martedì 13 giugno 2017

Scherzo del Pergolesi


Venerabilis Barba Cappuccinorum
Scherzo del Pergolesi ai Monaci Cappuccini di Pozzuoli.

Si narra che il giovane Giovanni Battista Pergolesi sia stato vittima d’un amore infelice; amore per una fanciulla discendente di una nobile Famiglia napoletana.

Su raccomandazione del principe Colonna di Stigliano nel settembre del 1732 va in scena, al Teatro de’ Fiorentini, la sua opera buffa “Lo frate ‘nnamorato”. In quell’occasione il nostro musicista prodigio, bellissimo seppur minato dall’infanzia dalla poliomielite alla gamba sinistra e malato di tisi [1], 

conosce la giovane Giulia Spinelli, figlia del principe di Fuscaldo, che sarà sua allieva.
Il giovane Giambattista si reca nel palazzo della nobile famiglia Spinelli per insegnare musica a Giulia; siedono l’uno accanto all’altra sullo sgabello posto davanti alla tastiera e le mani si sfiorano, giocoforza si toccano, mentre Giambattista dispone le dita della giovane correttamente sui tasti.
I due s’innamorarono perdutamente; di un amore puro e segreto, alimentato da lettere recapitate da una fedele servetta, così come avviene nell’opera buffa sua e in quella contemporanea goldoniana.
Nonostante i contrasti familiari Giulia decide di far valere i suoi diritti e di non dichiararsi vinta, nessuno avrebbe potuto amare Giovanni Battista come o meglio di lei; non scorre acqua nel suo sangue, dice.
Al suo amato, che per la giovane età si procura qualche mercanzia (da Giulia definita “Locena di Scrofa”) fa sapere che può anche andare a fare lo gnacche gnacche in mezzo al mercato (lo ha sorpreso alla Rua Catalana entrare nel talamo di una certa Maria) però poi non deve fare il tanghero e andargli a raccontare storielle su come ella fosse l’unica ragione della sua vita.

Un giorno si presentano a Giulia i suoi tre fratelli e colle spade sguainate le dicono che se entro tre giorni non sceglie a sposo un uomo pari a lei, per nobili natali, con quelle tre spade avrebbero trafitto a morte il maestro Giovanni Battista Pergolesi di lei amante riamato. Così dicendo ripartono verso i loro feudi.
Dopo tre giorni ritornano e la sorella dice loro d’aver prescelto a sposo un Essere Sublime; il suo sposo sarà Iddio. Domanda d’andare monaca a Santa Chiara e che a dirigere la messa di monacazione sia quel maestro di musica che ella ha tanto amato e che ora manda in oblio; e così è fatto.
Le bende monacali fanno lieti gli orgogliosi fratelli ma l’anno dopo, l’undici marzo del 1735, mesti rintocchi della campana di Santa Chiara annunziano un funerale, si celebra la messa di requie di Giulia Spinelli [2]; 

e a dirigerla è ancora Giovanni Battista Pergolesi.

Ma anche la breve esistenza di Pergolesi volge a termine; essendo afflitto dall'infanzia da seri problemi si spera in una soluzione, una migliore situazione climatica che possa apportare benefici alla sua salute cagionevole.
Nei primissimi dell’anno 1736, un tardo pomeriggio, con una carrozza che alza una fortissima polvere sulla consolare collinare, arriva a Pozzuoli dove è accolto dai Padri Cappuccini presso il Monastero di San Francesco.
Questo complesso conventuale, annesso all’attuale Chiesa di Sant’Antonio il cui culto è introdotto proprio dai suddetti fraticelli, occupa l’area dell’attuale confinante Carcere Giudiziario Femminile e Pergolesi gode della protezione del Duca di Maddaloni, discendente dei fondatori del Convento [3].

Ora, benché gravemente malato, il giovane Pergolesi annota la vista del sole che declina quasi sulle isole e le barche dei pescatori che vanno e vengono giù nella baia poco distante.
Rigogliosi campi, per l’entrante primavera, si estendono ai piedi ed in cima alla vicina Starza che rinasce sotto la vanga dei paesani.
In questi ultimi mesi continua a lavorare come un forsennato, anche se la salute non accenna a migliorare, ed è qui che raggiunge la sua parabola artistica componendo la sua ultima e più importante opera, il sublime Stabat Mater [4].

In una delle ultime serate è scosso dai brividi di una forte febbre e squassato da terribili accessi di tosse. E’ portato a braccia a letto nella sua cella monacale, a nulla valgono le cure amorose dei frati, a nulla le tisane medicamentose; riceve i Sacramenti e spira all’alba del 17 marzo 1736.
Muore di tubercolosi a ventisei anni, appena un anno dopo Giulia, e la tradizione vuole che lo Stabat Mater sia stato completato il giorno stesso della sua morte.

Poco dopo i monaci riferiscono che ha lavorato fino all’ultimo, sorridente anche nella malattia, certo di provare, per mezzo della musica, amore e speranza. I Cappuccini aggiungono che le sue cose sono state vendute per pagarne i funerali, secondo il suo volere, e le musiche da lui composte sono state consegnate a Francesco Feo [5], 

uno dei più grandi maestri e compositori napoletani del tempo.
Raccontano della sua capacità di scherzare e giocare anche con la musica, a loro ha lasciato un meraviglioso “scherzo musicale”. Il “Venerabilis barba cappuccinorum” che gioca sul fatto che nessun rasoio debba toccare la venerabile barba dei cappuccini, e … qualche altra maliziosità [6].

I fraticelli aggiungono: “Chillo mureva e sapeva ancora pazziare”.

Certamente Gian Battista, nel corso del suo soggiorno a Pozzuoli, è circondato da una atmosfera benevole e si può ragionevolmente pensare che in questo clima sia nato lo “scherzo musicale” che dedica ai Padri Cappuccini.
Solo la riconoscenza e l’affetto verso questi frati, dimostratosi premurosi e amorevoli, da veri amiconi, possono aver spinto il Pergolesi ad ardire tanto in modo diretto senza intaccare la suscettibilità dei monaci.
Scherzi musicali, a due o più voci, con variazioni sul medesimo testo circolano ormai da decenni; prima che il Pergolesi ci si applica, come fatto da Giacomo Carissimi che su questo argomento ha scherzato prima di lui (anche se in modo meno sboccato), o di Mozart, che lo avrebbe fatto qualche decennio più tardi.
Necessita ricordare che mentre sui frati domenicani c'era poco da scherzare, sui francescani per secoli si è scherzato; un po' come le barzellette sui carabinieri dei giorni nostri.


Quella del Pergolesi è una composizione frizzante a tutta verve che, in una copia conservata presso il conservatorio di San Pietro a Maiella di Napoli, è così definita: "Scherzo del Pergolesi ai Cappuccini di Pozzuoli ove poi egli morì nel convento de' Francescani nel 1736". Il brano si trova anche, e meglio conservato, nella raccolta dell'Accademia degli Spensierati di Firenze. 

Lo scherzo del Pergolesi inizia quasi come tutte le altre quasi identiche [7] 
ma poi si differenzia per una diversa metrica e per una diversa impostazione oltre al malizioso significato che si è inteso dare alla parola “inculta”.  Si gioca su di una parola, sulla “BAR BA  IN  CUL TA” dei frati cappuccini, ma pur sempre venerabile (non sia mai...); il tutto è particolarmente evidente nella ripetizione "in cul..T”, “incul...". Poi sulla sequenza “Capucci ciappa in cul cappuccin po incul tin in cul… tin” che si trova verso metà brano [8].

L’esilarante e maliziosa “Venerabilis barba inculta capucinorum” termina ancora con un gioco di parole con cui il Pergolesi lo rende significativo affermando che la barba dei cappuccini, seppure venerabile, è però sconfitta.

Naturalmente, cari amici, non potete non ascoltare questo “scherzo” e seguire le sue parole. 
Basta fare clic sul seguente Link: https://www.youtube.com/watch?v=TmBCBY4PIeE


BIBLIOGRAFIA
Guido Minestrina - Giovanni Battista Pergolesi - Venerabilis Barba Cappuccinorum
Domenico Pompeo – Nel tempo felice, Storia di Giulia e Giovan Battista
Neal Zaslaw - Bearding Ritter von Köchel in His Lair


Giuseppe Peluso

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