martedì 17 marzo 2020

Giovanni, Beniamino, la Multipla e il Vitello



GIOVANNI, BENIAMINO,

LA MULTIPLA E IL VITELLO



Pozzuoli, 10 marzo 2019



Ieri, nel tardo pomeriggio, sono tornato a far visita ad un caro amico caduto da uno scaletto; imprudente nel raccogliere arance della natia campagna.
Abita, l’amico, nella seconda scala del mio stesso isolato a Monterusciello; le nostre figlie, quando giovanissime, erano unite dalla passione per lo scoutismo; spesso siamo stati insieme in gita ed anche in vacanza all’estero. Inoltre la moglie, Rita P., è assidua frequentatrice del pomeridiano salotto culturale - culinario condotto dalla mia consorte.
Lui, nato nel 1948 in un fondo agricolo sulla Domiziana al confine tra Pozzuoli e Napoli, da adulto è stato dipendente delle Ferrovie dello Stato. Ente per il quale ha guidato, per molti anni, i convogli della Metropolitana Villa Literno – Pozzuoli – Gianturco.
Una volta in pensione s’è molto impegnato sia nella cogestione di un localino, ovvero una osteria che possiamo definire veramente DOC nell’affollata tavola calda di Via Napoli, sia nella conduzione della familiare campagna rimasta semiabbandonata; in pratica un ritorno alle origini.
Per motivi di “privacy” non declamo le sue complete generalità; pertanto lo chiamerò Giovanni M.

Ha trascorso a letto, per modo di dire in quanto mal sopporta l’inattività, undici dei quaranta giorni previsti ed è disposto, stufo di troppa televisione, a qualsiasi discussione o confessione.
«Basta che non parli di malattie o di guai», gli faccio intendere, e lui parte dando libero sfogo ai suoi ricordi che, come succede anche a me, non sempre può permettersi di narrare nel consesso familiare.
Abbiamo avuto una infanzia, per certi aspetti, similare: ricordi agricoli, stalle, mucche, la conoscenza di una Santa ancora in vita, le scuole a Bagnoli.
Proprio da questa località parte il suo narrare, di quando frequentava le elementari presso le suore Piccole Missionarie Eucaristiche create a Bagnoli da quella Santa Donna che fu Madre Ilia Corsaro.
Entrambi abbiamo conosciuto Madre Ilia che Papa Francesco ha dichiarato Venerabile il 26 aprile 2016; lui la ricorda molto bene, io appena appena.
Ma ascoltiamo cosa racconta Giovanni:

«Nella primavera del 1959 sto per terminare la scuola elementare e le suore convocano mia Madre comunicandogli che non posso lasciare il loro Istituto senza aver fatto Prima Comunione e Cresima. Mia Madre, che il precedente dicembre è rimasta vedova, fa capire che non possiede risorse materiali e temporali dovendo provvedere a cose molto più urgenti e necessarie per i tre figli rimasti orfani di Padre.
Ma le suore insistono e la stessa Madre Ilia riferisce che la Famiglia d’origine non deve preoccuparsi, sarà la Famiglia delle Piccole Missionarie Eucaristiche a provvedere per tutto quanto necessiti.
La seguente Domenica mattina ci convocano per presentarci il prescelto mio Padrino di Cresima e, con somma meraviglia, notiamo che le suore hanno eletto a tale compito don Beniamino M., che di già ben conosciamo.
Beniamino è un popolare commerciante, nativo di Monte di Procida, proprietario a Bagnoli di una macelleria e di due salumerie, ovvero due grossi empori alimentari. Don Beniamino è un fornitore del Refettorio dell’Istituto Corsaro nonché delle mense aziendali degli Stabilimenti Meccanici di Pozzuoli e della Montecatini di Coroglio gestite dalle stesse suore di Bagnoli. Inoltre rifornisce di mangimi e di paglia i piccoli allevatori flegrei e innumerevoli sono tutte le altre piccole attività che tuttavia, pur tenendolo seriamente impegnato, non gli impediscono di svolgere i suoi doveri di buon cristiano.
Io e mammà oltre a don Beniamino, che ci procaccia il mangime per il bestiame, conosciamo sua moglie, originaria di Casal di Principe, ed i suoi figli, più piccoli di noi, che qualche volta porta nel nostro giardino in modo che possano giocare all’aria aperta.
Naturalmente questi contatti si intensificano dopo la mia Prima Comunione e, specialmente durante le vacanze estive, don Beniamino spesso viene a chiedere a mammà il permesso affinché possa accompagnarlo e fornirgli un piccolo aiuto nelle sue consegne che, in pieno boom economico, sono sempre più numerose.

Una sera d’estate sale su alla nostra masseria e annuncia che l’indomani verrà presto a prelevarmi per compiere un lungo giro; questa volta deve procurare rifornimenti ai suoi negozi.
Di buon mattino arriva con la sua Fiat Seicento Multipla e noto che accanto, sul sedile anteriore, siede un altro suo conoscente, un certo Alfonso N., anch’esso convocato per non rendere noioso un viaggio di lavoro.
Partiamo verso Napoli dove imbocchiamo la Nazionale delle Puglie alla volta di Mugnano del Cardinale. All’ingresso del paese svoltiamo in una traversa e ci fermiamo davanti a quello che sembra un grande cellajo; don Beniamino scende, saluta alcuni del luogo e con loro s’inoltra nel fabbricato. Poco dopo torna e con l’aiuto di Alfonso porta dentro alcuni dei vuoti ma ingombranti valigioni che avevamo con noi, sia in auto che sull’alto bagagliaio esterno.
Saprò poi che sono stati riempiti di Salami, Soppressate, Pancetta e Salsicce Piccanti che qui, ai piedi del Partenio, trovano favorevole stagionatura. Il vento che soffia in direzione sud-sud-ovest, così spiega il mio compare, porta con sé gli aromi di faggi, querce e castagni che insaporiscono la maturazione.

Ripartiamo e con un tragitto più lungo attraverso l’Appia e la Casilina giungiamo in un paese della Ciociaria; ora più non ricordo se sia stato Cassino, Ceprano, Ceccano o la periferia della stessa Frosinone. Ricordo solo che l’intero circondario è impregnato dal denso odore emanato dalle pecore; nel capannone, dove pure io entro, su dei fuochi sono posti enormi e neri calderoni ricolmi di latte. Intorno ai calderoni, e alle forme di formaggio riposte su molti ripiani, svolazzano sciami di mosche. Familiari e aiutanti del massaro girano lentamente il latte con grandi pale di legno ma il loro maggior impegno è rivolto verso quelle mosche che li tormentano rallentando la produzione.
E’ in questo ambiente che consumiamo una rapida colazione a base di pane, formaggi e vino e poi, dopo aver riempito altre valigie con caciotte e formaggi, riprendiamo il nostro girovagare.

Questa volta dirigiamo verso il mare percorrendo una strada che si incunea tra monti e strette valli. Ci fermiamo presso una masseria già nota a don Beniamino per la produzione delle famose cipolle delle colline ciociare.
Il mio compare chiede d’acquistare dei cipollotti che subito vengono appositamente raccolti e rinchiusi in due sacchi forniti dagli stessi contadini. Questa volta non c’è pagamento ed i cipollotti sono prelevati contro lo scambio di qualche salame stagionato a Mugnano.

Nel tardo pomeriggio raggiungiamo la campagna dell’Agro Pontino dove don Beniamino fa spesso capolino e, se c’è l’occasione, acquista qualche vitello da far crescere; l’opportunità c’è e così la Multipla s’arricchisce di un altro passeggero.
Don Beniamino gli fa legare le quattro zampe, trasferisce parte del carico sul portapacchi della Multipla, abbassa i sediolini posteriori e crea quell’ampio vano di carico che trasforma questa straordinaria auto in piccolo furgone.
Su questo piano, realizzato nella versatile Multipla, il compare poggia sia il resto dei bagagli che l’impaurito vitello, insieme al titubante cumpariello.
Riprendiamo il viaggio, con don Beniamino sempre più allegro, nel mentre io e il vitello ci guardiamo negli occhi confessandoci reciproco rancore, ma anche mutua richiesta di aiuto.
Ultima tappa, almeno così assicura don Beniamino, è Gaeta dove si reca in un grosso capannone uscendone con due bidoncini pieni di olive che, proclama, sono molto ricercate dai buongustai flegrei.

Finalmente, è quasi buio, attraverso la Domiziana riprendiamo la via di casa ma durante il percorso la sopraggiunta oscurità aumenta i timori del vitello che non si fa scrupolo dal trattenersi dalle sue necessità.
Io, che alloggio in una pendenza sottoposta al bovino, mi ritrovo bagnato e sconvolto.
Don Beniamino non si perde d’animo, con calma e pazienza si ferma in vicinanza di una fontanina; porta tutto fuori e risciacqua, sposta sul portapacchi i due sacchi di cipollotti, nei quali infila qualche caciotta e salame, e mi fornisce stracci asciutti su cui sedermi.
Fortunatamente i bidoncini caricati a Gaeta sono chiusi ermeticamente e non c’è necessità di cambiare l’acqua alle olive.

E’ notte quando iniziamo la tortuosa salita che porta da mammà che ci attende sveglia. Ripariamo il vitello, ormai più morto che vivo, nella stalluccia dove sarà allevato per conto di don Beniamino. Un domani, una volta cresciuto, sarà rivenduto a pezzi nella sua macelleria e a noi sarà data una giusta ricompensa per averlo curato.
Ripartiti il compare e Alfonso c’è tempo solo per cenare rimandando al domani le preghiere e tutte le altre cose che pur sarebbero necessarie.

Qualche mattina dopo sono di nuovo in Multipla con don Beniamino; si va a Monte di Procida a caricare il pane prodotto nel forno di suo fratello.
Al ritorno la macchina, che ancora ostenta i ricordi del vitello, è invasa dal particolare profumo che emana il pane appena sfornato. Don Beniamino, mentre guida e senza voltarsi, allunga la mano sul ripiano posteriore colmo di pane e afferrando qualche pagnotta grida:

“piglia guagliò, mangia, sient che profumo”.
Io il profumo lo sentivo, ma ne sentivo pure un altro e nonostante sentissi pure fame risposi:
“no cumpa’, non posso, ho fatto un fioretto, una promessa a Madre Ilia”.»

Così mi è stato raccontato e così riporto, con qualche piccola licenza scaturita dalla mia fantasia. Ma veri sono i personaggi come Madre Ilia, come don Beniamino, come Giovanni, come sua Madre, come la Multipla, come il Vitello.
Sono questi gli uomini e le donne che tutti insieme, con macchine, animali, lavoro e preghiere, hanno contribuito a trasformare la nostra Italia, uscita distrutta dalla guerra, rilanciandola verso un futuro di benessere e di pace che nessuna quarantena e nessun virus potrà sottrarci.

mercoledì 4 marzo 2020

Laura D'Oriano


Da Bordeaux a Napoli spiava i movimenti navali italiani
LAURA D’ORIANO
Origini puteolane per la spia fucilata a Roma nel 1943


La vicenda inizia a Pozzuoli, a metà dell’ottocento, e va ad intrecciarsi con la storia dei nostri emigrati e con quella della nostra Nazione in guerra.
Tutto principia quando il pescatore puteolano Vincenzo D’Oriano, figlio di Tommaso e Teresa Ramata, dotato di una bella voce lascia Pozzuoli per esibirsi sulle navi passeggeri che solcano il Mediterraneo.
A Smirne, la turca Izmir, si innamora di Teresa Capponi, figlia di Alberico e di Lisa Capellani, da tempo componenti della locale numerosa comunità italiana.
Vincenzo decide di stabilirsi in questa amena località levantina, florida e cosmopolita nei cui rispettivi fondachi ancora vi abitano turchi, greci, russi, arabi, francesi, italiani; ultima eredità della Venezia Serenissima.
Il 29 gennaio 1877 sposa Teresa, nella locale cattedrale cattolica, e assieme generano ben otto figli:
Angelo Alfredo D’Oriano; nato nello stesso 1877 e morto nel 1878
Rosa D’Oriano; nata nel 1879, a Smirne sposa Pietro Finale nel 1903.
Antonio D’Oriano; nato e morto nell’ anno 1881.
Enrico D’Oriano; nato nel 1982, a Smirne sposa Fanny Tarabocchia nel 1908.
Margherita D’Oriano; nata nel 1884, non si conosce altro.
Policarpo Francesco D’Oriano; nato nel 1886 (approfondiremo la sua vita).
Tommaso Giovanni D’Oriano; nato nel 1892, a Smirne sposa Teresa Teodora Zalloni nel 1919.
Maria Lucia D’Oriano; nata e morta nell’anno 1901.

Il sesto figlio Policarpo, registrato il 4 marzo del 1886 presso il consolato italiano di Smirne ancora come cittadino puteolano, studia musica e diventa un grande artista del pianoforte.
Nella stessa città si innamora di Aida Caruana, nata a Malta nel 1890, che canta nei cabaret dove anche lui si esibisce.
Policarpo la sposa nel maggio del 1910 e, poiché il lavoro li porta a viaggiare di continuo, i loro cinque bambini nascono durante le numerose tournée.
La prima è Laura che nasce a Costantinopoli, odierna Istanbul, e poi arrivano Umberto, Vittoria, Marina e Maria Teresa.

Laura, nata il 27 settembre del 1911, dell’infanzia ricorda gli alberghi di lusso in cui i genitori si esibiscono davanti ad un pubblico distratto, che beve e chiacchiera. Ricorda una madre autoritaria, rigida e severa ma molto colta; istruzione che trapassa ai figli che, non potendo frequentare scuole regolari, non conseguiranno licenze o diploma scolastici.
Aida chiede ai figli di parlare perfettamente l’italiano, sua lingua anche a Malta, nonostante in Italia ci si recano solo saltuariamente; vuole che vestano elegantemente e che abbiano modi gentili.

Alla fine degli anni venti, stanco di girovagare, il padre Policarpo rileva da un lontano cugino un’azienda che commercia strumenti musicali nel cosmopolita porto di Marsiglia.
L’ormai diciassettenne Laura l’aiuta nel commercio e spesso la sua presenza è indispensabile per la conoscenza che ha di ben cinque lingue (italiano, greco, russo, francese, inglese) [1].

Ma Laura ancora ha negli occhi vestiti luccicanti e camerini dove la madre cambia gli abiti che lei indossa di nascosto quando resta sola; ricorda le storie di matrimoni fra principi che la bambinaia gli raccontava e ricorda le tante città che ha frequentato: Costantinopoli, Mosul, Baghdad, Teheran, Alessandria, Il Cairo, e tante altre.
Non è contenta di questa vita e, seppure contrastata dai genitori, si reca a Parigi per tentare la carriera di cantante. Ha diciannove anni e dagli sguardi degli uomini nel locale in cui canta si rende conto d’essere attraente; ma non sfonda nel campo artistico, pertanto ritorna senza ottenere il successo sperato.
La ritroviamo nel negozio di Famiglia dove conosce Emil Fraunholz, un cittadino svizzero allontanatosi dalla sua nazione, a suo dire, per evadere il servizio militare.
I due si sposano a Marsiglia il 18 agosto del 1931 e, così facendo, Laura acquisisce automaticamente la cittadinanza svizzera [2].

Fraunholz è una figura enigmatica che fa affari, con legionari francesi, con metodi al limite del legale; poi, per sopraggiunte difficoltà economiche, la coppia si trasferisce a Grasse, nella Alpi Marittime.
Qui rilevano una drogheria, presa in fitto da legionario conosciuto da Emil, e in questa località generano due figlie, la prima Renée e un anno dopo Anna.
In seguito, per mancanza di clientela e d’esperienza, le condizioni di lavoro diventano precarie e Laura, per arrotondare, riprende a cantare nei caffè.
Emil, che non può fare a meno di notare gli sguardi degli avventori verso sua moglie, si rivela troppo geloso e possessivo; il clima familiare diventa via via sempre più pesante e, per il sopraggiunto fallimento della drogheria, ad ottobre 1933 sono costretti a trasferirsi a Bottighofen, in Svizzera, suo paese natale.
Qui, su di una collina isolata da tutto e da tutti, tra freddo e neve, e nonostante le attenzioni dei suoceri, Laura mostra sempre più insofferenza verso questo modo di vivere. Tra l’altro, non conoscendo il tedesco, non riesce a comunicare con i genitori di Emil e con gli abitanti del posto.
Una sera, siamo nella primavera del 1935, mette le bimbe a letto ed esce a fumare una sigaretta; improvvisa prende una grave decisione, col tempo si è convinta di non sopportare il proprio ruolo di casalinga, di madre e di tutti i compiti che ciò comporta.
Rientra in casa, prende la sua valigia e si avvia verso il paese dove si infila nell’ultima corriera per Zurigo; poi prende il treno per Ginevra e da qui quello per Nizza, dove si sono trasferiti i suoi genitori.

A Nizza sopravvive grazie all’aiuto dei suoi, anch’essi in difficolta dopo la forzata chiusura della loro attività a Marsiglia; padre e madre proprio non sanno come comportarsi con questa figlia.
Nel 1938 si reca nuovamente a Parigi in cerca di lavoro e poter così continuare le lezioni di canto, ma nel settembre del 1939 la situazione generale precipita per lo scoppio della guerra. Più non può contare sulla sua Famiglia che, per non essere internata essendo di nazionalità italiana (anzi ancora cittadini puteolani), si è trasferita in Italia, a Roma.
Dopo cinque anni di vita sbandata, col permesso di soggiorno scaduto e con il rischio d’essere arrestata, nell’agosto del 1940 ritorna a Nizza lasciando la Parigi ormai occupata dai tedeschi.
Qui conosce un certo Daniel Pétard che l’assume come dattilografa nella sua coltelleria, e il nuovo datore di lavoro ne apprezza la bellezza e le capacità.
Petard è in pratica un agente al servizio dello spionaggio britannico; alla fine del 1940 la presenta a Simon Cotoni, poliziotto francese della “Défense du Territoire” ma in segreto agente della “Inteligence Britannica”, e insieme la sottopongono ad una sorte d’interrogatorio.
S’accertano della spiccata intelligenza di Laura, si compiacciono che parli ben cinque lingue rammaricandosi solo che non parli tedesco, e gli propongono di lavorare per lo spionaggio alleato; in caso contrario possono farla arrestare per la irregolarità del suo permesso di soggiorno.

Laura, anche per i solidi offerti, acconsente e nel gennaio 1941 è inviata a Parigi in missione di prova per cercare, sfruttando la sua avvenenza, di carpire informazioni tra gli ufficiali tedeschi di stanza o di passaggio nella capitale.
Superata questa prova nella primavera del 1941 la D'Oriano è inviata a Bordeaux, la sua prima vera missione, con l'incarico di monitorare i movimenti dei sommergibili italiani ospitati nella base atlantica sull’estuario della Gironda, nota come “BETASOM” [3].

Laura riceve nuovi documenti che la identificano come Louise Fremont, cantante e ballerina detta “Loulou”, e con questi va ad alloggiare in una pensione in rue du Quai Bourgeois, tenuta da Madame Blanc non lontana dal porto che pullula di sommergibilisti italiani.
Nei giorni successivi riesce ad avvicinare diversi marinai italiani che, ben disposti a parlare con una bella ragazza, inconsciamente l’informano sulla presenza in porto e sulle uscite in mare dei sommergibili della Flottiglia Oceanica. Conversando, tra una passeggiata al porto e un caffè, ottiene informazioni importanti che la sera riporta in codice su cartoline che invia al Little Hotel di Tolosa.
Frequentando la piscina comunale conosce anche ufficiali italiani e un giovane meccanico al quale racconta d’aver perso marito e figlio in un incidente; l’uomo si offre di tenergli compagnia nel tempo libero e nei giorni successivi riesce a carpirgli molti utili dettagli sui sommergibili sui quali lavora.
Ancora oggi, non è del tutto noto quanto abbiano influito le informazioni passate da Bordeaux, dall’affascinante spia, in relazione alla perdita di alcuni battelli italiani.
Portato a termine questo incarico nel settembre 1941 Laura è di nuovo a Nizza dove incontra per la seconda volta Cotoni che si dichiara soddisfatto del lavoro e la ricompensa con altri 4000 franchi.

Ai primi di ottobre lo stesso Cotoni gli propone una missione più vasta in Italia ed a tal proposito è condotta a Marsiglia dove è presentata ad un certo Cosik.
E’ questo il falso nome di un agente segreto legato alla rete “Ajax” della resistenza francese e all’intelligence britannica; uno che manovra gli agenti, dà loro le istruzioni, i compensi e gli incarichi.
Per la nuova missione gli si chiede di recarsi prima qualche giorno a Genova e poi sei settimane a Napoli per segnalare la presenza di navi in quei porti e descrivere i danni arrecati dai bombardamenti alleati sulle due città italiane.
L’agente le fa studiare le sigle ottiche di navi e sommergibili italiani, così da poterle identificare a colpo d’occhio, e le spiega come inoltrare queste notizie.
Deve scrivere normali missive, dal contenuto non sospetto, in lingua italiana ma con le notizie riservate scritte in lingua francese; queste ultime con “inchiostro simpatico” interpolate tra una riga e l’altra.  Le lettere vanno chiuse in una busta che a sua volta dovrà essere inserita in altra busta indirizzata a Emilio Brayda, titolare di una agenzia di viaggi a Torino.
Laura non lo sa ma Brayda farà pervenire la missiva ad Aldo Rossetti, agente di cambio naturalizzato francese a Modane, che a sua volta provvederà a fa arrivare i messaggi al nucleo spionaggio di Marsiglia, guidato da Cosik.
La D’Oriano accetta senza esitazioni, anche perché da mesi sta tentando di entrare in Italia dove vivono i genitori e i fratelli, e con un intermediario, fingendosi turisti, raggiunge Briancon alla frontiera alpina.
Prima gli sono fornite Carta di Identità, Patente, Tessera della Federazione Nazionale Fascista e Tessera Annonaria; tutti documenti italiani che riportano una falsa identità, quella di Laura Fantini [4].

Riceve una busta con novemila lire, con la raccomandazione di non fare grandi spese per non essere sospettata, e infine viene ancora istruita su come osservare, identificare e comunicare.
Soggiorna a Briançon fino all’11 dicembre 1941 e quella notte, con una guida alpina e indossando racchette da neve, attraversa a piedi la frontiera nei pressi del passo del Monginevro.
Prende poi un pullman per Torino ed infine raggiunge Genova in treno dove va ad alloggiare presso una casa privata; ha una lettera di presentazione da consegnare alla proprietaria.

Ma Laura D’Oriano, a sua insaputa, è già “bruciata”.
Il capitano Ettore Saraco, del centro di controspionaggio di Torino e vero personaggio chiave dei servizi informativi verso la Francia, ha l’astuzia di non arrestare gli agenti nemici individuati e di limitarsi a seguirne le tracce per spiarne il comportamento e ottenere maggiori informazioni. Poi, al momento opportuno, il malcapitato sarà catturato e gli verranno prospettate due opzioni: o si fa reclutare nel controspionaggio italiano come “doppiogiochista” oppure sarà arrestato e condannato a morte.
Il capitano due mesi prima ha arrestato un agente nemico e questo, dinanzi all’alternativa fra collaborazione o plotone di esecuzione, ammette di lavorare per conto di Brayda e Rossetti; entrambi messi subito sotto controllo.
L’informatore, che ora fa il doppio gioco, è ritornato in Francia presso la rete “Ajax” e poco dopo invia a Saraco il seguente messaggio:
«Cosik tra qualche giorno invierà a Genova una donna che si presenterà a tal Ragusa Maria, via San Donato 2, perché le dia ospitalità. La donna che dovrà entrare in Italia sarebbe molto attiva nell’organizzazione spionistica di cui fa parte Cosik. Si sarebbe più volte recata nella zona della Francia occupata ed in Germania e godrebbe di particolare considerazione da parte del capo del centro di spionaggio inglese di Marsiglia.»

Così il 12 dicembre 1941, quando Laura arriva a Genova, Saraco è già informato; i suoi uomini mettono sotto sorveglianza la misteriosa viaggiatrice che si reca all’indirizzo comunicato, anche se ancora non sanno chi esattamente sia e lo scopo della sua missione.
Sistemata la valigia Laura si reca al porto dove sosta in un bar dalla cui vetrata c’è una perfetta visione dei moli e dei bacini. Il giorno dopo passeggia vicino alle banchine e scorge la corazzata “Littorio”, la presenza di quattro MAS e l’incrociatore “Bolzano” in riparazione nel “Bacino delle Grazie” [5].

Gli agenti si limitano a seguire la D’Oriano che soggiorna a Genova due soli giorni; la stessa sera di domenica 14 dicembre lascia la pensione e si dirige alla stazione di Piazza Principe dove acquista un biglietto di seconda classe per Napoli.
Prima di partire infila nella buca delle lettere una busta che è subito ritirata da uno degli agenti.
La parte scritta in chiaro è la seguente:
«Mio caro,
attendo con impazienza tue notizie.
Ti prego di scrivermi al più presto.
Conoscendomi sai che altrimenti sarò molto infelice, temendo il peggio.
Se tu sapessi quanto sono apprensiva!
Per favore scrivimi e dimmi che va tutto bene e che non mi hai dimenticata.
Prego ogni giorno la Santa Madre di Dio sperando che ascolti le mie preghiere.
Ti bacio e ti bacio e ti bacio.
Tua Antonia.»
La lettera è fatta pervenire al centro controspionaggio diretto da Saraco dove è subito decifrata, risalendo così allo scopo della missione della misteriosa spia, poi alterata e rispedita all’Agenzia di Viaggio di Brayda.
Un altro agente prende posto nello stesso scompartimento di Laura che la mattina del 15 dicembre raggiunge Napoli; qui la giovane prende un taxi e si fa accompagnare alla “Pensione Lombardi”, in via Angiporto, dove paga un mese in via anticipata.
Poco dopo scende a passeggiare cercando di raggiungere il porto; si dirige verso il “Molo Luigi Razza” (ora “Molo Angioino”) onde annotare le navi presenti sia su questo pontile che sul vicino “Molo San Vincenzo”, dove attraccano le unità militari.
Ben presto si rende conto che ci sono rigide restrizioni d’accesso e, per non insospettire, percorre via Marina che per lunghissimo tratto costeggia la recinzione portuale.
Lungo questo percorso, come annotano gli agenti che la seguono, avvicina un giovane della Milizia Ferroviaria con il quale s’accompagna per circa mezz’ora.
Viene a sapere, o ha possibilità di vedere direttamente, la presenza in porto della torpediniera “Cosenz” (distintivo ottico “CS”) e di due navi ospedale [6].

Verso sera va al cinema dove conosce un sottoufficiale della Regia Marina con il quale si congeda promettendo di rivedersi (in seguito, una volta interrogato, il sottoufficiale dirà di non conoscere la ragazza e comunque di non aver parlato con lei di argomenti navali).
L'indomani Laura all'alba parte in treno per Roma, sempre ignara di avere il controspionaggio alle calcagna, e imbuca un'altra lettera (regolarmente intercettata) in cui scrive [7]:

«Caro cugino, solo poche righe per farti sapere che mia moglie sta meglio.
La sua malattia ci ha preoccupati moltissimo ma ora. Grazie a Dio, tutto è passato.
Mamma è felice che la paura sia passata.
Speriamo di vederti presto, così potrò raccontarti tutto nei dettagli.
Come stai? Spero bene.
Scrivici, siamo sempre felici di ricevere tue notizie,
Un abbraccio da papà e saluti a tutta la famiglia e una cordiale stretta di mano da me.
A presto! Bartoly.»

Con le frasi scritte in codice, in questa lettera, Laura spiega le difficoltà di scoprire qualche cosa nel porto di Napoli, dove è impossibile entrare, e annuncia che andrà a trovare la madre a Roma.
Scende alla Stazione Termini e, senza rendersi conto d’essere seguita, fa un errore imperdonabile per una spia; si reca all'abitazione dei genitori al Largo Brancaccio 83.
Con questa mossa maldestra il controspionaggio non ha più dubbi sulla vera identità della spia che sta pedinando.
Laura dirà che questa azione s’era resa necessaria in quanto rimasta senza i soldi occorrenti per i biglietti ferroviari (con questo tende a dimostrare che la sua non è una attività continuativa e retribuita) ma probabilmente è lei che vuole consegnare alla madre parte della somma di cui è in possesso.
La madre, che non la vede da circa due anni, quasi si sente male e la trova di molto dimagrita; ma Laura chiede del padre, che è in Albania per lavoro, dei fratelli che aderendo al fascismo sono militari in Africa, e delle sorelle.

Il 19 dicembre spedisce la solita busta indirizzata a Brayda, con la lettera per Rossetti. I carabinieri intercettano anche questa e scoprono che, oltre alle informazioni su Napoli, la spia completa le notizie relative a Genova, specificando che il piroscafo “Roma” è sottoposto a lavori per essere trasformato in portaerei.
[E’ però difficile credere che a dicembre del 1941, con i lavori di trasformazione appena iniziati, Laura sia in grado di riconoscere questa conversione da cui sarebbe nata la portaerei “Aquila”]
Laura sta dalla madre fino a Santo Stefano passando con lei un periodo talmente sereno che quasi si convince a lasciar perdere tutto e restare definitivamente con la sua famiglia originaria.

Il 26 dicembre riparte in treno per Napoli, città che non raggiungerà poiché è arrestata, senza opporre resistenza, e fatta scendere alla stazione di Littoria (l'odierna Latina).
L'indomani, nel carcere femminile Mantellate di Roma, è perquisita e trovata in possesso dei vari documenti falsi a nome di Laura Fantini, di soldi e appunti; quindi è trasferita a Torino per essere interrogata.
Laura smette di mentire quando le mostrano le lettere da lei scritte con evidenziate le frasi visibili sotto le comunicazioni banali.
Dichiara la sua vera identità e la sua attività spionistica espletata non per motivazioni politiche ma solo per necessità di denaro.
Dice che sia a Bordeaux che in Italia ha fornito solo poche notizie se confrontate con tutte quelle di cui era venuta a conoscenza, e aggiunge:
«tengo solo a dichiarare che se ho agito male non l’ho fatto per odio, ma solo perché trascinata dalla vita stessa che conducevo.»

Sono arrestati anche Brayda, il suo fiduciario Eugenio Rey (suo sostituto nella ricezione delle missive segrete) e in seguito Rossetti (inizialmente datosi alla latitanza); tutti restano in custodia cautelare per circa un anno [8].

Il padre Policarpo, ritornato dall’Albania, cerca di farla liberare scrivendo al marito Emil e perfino al governo svizzero di cui Laura è tuttora cittadina. Nessuno gli risponde e non riesce neppure a vedere la figlia; anzi per le cattive condizioni economiche, aggravate dalla separazione con la moglie, Policarpo non può permettersi di pagare un avvocato e a Laura ne viene assegnato uno d'ufficio.

Il processo ha luogo a Roma il 15 gennaio 1943 presso il “Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato” e il presidente dei giudici è Antonino Tringali Casanuova che, per questa carica, ha diritto a far parte del “Gran Consiglio del Fascismo”.
E’ un tribunale politico le cui udienze non sono pubbliche, tutti i giudici sono fascisti in camicia nera, e agisce secondo le leggi di guerra.
Sono considerate gravi e strategiche le notizie che la D’Oriano ha trasmesso al nemico. Un perito appositamente convocato valuta attentamente le informazioni che è riuscita a procacciarsi: e tra l’altro dichiara:
«… quelle relative alla base di Bordeaux rientrano tra quelle di carattere segreto, in quanto esse riguardano la consistenza numerica, nonché i movimenti di nostre unità subacquee […].
…. quelle che la D’Oriano si procacciò durante la sua sosta a Genova e a Napoli rientrano ugualmente tra quelle di carattere segreto […].
… non è possibile stabilire quale riflesso diretto o indiretto abbia avuto l’azione della D’Oriano sulla perdita di nostre unità subacquee di guerra dislocate a Bordeaux.»

La sentenza è emessa nella stessa giornata:
«Considerato che le notizie che la D’Oriano si procacciò durante la sua dimora a Genova e a Napoli, nonché quelle dalla stessa rivelate al nemico durante la sua permanenza a Bordeaux, erano esatte e di natura particolarmente segreta, il Collegio ravvisa nei fatti commessi dalla D’Oriano gli elementi costitutivi dei delitti alla stessa ascritti, per i quali il Tribunale, in mancanza di elementi che possano comunque autorizzare la concessione di circostanze attenuanti, deve infliggere la pena capitale con le conseguenze di legge.»

Laura D’Oriano è condannata a morte mediante fucilazione da eseguirsi la mattina seguente presso il “Forte Bravetta” di Roma.
Emilio Brayda e Eugenio Rey, accettando il reclutamento nel controspionaggio italiano per prestarsi ad azioni doppiogiochiste, sono assolti con formula dubitativa; Rossetti è condannato a soli quindici anni di carcere grazie all'avvocato Bruno Cassinelli, membro influente de Partito Fascista.

Alle ore 6.15 del 16 gennaio 1943 Laura incontra un sacerdote che, in luogo appartato e senza la presenza di altre persone, la confessa.
Alle ore 6.45 è portata nel cortile del forte davanti al plotone di esecuzione formato da un reparto della M.V.S.N. (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale) e il Capo Manipolo, Mario De Mari, legge ad alta voce la sentenza.
Alle ore 7.00 è posta a sedere davanti al reparto con la schiena rivolta al reparto.
Alle ore 7.07 la fucilazione è eseguita.
Così è descritta l’esecuzione di Laura, nella relazione del 17 gennaio 1943 tipica della burocrazia mortuaria, a firma di Augusto Ferrazzoli, Cancelliere Capo Dirigente del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato.

La figlia Anna, in una intervista su questo caso, narra che la Madre chiese di non essere messa di spalle ma di voler guardare negli occhi i militi che stanno per fucilarla, come nell’immaginario delle esecuzioni cinematografiche; ma sicuramente Laura non ha richiesto tale modalità che comunque non sarebbe stata concessa. Poi aggiunge:
«Per tutto il periodo dell’adolescenza, ho sempre considerato mio padre come una persona severa e dura. Un giorno, ancora oggi faccio fatica a raccontarlo, eravamo usciti al largo su una barca a remi. Era estate, dissi qualcosa riguardo alla mamma, lui mi prese e mi scaraventò giù dalla barca, spingendomi sott’acqua con un remo.
La sua seconda moglie gridò “Guarda che annega!” e lui disse ‘Meglio così'”.»

Quando le sue condizioni economiche peggiorarono, Laura D’Oriano avrebbe potuto tornare dal marito e dalle figlie, che si erano trasferiti nella neutrale Svizzera. Ma il suo orgoglio, e la minaccia di arresto, la spinsero a diventare una spia; non fu certo solo questione di soldi.
Unica donna condannata a morte per spionaggio e fucilata in Italia; non era mai accaduto prima e non sarebbe più accaduto dopo.
La grazia sovrana era intervenuta in tempo, commutando in ergastolo la pena capitale anche per le peggiori criminali. Ma per Laura D’Oriano, spia al servizio degli inglesi in piena guerra, Sua Maestà Vittorio Emanuele III non intervenne.

Il corpo di Laura, come tutti gli altri fucilati di Forte Bravetta, è subito trasportato, prima dell’apertura al pubblico, presso il “Cimitero del Verano” dove è sepolto in una fossa comune.
Solo nel 1958 il padre Policarpo la ritrova e la fa tumulare nello stesso cimitero dove, nel 1962, egli stesso sarà sepolto accanto alla figlia [9].



BIBLIOGRAFIA
Cinzia Tani – Donne Pericolose – Rizzoli 2016
Grazie Teresella Berva - Chi era Laura D'Oriano – 2017
Alain Charbonnier – Laura D’Oriano, La Spia Analfabeta - 2014
Ciro Biondi – Laura D’Oriano, Storia della spia originaria di Pozzuoli – 2020

SITI WEB
https://www.robadadonne.it/galleria/chi-era-laura-doriano


GIUSEPPE PELUSO – MARZO 2020