mercoledì 20 marzo 2013

I pescatori di Pozzuoli - Parte Terza


 





I pescatori di Pozzuoli
Parte Terza – Lungo le coste laziali

Dopo aver seguito il secolare peregrinare dei pescatori puteolani, lungo le lontane coste della Toscana e della Sardegna, li accompagniamo ora lungo le coste laziali che, seppur vicine, sono state le ultime ad accoglierli con insediamenti stabili. Il motivo va ricercato nelle limitative norme in vigore nell’allora “Stato Pontificio” e nella pretestuosa richiesta di forti tributi che questi pescatori, considerati “stranieri”, non possono permettersi.
Solo dopo l’Unità d’Italia i puteolani si avventurano su questi lidi e la prima località ad essere frequentata, non poteva essere diversamente, è Civitavecchia, il più importante porto laziale.
Carlo De Paolis, nel vocabolario dei civitavecchiesi, precisa che i veri pescatori professionisti sono unicamente i pozzolani e i paranzellari.

“Il pozzolano è il tipico pescatore con reti da posta (tramagli). La sua barca è denominata pozzolana; natante con scafo lungo, basso, e sottile, senza coperta, due tughe a sesto acuto di poppa e di prua, mosso da sei od otto remi a sensile e da una vela a tarchia che s’inalbera e disalbera secondo le necessità (polaccone). L’equipaggio è composto da un capo barca e da otto o dieci pescatori ed il pozzolano esce in mare la sera, colloca le reti, torna a terra, dorme in casa, va di nuovo in mare l’indomani mattina, recupera la rete, rientra di buonora e vende il prodotto ai ristoranti, ai commercianti o direttamente ai consumatori al mercato ittico di piazza Regina Margherita.

Il paranzellaro è invece colui che è imbarcato sulle paranze, cioè il pescatore che esercita la pesca, locale o d’altura, con reti a strascico. E’ stato sempre considerato una sorta di forzato del mare, tanto da essersi portato indosso per secoli il nomignolo di “schiavo”, caduto in disuso solo con l’avvento della motorizzazione. Le paranze escono di primo mattino, tutti i giorni escluso la domenica e tornano al tramonto replicando uno spettacolo antico e sempre nuovo.”

Il pescatore puteolano trova ampia eco anche nella poesia dialettale locale del poeta civitavecchiese Dante Tassarotti:

                        Ne la nostra città le pescatore

so’ quase tutte dell’artre paese,

ne conte poche de civitavecchiese,

a centinara vengheno da fòre!

So’ tutta gente giù der meridione,

siciliane, barese e pozzolane,

le sente dar dialetto ’ste persone.

 

Pure Eugenio Scalfari descrive l’attività dei paranzellari, come si presentava dalla finestra della nativa casa di Civitavecchia esposta al mare:

La mattina, prima dell’alba, partivano le paranze e tornavano la sera con il loro carico di saraghi, triglie, merluzzi, cefali e calamari. La sera partivano le lampare e restavano fuori tutta la notte attirando nelle reti stese a pelo dell’acqua banchi di sarde e di alici. Le famiglie dei pescatori provenivano quasi tutte da Pozzuoli e da Procida e conservavano di quei loro paesi di origine una parlata che col tempo si era corrotta e mischiata con le inflessioni del luogo, dando vita ad una cadenza spuria e sguaiata, ma le donne erano belle, con gli occhi di un blu profondo e capelli morbidi e scuri. Aspettavano al tramonto le barche dei loro uomini ed erano loro a sistemare i pesci nelle ceste, a preparare i banchi sopra i quali esporre le spigole argentee, le triglie color di rosa e gli scorfani rossi.”

In chiave ironica sono invece, sulla parodia de “’a tazza ’e cafè”, di “Baffone” e di “Dujie e Paraviso”, gli sberleffi campanilistici di chi non è di Civitavecchia. Con il dialetto civitavecchiese dell’epoca, che risente dell’influenza di vocaboli napoletani, pozzolani e gaetani, frutto di una presenza massiccia di persone provenienti da quei posti e che, in genere, alloggiano fra il Ghetto e piazza Leandra.

Di Civitavecchia racconta pure Don Vincenzo Cafaro quando, trovandosi a Roma, si reca in questa cittadina per incontrarci gli amici puteolani intenti alla loro genuina vita giornaliera:

“Li incontro al mercato del pesce dove sono a pesare e a dar ragione della buona qualità e del prezzo della merce. Si sforzano di usare un linguaggio italiano ma troppo spesso ci ficcano una parola puteolana. Dei pescivendoli del mercato i più capaci sono loro. Poi mi reco al porto dove ci sono poche barche; le altre sono fuori e rientrano stasera, e chi sa anche stanotte, dipende dalla pesca. Oh, le belle barche pulitissime, a secco, sulla banchina a Pozzuoli, dai colori sgargianti! Sono ora tutte sbiadite. Reti di qua, reti di là e stracci al sole su funi tirate agli alberi e un po di biancheria."

Lavoro ed economia. Guadagno e risparmio. E una vita onesta, Don Filo. Altrimenti non ci si arriva. Pioggia, sole, acqua, vento, la nostra casa è la barca; il mare e il mercato, il campo del lavoro e anche del divertimento. Già si è così stanchi che quando non si lavora si dorme. Ci stimano anche, perché non ci sanno viziosi. Non abbiamo altre conoscenze che il rettore della chiesa vicina e il nostro mestiere. Vita di sacrificio, Don Filo. Prendere in fitto una casa è uno sbaglio, aver qui la moglie e i figli non si combina niente. Si è distratti. Il mestiere se ne fugge. E se ne scappano anche i risparmi.

Quando siamo partiti da Pozzuoli, racconta uno, c’è toccata brutta, ci ha sorpresi una tempesta e appena appena si è fatto in tempo a riparare nel porto d’Anzio, e li siamo rimasti più di una settimana……. Ed io fui fortunato, arrivai proprio per miracolo. Certi giorni non si poteva mettere neppure il capo fuori della tenda. E il mare ci cullava, oh, come ci cullava.”

A Santa Marinella nel 1872 le barche dei pescatori sono di Silvestro Luigi, Barcellini, Molli Leopoldo, Basili Raffaele, Fiocchi Andrea, Griechi Gennaro e Francesco, Chiocchi Giuseppe, Bonetti Antonio, Di Fraia Francesco, Bonito Antonio, i Di Costanzo; quasi tutti provengono da Pozzuoli. Chi viene da Gaeta si dedica alla pesca delle sardine, sarde e merluzzi; mentre chi viene da Pozzuoli si dedica alla pesca di scoglio, ossia scorfani, aragoste. Tutti tornano alle loro case per ferragosto. La venuta a Santa Marinella consente il ripopolamento del loro mare.
I nostri pescatori arrivano qui in massa nel lontano 1887; trovano una piccola rada naturale, dominata dal castello medioevale degli Odescalchi, e ci si sono sistemati per sempre. Così è nata la storia dei pescatori puteolani, che da padre in figlio si sono tramandati questa attività e che lavorano e vivono tutto il giorno nel porticciolo di Santa Marinella. La gente del posto li chiama “I pozzolani” cioè coloro che provengono da Pozzuoli e che da circa 150 anni pescano nelle acque del litorale romano.
Attualmente la flotta dei puteolani è molto ridotta ma negli anni sessanta aveva raggiunto le trenta imbarcazioni. Per loro il declino del settore è iniziato con l’avvento dei pescherecci a strascico e dei pescatori subacquei che stanno creando danni immensi alla fauna marina.
Il vecchio Vincenzo Varchetta così racconta: “I primi pescatori professionisti che raggiunsero Santa Marinella avevano solo alcune barche a vela e con quelle facevano la stagione estiva poi tornavano a Pozzuoli. Solo alcuni anni dopo i primi pozzolani si insediano stabilmente in questa località e tra questi Salvatore Vernata, morto all’età di 91 anni, che venne a Santa Marinella nel 1888. I pescatori partivano da Pozzuoli all'Epifania ritornando per il 15 Agosto (Festa della Madonna della “Mprefeca”; ovvero la “Madonna Assunta”). Partivano con la Tramontana o il Grecale ('cu ò viento e'terra') e tornavano con le basse pressioni di metà agosto. Arrivarono qui con altri amici di Pozzuoli, risalendo la costa attraverso il Circeo, Terracina, Gaeta, Nettuno e Ladispoli. Si sistemavamo in questo porticciolo da gennaio ad agosto, poi prendevano in mano i remi e tornavamo a casa con la barca. Il viaggio durava la bellezza di 24 ore senza mai fermarsi. Noi arrivammo dopo, intorno al 1920, e ci sistemammo definitivamente in un intero stabile dove alloggiano ancora alcune famiglie storiche come i Vernaca, i Varchetta, i De Fraia e i Fratturato”. A quei tempi, Santa Marinella, non aveva più di mille abitanti e molti di loro si sposarono con i residenti. Oggi queste famiglie contano numerosi parenti ma nessuno di loro, a parte qualche eccezione, continua a fare il pescatore professionista. Tanti sono stati i personaggi che hanno caratterizzato quella colonia; ricordiamo i loro contronomi: Carruccello, il Mutarello, Biagino, Sarpatella. Gente che viveva solo di pesca. Catturavano aragoste e le vendevano porta a porta. “Oggi le aragoste sono praticamente sparite, affermano due degli ‘ultimi sopravvissuti’, i fratelli Salvatore e Filippo Vernata, e con queste è iniziato il momento difficile della pesca. Molti hanno mandato le loro barche in demolizione perché il governo li rimborsa con quattromila euro. Qualcuno come Gaetano Lombardi continua a riparare le rezze. Le licenze però non vengono più date e i pescatori stanno scomparendo. Tra qualche anno saremo una specie in via di estinzione.”

Infine Ladispoli, non distante da Santa Marinella; località ricca di storia ma autonoma solo dal 1888.
I pescatori puteolani si spingono ogni anno su queste coste, ritenute le più ricche del Tirreno, e qui, negli anni ’30 e ’40 del novecento, cominciano a vendere il frutto del loro lavoro nel porto che poi sarà il centro della cittadina. Con il passare del tempo vi si trasferiscono definitivamente, portando con loro le famiglie, dando vita ad una comunità che ancora oggi è ben radicata nella città laziale. Sono loro a diffondere la festa del mare, scegliendo S. Giuseppe come loro protettore, e dal 1996, dopo aver posto nei fondali di Ladispoli una statua del Santo Patrono, questa antica tradizione viene annualmente rievocata dai vecchi pescatori originari di Pozzuoli.
Il 27 aprile del corrente anno 2012 il Comune di Ladispoli, con una partecipata manifestazione pubblica, provvede ad intitolare un ampio incrocio posto alla confluenza di via Kennedy, via del Lavatore, via Cariddi e via Scilla. Questa piazzetta viene chiamata “Largo Pescatori di Pozzuoli” e resta a perenne memoria della comunità dei pescatori puteolani dichiarati autentici pionieri nella fondazione della cittadina.
Una comunità, quella puteolana, che ha contribuito a fare la storia di Ladispoli e che giustamente D’Alessio e Paliotta, nel loro citato libro, portano a parlare e dialogare facendo riaffiorare dalle loro labbra le radici e le appartenenze.


Bibliografia:

Eugenio Scalfari - Incontro con io, Rizzoli, Milano 1994

www.poetidelparco.it – Civitavecchia

Don Filo Puteolano – Abbàscio o’ mare

www.centumcellae.it - I Pozzolani, pescatori i via di estinzione

Angela Carlino Baldinelli – Santa Marinella nel tempo

Nardino D'Alessio e Crescenzo Paliotta - I pescatori di Pozzuoli a Ladispoli



Giuseppe Peluso - Pozzuoli Magazine del 22 dicembre 2012

lunedì 4 marzo 2013

I pescatori di Pozzuoli - Parte Seconda









I pescatori di Pozzuoli
Parte Seconda – Lungo le coste sarde

In precedenza abbiamo seguito i pescatori puteolani stanziati lungo le coste toscane fin dalla prima metà del XVIII secolo.
Nello stesso secolo, ma con qualche decennio di ritardo, i nostri pescatori vanno a stabilirsi anche in Sardegna in seguito alla presa di possesso di quest’isola da parte dei Savoia che nel 1767 vi fondano il Regno Sardo Piemontese. Si crea così una nuova situazione storica che garantisce ai pescatori campani una certa sicurezza per via della presenza di navi armate che sicuramente scoraggiano eventuali malintenzionati locali e pirati berberi. Il tutto inizia nell’isola La Maddalena e nel suo arcipelago dove, dopo l'occupazione piemontese, arrivano i primi napoletani, puteolani, procidani e ponzesi, che trovano condizioni ideali per stabilirsi. Lasciano paesi ormai sovrappopolati e con attività insufficienti per tutti, e trovano qui zone vergini mai sfruttate prima; lasciano golfi troppo aperti e pericolosi per le intemperie e trovano coste articolate con maggiori possibilità di riparo. Ma soprattutto, provenendo da paesi con attività troppo specializzate (ad esempio, i Ponzesi adoperano quasi sempre nasse e i puteolani reti), per cui tutti debbono necessariamente pescare in determinati mesi e località, trovano qui, nella molteplicità degli attrezzi e dei tempi, la possibilità di lavorare senza importunarsi l'un l'altro. Sono però, dal punto di vista amministrativo, stranieri, provenienti da un altro stato sovrano, il Regno di Napoli, e sottoposti quindi a pagare dei diritti allo stato ospite; e poiché sulla loro esazione e sulla correttezza dei funzionari addetti non sempre i pescatori napoletani possono essere d'accordo, nel 1789, per proteggere gli interessi dei propri cittadini, il Console di Napoli a Cagliari presenta un'istanza al Viceré, che rappresenta i Savoia sull’isola, al fine di nominare un Viceconsole a La Maddalena. Le barche portate dai pescatori campani sono di tre tipi: " il gozzo violone" di Pozzuoli [1], "la feluca" di Ponza e "la spagnoletta" tipica dei pescatori napoletani; modello ereditato con il vicereame spagnolo.
Dal settecento ad oggi, in oltre due secoli, ad esercitare la pesca nell'arcipelago non sono mai stati i maddalenini, almeno quelli del ceppo originario. La generazione degli immigrati della fine del ‘700, e che comprende una fetta consistente della popolazione isolana, non realizzerà fino ai nostri giorni una completa integrazione con le altre componenti isolane perché vi è sempre stata in questa attività una continua alternanza di pescatori napoletani, ponzesi, liguri, toscani, pugliesi e siciliani la cui frequentazione dapprima limitata e stagionale, specie per la pesca del corallo, si concretizza successivamente con degli insediamenti stabili e trasferimenti delle relative famiglie.
I matrimoni fra campani e maddalenine sono rari e sempre nuovi arrivi, soprattutto da Ponza e da Pozzuoli, di individui o di intere famiglie, vanno a rimpinguare il nucleo primitivo mantenendone le caratteristiche iniziali. Gli stessi cognomi delle famiglie di pescatori, i vari Scotto, Acciaro, Aversano, Barretta, Di Fraia, Di Meglio, D'Arco, Nicolai, Sabatini, Ricco, Vitiello e tanti altri danno una precisa connotazione geografica dell'area di provenienza.
La comunità dei pescatori, all'inizio del ‘900, è divisa in due gruppi principali, puteolani e ponzesi, e in altri meno numerosi, come i cetaresi e i siciliani, che mantengono insieme alle abitudini derivate dai diversi luoghi di provenienza, una netta differenziazione degli attrezzi da lavoro. I puteolani si sono stanziati, cercandosi l'un l'altro man mano che arrivano, a "Abbass'a marina"; i ponzesi a "U Molu" di Cala Gavetta; gli altri, seguendo il destino delle minoranze, senza una localizzazione precisa, ma il più possibile vicino al mare. I pozzolani occupano la lunga fila di vani a pian terreno dell'attuale via Amendola, allora via Nazionale, e saltando il lungo cordone di via Garibaldi, le zone immediatamente retrostanti. Essi vivono stabilmente a La Maddalena mentre i ponzesi (i Vitiello i Candido) vengono in Sardegna e nell'arcipelago per "fare la stagione con le nasse"; ad esempio per la pesca delle aragoste. Arrivano a rimorchio di un veliero con una lunga fila di barche e dopo la stagione di pesca ritornavano a Ponza con lo stesso sistema.
La Boga vive nei pressi del fondo, generalmente in branchi, lungo la costa rocciosa e sulle praterie; durante la notte sale in prossimità della superficie. E' comune in tutto il Mediterraneo; nell'arcipelago è oggetto di pesca professionale soprattutto da parte di pescatori pozzolani che adoperano l'impostata, una rete lunga 2/300 metri con tramaglio e un "velo" alto 6/7 metri.
Le bettole sono frequentate nelle lunghe serate invernali, quando l'inclemenza del tempo obbliga all'inattività. Lì i pescatori giocano a carte mettendo come premio un quarto di vino che i vincitori spesso non consumano sul posto, ma portano a casa per la cena. A Cala Gavetta i ponzesi conducono la loro vita occupati come i puteolani nei lavori di preparazione dei loro mestieri; le reti  le nasse. Ma anche la manutenzione delle barche per le quali si servono dello scalo che occupa il lato nord della cala, fangoso e malsano a causa della turbolenta “vadina” nella quale affluiscono gli scarichi fognari della zona a monte.
Nel tentativo di trovare un correttivo anche a questa situazione nel 1919 nasce "La Società fra i Pescatori" di La Maddalena, con lo scopo di "assicurare un sussidio ai soci ammalati e cooperare alla loro educazione ed istruzione civile, venire in aiuto alle famiglie dei soci defunti, accordare al socio che ne farà richiesta mutuo in danaro". Primo presidente è Birardi Luigi di Alghero; e tra i soci fondatori troviamo, Giammetta Francesco di Palermo, Di Fraia Giuseppe di La Maddalena, Del Giudice Vincenzo di Pozzuoli, D'Agostino Procolo di Pozzuoli, Faiella Vincenzo di Crotone, Orlando Pietro di La Maddalena, Vitiello Gaetano di Ponza, Giudice Giuseppe di Ponza, Grieco Gennaro di La Maddalena, De Roberto Gaetano di Torre Del Greco, Panzani Vittorio di Santa Teresa, Batti Luigi di Ponza, Aversano Pasqualino di Terranova Pausania, D’Oriano Vincenzo di Pozzuoli, Di Fraia Leonardo di Pozzuoli. Notiamo che molti, appartenenti alle susseguenti generazione di immigrati, hanno ancora la cittadinanza puteolana; ma notiamo pure nominativi di pescatori maddalenini il cui cognome svela la loro identica origine. A La Maddalena si dice che i figli degli immigrati della pesca diventano presto "quasi maddalenini" ed i loro nipoti diventano maddalenini del tutto e come tali restii alle fatiche, ai pericoli, ai sacrifici e all'aleatorietà dei guadagni che l'attività della pesca comporta.
Nell’isola resta ferma e radicata la fede per Santa Maria Maddalena, patrona dell’isola, ma dalla seconda metà dell’ottocento i pescatori, specialmente quelli di origine puteolana, ogni 15 agosto iniziano a portare in processione la statua della loro protettrice, la Vergine Assunta nel giorno che ricorda la sua elevazione al cielo. La processione si svolge dapprima a terra, poi, negli anni seguenti, a mare con la statua festosamente addobbata sulla barca di testa seguita da imbarcazioni di ogni tipo.
Nella zona di Bassa Marina, ornata per l'occasione di rami di lentischio e di mirto, si svolgono giochi e gare di abilità fra le quali spicca la tradizionale regata a vela e quella a remi nella quale anche anziani pescatori ricchi di esperienza maneggiano con sicurezza i loro remi lunghi 24 palmi (6 metri), con la classica posizione dei puteolani, in piedi con il viso rivolto nel senso di marcia [2]. Poi le gare di nuoto e l'albero della cuccagna a terra e quello a mare (ricordo del nostro pennone) coinvolgono i giovani e un pubblico vociante ed entusiasta. La tradizione resta viva a lungo, certamente fino alla vigilia della seconda guerra mondiale.

La cittadina di Carloforte, posta nell’isola sarda di San Pietro, ha visto aumentare gradualmente la sua popolazione grazie all'immigrazione di liguri, toscani, siciliani, piemontesi, emiliani, calabresi, corsi, greci, savoiardi, svizzeri, slavi ed infine del nutrito gruppo di "napoletani" giunti a Carloforte nel periodo 1865-90. Quest'ultimo fenomeno inizia dopo l'unità d'Italia come un vero e proprio esodo dall' interland napoletano all’isola sarda. Si tratta di gente umile [3] che, lasciata la terra di origine, va alla ricerca di un avvenire migliore, di una condizione di vita più umana. Sono per la maggior parte pescatori provenienti da Casamicciola, da Castellamare di Stabia, da Grazzanise, da Napoli, da Ponza, da Pozzuoli, da Procida, e da Torre del Greco. Gente abituata alla fatica, alla sofferenza, ad ogni sorta di sacrificio. Arrivano perché non si fidano dei nuovi liberatori piemontesi, perché temono nuove angherie, perché cessate le limitazioni di movimento imposte dai governi borbonici, finalmente hanno la possibilità di muoversi con maggior libertà. Si spostano in troppi, intere famiglie, circa 400 persone, che, in pochi anni, diventano un'intera colonia. I carlofortini guardano con occhi preoccupati la loro tipica invadenza ma essi riprendono il lavoro abbandonato dai primi abitanti, la pesca del corallo. Si stabiliscono nella parte più alta del paese, in quel momento disabitata, fanno gruppo a sé, uniti dai loro usi, dai loro costumi, dal loro dialetto. Poi lentamente avviene l'avvicinamento, entrano a far parte degli equipaggi locali che esercitano la pesca tradizionale, diventano padroni di barca, si hanno i primi matrimoni misti, il dialetto napoletano cede il posto alla parlata ligure, a quel dialetto “pegliese” che la popolazione ha sempre gelosamente custodito. L'integrazione a questo punto è completa; solo per curiosità fonti locali riportano l’origine puteolana degli ormai integrati Angelo Caputo, Michelangelo De Simone e Carlo Di Fraia.

Naturalmente moltissime altre località sarde, e delle sue isole minori, sono state raggiunte dai nostri pescatori nei primi decenni del novecento; tra queste anche Porto Torres. Sono pochi i “turritani” con grandi esperienze nella pesca pertanto i puteolani trovano utile qui trasferirsi.
Il nove giugno del 2011 “La Nuova Sardegna” riporta la notizia della morte del decano dei pescatori locali, Giuseppe Sannino. “Era il decano dei pescatori che, fino a due settimane fa, andava per mare con il proprio gozzo «Cristina» a calare o tirare le reti. Giuseppe «Geppe» Sannino, 81 anni, cinque figli uno dei quali pescatore, è morto ieri mattina dopo una breve malattia. Era stato ricoverato il giorno dopo la sua ultima uscita in mare, in seguito a un malore. La famiglia Sannino era arrivata a Porto Torres, da Pozzuoli, prima delle seconda guerra mondiale ed erano stati loro a portare in città la prime reti. Giuseppe Sannino, che tranne una breve parentesi con il peschereccio "Tre Fratelli", ha sempre lavorato nella piccola pesca. Era un po' la memoria storica del mondo della pesca portotorrese. E amava raccontare di quando, ragazzino, usciva con il padre per andare all'Asinara. A vela, ma anche a remi quando calava il vento. Un pezzo di quel piccolo mondo antico che non vedremo più seduto a poppa del Cristina.”

Bibliografia
www.lamaddalena.info – Vita di Mare
www.carloforte.it – I Napoletani a Carloforte
www.lanuovasardegna.gelocal.it



Giuseppe Peluso - Pozzuoli Magazine del 8 dicembre 2012