lunedì 18 gennaio 2016

Senatore Carmelo Patamia


Il senatore Carmelo Patamia, figlio di Antonio Maria, nasce a Bagnara Calabra il 13 aprile 1826; qui inizia gli studi che poi completa a Reggio, il vicino capoluogo.
Giovanetto si reca a Napoli, per frequentare l’università della capitale, e nel 1847 si laurea in medicina; nel 1848 partecipa alla locale insurrezione, episodio inserito nei più vasti moti risorgimentali. Ritorna in Calabria e nel 1860 si unisce ai garibaldini appena questi, provenienti dalla conquistata Sicilia, sbarcano nella natia Bagnara [1]. 

Con Garibaldi entra a Napoli e vi si stabilisce definitivamente, mettendo a profitto la sua qualità di medico.

Nel 1861 va a risiedere sulla via di Pozzuoli, in località La Pietra, dove acquista dei terreni con vecchie fabbriche adibite ad attività termali [2].

Presto addiviene a gran fama per la sua riconosciuta valentia nell’arte di Esculapio; medico capo e cofondatore, col prof. senatore Sperino, del sifilocomio di Napoli; fondatore delle Terme Patamia; libero docente presso l’Università di Napoli ed autore di un buon Trattato delle Malattie Veneree e Sifilitiche.
A completamento della sua opera, per far fronte agli artigli degli usurai che attanagliano gli operai calabresi nel 1882, insieme all’Onorevole Luzzati, fonda la Banca Popolare Cooperativa di Bagnara; che fu la prima banca popolare in provincia di Reggio e fallirà con la crisi del 1929.

Tutte queste attività gli permettono di costituirsi un gran patrimonio; alla vasta proprietà paterna in Calabria aggiunge un palazzo al Monte di Dio dove vive, un bel palazzo fatto costruire al Vomero, una villa a Posillipo, una casa di cura a Bagnoli, uno stabilimento termale presso Pozzuoli; tutti beni che gli fruttano un larghissimo reddito. La voce pubblica, che con molta sfacciataggine suole fare i conti nelle tasche altrui, tiene il senatore Patamia in fama di almeno sette o otto volte milionario.
Inoltre un fratello, emigrato ed arricchitosi a Marsiglia, muore senza prole e gli lascia molti titoli costituenti una somma più che rilevante.

Dal 1882 è eletto alla camera dei deputati per la sinistra moderata per ben quattro legislature, prima nel collegio di Palmi e poi in quello di Bagnara, ed è membro delle “Commissioni sanitarie per la modificazione del regolamento sulla prostituzione”.
E’ nominato Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia; il 14 giugno 1900 riceve la investitura a senatore e poi quella di Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro.

Nei Campi Flegrei è ricordato per le terme da lui create in località La Pietra per un fortunato evento accaduto nel 1861. Sta dissodando il terreno, per trapiantare delle viti attorno al piccolo stabilimento termale da lui acquistato, quando si avvede della esistenza di qualche antica fabbrica. Il celebre archeologo Giuseppe Fiorelli, gentilmente accorso sul luogo, la riconosce per fabbrica che gli antichi romani alzarono per utilizzare una larga vena di acqua minerale, ovvero il “Balneum Balneoli” detto volgarmente il Bagnuolo in periodo aragonese, e poi trascurata fino a perdersi la memoria.
Il dott. Patamia trasforma in deliziosi giardini una parte dei terreni che circondano le terme, costruisce dei comodi quartieri per l’inverno e demolisce le mura che separano lo stabilimento dalla riva del mare.
Nel 1867 il dott. Antonio Candido, direttore sanitario delle Terme, in un libro descrive dettagliamene il nuovo stabilimento termo-minerale del Balneolo. Al termine del volume riporta il giudizio dell’idrologo A. Dardel, medico dello stabilimento termale d’Aix in Savoia, che, in una lettera del 5 aprile 1865, esalta la bellezza del paesaggio, la salubrità e la dolcezza del clima, la molteplicità degli effetti terapeutici delle acque.
Nello stesso libro riferisce che il primo illustre infermo che abbia scelto lo stabilimento Patamia è il signor James Hudson, già noto ministro d’Inghilterra in Italia e che tante parte ebbe nel favorire l’Unità Nazionale.
Così scrive Hudson al termine del ciclo di cure: “Signor Direttore, con mio sommo compiacimento le fo sapere che affetto da gotta e da dolor reumatici, mercè i vostri bagni e le alte docce ne ho avuto i più positivi vantaggi. J. Hudson”

Inizia la grande epopea dei bagni termali e quelli di Patamia, con bella fabbrica, sono tra i migliori esistenti nel comune di Pozzuoli; sono a destra della strada venendo da Napoli [3]. 

Vi si trova un comodo stabilimento termale con trattoria ed alloggio pei malati. In un vasto ed elegante edificio c’è una sala, con intercolunnio innanzi, munita di triplice porta chiusa a lastre, la quale è bellamente addobbata e serve d'ingresso all'edificio.
Da questa sala prendono origine due corridoi a destra e a sinistra che conducono ai bagni. Essi sono in 30 gabinetti eleganti, dipinti alla pompeiana e forniti di altrettante vasche di marmo e docce.
Al primo piano trovansi la sala da pranzo e da conversazione, 16 camere da letto e la stanza per le persone di servizio. Dalle finestre di davanti si gode di bella vista sul golfo di Napoli, di dietro vi ha una vigna. Dietro la casa sono altri bagni e due piscine, una per sesso, alimentate d'acqua minerale perenne che mantiene la sua temperatura elevata. Sul tetto di una fabbrica attigua si lascia stagionare dell'acqua in vasche aperte. Vi ha pure un apparecchio per la polverizzazione dell'acqua, adoperato nelle malattie degli organi respiratorii.
Tutto vi è abbastanza decente e pulito. A differenza degli stabilimenti termali di Agnano è più immune dall'umidità e, avendo a ridosso come solida barriera il Monte Olibano, è anche preservato dai venti del Nord.

Lo stabilimento, con il vicino “Terme Pepere” [4], rappresenta quanto di più funzionale e moderno possa esserci ne settore idrotermale.

Tale è la loro notorietà, e il loro potere politico-economico, che le terme di La Pietra persuadono la costruente Ferrovia Cumana a realizzare una fermata in prossimità dei loro stabilimenti. Tale stazione, nominata “Terme Patamia Pepere” (in seguito fermata “La Pietra” ed ora del tutto abolita) sarà inizialmente il capolinea della ferrovia che all’inaugurazione espleterà il suo limitato servizio sulla tratta Montesanto – Terme [5].

Lo stabilimento verso fine secolo è diretto dal dottor P. Roccatagliata e questi, tramite il proprietario, fa pure un’interrogazione alla Camera contro il disservizio della ferrovia cumana che, come si sa, conduce i bagnanti in dette terme.
Interrogazioni che saranno poi fatte anche dal nuovo Direttore Sanitario prof. on. M. Pietravalle, quando le Terme saranno acquistate da G. Arienzo.
Intanto nel 1900 le Terme e Pensione del “Balneolo” e il Bagno di Mare “L’Aurora”, tutti di proprietà Patamia, partecipano alla grande “Esposizione d’Igiene” che si tiene a Napoli nell’anno 1900 [6].
 
Calabrese di nascita ma ormai napoletano d’adozione la morte attende il senatore Patamia, in data 12 novembre 1909, proprio nel bellissimo palazzo che possiede in questa città al Monte di Dio.
Questo l’elogio tenuto al senato dal presidente Giuseppe Manfredi:

«Signori senatori! 
Dalle Alpi il nostro lutto va al mare. In Napoli il 12 di questo novembre morì il senatore Carmelo Patamia, che era nato in Bagnara Calabra il 13 aprile 1826. Medico dei più dotti e stimati, aveva da moltissimi anni in Napoli esercitato, primario del Sifilicomio, e professato in Cattedra di libero docente all'Università nella specie, in cui un voluminoso trattato teorico-pratico pubblicò nel 1897. Contribuì all'onore della scuola medica meridionale, quando vi splendevano il Tommasi, Salvatore de Renzi, il Palasciano; fu de' primi a far conoscere le ricchezze idrologiche del bacino termale di Napoli, e de' più meritevoli della fondazione degli stabilimenti di terme tra Bagnoli e Pozzuoli. Nell'amore della libertà fu dei più ardenti, fra i giovani, nel 1848; ed i sensi patrii senza tema di rischio ei mantenne sino al risorgimento italico, cui partecipò nel 1860 dando di poi al nuovo ordine di cose tutto l'animo; onde fu eletto deputato dal II collegio di Reggio Calabria per la quindicesima, sedicesima e diciottesima legislatura e da quello di Bagnara per la diciottesima. Non mancò alla Camera la sua voce negli argomenti a favore della sua Calabria, e fu autorevole nelle questioni d'igiene pubblica. Nominato senatore il 14 giugno 1900, benché caldo ancora di spirito, nel fisico sofferente, non poté essere frequente ai nostri lavori. Nondimeno, raccogliendo le lodi de' suoi meriti e della bontà e del carattere, che odonsi sulla sua tomba, uniamo il nostro al duolo della famiglia, dei calabri conterranei, dell'ordine medico napoletano, de' discepoli dell'amato estinto.»

Alla sua morte inizia un clamoroso processo di milionaria eredità con intrigante intreccio di attricette, servi, padroni, avvocati; e tutti ruotano intorno al cospicuo interesse formato da gioielli, titoli, contanti, proprietà.
Il processo offre il tema ad una commedia galante, di sapore antico, con episodi abbastanza originali e personaggi molto noti dove il denaro è profuso per soddisfare il piacere. Troppi milioni, pettegolezzi infiniti, ardite deviazioni d’indagini, molti gioielli, rancori di servi delusi.
Questi gli ingredienti di cui s’è dovuta servire l’istruttoria.
Quando nei romanzi e nei drammi una eredità dà luogo ad infiniti litigi giudiziari ed extragiudiziari deve per forza essere una eredità che si rispetti ed è così anche nel caso tutto reale del senatore Patamia.

La prima sorpresa, per gli eredi che non si trovavano al capezzale del morente, è all’apertura della cassaforte che si crede contenere titoli, depositi fiduciari, cartelle, denaro in contante. Con stupore si vede che è assolutamente vuota ed anche negli altri mobili non si trovano ne gioie ne oggetti di valore.
Senza dubbio, nell’ora d’agonia del vecchio senatore, è avvenuta una vera razzia; ma chi l’ha compiuta?

Il senatore ha un figlio, il cav. Alfredo, appassionato “sportman” noto nella società elegante non solo di Napoli, che negli ultimi tempi vive a Torino, conducendo vita fastosa, con l’ammiratissima “divetta” Annita di Landa, al secolo Teresa Buscaglione [7].

Sciantosa, nata nel 1875 a Graja come il famoso e lontano parente Fred Buscaglione, giovanissima posa per lo scultore Grosso.
Scritturata da una compagnia di prosa in seguito passa al caffè-concerto esibendosi per qualche tempo in un baraccone sul Lago Maggiore. Nel 1897 si fa notare negli ambienti dello spettacolo e nel 1900 è già affermatissima come canzonettista eccentrica: nel 1902 al "Morisetti" di Milano è proclamata "fra le migliori cantanti a dizione". Nel 1905 canta in duetto con Nicola Maldacea al "Teatro Verdi" di Napoli, in questa occasione conosce il figlio del senatore Patamia. E durante la sua gloriosa carriera prende parte, in qualità di prima interprete, a diverse audizioni piedigrottesche. Altezzosa e popolarissima, una sera proibisce a Ettore Petrolini, che in seguito la definisce "la Cecile Sorel del Caffè-concerto”, di chiudere lo spettacolo sino a che il popolarissimo attore romano si rassegna a dover improvvisare un duetto con lei. Il suo repertorio, intelligente e provocatorio, è formato da cose prevalentemente scritte appositamente per lei, fra cui alcune belle napoletane tanto da essere definita “el bel tabarin delle periodiche napoletane”. LINK
I suoi cavalli di battaglia sono “E Nnanasse”, "Core e Mamma" e "La Spagnola", la classica canzone da sciantosa, con la sua brava allusione alle doti amatorie della diva di turno. Molto richiesta nelle sue serate è pure "'A Nuvena" scritta da Salvatore Di Giacomo e che lei canta con accento piemontese, divertendo molto il pubblico, imitando con grande bravura, il suono della zampogna con la sua voce pastosa e ben modulata.
Nel 1913 compie una lunga tournèe in Argentina e in Brasile; morirà, ancora giovane, nella bella villa di Torino che nel 1912 gli ha regalato il suo ammiratore napoletano.

Il senatore Patamia ha anche due figliole che per nozze sono entrate nell’alta aristocrazia napoletana; Maria ha sposato il principe di Sannicandro e donna Giuseppina il duca di Donnorso.
Nella casa di Napoli il vecchio senatore vive solo con una cameriera, Pierina Nucci, donna che conserva ancora piacente aspetto e fascini più propri a femmine più giovane di lei. Costei ha la direzione della casa e si fa aiutare, specialmente sul lato amministrativo di tale complessa mansione, dal suo fidanzato; tale Giuseppe Pisco, molto giovane d’anni in suo confronto, e che a tempo perso fa anche l’agente d’emigrazione.
Le accurate indagini condotte assicurano che il senatore è molto sospettoso, sebbene non avaro, temendo che la sua fama d’uomo danaroso lo possa esporre a brutti tiri o a sorprese poco piacevoli. Custodisce le chiavi della scrivania e della cassaforte in una borsetta che tiene sempre addosso e che la notte pone sotto il guanciale.
Ma negli ultimi anni va perdendo sempre più la vista finchè diventa del tutto cieco; inoltre è colpito anche da gravi malori tipici della vecchiaia e la sua esistenza in vita dipende sempre più dall’assistenza che gli prestano i predetti collaboratori.
Le voci maligne affermano che costoro raggirano e circuiscono il vecchio senatore; ma queste sono voci molto facili quando un vecchio padrone morente non ha altri in casa che antichi servi e specialmente la preferita fantesca.

All’intensificarsi di queste voci il figlio cav. Alfredo si decide a lasciare Torino ed accorrere presso il Padre morente. Ma poiché non ha voluto lasciare la bella di Landa, con la quale convive, si è fatto da lei accompagnare a Napoli ed entrambi si recano ad alloggiare all’Hotel Savoy [8]. 

Giunto a Napoli prende la direzione della casa paterna, togliendone la mansione alla cameriera ed al suo fidanzato, ed assume il ruolo che gli compete.
Tutto questo non fa piacere al duo Nucci-Pisco che vedono di malocchio questa ingerenza risoluta tra loro ed il morente. Il cavaliere Alfredo non tarda molto ad accorgersi d’avere in costoro dei nemici che sanno come approfittare dello stato di amarezza e di freddezza nei rapporti tra lui e le sue sorelle.
Per pubblico testamento Alfredo è stato creato dal Padre erede universale coll’obbligo del pagamento di alcuni lasciti alle sorelle.
Queste disposizioni testamentari diseredano quasi le figliole e provocano un vivo malumore e alquanto rancore verso il fratello più fortunato.

Quando si apre la cassaforte e la scrivania si prendono le chiavi che il senatore teneva nella borsa sotto il cuscino ma, con grande sorpresa apparentemente generale, si vede che le chiavi non agiscono nelle serrature. Una mano ignota, approfittando della cecità del vegliardo e della sua impossibilità a muoversi, ha sottratto le preziosi chiavi sostituendole con altre similari.
Perciò si deve scassinare cassaforte e scrivania ma, con nuova grande sorpresa per eredi e astanti, entrambi gli scrigni risultano completamente vuoti. Per questa manomissione la principessa di Sannicandro e la duchessa Giuseppina di Donnorso si determinano a sporgere querela contro ignoti.
La Nucci ed il Pisco seguitano a dire che ad appropriarsi del tutto deve essere stato il cav. Alfredo prima ancora della morte del Padre.
I due si dimostrano favorevoli e simpatizzanti per le figlie diseredate e queste, nel loro stato d’animo poco benevole per il fratello, pur non raccogliendo le velate accuse fatte dai domestici incaricano l’avvocato on. De Tilla di stendere querela contro i possibili responsabili dei furti commessi. La querela, abilmente redatta, è molto ampia e può accogliere parecchie persone; d’altronde anche i sospetti possono cadere facilmente su molti personaggi.
Appare sospetto che il cav. Alfredo sia il solo membro della Famiglia ad aver assunto le redini dell’amministrazione della casa e sospetta la sua sollecitudine a trasferirsi da Torino a Napoli colla notissima ed elegante amante.
Pertanto l’istruttoria s’appunta subito contro di lui ma solo per i pretesi furti “post mortem”; per quelli “ante mortem” non può esercitarsi l’azione penale delle sorelle essendo il furto a danno del Padre e non dell’asse ereditario. In entrambi i casi però tutti quelli che hanno partecipato all’azione delittuosa, secondo la querela, debbono rendere conto alle querelanti con propria responsabilità penale e civile e per questa precisa volontà espressa dalle due sorelle l’istruttoria finisce con l’andare a colpire persone che si sono credute al sicuro d’ogni sospetto.
Il giudice istruttore dott. De Sanctis è messo in sospetto dalle interessate voci messe in giro dai due domestici e crede che le loro esagerazioni siano dettate da spirito di vendetta per essere stati cacciati via dal cav. Alfredo dopo la morte del senatore; allora, credendo che abbiano avuto molta parte nella sparizione dei titoli, spicca un mandato di cattura contro di loro.
D’altronde il cav. Alfredo adduce testimoni con i quali stabilisce che il Padre, prima di morire, ha aperto la cassaforte che conteneva le sole gioie della defunta signora Patamia e in presenza dei testi le ha regalate al figliolo come ricordi preziosi della mamma.
Numerose testimonianze assodano che il senatore, che nei rapporti con i figli aveva antiche ed austere usanze, ad Alfredo non fece mai confidenze sul suo stato patrimoniale e aveva fatto deposito fiduciario di molti titoli presso persona amica il cui nome si portò nel segreto della tomba con la caparbietà che spesso mostrano certi vecchi, illudendosi delle sue forze e non presagendo prossima la sua fine.

L’ammontare di questa eredità, decantata da voci popolari, appare esagerata, e la diligente indagine istruttoria, pur mostrando cifre più realistiche, accerta quanto segue:
-      il senatore, ostinato e litigioso, in una sola causa contro la Banca Commerciale ha sborsato un milione e duecentomila lire fra capitale, danni e spese,
-      il senatore prestato delle garanzie per un precedente fidanzato della cameriera Nucci, sopportandone naturalmente le spese,
-      al Pisco ha fatto elargizione di parecchie decine di migliaia di lire per crearsi un’agenzia d’emigrazione,
-      il senatore ha iniziato varie speculazioni finanziarie, tutte mal consigliate e peggio finite,
-      l’amministrazione di così ingente patrimonio è nelle mani della Nucci che ne dava l’incarico al Pisco che, a sua volta, mai ha voluto consegnare i libri dei conti.

Come visto il cav. Alfredo riferisce che le gioie lasciate dalla madre le ha avuto regalate dal padre ma i due domestici, con accuse che vanno a colpire oltre la persona dell’erede, affermano che le portò via in una valigetta che consegnò alla sua amante, la canzonettista Di Landa, la quale ben sapeva che le stesse erano state indebitamente asportate dalla cassaforte.
Il Pisco assicura d’aver assistito all’asportazione ma molti testimoni contraddicono le asserzioni del domestico; comunque l’autorità giudiziaria fa fare una diligente perquisizione nella casa di Torino che la signorina Buscaglione, in arte Annita Di Landa, possiede [9]. 

La perquisizione dà risultati negativi ed interrogata la graziosa divetta non solo nega sdegnata la partecipazione al preteso furto ma si prodiga a dimostrare che possiede splendidi gioielli per oltre un centinaio di mila lire, possiede automobili e possiede una elegante villetta. E tutto questo ben di Dio seppe procurarselo in tempi anteriori alla conoscenza del cav. Patamia e che da lui ebbe solo il dono di un altro villino che non è neppure ancora finito e che non può essere compendio di refurtiva.
Essendo la signorina Buscagliene biellese si delega da Napoli l’autorità competente per assumere informazioni ed attivare indagini sul suo conto che però risultano infruttuose allo scopo dell’accusa. La Camera di Consiglio esclude, al riguardo, ogni responsabilità della Di Landa che è difesa dagli avvocati Clarotti e Sola di Torino.
I sospetti delle due sorelle querelanti e le accuse dei due domestici hanno indirizzato delle indagini anche sul conto dell’avvocato Pasquale Finizia e del procuratore Alessio Vaccariello, entrambi del foro napoletano, che prestarono zelante assistenza al cav. Patamia.
Ma mentre l’avv. Finizia chiedeva al Consiglio dell’Ordine una inchiesta sul suo operato di patrono, della cui onorabilità si faceva paladino l’on. Colosimo, per il procuratore Vaccariello si rendeva garante, con nobilissima lettera inviata alla stampa, un principe del foro napoletano, ovvero l’avv. Arnaldo Lucci, professore di diritto civile alla università di Napoli e del cui studio era sostituto il giovane avvocato.
Egli scrive affermando che il suo collaboratore ha sempre agito quale suo coadiuvante e, protestando contro le menzogne e le calunnie raccolte, invoca la luce più ampia sulle posizioni giuridiche e su quelle morali per mascherare i volgari calunniatori e quelli che più vili si appaltano dietro costoro.  Tra l’altro afferma che è assurdo chiamare responsabili degli atti di propri clienti i patroni di una causa.
Dopo queste nobili proteste l’istruttoria procede cauta ed imparziale ma il cav. Patamia deve forzatamente cambiare difensori che ora sono l’avvocato Clarotti di Torino e l’avvocato De Nicola di Napoli.

Ora la causa è giunta alla sua fine, l’ordinanza della Camera di Consiglio è imminente ed è attesa con vivo interesse.