lunedì 17 ottobre 2016

Pozzuoli vs Besiktas


Pozzuoli vs Besiktas
Una partita vinta dai puteolani contro i Turchi


Tutti si chiederanno: «cosa c’entra Pozzuoli con Besiktas?»
Un legame c’è con Napoli, per i prossimi due incontri di calcio in “Champion League”, ma con Pozzuoli?

Eppure questo legame c’è e si chiama Barbarossa, il pirata turco.


Khayr al-Dīn [1], detto Ariadeno Barbarossa e conosciuto anche come Haradin, nasce da una famiglia greca di Mitilene nel 1465 circa.
Barbarossa, dal colore della sua folta barba, è stato un corsaro, Bey di Algeri, governatore di tutto il nord Africa, ammiraglio della flotta ottomana.
Fin dalla gioventù con i fratelli Elias e Arug esercita la guerra di corsa nell'Egeo finché la flotta dei Cavalieri di Rodi pone fine alla sua attività quando, in un combattimento del 1518 al largo dell'isola di Creta, cade ucciso il fratello Elias e lui ed Arug sono fatti prigionieri.
Viene poi liberato e la sua fortuna comincia quando, sotto la guida di Arug, si porta sulle coste della Barberia; si stabiliscono nell'isola di Gerba e, messosi in buoni rapporti con il sultano di Tunisi, ottengono di servirsi del porto di Goletta. Da qui spadroneggiano sul tratto di costa da Tripoli a Tangeri e si spingono a depredare l’intero Mediterraneo occidentale.

Quando nel 1518 Arug è sconfitto e ucciso dagli spagnoli, è un momento di tragedia e di lutto per la famiglia. Khayr al-Din dopo averlo atteso invano assume il comando della flotta e si proclama Bey di Algeri.

Il Barbarossa sa che Selim I° [2], sultano di Costantinopoli, è impegnato nella conquista della Siria e dell’Egitto, e non può occuparsi di questi territori.
Selim, infatti, lo ringrazia e lo nomina suo governatore. Khair al-Din ottiene così la protezione della potenza ottomana e di fatto, ricevendo il titolo di Beylerbey (governatore), il riconoscimento della potestà personale sulle province del nord Africa da lui conquistate. 

Khayr al-Dīn diventa letteralmente il terrore del Mediterraneo, devasta intere coste di questo bacino, soprattutto in Calabria, Liguria e Andalusia, e tutto questo con il beneplacito del suo nuovo sovrano Solimano [3], figlio di Selim.

Le sue numerose gesta e le sue imprese temerarie lo rendono famoso e la sua importanza cresce sempre di più anche grazie alle sue abilità come comandante. Infatti dopo il 1533 comincia la “seconda fase” della sua vita, perché diventa l’indiscusso ammiraglio della flotta ottomana.

Le razzie e le incursioni del pirata Barbarossa continuano anche con la sua nuova nomina; continua a devastare e saccheggiare tutte le coste e le isole del Mediterraneo.
La tecnica è sempre la stessa da quando la prima volta minacciò l’antica Antalia; già in quella occasione, prima di assalirla, inviò una ambasceria con la richiesta di resa che così suonava: «Adalia, stiamo arrivando».
Se la cittadina non si arrende è attaccata e turbe feroci si precipitano dovunque, commettendo ogni sorta di nefandezze, di ruberie e di atti inumani. Tutte le case sono spogliate, e molte di esse sono ridotte a mucchi di pietre dalla ferocia dei turchi. Nulla riesce a frenare la furia devastatrice degli assalitori, non le chiese, non le immagini sacre che sono calpestate.
Ovviamente le sue scorrerie destano reazioni da parte dei potenti dell’epoca, in special modo della Spagna e della Repubblica di Genova il cui ammiraglio, Andrea Doria, è uno dei suoi più acerrimi rivali; i due si scontrano più volte in mare, con alterne fortune.

Nel 1543 un fatto nuovo porta costernazione nel mondo cristiano, Kayr al-Din si allea, per conto del Sultano, con la cattolicissima Francia di Francesco I per combattere contro Carlo V, Imperatore del Sacro Romano Impero, Re di Spagna, Re di Napoli, Re di Sardegna, Re di Sicilia, Duca di Borgogna.
Mentre con oltre 100 galee naviga alla volta di Marsiglia, Khair al-Din assale Reggio Calabria dove rapisce un’avvenente fanciulla diciottenne, Dona Maria, figlia di un governatore spagnolo, e la sposa. Assale poi Gaeta, devasta le coste romane e toscane, e infine contribuisce alla riconquista di Nizza per conto del re di Francia.
Il Barbarossa sverna a Tolone dopo di che il re Francesco I, ravvedutosi della scandalosa lega con questi infedeli che gli ha fruttato soltanto immense spese e l'odio dei popoli cristiani, nella primavera del 1544 lo rimanda in Oriente, consegnandogli molti doni.

Spinto dalla sua indole, il re dei pirati pensa di compiere, anche durante il viaggio di ritorno, azioni di forza onde trarre da esse il maggiore bottino possibile. Lungo la rotta saccheggia l’isola d’Elba e Talamone; tra i deportati vi è anche Margherita Nanni Marsili, una donna di Siena sorpresa sulla spiaggia vicino Talamone. Costei sposerà più tardi l'imperatore turco, e secondo la leggenda spingerà quest'ultimo a far uccidere il figlio di una sua concubina per assicurare la successione al loro primogenito.
Di seguito Barbarossa occupa Porto Ercole e l’isola del Giglio; la prima località si arrende e gli concede 30 uomini in cambio della promessa di risparmiare la città. Nonostante la promessa fatta i 30 uomini vengono messi in catene, il castello messo a sacco e la città data alle fiamme. Nell’isola del Giglio non vi resta intatta che una sola casa dopo un incendio durato 3 giorni; Ariadeno cattura 632 prigionieri e fa decapitare tutti i notabili del paese, fra cui sindaco, notaio e parroco.
Barbarossa riprende la rotta lungo la quale assale con forza Civitavecchia, ma Leone Strozzi, che lo affianca con le galee francesi, lo convince ad abbandonare l’impresa.
Ripresa la navigazione, nella notte del 22 giugno assale e depreda l’isola d’Ischia traendone oltre 2.000 prigionieri e trucidando gran parte dei restanti abitanti.
L’attacco ad Ischia è programmato in modo da essere infallibile e fatale; si avvicina di notte con la sua flotta alle coste e sbarca in diversi punti per assalire contemporaneamente Forio, Panza, i casali di Serrara, Fontana, Moropano, Barano e Testaccio. L’azione, fulminea e brutale, non lascia scampo agli isolani, sorpresi nel sonno. I pirati seminano terrore, morte e distruzione; migliaia di uomini sono resi schiavi, i giovani di entrambi i sessi sono rapiti per essere venduti negli harem, i vecchi e i bambini uccisi, mentre le campagne sono devastate con incendi e saccheggi.

Da Ischia passa a Procida che trova quasi vuota perché i suoi residenti, a conoscenza di quanto accaduto sull’isola sorella, sono fuggiti sulla terraferma. Comunque i corsari distruggono e rapinano tutto quanto di utile trovano sulla piccola isola.

Dopo i turchi, che ora possiedono oltre 140 navi da guerra e da carico, fingono di dirigere al largo sia perché trenta galee vicereali vigilano a difesa di Napoli, nella rada di Nisida, sia perchè non è loro abitudine assalire le grandi città.

Ma il 24 giugno ricompaiono a Pozzuoli [4] e con le intimidazioni tentano di farla desistere o quantomeno far allontanare i suoi abitanti; a questo scopo sbarcano una ambasceria che riferisce: “Pozzuoli, stiamo arrivando”.

E’ costume del corsaro turco attaccare piccoli borghi costieri poco difesi e compiervi stragi, trarre schiavi e distruggere col fuoco tutto quanto non sia asportabile. In questo modo riesce ad atterrire le altre vicine cittadine che spesso, per non subire lo stesso crudele trattamento, o abbandonano le case minacciate (come successo a Procida) o, senza opporre resistenza, s’arrendono con la disponibilità a pagare tangenti e riscatti.

I puteolani, da poco rientrati dopo i tragici eventi vulcanici di Montenuovo del 1538, pur conoscendo per fama la crudeltà del Barbarossa, appena vedono avvicinarsi il terribile pirata, confidando nella città difesa dalle mura e dalla natura, si ritirano tutti entro il fortificato castro (Rione Terra).
E’ antica consuetudine che in caso di pericolo le città vicine si aiutino fra loro con l'inviare soccorsi di uomini armati e viveri. Da Napoli accorre numeroso popolo ed i puteolani sono fiduciosi di potere sostenere un lungo assedio.
La rocca, entro la quale è racchiusa la città propriamente detta, sorge sopra una rupe scoscesa bagnata da più parti dal mare e protetta da muraglie, bastioni e torrioni sull’allora breve tratto terrestre [5].

Tutto questo rende difficile espugnarla e su questa rupe è possibile entrare da una sola strada che può essere guardata da poche persone ed il cui accesso alla fortezza è costituito da un alto e irraggiungibile ponte levatoio.

Ai piedi di questa rupe si trova un piccolo borgo, all’epoca non molto abitato, che, al primo sentore dell'avvicinarsi dei turchi, è abbandonato dagli abitanti i quali corrono a rinchiudersi entro le mura.
E’ vagliata la opportunità di inviare in Napoli tutte le donne, i bambini e gli inadatti alle armi, sia per toglierli dal pericolo sia per alleggerire il peso del vettovagliamento necessario per affrontare un eventuale lungo assedio.
Ma le donne puteolane, degne discendenti di quella Maria (coraggiosa guerriera vissuta al tempo degli Angioini) che già difese Pozzuoli dai pirati saraceni, non intendono abbandonare le loro ritrovate dimore appena riparate dalla devastatrice furia tellurica e vulcanica. Inoltre tutti confidano nella presenza di grotte, pozzi e cunicoli a mezzo dei quali è possibile ricevere vettovaglie e armi dal mare e dalla campagna.
Ariadeno Barbarossa, vista la l’intenzione dei puteolani di mettere in atto una tenace resistenza, il giorno dopo (25 giugno) fa sbarcare il grosso delle sue truppe sulla costa ai piedi della Starza dando via all’assalto verso le mura che la popolazione si accinge a proteggere con eroismo.
Nel frattempo ai difensori si sono aggiunti mille cavalieri (spagnoli e napoletani) che il Vicerè Don Pedro di Toledo [6] ha condotto con se dalla vicina capitale.


E’ così Pozzuoli riesce a frustare le speranze del Barbarossa che, caso raro nella sua lunga e sanguinaria carriera, non ottiene alcuna preda e bottino.
Pochissime sono le vittime tra i difensori; le cronache spagnole parlano solo di loro connazionali, un capitano dentro le mura e un altro soldato sulla spiaggia. Il Barbarossa è un condottiero molto pratico, non tenta un’impresa se non è sicuro di poterla portare a termine con successo. Pertanto prende la decisione di allontanarsi e dirige l’armata nemica verso il Castello di Baia; ma anche lì i tentativi di incursione e rapina riescono vani.
Quindi, fallito ogni possibile saccheggio, sulla terraferma Flegrea, riprende la navigazione nel corso della quale si racconta del suo tentativo di depredare Salerno; ma, secondo la leggenda, una tempesta scatenata da San Matteo disperde la sua flotta che poi assale e conquista l’isola di Lipari.

Il Barbarossa riprende il suo viaggio e il suo rientro a Costantinopoli è un vero trionfo, porta in Oriente migliaia di schiavi cristiani ed un ricco bottino; è acclamato “re del mare” e per merito suo la potenza ottomana si impone su tutto il Mediterraneo. 
La “carriera” del pirata prosegue e Khayr al-Dīn continua fino alla fine a mettere a ferro e fuoco i Paesi del Mediterraneo finchè, il 5 luglio del 1546, una violenta febbre gialla” lo uccide all’età di 81 anni.

Un imponente mausoleo [7] costruito a Besiktas a nord di Costantinopoli, sulla riva europea del Bosforo, ricorda a tutti la storia e le imprese del “protettore dell’Islam”. I Turchi, e non solo loro, ne tramandano le gesta ed il suo spirito indomito aleggia ancora sul Mediterraneo.

Oggi Besiktas è un quartiere della grande Istanbul ed ospita la gloriosa squadra di calcio “Beşiktaş Jimnastik Kulübü”, fondata nel 1903.
Oltre 2000 suoi tifosi, troppi, carichi, e molto “vivaci”, s’apprestano a seguirla per l’incontro allo stadio San Paolo.
Sui portali dei suoi “ultras” sono apparsi incitamenti e foto con striscioni che riportano frasi come: 
"We are coming, Napoli" [8].

“Napoli, stiamo arrivando”.


Giuseppe Peluso