lunedì 20 febbraio 2012

Industrie Aviatorie Meridionali






















Industrie Aviatorie Meridionali
Gli idrovolanti costruiti a Lucrino

I Fratelli Colutta, proprietari delle “Terme Stufe di Nerone”, sul loro sito ed in qualche intervista riferiscono che parte del famoso complesso sorge la dove in passato esisteva una fabbrica di idrovolanti. Notizia conosciuta dagli anziani, ma quasi sconosciuta dai moderni flegrei; pertanto cercherò di ripercorrere la breve esistenza di questa realtà imprenditoriale.
Con l’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale aumentano gli sforzi industriali per far fronte alle esigenze militari. Le principali fabbriche sono localizzate al nord ma anche la Campania inizia a lavorare per l’approvvigionamento bellico. Nel 1916 le Officine Ferroviarie Meridionali (O.F.M.) di S. Giovanni a Teduccio iniziano le prime costruzioni aeronautiche e riparazioni su licenza dei biplani francesi Maurice Farman e, in contemporanea nello stesso 1916, una nuova fabbrica di idrovolanti viene impiantata a Lucrino dove, a mezzo di uno scivolo, usufruisce del vicino lago quale idroscalo per i suoi velivoli (Foto 1).
Il merito di questa iniziativa è di Bruno Canzio Canto che nasce a Padova il 19 giugno 1885, figlio del proprietario di una piccola azienda tessile. Egli nel 1907 consegue alla "Bocconi" di Milano la laurea in scienze economiche e commerciali e, contemporaneamente, il diploma presso la Scuola Superiore di Tessitura. La sua tesi di laurea, “L'industria cotoniera italiana”, pubblicata nel 1907 a puntate sulla rivista “Industria Tessile e Tintoria” e quindi in opuscolo nel 1908, dedicata al rettore della "Bocconi" Leopoldo Sabbatini, può considerarsi una sorta di breviario dell'industriale tessile del primo novecento. Con questa filosofia il Canto viene spedito subito dal suo rettore a Napoli da Roberto Wenner, che gli ha fatto richiesta di un giovane laureato in grado di fornirgli valida collaborazione. Il Wenner, che discende da una famiglia svizzera della città di San Gallo creatrice dell'industria cotoniera meridionale, è allora titolare di una società, la “Roberto Wenner & C”, con stabilimenti a Scafati e Castellammare di Stabia. La collaborazione con il Canto coincide con una grande espansione della sua azienda e con la scalata a due grossi complessi cotonieri sorti nella zona orientale di Napoli, il “Cotonificio Nazionale” e le “Industrie Tessili Napoletane”. Il tutto anche in virtù delle agevolazioni garantite dalla legge speciale n. 351 del 8 luglio 1904. Il 7 gennaio 1913, riunendo le aziende di Scafati, di Castellammare di Stabia e di Napoli, per opera del Canto viene creata la “Manifatture Cotoniere Meridionali Roberto Wenner & C.” (M.C.M.). In breve il Canto, complice la favorevole congiuntura creata dalla guerra, diviene comproprietario dell’intero complesso e, con l’aiuto delle spregiudicate manovre finanziarie della “Banca Italiana di Sconto”, mette a punto un ricco programma di iniziative che spaziano dall'industria aeronautica e bancaria al settore assicurativo ed immobiliare alla stampa specializzata e quotidiana fino alla partecipazione alle neo costituite “Autostrade Meridionali”.
Necessita ricordare che il primo aereo partenopeo è il “Napoli I°”, azionato da un motore Anzani a tre cilindri con 25cv di potenza, costruito a febbraio del 1910 nel Cotonificio Meridionale di Poggioreale. Questo aereo, struttura lignea e rivestimento con tela prodotta dallo stesso cotonificio, è progettato da Emilio Graf e poi fatto volare da Ettore Sarubbi nel seguente maggio. Per inciso ricordiamo che il secondo velivolo campano è un aereo Parasol che nel 1913 Armando de Simone costruisce nelle officine “Carrano & Corazzo” e poi fa volare nella “Real Tenuta” di Licola.
Memore del primo velivolo che ha visto nascere nelle sue officine Bruno Canzio Canto nel 1916, col socio Carlo Lefebvre ed altri, getta le basi per una società per la "fabbricazione e riparazione di apparecchi di aviazione e motori per detti nonché l'esercizio di trasporti aerei di posta, passeggeri e merci", di cui assume la presidenza lasciando al dottor Cingano l’incarico di amministratore delegato. Così il 25 luglio 1917 nasce il gruppo “Industrie Aviatorie Meridionali” (I.A.M.) con sede a Napoli, stabilimento motori al Pascone, zona di campagna oltre la stazione centrale di Napoli, officina di componentistica a Baia e capannoni per il montaggio finale a Lucrino.
A reclamizzare il programma ambizioso di tale industria, tra l'altro la costruzione di un aeromobile per il collegamento commerciale senza scalo tra l'Europa e l'America, oltre a varie iniziative che poi vedremo, egli lancia, a partire dal gennaio 1918, il mensile “La Via Azzurra”.
All’entrata in guerra, nel maggio 1915, l'aviazione italiana non ha compiuto nessun miglioramento tecnologico dalla guerra di Libia e gli aerei italiani possono compiere solo ricognizioni. La notte dello stesso 24 maggio gli idrovolanti austriaci bombardano Venezia. Questa e altre incursioni in territorio veneto hanno almeno il risvolto di suscitare attenzione verso l'arma aeronautica ed in particolare verso l'aviazione della Marina che ha a disposizione 12 piloti, due dirigibili ed una trentina di idrovolanti, ma nessuno impiegabile con finalità belliche.
Le necessità militari danno un inevitabile spinta alla costruzione di idrovolanti di ogni tipo e destinati a vari tipi di missione. In Italia se ne producono molti sia su progetto italiano sia su licenza. L’idrovolante più usato dagli italiani nel corso del conflitto è tuttavia l’F.B.A. (Franco British Aviation), costruito su licenza, un idro biplano a scafo centrale, monomotore da caccia, ricognizione e piccolo bombardamento. Di questo aereo ne sono costruiti 2.870 soltanto in Francia. Specializzati come caccia sommergibili, gli F.B.A. (Foto 2 dal libro “FBA Type H” di P. Varriale), possono pattugliare per quattro ore consecutive, alla velocità di 140 km/h e sono armati di Mitragliatrice Lewis Ravelli e bombe sub alari antisommergibili. Hanno due uomini di equipaggio, una lunghezza di mt. 10.10, una altezza di mt. 3.30, un’apertura alare di mt. 14.50, una superficie alare di mq. 41.70, un peso di kg. 1.050, un motore da 150cv, una velocità di 145 km/h, una tangenza di 4.900mt. ed una autonomia di 600 km.
L’Italia ne produce oltre 1.000 esemplari così distribuiti: 100 costruiti dalla “S.A. Savoia” di Bovisio (con motore I.F. V4b), 60 costruiti dalla “F.lli Zari” di Bovisio (con motore I.F. V4b), 406 costruiti dalla “S.I.A.I.” di Sesto Calende (con motore Gnome e I.F. V4b), 120 costruiti dalla “Ducrot” di Palermo (motore I.F. V4b), 140 costruiti dalla “I.A.M.” di Napoli (motore I.F. V4b e I.F. V6), 103 costruiti dalla “Cives” di Varazze (motore I.F. V4b) e 93 costruiti dalla “Gallinari” di Marina di Pisa (motore I.F. V4b e I.F. V6).
Dunque a Lucrino ne sono costruiti 140 per l’aviazione della Regia Marina oltre ad esemplari destinati all’uso civile. I motori Isotta Fraschini V4b e poi i migliorati V6 sono fabbricati presso lo stabilimento che l’azienda possiede al Pascone a Napoli coinvolgendo, nella loro costruzione, anche altre aziende napoletane tra le quali la “Ingamo & Di Lauro”.
L’idro F.B.A. tipo “H” è un ottimo combattente ma è giudicato un aereo alquanto "pericoloso". Dagli aviatori italiani è amato e temuto allo stesso tempo in quanto tende ad andare in vite nelle virate e ha un minimo scarto tra la velocità massima e quella minima di sostentamento. Il generale Alberto Briganti ricorda, nelle sue memorie, che scherzosamente tra gli aviatori la sigla F.B.A sta per "Fate Bene Attenzione"!
Intanto Bruno Canzio Canto non perde di vista l’espansione civile della fabbrica e Giuseppe Alba racconta che, nonostante sia in atto l’orrendo massacro di uomini determinato dalla prima guerra mondiale, il 28 giugno del 1917 un idrovolante della “Industrie Aviatorie Meridionali”, con alla guida il pilota Ruggero Franzoni e col motorista Francesco Romanuzzi, compie i voli postali Napoli - Palermo e ritorno. Un avvenimento che incide sullo sviluppo dei moderni mezzi delle nostre comunicazioni postali e in quella occasione è emesso un secondo francobollo di posta aerea dopo lo sperimentale, e primo al mondo, emesso per il volo Torino - Roma e ritorno il precedente 22 maggio. L’idrovolante, in versione civile alleggerito della armi ma con maggior capacità di carburante per aumentarne l’autonomia, parte da Napoli alle ore 6.24 ed ammara a Palermo, tra l’entusiasmo della folla e la banda cittadina, alle ore 9.25. Per l’occasione è distribuita una cartolina illustrata da Paolo Bevilacqua (foto 3) ed il benvenuto agli aviatori (che oltre la posta portano un messaggio augurale del sindaco di Napoli ed un numero speciale de “Il Mattino”) è dato dal Prefetto, dal Sindaco, dal Comandante del Corpo d’Armata, dal Capitano del Porto e dal rappresentante delle “Industrie Aviatorie Meridionali”, società proprietaria del velivolo, Cav. Uff. Salvatore Teresi. Il velivolo riparte alle ore 17.00 per Napoli dove arriva l’indomani avendo sostato, causa una imprevista nebbia, a Capo d’Orlando. Il servizio postale con l’idrovolante continua poi in modo saltuario per assumere una frequenza regolare a partire dalla seconda metà degli anni ‘20.
Intanto Napoli, per la presenza di complessi industriali e militari, il 10 marzo 1918 è bersaglio di un bombardamento aereo da parte di un dirigibile tedesco Zeppelin L.59 che, partito dalla Bulgaria, sgancia 24 bombe sul porto militare, il gazometro, Mergellina e gli impianti siderurgici di Bagnoli; provocando la morte di 16 persone e molti feriti. Quale conseguenza del bombardamento ed a protezione di Napoli viene schierata a Pozzuoli una squadriglia di idrocaccia F.B.A., con sede nello stesso lago di Lucrino ed è la “I.A. Meridionale” ad interessarsi della loro manutenzione.
Altra azione propagandista della fabbrica di Lucrino domenica 2 giugno 1918 con il lancio su Roma, effettuato sempre da un suo idrovolante, di un volantino che inneggia alle virtù dei valorosi soldati italiani nel giorno delle Sacre Istituzioni (foto 4). Ricordiamo che dall'anno 1861, con la proclamazione dell’unità, la prima domenica del mese di giugno di ogni anno è Festa Nazionale per celebrare l’Unità d’Italia e lo Statuto del Regno.
Con la fine della guerra molte industrie che hanno prosperato con le forniture militari si ritrovano di colpo senza commesse ed ovviamente il Mezzogiorno risente ancora di più della crisi. Il mercato civile attinge ai grossi surplus militari disponibili e lo stato inizia a gestire direttamente le linee civili e postali. Nello stesso tempo le banche italiane si trovano fortemente esposte nei confronti dei grandi gruppi industriali e, con il rischio di venire trascinate dal loro fallimento, non concedono più finanziamenti. Nel frattempo il trattato di pace di Versailles vieta ai tedeschi, tra l’altro, la progettazione e la costruzione di velivoli costringendoli a trasferire all’estero le fabbriche di aeroplani. Claudio Dornier, famoso progettista e costruttore di idrovolanti, sceglie l’Italia e, aiutato dal conte Vitaliano Uboldi, nei primi mesi del 1920 valuta anche lo stabilimento di Lucrino. La trattativa, abbastanza complessa, è portata avanti con cautela poiché si cerca una struttura industriale già esistente, con esperte maestranze, con spazi idonei alla costruzione di idrovolanti, vicino a un ampio specchio d’acqua, lacustre o marino. Ma il mitico Lucrino ha una superficie ridotta per i giganti che Dornier intende costruire pertanto la scelta si ferma alla foce dell’Arno presso la “Società Gallinari” che, anch’essa senza commesse, versa nelle stesse condizioni della nostra “I.A.M.”.
Al settembre 1920 l’azienda, iscritta all’Unione Regionale Industriale, risulta avere ancora 385 dipendenti, ma ormai non esistono più i presupposti per realizzare le grandi idee del Canto e la nostra fabbrica, che fu prima in Campania in campo aeronautico, è costretta a chiudere nel corso del 1922. La condannano le stesse sfavorevoli congiunture che trascinano nella crisi l’Armstrong di Pozzuoli e l’altro costruttore di aerei del napoletano; le “Officine Ferroviarie Meridionali” che però vengono rilevate dall’astro nascente ing. Nicola Romeo che le fonde con le sue nuove “Industrie Aeronautiche Romeo” e saprà approfittare sia della nascita della ”Regia Aeronautica” come arma autonoma sia del riarmo avviato dal nuovo regime.
Durante la Seconda Guerra Mondiale parte delle strutture di Lucrino sono adoperate dai tedeschi come officine di adattamento per rendere idonei i siluri, costruiti a Baia, ad essere lanciati da aerei e navi del Reich. Nel settembre del 1943 il tutto viene fatto saltare dai guastatori tedeschi in ritirata.



Giuseppe Peluso - Pozzuoli Magazine del 4 febbraio 2012

venerdì 3 febbraio 2012

SMP.3 - L’ultimo cannone di Pozzuoli










SMP-3
L’ultimo cannone di Pozzuoli


A quelli come me che nei primi anni ‘50 iniziavano a percorrere la provinciale Via Miliscola, sulla sinistra, poco oltre la chiesa di San Marco, appariva un elegante edificio in stile “littorio”, già sede della Biblioteca e della Scuola Professionale dello Stabilimento Ansaldo.
Sulla fiancata orientale di tale edificio, quindi ben visibile dalla predetta strada, era scritto a caratteri cubitali e su due righe la dicitura:


STABILIMENTI MECCANICI
DI POZZUOLI


Scritta che vediamo anche nella foto n.1 ripresa prima del 1956, anno in cui questa porzione di cantiere è ceduta all’americana “Sunbeam” di Chicago. La Sunbeam, produce piccoli elettrodomestici e utensili per la casa e a Pozzuoli concentra la sua produzione sulle lame per rasoi. Sebbene il quadro dirigenziale sia straniero, o di altre regioni italiane, gli operai sono assunti localmente, in maggioranza donne; il lavoro richiede estrema precisione ed abilità. Il fatturato dei primi anni lascia intravedere un futuro abbastanza stabile ma la crisi del settore porta nel 1969 ai primi licenziamenti, e alla chiusura definitiva nell’anno seguente.
Sempre nella foto si nota la vecchia palificata della Società Meridionale Elettrica e si distingue l’ormai tappato buco nel muro che permetteva a noi bambini della zona “mulino” di accorciare per raggiungere la spiaggia oggi occupata dalla banchina dei Cantieri Maglietta. Veri bagni di sangue quelli fatti i giorni di mercoledì e venerdì in coincidenza con l’attività del macello comunale. Il mattatoio scaricava in mare il raccolto dei suoi tombini e noi uscivamo dall’acqua tutti rossi di sangue, come piccoli “Sigfrido”.
Ogni giorno, uscendo da scuola e ritornando a casa in Villa Maria, leggevo e memorizzavo l’enorme scritta che pensavo fosse direttamente proporzionata alla importanza e grandezza dell’Azienda cui apparteneva; così immense come le insegne poste sui serbatoi e sulle tettoie. Queste ultime leggibili solo dall’alto della “Starza”, ovvero dal belvedere prossimo al “Villaggio del Fanciullo”.
Quella descritta era la nuova ragione sociale di ciò che inizialmente fu la “Armstrong” e poi la “Ansaldo Artiglierie”. Industrie all’avanguardia finché nel 1943, nel pieno della seconda guerra mondiale, sono danneggiate prima dai bombardamenti alleati e successivamente dalla congiunta rabbia distruttiva di tedeschi in ritirata e di fascisti nostrani.
Nel 1947 all’Ansaldo subentrano gli S.M.P. (“Stabilimenti Meccanici di Pozzuoli”) che abbandonano le fabbricazioni belliche, per dedicarsi alla produzione meccanica media, fucinatura, stampaggio e carpenteria.
Nel 1948 questi stabilimenti passano sotto il controllo “I.R.I.”, come diramazione della finanziaria “Finmeccanica”. Inizia così anche la costruzione di materiale rotabile ferroviario prima con l’insegna degli stessi S.M.P. per proseguire poi nel 1957 con l’AERFER ed infine nel 1967 con la SOFER.
Che si costruissero treni è noto a tutti, ma non tutti sanno che fino alla fine degli anni ‘50 in questo stesso stabilimento venivano ancora progettati e costruiti pezzi di artiglieria navale che trovavano utile impiego su alcune unità delle flotte italiana, olandese, danese e indonesiana.
Sembra strano che il principale cantiere della “rossa” Pozzuoli operaia possa aver costruito strumenti bellici nel democratico periodo repubblicano; dopo la tragica avventura del fascismo, dell’imperialismo e della luttuosa guerra aggressiva. Nell’immediato dopoguerra gruppi politici di sinistra, ma anche di centro, si battono per una pacifica riconversione della produzione bellica ritenuta diretta emanazione del nefasto imperialismo.
Gli operai del nord hanno, nel tragico periodo post armistiziale, boicottato i tedeschi e nello stesso tempo salvaguardato gli impianti di produzione pensando al futuro. A Pozzuoli sono i locali fascisti a guidare i tedeschi nella loro opera di distruzione degli impianti industriali. Restano pochi macchinari adatti alla produzione di artiglierie ma in fabbrica ci sono capacità, esperienza e lavoratori che non demordono e non si arrendono. Lo stabilimento è ancora immenso, il personale numeroso anche per motivi sociali, le commesse civili tardono a decollare, pertanto lo S.M.P. inizia in sordina, nella sua forma primigenia, la progettazione e la costruzione di un moderno pezzo d’artiglieria navale. Si tratta di un cannone anti aereo da 76mm, cioè da tre pollici, da cui scaturisce la sua sigla “SMP-3”. All'epoca si sta verificando l'inadeguatezza del munizionamento da 40mm contro gli aerei moderni, soprattutto perché tale munizionamento non permette l'adozione di spolette di prossimità. Esiste una direttiva generale NATO verso il calibro da 76mm (3"); gli americani cercano di automatizzare il loro 76/50; gli inglesi sperimentano su questo stesso calibro; svedesi e francesi su calibri inferiori; solo l' Italia, con risultati validi ancora adesso, adotta un sistema totalmente nuovo. Lo “SMP-3” è un impianto singolo scudato da 76/62mm antiaereo di nuova generazione completamente automatico, a tiro rapido in grado di sparare colpi singoli o a raffica. Il caricamento avviene automaticamente mediante un tamburo ruotante con 14 colpi; ad esaurimento della raffica i bossoli vengono espulsi colpo per colpo, la canna si predispone alla massima elevazione di 90° ed il tamburo viene ricaricato in maniera automatica; questa manovra avviene in 3 secondi e la cadenza media del tiro è di 50 colpi al minuto. La gittata massima è di metri 16.000, l’altezza del vertice di traiettoria di metri 11.500, il peso del proiettile di kg.6 e la velocità iniziale di 959 metri al secondo. Questa artiglieria viene montata sulle 8 corvette classe “Alcione” (foto n.2) costruite da cantieri italiani tra il 1953 ed il 1956; prime unità di scorta realizzate nel dopoguerra. Sono tutte costruite su commessa NATO nell’ambito del “MDAP” (Mutual Defense Assistance Program), tre per l’Italia, 4 per la Danimarca ed 1 per l’Olanda. Su di esse sono imbarcati, fra i diversi sistemi d'arma di nuova progettazione e costruzione nazionale, anche due complessi di questo cannone, uno a prua ed uno a poppa, e sotto coperta si trovano i relativi due depositi munizioni per i proiettili. I pezzi sono asserviti ad una centrale di tiro radar, anch’essa di concezione italiana, con colonnina di puntamento, con antenna radar, posta sul cielo della tuga centrale (foto n.3). Due simili complessi per unità sono montati sulle leggermente diverse corvette, “Surapati” e “Iman Bondiol”, che in quegli anni i cantieri italiani consegnano all’Indonesia. In totale sono costruiti 20 complessi oltre a parti di rispetto, soprattutto quelle di usura, tra cui certamente le canne di ricambio. E’ da notare che il 22 gennaio 1954, l’ambasciatore italiano a Tel Aviv, Benedetto Capomazza di Campolattaro, informa il ministero degli Esteri che l’addetto navale israeliano a Roma gli ha comunicato l’intenzione del suo governo di acquistare siluri presso il Silurificio di Livorno per un ammontare di un milione di dollari e di essere interessato all’acquisto di cannoni prodotti dalle Officine Meccaniche di Pozzuoli. Questa richiesta non si concretizza per opportunità di politica internazionale e nel contempo il Governo Italiano decide di concentrare presso lo stabilimento “OTO Melara” di Livorno tutta la produzione e lo sviluppo delle artiglierie. Poiché le commesse civili di materiale ferroviario non sono sufficienti ad assicurare la sopravvivenza del grande stabilimento, all’approssimarsi di una nuova crisi l’Onorevole Giovanni Roberti così interviene in Parlamento, con una sua interpellanza, nella seduta del 13 novembre 1957.
«Si dice che gli stabilimenti meccanici di Pozzuoli sono particolarmente attrezzati per la fabbricazione delle artiglierie. Anzitutto, questo è un mercato da non buttar via. Credo che nessun rappresentante sindacale, quali che possano essere le esigenze, anche di dottrina politica internazionale, che potrebbero ispirare le sue affermazioni, interpreterebbe realmente il pensiero e il sentimento dei lavoratori di Pozzuoli e della provincia di Napoli se dicesse che si dovrebbero respingere le possibilità di lavoro per la fabbricazione di artiglierie. I cantieri Ansaldo di Pozzuoli hanno costruito celebri artiglierie, hanno anche una gloriosa tradizione patriottica, e sono conosciuti abbastanza sui mercati internazionali per la capacità delle maestranze, la fedeltà nelle esecuzioni, la riservatezza dei dirigenti e per un complesso di fattori spirituali e tecnici che rendono accreditato uno stabilimento su determinati mercati. Questo però non autorizza a sciorinare dei luoghi comuni. Di specifico per la fabbricazione dell’artiglieria non vi è altro che la rigatura, ed è un artigliere che vi parla; tutto il resto e industria meccanica, anche le fucinature, gli stampaggi, che possono fabbricare tanto proiettili come camicie di cilindri e altre cose. Non si venga dunque a dire che si tratta di attrezzatura bellica.»
Nel 1957 le nuove fregate della classe “Centauro” rappresentano i primi esemplari di naviglio per la scorta d'altura costruito in Italia nel dopoguerra. Loro caratteristica peculiare è il nuovo pezzo da 76/62mm "sovrapposto", (foto n.4) costruito dalla “OTO Melara” in torri binate sull’esperienza scaturita dallo “SMP-3”. Trattasi di un complesso con disposizione insolita di due canne sovrapposte con caricamento completamente automatico e continuo, che avviene per mezzo di apposite norie a qualsiasi elevazione; dotato di forte velocità di brandeggio e cadenza media di tiro di 60 colpi al minuto per canna. Abbiamo visto che l' impianto “SMP-3” ha una sorta di tamburo, tipo revolver, che completata la sequenza di tiro, viene portato alla massima elevazione di 90° per la ricarica del tamburo. Evidentemente un sistema abbastanza complesso, con notevoli inerzie, ed un cero ritardo anche nel rientro in punteria. Uno dei problemi riscontrati è il metodo e la velocità di alimentazione del "tamburo o revolver”. Sulla corvetta olandese “Linx”, poi restituita all'Italia come “Aquila”, si verifica un grave incidente; durante la fase di aggancio di una cartuccia nella noria, dove il movimento è assicurato da rulli, si verifica un intoppo, bloccando la cartuccia in una determinata posizione. Si parlò a suo tempo di eccessiva od errata lubrificazione, ed il movimento dei rulli sulla cartuccia bloccata, con l'attrito, portarono al surriscaldamento ed alla successiva esplosione della carica. Purtroppo ci furono vittime e questo ebbe gravi ripercussioni sullo sviluppo del cannone. Le speranze si riversarono verso la torretta “sovrapposto” ma anche le sue prestazioni si rilevarono insoddisfacente ed anch’essa, come lo “SMP-3”, ebbe solo funzione di prototipo. Nel 1958 la “OTO Melara” inizia a lavorare su una nuova versione a canna singola, il modello 76/62 “allargato” in consegna dal 1961 per un totale di 84 complessi per la sola Marina Militare Italiana. Da questo modello scaturirà poi il 76/62 tipo “compatto”, ultimo discendente del puteolano “SMP-3”, che riscuoterà un forte successo commerciale venendo adottato, in migliaia di esemplari, da quasi tutte le marine mondiali.



Giuseppe Peluso