riporta che è trascinata sul cavallo di San Francesco) per tutti i moltissimi luoghi di Napoli degni di essere visitati, completando, sempre a digiuno, il giro con un’ascesa alla collina di Posillipo. Finalmente, quando è ormai esausta e mezza morta d’inedia, Guido la porta al leggendario “Scoglio di Frisio”, dove la incauta “mula” s’ingozza di leccornie napoletane fin quasi a sentirsi male!
Quale fosse stato, poi, il guiderdone per questa sua vittoria morale, le cronache non lo tramandano. Sappiamo che il giorno dopo Guido gli farà visitare, questa volta in auto, le bellezze flegree.

 


Il nostro Guido (che abbiamo visto sportivo, cicerone, avvocato ed anche buontempone) quale ufficiale di artiglieria, farà anche lui la guerra sul serio e finisce poi per sposarsi proprio una austriaca (Hildegard Rupprecht von Virtsolog, nata a Baden – Austria nel 1889) che per scherzo chiama “La Nemica”, come il titolo di una celebre commedia di Dario Niccodemi.

Il loro primo figlio Luigi, nato nel 1927, muore a Cassino nel maggio del 1944 ed il secondo Mario, nato nel 1930, morirà solo due mesi dopo la morte del fratello, nel luglio del 1944, investito da un camion militare americano nel mentre attraversa via Campana, a Pozzuoli.

Resta in vita il suo terzogenito Renato Ferraro di Silvi e Castiglione, nato nel 1934, ammiraglio e poi Comandante in Capo della Guardia Costiera.



Di Mario Ferraro, secondo sportivo della Famiglia, il giornale “Puteoli” nel 1904 scrive che si tratta di un simpatico, gagliardo ed intraprendente tipo di sportman che conta al suo attivo non lievi vittorie. Aggiunge che è allievo del Collegio Militare di Napoli, quindi una promessa valida e sicura per il nostro esercito.

Sappiamo che Mario frequenta la “Nunziatella” di Napoli e poi l’Accademia Militare per l’Arma di Artiglieria, all’epoca con sede a Torino, e che nei suoi giovani anni da ufficiale, oltre che ottimo nuotatore, sarà un grande schermitore ed un eccellente cavaliere.

Anche lui, da bambino, ha avuto in Famiglia il suo nomignolo; alquanto curioso che val la pena raccontare.

Mario è il più piccolo tra tutti i fratelli e cugini; comunque sempre gioca con loro alla guerra, sia negli androni del grande Palazzo Nobiliare di Napoli che nei giardini della Casina alla Starza di Pozzuoli.

Oltre al fratello Guido partecipano ai giochi i cugini  Gustavo, Renato, Sara (benché sia una femminuccia) e Amedeo; quest’ultimo sarà un Pioniere della nascente Aviazione, ma purtroppo cadrà con il suo aereo nel corso della Grande Guerra.

Mario, come Nemecsek il piccolo dei “Ragazzi della via Pal”, è ammesso a partecipare a tutte le battaglie a condizione che faccia la parte del nemico, ovvero dell'Abissino; siamo a fine ottocento nel pieno delle prime guerre coloniali.

Poiché il più celebre capo abissino è Ras Mangascià, Mario è chiamato Mangascià, da cui il più familiare “Scianiello”; questo soprannome lo segue per tutta la sua lunga carriera militare, che si concluderà con il grado di generale di divisione.

Nel corso della Grande Guerra Mario, comandante di una Batteria, farà visita a suo fratello Guido, anche lui nella stessa arma, che si trova sul Monte Grappa e in questa occasione si faranno ritrarre insieme. Normalmente Guido Ferraro, a destra nella foto, ha sempre un'aria fascinosa, ma qui il fratello Mario lo batte.

 


Quanto al fascino di Mario va detto che è stato un grandissimo conquistatore per tutta la vita; ha avuto a lungo un'amante tedesca che si rifà viva dopo la guerra, ma intanto lui, generale in pensione da vari anni, si è sposato con Lia Macrelli, professoressa presso la Università di Bari.

In questa città, durante l'occupazione alleata, essendo noto per la sua adamantina onestà, riceve il delicatissimo incarico di “Commissario agli alloggi”, ovvero delle abitazioni da assegnare ai sinistrati di guerra.

 

Negli anni cinquanta sua cugina Sara Ferraro, rimasta fino alla fine un'inguaribile monarchica, si reca in pio pellegrinaggio a Cascais (Portogallo) a rendere omaggio a Umberto II di Savoia, colà in esilio.

Sara, che ricordiamo tra i ragazzi a giocare alla guerra nei giardini alla Starza di Pozzuoli, ha avuto tre fratelli caduti nel corso della Grande Guerra ed altri due ufficiali di carriera che Umberto avrebbe potuto conoscere.

«Sono la sorella dei colonnelli Renato e Decio Ferraro del Regio Esercito, che Vostra Maestà ha forse conosciuti.»

«No, signora, mi dispiace. Ma ho conosciuto e frequentato il generale Mario Ferraro, detto “Scianiello”, mio istruttore in Accademia.»

Insomma, un titolo confermato con “rescritto reale”.

 

 

 

REFERENZE

G.GAUDINO, La Tradizione Sportiva Puteolana – Storia e Ricordi dal 1902 - Edito nel 2018

R.FERRARO, Note Autobiografiche – 2014

H. FERRARO, https://first-life-original-life.blogspot.com/

G.PELUSO, https://giuseppe-peluso.blogspot.com/search?q=FERRARO

 

N.B. - Le foto senza didascalia sono pubblicate per gentile concessione della Famiglia Ferraro

 

GIUSEPPE PELUSO – MAGGIO 2025