lunedì 24 aprile 2017

Caposaldo "Brindisi"


Il “Brindisi” di Baia.
Dai cespugli spunta un caposaldo costiero

Fin dal 1941, in piena guerra, i Campi Flegrei iniziano ad ospitare importanti capisaldi dei reparti di Difesa Costiera del Regio Esercito e tale spiegamento raggiunge la massima espansione nell’estate del 1943.
Per far fronte ad un probabile sbarco nemico si realizzano vari campi trincerati sia del tipo detto Caposaldo di Contenimento Costiero (C.C.C.) che del tipo detto Caposaldo di Sbarramento Costiero (C.S.C.). Ognuno di questi capisaldi è fornito di torrette di avvistamento, avamposti, trincee, casematte ed i caratteristici bunker che dagli americani sono chiamati “pillbox”, letteralmente “portapillole. Tutte opere che oggi potrebbero rappresentare un bene da tutelare e valorizzare nel contesto ambientale in cui si trovano.

I Capisaldi di Contenimento sono previsti nelle zone adiacenti al mare, dove dovrebbero contrastare eventuali sbarchi nemici in forze e contenerli in attesa dell’arrivo di rinforzi.
Sono composti da più strutture in cemento armato, molte volte scavate in caverna, unite tra loro in modo da formare un unico campo trincerato e fortificato. Sono dotati di una grande varietà di armi che comprendono artiglierie antinave a lunga gittata, artiglierie di medio calibro da utilizzare contro mezzi da sbarco o corazzati, armi automatiche atte a spazzare la spiaggia quando, durante le delicate operazioni di sbarco, l’invasore non può fare uso di tutti i suoi mezzi.
Nei Campi Flegrei a questa tipologia appartengono il caposaldo “Biella” nella zona di Torregaveta e il caposaldo “Brescia” che fa perno sull’Acropoli di Cuma (Bunker di Cuma) [1].

I Capisaldi di Sbarramento sono composti da più strutture e postazioni vicine, ma non sempre tra loro collegate; hanno il compito di impedire la penetrazione del nemico verso l'interno del territorio dopo lo sbarco. Spesso sono camuffate come civili costruzioni; sono dotate di armi controcarro e generalmente si trovano lungo importanti snodi ferroviari e stradali essenzialmente a cavallo delle rotabili di accesso. Il loro scopo è l’arresto di colonne motomeccanizzate in fase di penetrazione; pertanto sono appoggiati a terreno laterale forte per se stesso.
Quelli costruiti nel Campi Flegrei, il caposaldo “Bari” nella zona di Licola e Monte San Severino, il caposaldo “Bolzano” nella zona di Grotta dell’Olmo, il caposaldo “Bologna” nella zona posta tra il Castello di Monteleone e la rotonda di Maradona, il caposaldo “Bergamo” nella zona posta tra la Schiana e Masseria Ferraro, ed il caposaldo “Brindisi” nella zona delle Mofete e della Sella di Baia, sono in posizione arretrata rispetto alla linea di costa e dovrebbero contrastare avanzate verso Napoli a nemici che abbiano eventualmente superato o aggirato i capisaldi di contenimento [2- Monteleone].



Sempre nel Campi Flegrei tra un caposaldo e l’altro, o in prossimità di importanti obbligati punti di passaggio, troviamo alcuni Posti di Blocco Costieri (PBC). Essi sono il “Benvenuto” sulla Domiziana altezza Lago d’Averno, il “Buonanno” alla Punta Epitaffio di Baia, il “Bernardo” ad Arco Felice (Posto di Blocco di Arco Felice), il “Beato” al quadrivio dell’Annunziata, il “Bruno” alla Montagna Spaccata e così altri ancora ad Agnano ed a Nisida.
I posti di Blocco hanno nomi maschili ed i capisaldi nomi di città; entrambi iniziano con la lettera “B” e sono posti sotto il Comando Difesa Porto di Napoli del Generale Ettore Marino, con sede a Castel Sant’Elmo, responsabile del tratto di costa dalla Foce di Licola a Capo d’Orso di Vietri sul Mare.
Il tratto di costa nord da Foce di Licola al Garigliano è invece sotto la giurisdizione della XXXII Brigata Costiera del generale Carlo Fantoni con sede a Villa Literno. I suoi Capisaldi ed i suoi Posti di Blocco iniziano tutti con la lettera “A”.
A sud, aguardia della costa salernitana, c’è la 222° Divisione Costiera al comando del Generale Ferrante Gonzaga che sarà trucidato dai tedeschi, è i nomi dei suoi capisaldi iniziano tutti con la lettera “C”.
Nelle zone interne della Campania c’è qualche raccogliticcia Divisione di fanteria, in ricostituzione perché reduce dalla Russia; i nomi dei capisaldi dell’interno iniziano tutti con la lettera “D”.
Il tutto è sotto il Comando del XIX Corpo d’Armata del generale Pentimalli [3].


Il caposaldo “Brindisi” di Baia svolge, ufficialmente, un doppio ruolo; quello di Caposaldo di Contenimento perché dovrebbe contenere un improbabile sbarco che possa avvenire sulla vicina frastagliata costa e quello di Caposaldo di Sbarramento perché dovrebbe sbarrare la strada ad eventuali colonne nemiche, sbarcate sulla cosiddetta spiaggia romana, e dirette verso Napoli.
Oltre questa doppia funzione il “Brindisi” presenta anche altre particolarità perché dispone di quasi tutte le tipologie di manufatti difensivi e di tutti gli accorgimenti capaci d’ingannare la ricognizione nemica.
Nell’estate del 1943 sono presenti circa 18 postazioni, variamente disposte e ricavate, atte a contenere fucili mitragliatori, mitragliatrici pesanti e pezzi anticarro. Praticamente questo caposaldo protegge due possibili valichi attraversabili da eventuali nemici; il primo valico è costituito dalla provinciale Cuma-Fusaro-Sella di Baia che è protetta da postazioni armate con pezzi anticarro; il secondo valico è costituito dai rilievi di Monte Ginestra-Mofete che, non essendo valicabili da automezzi, possono essere protetti da postazioni armate di sole mitragliatrici.

Sul primo percorso, provenendo da Cuma, incontriamo un bunker, che controlla la strada del lago Fusaro, con ampie feritoie onde permettere il tiro a una mitragliatrice pesante oppure ad un pezzo anticarro. Le aperture sono protette in alto da cornicioni, poichè il bunker funge anche da punto d’osservazione, e sul suo tetto ci sono erbe, fiori ed altre piante selvatiche che forniscono un camuffamento naturale [4].


Poco avanti incontriamo il più caratteristico bunker di questo caposaldo, posto sempre nei paraggi del lago Fusaro, all’incrocio tra la stessa via Fusaro e via Virgilio [5a].

E’ una casamatta, adiacente al ristorante “Antichi Romani”, costruita in modo che assomigli ad un ampliamento del ristorante del quale riprende anche la verniciatura in bianco e rosa. La casamatta, che comunque desta qualche sospetto per il modo in cui sporge sulla strada, dispone di quattro feritoie in prossimità del suolo in cui trovano riparo e possono far fuoco cannoni anticarro [5b]. 

In una delle foto, scattate dagli alleati subito dopo la ritirata tedesca, si nota che una porzione della parete esterna è stata rimossa per mostrare la reale camera corazzata [5c].

In un’altra foto panoramica notiamo al centro questa speciale casamatta e sullo sfondo il retrostante rilievo che sale alle Mofete cosparso di altri bunker che poi descriveremo [5d].

Inoltrandoci nella stretta via Virgilio, a poco meno di cento metri dal descritto ristorante, incontriamo un bunker monoarma, sopraelevato su di un terrapieno. Ci sono due feritoie basse da cui possono far fuoco uno o due fucili mitragliatori che controllano la strada non praticabile da grossi mezzi corazzati [6].

Verso la fine di via Virgilio, sul lato destro, incontriamo una caserma campale costituita da molteplici baracche mimetizzate. Il campo, progettato inizialmente per poter ospitare le guarnigioni di fanteria costiera in servizio nei vari capisaldi dei Campi Flegrei, al suo completamento nel corso del 1942 è ceduto all’esercito dell’alleato tedesco che sempre più numeroso presenzia le nostre coste [7a-b].


Più avanti, nei paraggi del grande incrocio tra via Terme Romane, via Bellavista, via Ottaviano Augusto e via Vanvitelli troviamo, di fronte all’ancora esistente bunker [8a], 

una casamatta camuffata da casa colonica fornita di varie aperture a livello stradale atte ad ospitare dei cannoni anticarro in grado di tenere sotto tiro le varie diramazioni che confluiscono al quadrivio [8b].

Il citato adiacente bunker posto in alto sulla strada, non mimetizzato, ha una particolare conformazione ad angolo ed ospita una mitragliatrice pesante. Ha un'unica feritoia con estesa strombatura onde permettere un’ampia sventagliata verso il vasto incrocio [8c-d].



Nel piazzale posto poco più avanti, al culmine della Sella di Baia, è stata costruita una baracca che funge da posto comando e fureria per il capitano comandante di questo caposaldo [9a].   

Di fronte alle scale, che conducono alle case operaie [9b], 

è stata ricavata una cucina da un rustico appartenente ad una vicina casa colonica [9c].

In questa casa colonica abita la signorina Anna Scotto di Vetta nata a Bacoli il 25 dicembre 1926 che vediamo in una foto scattata dal caporal maggiore Carmine Peluso nei primi mesi del 1943 [9d] e in una foto recente [9e].



Superata la Sella e procedendo verso Baia, in via Terme Romane altezza del sottostante Tempio di Diana, troviamo un’altra casamatta rivestita con blocchi di pietra di tufo che la confondono con le pareti del vicino edificio.
La feritoia centrale ospita un pezzo anticarro e le due laterali possono essere utilizzate da armi automatiche. [10a (b - come sarebbe oggi)].



Questo fortino è stato costruito per coprire una curva della strada e colpire eventuali avanzanti colonne motorizzate nemiche. Una foto scattata dall’alto, per riprendere l’ardita cupola del tempio, ci mostra anche la cupola corazzata del bunker racchiuso all’interno della casamatta [10c].

Ci troviamo in un panoramico punto della collina e questa strada, fino a Villa Sabella che ospita altro comando militare, è molto ricercata per le rituali foto ricordo da militari italiani e tedeschi [10d-e].



Lo stesso piacevole diversivo se lo procura, sulle vicine scale Sella di Baia che scavalcano la sottostante Ferrovia Cumana, il cappellano del 117° reggimento di fanteria costiera con l’imponente cupola romana che fa da sfondo [10f].

Sempre in via Terme Romane, incrocio con via Petronio, troviamo un bunker che, come quasi tutti quelli che insistono su arterie importanti, ospita un pezzo anticarro che può sparare in varie direzioni [11a].

Le sue feritoie sono senza strombatura ma larghe e alte quanto basta per consentire al pezzo d’artiglieria di regolare l’alzo e di sparare. Si intravede lo spessore, della interna circolare camera di combattimento, sicuramente superiore ai 60cm che gli permette di resistere a colpi di carri o semoventi leggeri nemici [11b].

Risalendo quasi tutta via Petronio, in cima alla collina, andiamo incontro al primo bunker della zona alte delle Mofete. Si trova di fronte all’edificio dell’acquedotto e attualmente è tutto dipinto di bianco perché così combinato identifica un bar relax che offre i suoi confort lontano dal caos cittadino [12a].

Data la natura del terreno circostante presenta alte feritoie, senza strombature, che lasciano intravedere il poco spessore cementizio. Da questo bunker gli occupanti possono sparare in piedi con fucili o mitragliatori [12b-e].





A non molta distanza dal precedente, dietro l’edificio dell’acquedotto, troviamo un altro bunker; siamo sul ciglio della collina da dove si ha un’ampia panoramica fino al lago Fusaro [13a].


Questo bunker pluriarma, nascosto tra recinti, erbacce e “spalandroni”, risulta affossato e le sue feritoie sono a livello del terreno; quelle posteriori, rivolte verso la più lontana via Petronio sono del tipo stretto per permettere il tiro solo con mitragliatore. Quelle anteriori, che dominano la sottostante via Marco Aurelio, sono del tipo più ampio onde permettere il tiro con mitragliatrice contro eventuali invasori risalenti dal territorio del Fusaro [13b-c].



Poco più avanti, in cima al Monte Ginestra, da cui si domina sia il versante ricadenti sul golfo di Napoli sia quello ricadente sul golfo di Gaeta, c’è una alta torre tipo traliccio in ferro. E’ un particolare Posto di Avvistamento Lontano alle dipendenze della 19° Legione Contro Aerea di Napoli; utilizzato sia dagli osservatori di allarme aereo sia dalle vedette del caposaldo “Brindisi” [14].

Iniziando a scendere verso il lago Fusaro sulla sinistra incontriamo un altro bunker, che gode di un ottimo settore di tiro; anch’esso del tipo infossato [15a].

Ha feritoie basse, poco più elevate del terreno su cui è inserito, con ampie strombature attraverso le quali è possibile apprezzare il notevole spessore di cemento. Deve poter resistere a colpi di artiglieria, seppure leggera, ed è fornito di mitragliatrice pesante [15b-e].






Sempre alla stessa quota, spostandoci però verso destra fino a giungere sul ciglio del vallone Mofete, incontriamo un altro bunker che gode del medesimo ampio settore di tiro [16a].

Non possiamo non apprezzarne la strategica posizione in cui è inserito con possibilità di dominare ampi settori precludendoli all’avanzata nemica [16b-c].



Si presenta perfetto nel suo aspetto, che tra l’altro incute timore, il tutto accentuato dalla perfetta e caratteristica cupola paraschegge [16d-e]



E’ fornito di feritoie, fornite di sfasatura ed a livello alto, che permettono il tiro a fucili mitragliatori e moschetti per difesa ravvicinata; il suo spessore non è molto elevato perché, data la sua posizione, difficilmente potrebbe essere colpito da pezzi di artiglieria nemica [16f-g].



Scendendo lungo il vallone, sulla stessa direttrice, poco più giù incontriamo l’ultimo bunker di questo caposaldo [17a].

E’ del tipo infossato coni varie feritoie munite di strombatura, basse quasi a livello del terreno, da cui possono sparare sia mitragliatrici pesanti che, eventualmente, un pezzo contro carro. Data la sua vicinanza alla sottostante via Fusaro è fortemente corazzato possedendo il previsto massimo spessore di cemento [17b-e].






Certamente tutte queste fortificazioni progettate dagli ingegneri del genio militare italiano, seppure costruite in modo affrettato, quasi sempre sono state oggetto di lavorazione accurata ben sfruttando i vantaggi offerti dal terreno e dall’ambiente per assicurarne la massima efficacia. Inoltre la fantasia ha giocato un grosso ruolo nelle opere di mascheramento risultate in grado di nascondere questi manufatti prima alla ricognizione aerea nemica e poi a quella esplorante terrestre.
Naturalmente oltre queste opere il caposaldo è cosparso di infiniti altri ostacoli artificiali come filo spinato, cavalli di Frisia, fossati e barriere anticarro, nonché mine pronte per essere interrate negli obbligati punti di passaggio.
Oltre le strutture ed i fanti del caposaldo “Brindisi” la zona di Baia ospita molti altre postazioni dipendenti da altri comandi militari.
Su alle Mofete, con comando nel Castello Jannon, ci sono due batterie contro aeree leggere da 37/54mm ed una batteria di riflettori, tutte appartenenti al Regio Esercito.
In via Bellavista, nei pressi della Sella di Baia, c’è una batteria contro aerea pesante con cannoni da 90/53, dipendente dal Regio Esercito.
Una batteria contro aerea leggera da 40/39, della Regia Marina, si trova schierata in alto sul castello di Baia.
Una batteria contro aerea leggera da 20mm, del Regio Esercito, si trova piazzata a Punta Epitaffio.
Da notare che a Punta Epitaffio, naturale confine tra Baia e Lucrino, si trova pure il Posto di Blocco Costiero “Buonanno” munito di un mitragliatore, una mitragliatrice, un cannone contro carro e 20 uomini che, pur non rientrando nella giurisdizione del Caposaldo “Brindisi”, è presidiato da soldati appartenenti al medesimo 230° Battaglione Costiero [18 - tipico esempio di Posto di Blocco].

Il 230° battaglione di fanteria costiera è stato formato a Reggio Calabria presso il deposito del 208° Reggimento di Fanteria “Taro”. Così, mentre il reggimento originale combatte nella penisola balcanica, il suo battaglione di “complementi” è inviato a presidiare i Campi Flegrei. Dalla seconda metà del ’42 anziani e reduci del 40° Reggimento di Fanteria, in maggioranza nativi del napoletano, che man mano rientrano dopo tre anni di permanenza in Africa, ottengono di prestare servizio nei battaglioni costieri dislocati nelle vicinanze dei luoghi natii. Pertanto non sono più inviati ad Agropoli presso il loro 162° battaglione di “sedentari e complementi” ma assegnati al 230° battaglione costiero schierato nei Campi Flegrei [19 - notare i numerosi fanti con le croci distribuite in Africa dalla divisione Bologna].

Il 230° passa, insieme ai battaglioni 318° e 319°, alle dipendenze del 117° reggimento di fanteria che, nell’ambito del Comando Difesa Porto di Napoli, ha giurisdizione sul tratto di costa compreso tra Foce Licola e Portici, e pone il suo comando a Baia, tra reperti archeologici e bellezze paesaggistiche [20a-b]



Inizialmente il 230° battaglione ha l’incarico di presidiare il tratto litoraneo che dalla Foce di Licola arriva a Nisida; praticamente tutta la costa flegrea. Poi nel corso del 1942, con le accresciute postazioni difensive e nuove esigenze, riduce il suo campo operativo da Foce di Licola alla vicina Torre Fumo posta nel comune di Monte di Procida. Nello stesso tempo il battaglione porta da quattro a sei le compagnie che lo compongono; intanto anche il 117° reggimento sposta il suo comando da Bagnoli a Pozzuoli.
Ora, nell’estate del 1943, il 230° battaglione con oltre sei compagnie ha enormemente dilatato il suo organico impegnato presso tutti i capisaldi e posti di blocco della zona e si prevede, per il solo caposaldo “Brindisi” di raggiungere un organico di 2 compagnie fucilieri, 1 compagnia mitraglieri ed una compagnia cannoni contro carri, oltre ad autonome squadre mitraglieri e controcarri.

Non potendo usufruire degli alloggi costruiti al Fusaro il grosso del battaglione è accasermato in baracche realizzate ai Fondi di Baia, vasto pianoro dove si svolgono anche manifestazioni ufficiali e religiose [21a-d].





Le squadre fucilieri svolgono poi vaste esercitazioni di addestramento sia presso i Fondi che nelle campagne delle Mofete; tutti territori che in caso di sbarco nemico effettivamente potrebbero vederli impegnati [22a-b].



Ormai la guerra è giunta a un tale livello di devastazione che ha impoverito e amareggiato la popolazione che è al culmine della sopportazione; pertanto i militari svolgono anche “servizio d’ordine pubblico”; negli stabilimenti del “Silurificio Italiano” a guardia dei punti strategici e dei tunnel in cui sono custoditi i siluri; nelle gallerie della Ferrovia Cumana che ospitano la popolazione civile nel corso dei bombardamenti aerei; presso gli Uffici di Poste e Telegrafi presi d’assalto da vedove, moglie e mamme che hanno necessità di riscuotere il misero sussidio dei loro cari che tutto hanno dato alla Patria [23a-b].



In questo generale abbrutire vien fuori la bontà del soldato italiano, i fanti “adottano” molti bambini che, quando è l’ora del rancio, insieme a molti adulti indigenti si mettono in fila con i soldati; tutti ricevono la loro razione [24a-b].



La guarnigione di questo caposaldo non sarà mai chiamata a contrastare sbarchi nemici, contro tutte le aspettative gli alleati l’otto settembre 1943 scelgono il golfo di Salerno e, con il contemporaneo annuncio dell’armistizio firmato dall’Italia, s’incrinano i rapporti con le numerose forze tedesche sempre più presenti in zona [25 – schizzo fatto da un soldato tedesco accasermato al Fusaro].

I comandi militari periferici apprendono dell’armistizio, come i comuni cittadini, dal messaggio del Maresciallo Badoglio diffuso dalle stazioni radio alle 19:45 dell’8 settembre 1943; nella stessa notte i tedeschi prendono possesso del Posto di Blocco e delle batterie di Arco Felice che sono vicinissime alla sede del loro comando che si trova all’Albergo dei Cesari di Lucrino.
Non sono del tutto chiare le sorti degli altri capisaldi flegrei, troppo frammisti con le forze tedesche che, ricordiamolo, sono presenti anche al Fusaro, a Miseno e nella zona di Cuma. Si consuma lo stesso scenario che si svolge a Roma, in tutta Italia e nei Balcani, con identico finale.
Lo Stato Maggiore Italiano riporta che ancora il 10 settembre questo caposaldo, e quello sulla Domiziana che ruota attorno alla Masseria Ferraro, sono interessati da attacchi da parte tedesca che però falliscono. Questa inaspettata resistenza da parte italiana potrebbe essere stata attuata dai validi componenti del 230° battaglione composto, per la maggior parte, da reduci della 25° Divisione Bologna che ha dure esperienze di battaglia nei deserti cirenaico e marmarico. Sembra che solo dopo il giorno 11 i tedeschi riescano a controllare tutta la zona e questo porterebbe a credere che i due caposaldi siano tra gli ultimi in Italia a cedere le armi.
Il giorno 12 i soldati italiani, abbandonati al loro destino, sbandano e fanno ritorno a casa; i tedeschi finalmente possono occupare le varie postazioni limitandosi a controllare le strade.

Verso fine settembre, prima di andar via, i guastatori tedeschi provvedono, nel baiano, a minare la fabbrica di siluri, gli impianti portuali e fanno saltare delle mine nella stretta gola di Sella di Baia provocando lo smottamento di terreno e la conseguente ostruzione della strada [26].


Tutti i magazzini, cellai, pollai e porcili sono depredati dai tedeschi in fuga che caricano i loro camion con un enorme bottino; un malloppo che, seppure a malincuore, è strabenedetto dalla popolazione che ora assapora la libertà.



RINGRAZIAMENTI
-       Particolare ringraziamento all’amico Elio Samuele Guardascione che ha raccolto testimonianze sui luoghi e sulle persone fotografate da mio Padre Carmine Peluso negli anni di guerra.
-       Non minore ringraziamento all’amico Antonio Alescio che con passione, e con rischio personale, ha fotografato le superstiti testimonianze di questo caposaldo.

BIBLIOGRAFIA
-       Carmine Peluso – Diario fotografico di guerra 1939-1943
-       Simon Pocock – Campania 1943 – Provincia di Napoli - Parte II – Zona Ovest
-       Simon Pocock – Campania 1943 – Paesaggi Perduti
-       Lo Piccolo, Lo Sardo – Il sistema di difesa durante il Secondo Conflitto Mondiale


Giuseppe Peluso