sabato 8 settembre 2018

Miracolo a Pozzuoli



                      Miracolo a Pozzuoli
San Severo guarisce un nobile colpito da una freccia

Cosa c’entra San Severo con Pozzuoli? E poi a quale Severo ci si riferisce tra i dodici che la Chiesa venera quali Santi?
Non ci sono dubbi, il San Severo in questione è quello di Napoli!
Il celebre Calendario Marmoreo, scolpito nel IX secolo e conservato negli ambienti conglobati nel Duomo di Napoli, ne riporta la festa al 29 aprile; data con cui è passato nel ‘Martirologio Romano’.

Severo è il dodicesimo nel catalogo dei vescovi napoletani (dal febbraio dell’anno 363 al 29 aprile del 409) e della sua vita antecedente al ministero episcopale non sappiamo quasi nulla [1].

La sua opera si svolge pochi decenni dopo la libertà di culto decretata da Costantino ma comunque in un periodo di ritorni al paganesimo e di eresie ariane. Questo vescovo riporta in città le spoglie del suo predecessore san Massimo morto in esilio, in Oriente, proprio durante la persecuzione ariana.
A Severo, amico di sant'Ambrogio (340-397) vescovo di Milano conosciuto durante il Concilio plenario campano del 392 a Capua, è attribuita la costruzione del celebre Battistero di Napoli; il più antico dell'Occidente.
Svariati antichi documenti confermano che a Napoli si conquista stima ed affetto non solo dei cristiani, ma anche dei pagani.

Una “Vita” leggendaria di Severo, scritta nell'XI secolo da un anonimo, riporta un suo miracolo operato in vita; non potendo aiutare in altro modo una vedova con piccoli figli, minacciata di schiavitù da un uomo che pretende di essere pagato per un debito del defunto marito, Severo conduce l'uomo al sepolcro del defunto, insieme al clero e molto popolo. Richiama in vita il defunto e da lui fa sbugiardare il fasullo creditore.
È questo un tipo di miracolo che si trova anche nei racconti delle ‘Vite’ di altri celebri santi antichi, quindi è molto probabile che sia una leggenda aggiunta dall’agiografo di questo “puro” che è anche patrono della città e diocesi di San Severo, in provincia di Foggia.

Interessante per noi la notizia di un secondo miracolo riportato negli “Acta Sanctorum”, un opuscolo coevo di quello della “Vita”, probabilmente dello stesso autore.
E’ scritto anche questo nel 1048 su commissione di un esponente di una nobile famiglia nota come “Capuana”, forse perché originaria di Capua, semplicemente per offrire un ex voto al Santo dopo averne ottenuto la guarigione.
Il nobile, che nell’anno 1046 milita nell’esercito del duca di Napoli Giovanni, è ferito da una freccia durante l’assedio di Pozzuoli pertanto implora ed ottiene la guarigione da San Severo.
Nell’alto medioevo Pozzuoli, dopo le invasioni barbariche e le guerre tra goti e bizantini, rientra nei domini del Ducato di Napoli che ha acquistato una forte autonomia da Bisanzio; come le coeve repubbliche marinare [2].

Nel 1027 Pandolfo IV, Principe longobardo di Capua, assedia e conquista Napoli e Pozzuoli, estendendo il suo dominio fino al fiume Liri.
Le due città sono trattate con saccheggi e violenze e Pozzuoli, una volta occupata, è concessa in vassallaggio ad Atenolfo, nipote dello stesso principe Pandolfo IV [3].

Sappiamo che ben presto, nel 1030, Napoli riacquista la sua indipendenza ma poco conosciamo di cosa succede in questo periodo a Pozzuoli che, secondo alcuni storici, continua ad essere occupata dai longobardi di Capua ancora per qualche decennio.
L’opuscolo narra che nel 1046, al tempo in cui il re dei Germani Enrico III “il Nero”, figlio di Corrado II “il Salico” [4],

giunge a Roma per ricevere la corona imperiale dal Papa, Giovanni V, Duca di Napoli e guida dell’esercito campano, si apposta con le sue truppe presso Pozzuoli e lì, fissate le tende, tenta di espugnare la rocca dell’antica Puteoli con numerose e possenti macchine da guerra, grazie alle quali poi prevale.
Negli ultimi giorni dell’assedio il citato nobile Capuano è valorosamente presente davanti le schiere dei combattenti assedianti quando all’improvviso è colpito da una freccia scagliata dagli spalti della rocca puteolana [5].

E’ ferito gravemente e i compagni lo trasportano via, lo depongono nella tenda e cominciano con insistenza a cercare di estrarre la freccia. Nonostante si affatichino in molti modi strappano via il legno, a cui la punta è attaccata, ma lasciano dentro la punta di ferro. Questa è entrata attraverso l’estremità della palpebra che protegge gli angoli dell’occhio, trafiggendo così profondamente la zona delle tempie e del capo che non resta nessuna possibilità di escogitare un modo per poterla estrarre.
In seguito, presa la decisione, è condotto a Napoli con un carro e lì vani sono i tentativi di estrarla sia da parte degli altri soldati, sia da parte dei medici napoletani. Nonostante le molte medicine, niente riesce a guarirlo e la parte conficcata della freccia non viene fuori in nessun modo.
Il poverino non sa cosa fare e a chi rivolgersi; i tentativi dei medici lo illudono, i tormenti della morte lo spaventano e infine, su ispirazione divina e abbandonati tutti gli sforzi umani, comincia a chiedere l’aiuto dei santi che vede dipinti nel percorrere il sepolcro dei vescovi in cui è condotto.
Ma non Agnello, non il famoso Severino, lo curano dalla ferita mortale; non Gaudioso, non Proculo, non il buon Sossio portano a lui un qualche aiuto. Non Martino, amante di Cristo, non Benedetto cura il poverino, ma solo la pietà di Dio riesce a mezzo del suo servo, il beatissimo Severo, anche lui lì sepolto.
All’improvviso la freccia cade davanti ai piedi di colui che sta pronunciando preghiere devote; i presenti allora, piangendo, magnificano il Signore ad alta voce.
I due miracoli riportati nel “Libellus”, che riunisce i due manoscritti, non hanno molta fortuna; infatti non sono riportati nei manuali liturgici e non si hanno riscontri nemmeno in campo artistico, cosa che avrebbe potuto propagandare ai posteri l’avvenimento.
E questo nonostante il racconto del miracolo della freccia di Pozzuoli cominci con la chiara delimitazione cronologica, il riferimento della venuta dell’imperatore Enrico III [6]

a Roma, al fine di dare maggiore attendibilità allo scritto e al contesto storico in cui si svolge.

Il citato assedio di Pozzuoli del 1046, che sembrerebbe storicamente accertato, non chiarisce i dubbi sulle vicende e sulla durata del dominio longobardo subito dalla nostra città.
Raimondo Annecchino, nella sia Storia di Pozzuoli, scrive che l’agiografo di San Severo, pago di dare la notizia del miracolo, non ci informa dell’esito dell’assedio. Probabilmente l‘Annecchino ha consultato l’iniziale “Acta Sanctorum” e non l’intero “Libellus” che invece riporta il successo dell’assediante Duca di Napoli facilitato dal massiccio uso di potenti macchine da assedio.
Il nostro storico esprime la considerazione che poiché poco dopo Pozzuoli, come nota pure lo Schipa, appare di nuovo nei domini del ducato napoletano proprio quell’assedio doveva essere stato l’occasione del riacquisto di Pozzuoli ai domini del duca di Napoli [7].

Però lo stesso Annecchino continua riportando l’opinione degli autori dello scritto “Dissertazione corografico-istorica delle distrutte citta di Miseno e Cuma” i quali riferiscono che nel 1046 il duca Giovanni V non riesce a riconquistare Pozzuoli poiché in alcuni documenti, consultati nel settecento, ancora si legge il nome del longobardo Atenolfo quale conte di Pozzuoli.

Angelo D’Ambrosio nella sua “Storia di Pozzuoli in pillole”, scritta nel 1959 [8], 

dice che nel 1033 l'Imperatore Corrado II toglie Pozzuoli a Pandolfo IV° Principe di Capua donando la città, prima a Guaimaro IV° Principe di Salerno, e poi a Rainolfo, il normanno Conte di Aversa; e questa ci sembra una importante novità.
Continua affermando che nel 1046 Giovanni V Duca di Napoli, tenta di conquistare Pozzuoli occupata dal Principe di Capua e che nel 1126 Pozzuoli fa ancora parte del Principato di Capua. Termina col dire che nel 1128, nel patto di tregua decennale concluso tra il Duca Napoletano Sergio VII e la città di Gaeta, Pozzuoli figura nuovamente tra i possedimenti del Ducato di Napoli.

Lo stesso Angelo D’ambrosio nella sua “Storia della mia Terra”, scritta nel 1976, specifica che Pozzuoli è sotto dominio di Capua per oltre un secolo. Prima dei principi longobardi dal 1027 al 1058 e poi, dal 1058 al 1128, dei principi normanni che nel frattempo hanno occupato Capua. Quindi sotto dominio normanno non per essere stata donata a Rainolfo dall’imperatore Corrado II ma perché questi uomini venuti dal nord sono ora i nuovi padroni del principato di Capua.

Nella citata “Dissertazione corografico-istorica delle distrutte citta di Miseno e Cuma” leggiamo poi di un diploma del 1044 in cui è nominato conte di Cuma un tal Marino, figlio del duca di Napoli.
Ora se Pozzuoli è occupata dai longobardi di Capua non è possibile che la vicina Cuma sia ancora compresa nei territori soggetti al ducato napoletano e non è possibile che il duca di Napoli nomini il figlio conte di un feudo che non possiede.
Pozzuoli, una volta distrutta la Città di Cuma, è il luogo più forte e munito dell’intero ducato e le sincerissime “Cronache Cavense” riferiscono anche di un incontro del 1048 in cui i napoletani riacquistano dal longobardo Atenolfo la Città di Pozzuoli [9].

Il duca Sergio IV, scappato da Napoli nel 1027 e rifugiato a Gaeta, per rientrare nella sua città raccoglie truppe eterogenee e grazie anche ad accordi con il principe longobardo di Salerno, con i bizantini e con bande di mercenari normanni precedentemente assoldate dal principe capuano Pandolfo IV, nel 1029 passa al contrattacco. Nei primi mesi del 1030 riesce a rientrare a Napoli liberandola dai longobardi di Capua.

Ma è mai possibile che, dopo che il Duca Sergio abbia ritolto Napoli ai capuani, i longobardi possano possedere ancora Pozzuoli e tutta la Liburia Ducale con Territori che arrivano fin quasi sotto le mura della capitale [10]?

Ed è mai possibile che un nobile capuano, giustamente definito longobardo da Raimondo Annecchino, possa combattere con i napoletani contro i longobardi e partecipare all’assedio di Pozzuoli occupata dal suo stesso popolo?
Allora, trascorsi ben sedici anni dalla liberazione di Napoli, chi occupa o comunque combatte sugli spalti della Pozzuoli del 1046?
A questo punto potrebbe aprirsi uno scenario completamente nuovo; se non sono longobardi e se non sono normanni potrebbe essere stata una rivolta locale tendente ad acquisire una agognata libertà amministrativa!


Giuseppe Peluso