mercoledì 12 luglio 2023

Le Carrozze FIAT della Ferrovia Cumana

 



LE CARROZZE F.I.A.T. DELLA FERROVIA CUMANA

Sfumature di Colori, di Storie e di Ricordi

 

Nel dicembre del 1938, col fine di riammodernare strutture e materiale rotabile, è costituita la “Società per l’Esercizio di Pubblici Servizi Anonima” (S.E.P.S.A) che nel 1940 subentra alla primitiva compagnia belga “Società per le Ferrovie Napoletane” (S.F.N.).

Si consideri che malgrado l’elettrificazione e la conseguente immissione in servizio di nuovo materiale da trazione, ovvero le nove elettromotrici serie E.1 - E.9 del 1927, quello rimorchiato è rimasto invariato dai tempi dell’apertura. Risale al 1913 l’ultima consegna di quattordici carrozze acquistate dalle “Officine Meccaniche Reggiane”.

La preoccupante deficienza sia dei mezzi di trazione che delle rimorchiate influisce seriamente sull’efficienza del servizio. Pertanto il Governo, in considerazione dell'opera offerta dalla Ferrovia Cumana con il trasporto delle maestranze presso gli strategici cantieri ILVA di Bagnoli, Ansaldo di Pozzuoli, e Siluruficio di Baia, autorizza la S.E.P.S.A. ad acquistare nuovo materiale rotabile.

Nel 1940 è presa in considerazione un progetto della “F.I.A.T. - Materiale Ferroviario” che propone sei convogli, ognuno dei quali composto da una elettromotrice e due rimorchiate. Le elettromotrici, bidirezionali, avrebbero avuto un comparto centrale riservato alla I° classe e due comparti laterali riservati alla II° classe; le rimorchiate avrebbero avuto tre comparti, tutti riservati alla III° classe [1].



Ben presto, anche per l’appena scoppiata guerra, necessita rinunciare a questa proposta e la commessa è dirottata sulle sole e più economiche rimorchiate; di cui si ordinano diciotto esemplari.

Queste carrozze hanno una lunghezza di 19640 mm, altezza di 3660 mm e una larghezza di 2900 mm., massa di 19.500 kg., boccole di strisciamento, diametro delle ruote di 850 mm, interperno di 12540 mm, carrelli Commonwealth dal passo rigido di due metri.

L‘accesso avviene a mezzo di due vestiboli centrali ognuno dei quali è fornito di porte a soffietto su entrambi i lati; pertanto troviamo due porte per ogni fiancata in modo che la rimorchiata viene ad essere divisa in tre comparti [2].

 


Sono queste le prime carrozze della Ferrovia Cumana a non essere dotate di vestiboli di estremità, come le precedenti tipo “belghe” a terrazzini scoperti o tipo “Reggiane” a terrazzini coperti.

I vestiboli centrali permettono, ai passeggeri, di dirigersi verso quattro vani di ingresso anziché i soli due possibili dai vestiboli di estremità, e questo, unito alla mancanza di porte interne, si rivela molto utile sulle affollate linee urbane con brevi ma numerose fermate.

Ma le elettromotrici in servizio non sono fornite di comando elettropneumatico per l’apertura e la chiusura delle porte a soffietto, pertanto è necessario acquistare i relativi meccanismi e piazzarli nelle cabine di tutte le motrici.

 

Dai vestiboli si entra nei comparti che si percorrono a mezzo di corridoio centrale; su ogni lato del corridoio troviamo, in corrispondenza di ogni finestrino, un modulo con quattro sedute disposte frontalmente, due più due.

Le diciotto rimorchiate, conosciute come C.101 – C.118, possono trasportare 80 passeggeri di terza classe; ovvero 24 nel primo compartimento che presenta tre finestrini per ogni fiancata, 32 nel più grande compartimento centrale che presenta quattro finestrini per ogni fiancata, altri 24 nel terzo compartimento anch’esso munito di tre finestrini per ogni fiancata.

In verità quattro delle diciotto rimorchiate sono numerate AC.102, AC.106, AC.111 e AC.116 in quanto il loro compartimento centrale, della stessa lunghezza delle altre quattordici vetture, presenta solo tre finestrini per lato ed accoglie con più spazio e comodità solo tre moduli,con sedili imbottiti, per un totale di 24 passeggeri di prima classe; fermo restando gli altri 48 passeggeri di terza classe accolti dai compartimenti di estremità [3].

 


Ad ognuna delle estremità della carrozza, bombata ed aerodinamicamente pura, è presente una porta intercomunicante che permetterebbe il passaggio, del solo personale ferroviario, da un vagone all’altro. A tale scopo esternamente è presente una passerella ribaltabile e due mancorrenti di sicurezza, ma in pratica queste porte resteranno sempre chiuse e non risulta che siano state utilizzate; il conduttore approfitta delle fermate per passare da una rimorchiata all’altra [4].

 


In una delle estremità interne, nelle vicinanze dell’intercomunicante, ricordo la presenza di un grosso volante che azionava il freno di stazionamento.

Adoravo viaggiare in fondo all’ultima vettura del convoglio; dai finestrini della testata di coda godevo di più ampia visuale e ogni volta che si entrava in una galleria, come narra pure l’amico Geppino Basciano, lo svanire della luce mi estraniava dal mondo, ormai scomparso dallo scenario.

Allora in quei momenti del viaggio, per non perdere contatto con la realtà, mi appoggiavo al luccicante volante del freno che mi dava sicurezza e contiguità.

 

La FIAT consegnò queste rimorchiate nella elegante livrea da poco adottata dalle “Ferrovie dello Stato” (F.S.).

Colore castano per il sottocassa, fino all’altezza dei respingenti; colore isabella per cassa e tetto a loro volta divise, alla base dei finestrini, da una stretta modanatura colore castano.

Inizialmente i convogli sono composti da Elettromotrice e tre Carrozze FIAT, di cui una mista prima/terza classe, ma gli oltre 60.000 kg. sono un peso eccessivo per le motrici; inoltre la loro lunghezza complessiva crea problemi in alcune stazioni [5].

 


Pertanto si decide di limitare a due le carrozze FIAT per ogni convoglio ed è questa la composizione classica ben impressa nelle foto e nei ricordi degli utenti.

Solo negli orari di punta è agganciata di rinforzo una vecchia rimorchiata delle Officine Reggiane che di solito, quando non impegnate nei turni di servizio, stazionano presso il piazzale della stazione di Torregaveta [6].


 

Per anni le rimorchiate FIAT svolgono un intenso lavoro giornaliero provvedendo con la loro capienza, 80 persone sedute e circa 110 in piedi, a soddisfare gli intensi flussi di lavoratori, studenti e vacanzieri; ma ben presto vengono fuori difetti e limiti.

Innanzitutto si rende necessario eliminare le porte pneumatiche che sin dall’inizio presentano problemi di funzionamento cui non si può ovviare; si dimostrano poco pratiche ed in certi casi addirittura pericolose.

Si decide quindi di bloccarle e, pur lasciandole inizialmente al loro posto, sostituirle con cancelletti di colore nero, dell’altezza di cm. 70, posti sull’ultimo predellino del vestibolo.

Cancelletti apribili da qualsiasi passeggero, anche prima che il treno sia fermo, e questo sarà causa di diverse disgrazie [7].

 


Abbiamo visto come dai vestiboli fosse possibile introdursi velocemente nei compartimenti dai larghi vani ma, in inverno, la mancanza di porte interne tra i tre scompartimenti, provoca un sensibile calo di temperatura ad ogni fermata.

Pertanto sono realizzate delle porte, seppure adattate, che contribuiscono a peggiorare la movimentazione e l’estetica interna.

Si rende necessario cambiare i respingenti che per altezza, e distanza, non corrispondono a quelli delle elettromotrici che debbono trainarle, ed infine sono modificati tutti i vetri dei finestrini che, per eliminare i difetti, sono ora dotati, in alto, ciascuno di due prese manuali [8].



Tutte queste modifiche comportano molti oneri che, sommati al costo complessivo per l’acquisto delle vetture, fanno lievitare di molto la spesa preventivata.

Si ha la sensazione che queste carrozze siano più adatte per una ferrovia che possa sviluppare grandi velocità per lunghi tratti e non per la Cumana che in meno di venti chilometri di linea effettua dalle sedici alle venti fermate; a seconda delle esigenze stagionali.

Probabilmente sarebbe stato più giusta l’idea iniziale di comprare anche qualche elettromotrice a scapito di mezza dozzina, o più, di rimorchiate.

Comunque queste carrozze continuano a viaggiare su questi binari e nel 1956, a seguito dell’abolizione della terza classe in tutte le amministrazioni ferroviarie europee, vengono riclassificate B.101 – B.118, con promozione alla seconda classe senza modificare le originali sedute di terza.

Pertanto i passeggeri sono ora 80 di seconda classe per quattordici vetture e 72, ovvero 24 di prima e 48 di seconda, per le quattro che inizialmente erano miste di prima e terza classe.

Alcune fonti riportano che nel 1956 sia stata abolita anche la prima classe, ma nei miei ricordi di fine anni cinquanta, e non vorrei sbagliare, ci sono ancora viaggi furtivi in prima classe e questo sarebbe avvalorato dalla foto n. 3, scattata dopo la riclassificazione del 1956, in cui la vettura n. 116 sulle fiancate riporta la classe prima per il compartimento centrale e classe seconda per i compartimenti laterali.

Dalla stessa foto notiamo che la livrea non è più quella originale ma quella ministeriale all’epoca prescritta per tutte le ferrovie locali in regime di concessione.

Ovvero una prima fascia, dal sottocassa fino alla modanatura alla base dei finestrini, in colore rosso ed una seconda fascia, dalla base dei finestrini fino a tutto il tetto, di colore crema. Tale livrea è possibile notarla in una foto di Luigi Iorio che riprende una carrozza ceduta alla Ferrovia Aretina, non modificata ed abbandonata [9 - foto L. Iorio].

 


Nel 1962 per la Ferrovia Cumana entrano in servizio le undici Elettromotrici serie ET.100 che, oltre a funzionare con la nuova alimentazione a 3.000V, evitano le complesse manovre di reversibilità ai due capolinea.

Pertanto sono radiate sia le motrici E.1 - E.9 sia le carrozze che esse trainano, comprese le FIAT che, rimaste in servizio poco più di venti anni, risultano essere i rotabili meno sfruttati dalla nostra ferrovia.

Proprio per questa ancora “giovane” età la SEPSA si trova a disporre di materiale rimorchiato in condizioni abbastanza valide da poter essere posto in vendita; pertanto alcune delle FIAT non sono demolite e partono verso altre linee ferroviarie che, per quanto riguarda il materiale rotabile, versano in condizione peggiore della Ferrovia Cumana.

 

Tra queste “La Ferroviaria Italiana” (L.F.I.), meglio conosciuta come Ferrovia Aretina, che acquista le due elettromotrici E.4 ed E.5, e ben otto di queste carrozze.

Nello specifico si tratta delle sei di seconda classe (ex terza) B.108, B.109, B.110, B.112, B.113, B.114 e di due carrozze miste di prima e seconda classe (ex miste prima e terza) AB.106, AB.111.

Di tutto questo materiale la Ferrovia Aretina rimette in servizio solo due carrozze, la AB.106 e la B.108; tutti gli altri rotabili, comprese le elettromotrici, resteranno per anni a marcire sui binari di vari piazzali [10].


 

Le modifiche cui sono sottoposte le carrozze interessate riguardano principalmente le testate che vedono la parziale attivazione dell’intercomunicante per poter permettere un più sicuro passaggio, sempre del solo personale, tra varie vetture nei lunghi convogli delle Ferrovie Aretine, e la chiusura dei due finestrini posti ai lati di ogni frontale [11].



Le testate conservano la loro caratteristica linea bombata nel mentre i finestrini, posti alle estremità di ogni fiancata, sono resi simili a tutti gli altri perdendo il caratteristico angolo alto curvo [12].

 


Ad entrambe le carrozze vengono montate nuove porte a libro, come avevano all’atto della costruzione, e anche per questo sono ora munite di un accoppiatore di cavi passanti, a più poli, che permette l’allaccio di vari servizi e il telecomando da cabina pilota [13].

 


Le due carrozze trasformate ricevono la nuova marcatura eABiz.121 e eBiz.122; per i non pratici di sigle ferroviarie riporto il loro significato:

(e) carrozza intermedia passante per treni reversibili;

(A) carrozza con posti di prima classe;

(B) carrozza con posti di seconda classe;

(i) carrozza con intercomunicanti senza mantici;

(z) carrozza a carrelli;

(121) numero di matricola assegnato dalla compagnia.

 

Diversa e più traumatica la storia per le tre carrozze acquistate, nello stesso anno 1963, dalle “Ferrovie del Gargano”.

Si tratta delle matricole B.105, B.117 e della mista AB.116 che, dopo trasformazione, ricevono dalla nuova società le sigle Biz.101, Biz.102, ABiz.103 (14 - foto di S. Paolino].


 

La modifica più vistosa riguarda l’abolizione dei vestiboli centrali; essi sono spostati alle due estremità con le relative scalette e porte a battente munite di finestrino.

Le testate, una volta bombate, sono rese piatte e mantengono l’intercomunicante, ancora non praticabile dai passeggeri; criticabile esteticamente la sagoma dello spiovente che raccorda il tettuccio con il nuovo frontale [15].


 

L’interno viene ad essere composto da un unico salone, con porte che lo separano dagli ampi vestiboli, e con corridoio centrale.

I moduli di quattro posti (a due a due frontali) sono in corrispondenza di ciascun finestrino, del nuovo e più pratico tipo “Klein”, che sono dieci per ogni fiancata.

Un totale quindi di 80 posti di seconda classe anche se la tabella ufficiale ne riporta 81 (contando forse qualche strapuntino); naturalmente la carrozza marcata ABiz.103 ha quattro moduli riservati alla prima classe e pertanto può trasportare 16 passeggeri in prima e 65 in seconda classe.

Come le “aretine” pure queste carrozze sono fornite di presa multipolo per servizi di telecomando e, a seguito di tutte le modifiche apportate, vedono aumentare la loro massa ad oltre 21.000 Kg.

Nel complesso sono irriconoscibili ai vecchi utenti della Ferrovia Cumana, complice anche la loro nuova livrea, e solo una foto, che ne riprende una ormai radiata e abbandonata, mi ricorda la sua panciuta fiancata [16].



Sia le carrozze della Ferrovia del Gargano che quelle della Ferrovia Aretina prestano servizio fino a tutti gli anni novanta ed alcune di loro, seppure ferme ed abbandonate, sono rimaste visibili fino ai primi anni del nuovo millennio, ad oltre sessanta anni dalla loro entrata in servizio [17].

 



RIFERIMENTI

Andrea Cozzolino – Dare e Avere delle Ferrovie Complementari Campane

CRAL SEPSA – Storia della Ferrovia Cumana

EAV – Storia Ferrovia Cumana

Hansjürg Rohrer – Rotabili delle Ferrovie Secondarie Italiane

Cocchi & Muratori – Ferrovie Secondarie Italiane

 

GIUSEPPE PELUSO – luglio 2023


lunedì 26 giugno 2023

Ferrovia Cumana - Progetto Prolungamento alla Stazione Centrale

 


Ferrovia Cumana

Progetto di Allacciamento alla Stazione Centrale di Napoli

 

Il periodico settimanale “Rivista Generale delle Ferrovie e dei Lavori Pubblici”, di domenica 17 luglio 1887, riporta una interessante proposta da attuare sulla costruendo “Ferrovia Cumana” [1].

Gli ingegneri Antonino Liotta e Alessandro Galasso pensano che, nel frattempo la ferrovia Napoli – Pozzuoli – Cuma sia aperta all’esercizio entro due anni, convenga in questo frattempo collegare questa linea, che si muove quasi nel cuore di Napoli, al altre esistenti stazioni.

E ciò a beneficio dello sviluppo sempre crescente di Pozzuoli e del vasto Cantiere Armstrong.

 

A buon diritto escludono l’allacciamento a Capua, sulla direttrice Roma – Napoli distante 40 chilometri dalla Cumana, e sono dell’idea di allacciarla alla Stazione Centrale di Napoli.

A tal proposito pensano che la diramazione debba partire al chilometro 0,279 della linea; ovvero in galleria subito dopo il portale di Montesanto.

La nuova linea, che avrebbe uno sviluppo totale di metri 6.008,84, sarebbe composta di due parti; una in galleria della lunghezza di metri 5.443,00 e l’altra all’aperto della lunghezza di metri 565,84.

La parte in galleria passerebbe sotto i seguenti punti notevoli della città: Corso Vittorio Emanuele, Via Salvator Rosa, Via della Salute, Salita dello Scutillo [Scudillo], Tondo di Capodimonte, Cupa sant’Efremo Vecchio, San Giovanniello [Ottocalli], Strada del Campo.

Quella all’aperto, dopo lo sbocco in prossimità del Camposanto Vecchio, percorre le Paludi e poi, con due cavalcavia, attraversa la Cupa del Cannolo e la Strada vecchia di Poggio Reale.

 

La galleria comincia, partendo dalla vicina stazione di Monte Santo, piegando a destra con una curva di 300 metri di raggio alla quale succedono alternativamente quattro rettilinei e tre curve, sempre a destra [2].



L’ultimo rettilineo andrebbe ad innestarsi alla linea Napoli – Foggia pochi metri prima del cavalcavia sulla Strada Nuova di Poggio Reale.

Il dislivello totale da superare sarebbe di metri 25,84 e, essendo distribuito in più punti, solo in un caso raggiungerebbe una pendenza del 6 per mille.

E’ stato progettato un casello di guardia al bivio in galleria sotto Monte Sant’Elmo ed una casa cantoniera in prossimità dello scambio d’innesto alla progressiva chilometro 5+900.

Il tratto di linea all’aperto non ha difficoltà tecniche, il terreno è pianeggiante in quelle località per l’appunto dette “Le Paludi”, e sarebbero necessarie solo due opere d’arte sulle strade da attraversare; una travata metallica, della luce di metri 4,00, sulla Cupa del Cannolo e un cavalcavia in muratura, dalla luce di metri 8,00, sulla Strada Vecchia di Poggio Reale.

 

Per quanto riguarda la galleria da perforare da uno studio geologico risulta che il sottosuolo da percorrersi sia composto quasi tutto da tufo compatto, e questo porterebbe ad un grande risparmio di rivestimento in muratura.

Pozzolana e lapillo s’incontreranno probabilmente nell’ultimo tratto presso il Camposanto Vecchio ed a tal proposito sono stati progettati tre pozzi di attacco di poca profondità ed in vicinanza di strade che renderanno comodo il trasporto dei materiali estratti ai pubblici scaricatoi.

In questo modo la galleria potrà essere attaccata da ben otto punti; ovvero dall’imbocco a Monte Santo, dallo sbocco al Cimitero Vecchio, e da due punti per ognuno dei tre pozzi scavati.

Ove mai si desiderasse guadagnare ancora in brevità di tempo si potrebbe stabilire, nelle vicinanze del Tondo di Capodimonte, un altro pozzo il quale risulterebbe di metri 59,00 di profondità e andrebbe a dividere in due il lungo tratto compreso tra i pozzi n. 1 e n.2.

 

I tre pozzi sarebbero scavati trasversalmente con diametro di metri 6,00, cosa che renderebbe facile il transito delle carriole, e a lavoro finito questi posti resterebbero aperti al fine di conservare una buona ventilazione e dare facile uscita al fumo delle locomotive.

Il tempo necessario al completamento della intera galleria sarà stabilito dal tempo necessario al perforamento del nucleo più grande, che sarebbe quello compreso tra il pozzo n. 1 e quello n. 2 della lunghezza di metri 2.400,00.

Quindi attaccando il lavoro contemporaneamente su tutta la linea il perforamento di questo lungo tratto deciderà la durata di tutto il lavoro.

L’esperienza dimostra, nei materiali previsti, un avanzamento giornaliero di metri 2,00 per ogni punto di attacco; pertanto per i 2.400 metri del lungo tratto, avanzando di 4,00 metri giorno, metri 2,00 per ogni lato, sarebbero necessari 22 mesi.

Quanto sopra compreso il cavamento dei pozzi n. 1 e n. 2; poi sarebbero necessari altri cinque mesi per il rivestimento dei tratti in cui sarà necessario.

 

Il progetto non prevede fermate sotterranee ma, in vista dell’ampliamento della città di Napoli, i progettisti consigliano di istituire una fermata all’aperto nelle vicinanze di San Giovanniello [Ottocalli]; in questo modo la galleria resterebbe divisa in due parti dall’anzidetta fermata e la sua lunghezza, considerando il tragitto da fare in superficie, diminuirebbe di circa 800,00 metri.

Al progetto è poi allegata una tabella che riporta il riassunto della spesa totale da affrontare, certo non eccessiva per l’epoca e per i benefici che apporterebbe alla Comunità [3].

 


I progettisti terminano con l’affermare che questa linea ferrata, col concorso delle stazioni di Fuori Grotta, del Corso Vittorio Emanuele e di Monte Santo appartenenti alla Ferrovia Cumana, delle stazioni da loro progettate di San Giovanniello e della Centrale, nonché di quelle previste sul tronco in costruzione pel nuovo porto, creerebbe una ferrovia di semi circonvallazione d’immensa e indiscussa utilità alla città di Napoli.

 

Se realizzata questa linea avrebbe permesso un rapido collegamento tra quartieri di non facile viabilità ed è stato un vero peccato perché a fine ottocento sarebbe stata fattibile e di costo contenuto.

Negativamente è da segnalare la mancanza di fermate intermedie che avrebbero consentito ad un considerevole numero di cittadini di poter usufruire di un rapido spostamento tra punti nevralgici della città.

La trazione a vapore impediva la costruzione di fermate sotterranee che comunque avrebbero fatto oscillare i costi di realizzazione; inoltre la trazione elettrica era ai primi passi e non offriva potenza e sicurezza.

Tuttavia notiamo che la stessa linea metropolitana, realizzata dalle Ferrovie dello Stato ai primi del novecento sul quasi medesimo tragitto, pur prevista ad alimentazione elettrica sarà fornita di solo tre fermate sotterranee (Piazza Amedeo, Monte Santo, Piazza Cavour).

Anche questa ferrovia, ora nota come Linea 2, in fase di costruzione perse le grandi opportunità e comodità che le metropolitane di Londra, Parigi, etc., offrivano con le loro fermate poste ad una distanza di 500 metri, e anche meno, collegando tra loro ogni piazza, quartiere o centro nevralgico.

 


 

GIUSEPPE PELUSO – giugno 2023

 


giovedì 22 giugno 2023

Incidente Ferrovia Cumana

 


Ferrovia Cumana

L’incidente del 7 giugno 1920 e la critica situazione di tutte le Gallerie della collina di Posillipo

 

Alle 5.30 del 7 giugno 1920 dalla Stazione di Monte Santo della Ferrovia Cumana parte il primo treno, il n. 102 diretto a Pozzuoli.

Il convoglio composto da cinque carrozze, due moderne di costruzione Reggiane e tre del vecchio tipo di costruzione belga, è trainato da una Locotender Henschel a tre assi accoppiati; probabile sia la n. 32, già appartenuta alle Ferrovie dello Stato [1].

Il treno è carico di operai che, svegliatesi di buon’ora, sono pronti ad iniziare il primo turno di lavoro; chi presso l’ILVA di Bagnoli, chi presso la più lontana Armstrong di Pozzuoli.

Dopo aver attraversato il lungo tunnel Sant’Elmo, il treno giunge alla stazione di Corso Vittorio Emanuele [2].


Questa è munita di doppio binario, e qui dovrebbe incrociare l’altro treno proveniente in senso inverso da Fuorigrotta.

Nonostante il macchinista metta in azione tutti i freni il convoglio non si ferma e prosegue la sua corsa imboccando il tunnel che, perforando la collina di Posillipo, con un percorso dotato di unico binario in discesa conduce a Fuorigrotta [3].


Il convoglio non raggiunge questa stazione perché in senso inverso sopraggiunge il treno atteso alla fermata del Corso per la prevista coincidenza. I due macchinisti avvedutasi dell’imminente inevitabile disastro cercano entrambi di dare il controvapore; riescono appena a far rallentare la corsa dei due treni ma non ad evitare l’urto.

Questo avviene nell’oscurità dello stretto tunnel fra lo spavento dei viaggiatori, numerosi su entrambi i treni, e tra i pianti e i clamori delle donne.

L’urto è violento e le due vaporiere, di recente acquistate dalle Ferrovie dello Stato, si accavallano l’una su l’altra fracassandosi.

Uguale sorte accade per otto vetture che si rovesciano sul binario; molte donne svengono mentre si sentano grida e gemiti di persone evidentemente rimaste ferite.

Immediatamente i più animosi rimasti incolumi organizzano i primi soccorsi e contemporaneamente, dalle stazioni di Fuorigrotta e del Corso, si procede all’invio di torce e di barelle per il trasporto di feriti; questi sono venticinque di cui quattro in gravi condizioni.

Essi sono quasi tutti estratti dal di sotto dei rottami delle macchine e delle vetture e poi caricati sopra un camion per essere trasportati all’Ospedale della Regia Marina a Mergellina.

Lungo il percorso l’autista che guida il camion, per la fretta di giungere all’Ospedale, investe una povera bambina che sta attraversando la strada; è anch’essa trasportata all’Ospedale dove purtroppo versa in imminente pericolo di vita.

Il sinistro, con il susseguente blocco del traffico ferroviario per la rimozione dei rotabili incidentati, aggiunge disagio ai collegamenti, in quel momento già precari, tra Napoli, Fuorigrotta e i Campi Flegrei tutti.             

Il persistente disagio è dovuto al fatto che il precedente 11 novembre 1919 il Comune di Napoli è stato costretto a chiudere al traffico, in seguito a un franamento interno, il tunnel stradale esistente tra Piedigrotta e Fuorigrotta [4].


Tale tunnel, che al suo interno ospita anche la preziosa linea tramviaria diretta a Pozzuoli, e l’unico varco esistente tra Napoli e la zona Flegrea; ancora non esiste la galleria Laziale e la vecchia Crypta Romana si trova nelle stesse condizioni odierne, ovvero pericolante e abbandonata.

La nuova galleria, costruita nel 1884 proprio per sostituire l’antica rimasta in funzione per circa duemila anni, già da tempo presenta fenomeni di crolli e di dissesto; pertanto, dopo un’ultima frana verificatosi nel novembre del 1919, si decide di chiuderla e vietarvi qualsiasi passaggio, sia pedonale, sia di carri, sia di tram.

In attesa del suo ripristino, che si preannuncia lungo, il Comune di Napoli e l’Azienda Tranviaria decidono la rapida costruzione di un piccolo tunnel, parallelo a quello franato, con all’interno un solo binario che permetta il passaggio dei tram a senso unico alternato [5].

 


Già il 5 febbraio l’onorevole Arturo Labriola (Napoli 1873 – 1959) presenta alla Camera dei Deputati una interrogazione con la quale chiede:

«Ai Ministri dei Lavori Pubblici e dei Trasporti Marittimi e Ferroviari quali provvedimenti intendano prendere allo scopo di ristabilire le comunicazioni tra la città di Napoli, la frazione di Fuori Grotta e tutta la plaga Flegrea oggi interrotte a causa delle condizioni in cui trovasi il tunnel di Fuorigrotta.»

 

La risposta all’interrogazione arriva dall’onorevole Anselmo Ciappi (Camporotondo di Macerata 1868 – Roma 1936), sottosegretario di Stato per i Lavori Pubblici:

«La città di Napoli è allacciata al villaggio di Fuorigrotta mediante la ferrovia Cumana ed una linea delle tramvie urbane di Napoli, che passava per il tunnel franato. In seguito alla sospensione dell'esercizio su detta linea tramviaria, il Circolo di Napoli ha interessato la Società esercente la ferrovia Cumana ad intensificare il movimento dei treni fra Fuorigrotta e Napoli per supplire alla mancanza della comunicazione tramviaria, e sono stati attuati numerosi treni facoltativi in mezzo ai tanti ordinari, in modo che da Fuorigrotta parte un treno ogni 20 minuti per Napoli.

Inoltre è stata istituita una linea automobilistica provvisoria attraverso il tunnel della direttissima Roma-Napoli, transito ordinario, finché non saranno riparati i danni del tunnel franato, per cui una Commissione di tecnici è stata nominata dal prefetto.

Fo poi presente che il Circolo di Napoli fin dal 1918 fece rilevare alla Società esercente le tramvie napoletane prima, ed all'azienda autonoma poi, le cattive condizioni statiche del tunnel di Fuorigrotta, e con provvedimento del 3 agosto 1919, pregò la Egregia Prefettura di Napoli d'ingiungere la esecuzione d'urgenza dei lavori necessari tanto al comune di Napoli che alla decaduta Società delle tramvie. E risulta che la Prefettura invitò il Municipio a preoccuparsi di tale grave questione, ma a tutto il mese di ottobre nessun provvedimento fu preso.»

 

Altra risposta arriva dal senatore Edmondo Sanjust di Teulada (Cagliari 1858 – Roma 1936), Sottosegretario di Stato per i Trasporti Marittimi e Ferroviari [6]:


«A complemento della risposta data direttamente dal sottosegretario di Stato per i Lavori Pubblici per la parte di sua competenza, fo noto che in seguito al franamento avvenuto il giorno 11 novembre 1919 nella galleria Grotta Nuova, per cui sono impedite le comunicazioni tra la città di Napoli e Fuorigrotta, tanto l’Egregio Commissario straordinario presso il municipio di Napoli, quanto le altre autorità locali, interessarono il Ministro dei Trasporti Marittimi e Ferroviari per la concessione del pubblico transito nella galleria ferroviaria di Posillipo.

Alle prefate autorità fu detto che dovessero prendere all'uopo degli accordi diretti col signor ingegnere cavaliere Enrico Bazzaro, capo divisione dirigente l'ufficio costruzioni di Napoli per la linea direttissima Roma-Napoli al quale erano state già date istruzioni in proposito. Nel senso che dovesse concedersi per la viabilità ordinaria, la maggiore larghezza della galleria suddetta, compatibile con l'impianto, affatto libero ed indipendente, di un binario di servizio a scartamento ridotto di m. 0.60, indispensabile per la continuazione dei lavori della galleria sotto Napoli della direttissima [7]. 


Lavori, che, secondo le intenzioni del ministro dei trasporti debbono essere intensificati quanto più è possibile, nel doppio intento di dar lavoro al massimo numero di operai e di affrettare l'ultimazione di quella galleria per poter incominciare ad aprire all'esercizio, senza ulteriore indugio, almeno qualche tratto della linea in parola».

 

Ma perché tante frane nei tunnel di Posillipo?

Questi dissesti nelle gallerie scavate nel tufo non trovano sempre una concorde spiegazione.

Il geologo Michele Guadagno, che per vari anni ebbe ad interessarsi del sottosuolo cittadino, nel 1928 disse che ben otto manufatti attraversanti la collina di Posillipo in questo tratto avevano dato segni di notevole dissesto.

Questi manufatti erano:

-      la antica galleria romana;

-      le due vecchie e contigue gallerie dei trams dette rispettivamente la Grande e la Piccola che poi furono trasformate in un'unica grande galleria;

-      la galleria della Direttissima;

-      la galleria Laziale;

-      i collettori cosiddetti di Cuma e di Coroglio;

-      il grosso fognone di Posillipo.

Secondo lui la sovrapposizione di due unità di tufo giallo, con l'interposizione di materiali piroclastici poco lapidificati, era all'origine dei dissesti di diverse opere che attraversavano in sotterraneo questa zona della collina.

Ricordava, ad esempio:

-      la Vecchia Galleria Romana con le innumerevoli frane che l’hanno interessata nel corso di quasi due millenni.

-      la Nuova Grande Galleria (già galleria municipale dei tramways) aperta nel 1884, chiusa per dissesti nel 1890; riparata e poi di nuovo chiusa per la citata frana del 1919.

-      la Galleria della Direttissima Napoli-Roma, collaudata nel 1917, che denunzia danni nel 1922; poi in riparazione fino al 1925 e nuova presenza di dissesti nel 1931.

-      la Galleria della Laziale, ultimata nel 1926, dopo che si sono manifestati numerosi dissesti durante la costruzione, e presenza di nuovi danni nel 1932.

 

In tutte queste gallerie si era osservata la rottura longitudinale delle calotte e lo schiacciamento dei piedritti.

Analoghi dissesti saranno poi riscontrati nella più recente Galleria della Circumflegrea, che pure attraversa la collina del Vomero, terminata di scavare nel 1954 e soggetta a riparazioni tampone alla fine degli anni ’60 ed a sistemazione definitiva solo con la costruzione del secondo tunnel, per raddoppio dei binari, tra Monte Santo e Soccavo.

 

GIUSEPPE PELUSO – GIUGNO 2023


lunedì 19 giugno 2023

Prolungamenti Ferrovia Cumana

 


Ferrovia Cumana

Progetti di Prolungamento per Bacoli, Cappella, Miliscola, Miseno

 

Dopo l’inaugurazione del 1889 la Ferrovia Cumana continua, per molti anni, la sua tranquilla esistenza fino al 1926, quando si annunciano delle novità.

Innanzitutto l’elettrificazione in corrente continua a 1.500 V., per eliminare il problema del fumo nelle numerose gallerie, e poi il prolungamento da Torregaveta a Bacoli e Miseno, in funzione del notevole sviluppo turistico e urbanistico acquisito da queste zone.

Il Regime concede l’assenso alla trasformazione da trazione a vapore a trazione elettrica a patto che la Società assuma l’obbligo dell’accennato prolungamento.

La Cumana accetta questo impegno e in conseguenza chiede ed ottiene un aumento del contributo governativo, stabilendo che entro due anni avrebbe presentato il relativo progetto del nuovo tronco ferroviario.

In verità nel termine di tempo prescritto la Cumana presenta il progetto [immagine 2] che prevede:



1 - La diramazione da costruire inizia poco prima della stazione terminale di Torregaveta; passa per la contrada Cappella, Comune di Monte di Procida; prosegue per la spiaggia di Miliscola; infine si attesta presso il Lago Miseno, in prossimità del centro storico di Bacoli.

2 -  Nel complesso si tratta di costruire poco più di tre chilometri di ferrovia, tutti in piano, senza gallerie e viadotti impegnativi, e con soli due passaggi a livello.

3 – I terreni da attraversare sono quasi tutti demaniali, non ci sono privati edifici da espropriare, ed i lavori possono eseguirsi con speditezza ed economia.

 

Il 3 luglio 1927 la linea è alacremente elettrificata [immagine 3], 

mentre non c’è alcuna traccia della prevista prosecuzione a Miseno; numerosi interventi e pressioni non ottengono l’esecuzione delle gare e l’annunciato prolungamento non è neppure appaltato.

Anche “Il Mattino” nel 1933 riprende l’argomento e, tra l’altro, scrive:

«le rotaie, purtroppo, sono depositate sulla spiaggia di Torregaveta ad arrugginire e ancora oggi il treno non va a Miseno».

Non se ne fa un bel nulla e solo in un secondo momento la Cumana esibisce un altro progetto mediante il quale si apportano sensibili modifiche al tracciato precedente:

1 – La diramazione questa volta parte dalla stazione di Baia, s’immette con un tunnel nella collina del Selvatico, infine esce presso il Lago di Miseno dove si attesta.

2 – Da questo percorso restano tagliati fuori il Monte di Procida, con la sua frazione di Cappella, e le spiagge di Miliscola e Miseno.

3 – Il percorso, quasi tutto in galleria e quindi con un costo quasi raddoppiato, non presenta fermate intermedie.

 

Questo secondo progetto va all’esame della Sovraintendenza dei Monumenti perché le rotaie passerebbero ad una dozzina di metri dal Tempio di Mercurio e, uscendo dalla galleria della collina del Selvatico, incontrerebbero una zona archeologica.

 

Il 1° ottobre del 1933 il ministro delle Comunicazioni e dei Trasporti Costanzo Ciano, padre di Galeazzo e consuocero del Duce, con un treno speciale della Ferrovia Cumana si porta a Torregaveta da dove poi raggiunge Miseno.

Qui, come titola il “Roma” di quel giorno, sosta nella vana attesa di un treno disperso tra la poesia di un orario ferroviario e la realtà, tra due diversi progetti, tra il tunnel del “Selvatico” e l’archeologia, il Tempio di Mercurio, le rotaie e la contrada Cappella.

Sua Eccellenza Ciano auspica la rinascita della Plaga Flegrea, di ridare a questa terra di sogno il prestigio della sua trascorsa grandezza, di valorizzare Miliscola, la più bella spiaggia del mondo [immagine 4].

Belle parole ma alle popolazioni interessa che il tronco ferroviario sia realmente costruito e, soprattutto, realizzando il primo progetto perché esso arrecherebbe benefici al Comune di Monte di Procida, alla sua Contrada Cappella, e percorrerebbe tutto il lido di Miliscola.

Ma la linea non prosegue, i dirigenti della Cumana non attuano iniziative per migliorare il servizio e per sviluppare la rete; essi si limitano alla semplice gestione, limitata alla più stretta economia.

Nel frattempo sopraggiunge la guerra e di prolungamento più non si parla.

 

Al ritorno della vita civile si cominciano a definire le nuove direttrici di traffico nel Napoletano e il 17 marzo 1946 è autorizzata la nuova ferrovia che prende il nome di “Circumflegrea”.

Essa, partendo sempre da Napoli Montesanto, attraversa il settentrione dei Campi Flegrei e raggiunge Torregaveta dove ritrova la “Cumana”.

Il 16 aprile 1948 è stipulata la relativa concessione che prevede pure la realizzazione del tronco Torregaveta – Bacoli - Miseno.

Si tratta di un terzo e diverso progetto che, inteso ora come prolungamento della Circumflegrea e non della Cumana, raggiunge Miseno dopo un percorso di 4.530 metri.

Da questa nuova linea, sempre a semplice binario, si distacca poi una diramazione di 1.300 metri che raggiunge la contrada Cappella del Comune di Monte di Procida.

 

Avvincente la mappa del progetto [immagine 5]

che, oltre a mostrare le popolazioni servite dalla nuova “Circumflegrea”, mostra le popolazioni servite dai previsti raccordi per Monte di Procida e Bacoli.

Interessante inoltre apprendere il numero dei residenti a Soccavo. Pianura, Quarto, ed altri centri nel 1948.

Nel corso degli anni sessanta è portata a termine la realizzazione della Circumflegrea e la rielettrificazione dell’intera reta a 3.400 V., ma della tratta per Miseno anche stavolta non c’è traccia.

Negli anni ottanta del novecento si riparla del prolungamento, attraverso Monte di Procida e Bacoli, fino a Capo Miseno dove si prevede di realizzare un grande porto turistico.

In verità le idee sono ancora confuse poiché si auspica di inserire questo nuovo progetto nel preventivato collegamento Miseno – Torregaveta – Licola – Varcaturo - Lago Patria – Ischitella – Castelvolturno - Mondragone sfruttando il già esistente tracciato tra Torregaveta – Lido Fusaro – Cuma - Licola; il tutto a servizio dei numerosi ed ormai popolosi centri che affacciano sul Tirreno. 

Ma anche questi restano “sogni”, racchiusi nei sibillini progetti politici, ed oggi, trascorsi altri quaranta anni, si riparla del collegamento ferroviario Torregaveta – Bacoli che, per la diversa e molteplice urbanizzazione, si presenta alquanto complesso e costoso.

 

REFERENZE

R. Cocchi & A. Muratori – Ferrovie Secondarie Italiane

F. Ogliari – Storia dei Trasporti Italiani

CRAL SEPSA – Storia Ferrovia Cumana

 

 GIUSEPPE PELUSO – giugno 2023