martedì 28 marzo 2017

Giambattista Vecchioni

Giambattista Vecchioni
Un illustre puteolano al servizio dei Borbone

Dal nono volume “Memorie di Religione, di Morale e di Letteratura”, edito a Modena nel 1826 dai “Tipografi Reali eredi Soltani”, estrapoliamo il necrologio di un illustre cittadino puteolano.

La notizia, scritta dal cronista cav. Francesco de Angelis, riporta che il giorno 13 febbraio 1826 cessa di vivere in Napoli il Signor Don Giambattista Vecchioni, Gran Croce dell’ordine Costantiniano, e già Direttore delle reali Segreterie di Stato [1].

L’abate Giuseppe De Criscio, in un suo volume, riferisce che la nobile Famiglia Vecchioni, originaria di Nola dove è documentata fin dal ‘500, si trasferisce a Pozzuoli nel seicento.
Non si conosce la causa di questo trasferimento e la loro prima data certa a Pozzuoli è relativa all’anno 1700 con Andrea Vecchioni, nominato vicario generale.
Questa Famiglia solo nel 1744 è aggregata al Sedile dei Nobili di Pozzuoli quando, unitamente alla Famiglia Migliaresi, è ammessa al patriziato cittadino anche se non si distingue per alcun particolar merito [2].

Il redattore del necrologio scrive che Giovan Battista Romualdo Valentino Francesco Ignazio Benedetto Maria Giuliano Aniello Rafaele Vecchioni nasce in Pozzuoli, città antichissima del Regno, nel di 14 gennaio 1757 alle ore 18 ed un quarto ed è battezzato il 27 dello stesso mese nella cattedrale dedicata a San Procolo Martire.
I suoi Genitori, che furono Don Nicola e Donna Lucrezia Migliarese Patrizi di detta città, nulla omisero onde il prediletto loro figlio ricevesse un’ottima educazione mercé la quale potesse divenire un giorno utile alla società ed alla patria. Egli infatti dimostrò sin da suoi primi anni un gran talento, ed una singolare memoria. Ben presto terminò in Napoli il corso dei studi, rendendosi versatissimo nelle lettere, nella filosofia, nella politica, e nella giurisprudenza alla quale instancabilmente si applica diventando un eccellente avvocato.
Un così degno soggetto non può sfuggire alla vista del Governo che nel 1798 lo promuove alla carica di Giudice della Gran Corte della Vicaria.
Passa poi alla carica di Consigliere del Tribunale del Commercio; Delegato della Giunta dei Veleni; Prefetto dell’Annona; ecc.. ecc..
In mezzo a così delicate e difficili cariche il Vecchioni si muove sempre con fedeltà, con moderazione, saggezza, senza far pompa dei suoi alti talenti e senza ombra di incompatibilità.

La sua fame non sfugge neppure agli occhi dei francesi che, giunti a Napoli nel 1799, nel corso del mese di aprile lo arrestano rinchiudendolo nel Monastero di San Francesco delle Monache, trasformato in carcere.
Per il cronista è arrestato solo perché conosciuto come suddito fedele, della migliore dottrina, avverso ai venti rivoluzionari e grato ai vecchi sovrani che lo hanno meritatamente innalzato e promosso, ma non riferisce quanto storicamente accertato. Il Vecchioni ha avuto parte attiva nella nota “Congiura dei Baccher”. Complotto filoborbonico, svelato da Luisa Sanfelice, avversa alla Repubblica Partenopea.

Con la prima restaurazione borbonica, e la tragica fine della repubblica filo francese, Vecchioni ritorna libero e S.M. Ferdinando IV (Dio Guardi) lo nomina Presidente dell’Ammiragliato; Caporuota del Magistrato del Commercio; ed in seguito Consultore della Curia del Cappellano Maggiore e Delegato Ordinario della Pubblica Istruzione.

Poi alla fine del 1805 c’è il ritorno dei francesi e sul trono del napoleonico Regno di Napoli ascende Giuseppe Bonaparte. Dati i suoi talenti di bravo magistrato Vecchioni viene da questi nominato membro del Consiglio di Stato. Il cronista, palesemente filo borbonico, aggiunge che questa nomina è elargita affinché possa rendere legale la usurpazione dei transalpini e faccia decidere per la causa francese molti di coloro che nel 1799 sono rimasti spaventati dai rigori della repubblica ed ora si tengono nascosti ed indecisi.
Il Vecchioni però, che ha succhiato il latte puro dalla fonte della vera morale e che ha spiegato per la legittima dinastia dei Borbone una fedeltà sorprendente ed una viva riconoscenza, rifiuta e si ritira a vita privata nel suo palazzo di Pozzuoli per coltivare la virtù e nutrirsi della lettura dei migliori autori [3].

Indispettito il Capo del Governo Militare, per non aver potuto tirare al suo partito un sì degno soggetto, lo fa arrestare sotto effimeri pretesti e lo fa rinchiudere nel forte di S. Elmo.
Praticamente è accusato di intrattenere una corrispondenza segreta con i Reali in esilio a Palermo mentre lui afferma che le missive, che affida a barche che attraccano nel porto di Pozzuoli, sono dirette ad un amico residente a Capri.
Il Vecchione, come egli stesso riporterà, teme una condanna a morte per decapitazione, pertanto, nel marzo 1807, stila le sue disposizioni testamentarie.
Anche il suo cronista parla di condanna a morte ma, continua, l’onnipotente mano divina salva l’innocente suo seguace che viene semplicemente esiliato dal Regno. Sempre per il cronista egli deve la sua vita alle lagrime della sua desolata e virtuosa consorte, Donna Maria Rosa, la quale, unitamente al tenero suo figlio Don Nicola, dopo aver sparsa gran copia di aureo filosofico metallo, muove da Pozzuoli e si presenta al re Giuseppe Bonaparte per implorar grazia.
Grazie che ottiene poiché la pena capitale è prima tramutata in detenzione, da scontarsi alla tristemente famosa fortezza di Fenestrelle, e poi tramutata in condanna all’esilio.
Egli parte per Torino ove resta per due anni e quattro mesi. Passa in seguito a Clermont Ferrand, capitale dell’Alvergna e antica provincia della Francia, e vi si trattiene per altri 18 mesi.
Ivi, riconosciuto come uomo grande che ingiustamente ha sofferto, nel 1810 gli è accordata la grazia di poter rimpatriare. Il 29 gennaio 1811 ritorna a Napoli, dove dal 1808 regna Gioacchino Murat dopo che il trono si è reso vacante per la nomina di Giuseppe a re di Spagna, e si ritira nuovamente a Pozzuoli nel suo antico palazzo.

Al definitivo ritorno nel regno di S.M. Ferdinando IV (Dio Guardi) di gloriosissima memoria, il Vecchioni il 29 giugno 1815 è promosso alla carica di Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Giustizia ed il 16 marzo 1816 passa alla piazza di Presidente della Gran Corte dei Conti [4].

La sua attività presso il Tribunale rappresenta una pietra miliare per i moderni dibattiti processuali e per il diritto di procedura penale. Vecchioni non si limita ad assistere, accusare o giudicare; egli è un vero attore e come tale “fa spettacolo”. Quando c’è lui popolo e legali corrono in tribunale; i primi per gustare una esibizione unica e irripetibile, i secondi per apprendere quell’arte che darà un primato al foro napoletano e che sarà poi ben rappresentata dalle interpretazioni cinematografiche di Vittorio De Sica.

Nella ribellione del 1820, e in tutto il tempo della ridicola Costituzione, così come ancora scrive il cronista, il Vecchioni tiene quel contegno che conveniva a si grande uomo. Il Re Ferdinando da Firenze, nel 1821, lo nomina di “motu proprio”, non senza qualche contraddizione, uno dei membri del Governo Provvisorio, assegnandogli il Dipartimento dell’Interno.
In seguito gli è dato il portafoglio anche del Ministero di Grazia e Giustizia, dell’Ecclesiastico, ed in fine quello del Ministero della Polizia.
Tutte questa cariche ministeriali sono da quest’insigne personaggio sostenute con zelo, e con piena soddisfazione del Sovrano, e della Nazione.
Egli non si dimentica mai, nell’esercizio di tali cariche, di essere stato solo un particolare; sempre si rende accessibile, moderato, e giusto con tutti.
Attributi, tutti quelli elencati, certamente degni di un vero uomo di stato.

Vecchioni, che tra l’altro è autore di trattati giuridici e politici, promuove e rianima le belle arti; è attento a far risplendere l’istruzione pubblica e ad installar nuovamente i Corpi di religiosi che sono stati soppressi dal Governo Militare.
Si deve all’attività di questo grand’uomo, di cui ora si deplora la perdita, il ritorno in Napoli della Compagnia di Gesù che, scacciata dai rivoluzionari nel decennio francese, ritorna a Napoli mercé le cure e l’inarrivabile attività del nostro puteolano concittadino.
Vecchioni si occupa moltissimo per dar regolamento alle scuole elementari, per istituir utili riforme nei professori e nei studenti dell’università della capitale e del regno, incaricandosi moltissimo dell’istruzione, non che della pratiche religiose e dei costumi della gioventù tanto trascurata e tradita.
Quantunque il Vecchioni sia instancabile, sostenendo con zelo, ed esattezza i suddetti quattro Ministeri, pure il suo fisico patisce da gran tempo per aver menata una vita spinosa in mezzo a tante fatiche letterarie, non che alle pene di suo lungo esilio, ed infine per aver perduta la prudente, fedele e virtuosa sua Consorte.
Pertanto nel 1823 Sua Maestà il Re gli accorda benignamente l’implorato ritiro; lo decora della Gran Croce dell’Ordine Costantiniano e gli concede un’annua pensione di ducati 5.400.

Tutti sanno però che l’ottimo attuale monarca del Regno delle due Sicilie Francesco I (Dio Guardi), così continua il cronista, segretamente e di continuo lo consulti, e si serva dei lumi di tant’uomo, tutto dedicato alla Borbonica dinastia, per quei lavori che medita per la futura felicità dei suoi sudditi.
Il Vecchioni, carico di tanti onori Sovrani, cerca nel suo gabinetto di formare dei scritti eruditi per le Accademie del Regno e straniere, delle quali fa parte, e di continuare a conversare coi suoi antichi e virtuosi amici, tra i quali il celebre fu Cavaliere Poli, col fu Duca di Lupiano, Don Gaspare Mello, con Monsignor Giunti, con Monsignor Porta, con Monsignor Olivieri, e con altri rispettabili Personaggi.

Poi è improvvisamente rapito ai viventi, il 13 febbraio 1826, mentre si trova in carrozza a Napoli, e chiude la gloriosa carriera della sua vita invocando soccorso da Gesù Cristo. Egli con ragione vien pianto dall’unico suo figlio, da tutti i letterati e da tutti gli amici, per essere stato un suddito fedele, il Mecenate delle lettere, ed il sostegno dei compagni oppressi, come appare dallo stesso suo olografo testamento nel 1822, che è l’esempio della Cristiana Religione, lo specchio dei Padri di Famiglia, ed il modello della vera amicizia.

S.M. Francesco I (Dio Guardi), all’annuncio infausto della morte di così degno soggetto, ordina che gli siano resi tutti gli onori dovuti al suo rango da tutta la Magistratura, e da tutti i Direttori delle Reali Segreterie di Stato.

Giuseppe Peluso