lunedì 27 aprile 2015

Assunta Spina



Francesca Bertini e Assunta Spina
Si gira nella Pozzuoli del 1915

Primavera del 1915, nel mentre forte soffiano venti di guerra contro l’Austria Ungheria, Francesca Bertini, la prima diva del cinema italiano, gira per Pozzuoli esaltandosi nell’interpretazione della popolana Assunta Spina.
Migliaia i siti e le pubblicazioni che ne lodano il film, tratto da un romanzo di Salvatore Di Giacomo, ma nessun accenno a che buona parte della decantata e straordinaria potenza realistica dei luoghi sia fornita dalla cittadina flegrea.
Mio Nonno raccontava a mio Padre, nato nel 1918, d’aver assistito a Pozzuoli alle riprese del film “Assunta Spina”, conosciuto anche con il titolo di “Sangue Napolitano”.

Il più celebre lungometraggio del muto italiano ha la regia di Gustavo Serena e della stessa Bertini, produzione della “Caesar Film”, poi “Titanus”.
Bella la  fotografia con particolare attenzione per l'illuminazione; esso è un documento notevole sulla vita a Pozzuoli, oltre che a Napoli, prima della Grande Guerra.
Il film è interpretato dalla più brillante attrice di questa epopea, Francesca Bertini, figlia adottiva del napoletano Arturo Vitiello e dell'attrice di prosa fiorentina Adelaide Frataglioni. L’artista inizia giovanissima a calcare il palcoscenico interpretando commedie napoletane e successivamente un gran numero di film muti recitando parti secondarie.
Il successo più clamoroso arriva con questo film dove indossa i panni della protagonista e interviene con frequenza nella messa in scena della pellicola. La Bertini è così esaltata dal fatto di interpretare la parte di Assunta Spina, che diventa un vulcano di idee, di iniziative, di suggerimenti. In perfetto dialetto napoletano, organizza, comanda, sposta le comparse, il punto di vista, l'angolazione della macchina da presa. Se non è convinta di una certa scena, pretende di rifarla secondo le sue vedute. L’attrice ricorderà che non era facile recitare in mezzo alle strade di Napoli. Era la prima volta: “Ci hanno buttato addosso persino dei pomodori, e siamo dovuti scappare”.


Proprio in Assunta Spina Francesca Bertini mette in scena tutto il suo enorme potenziale espressivo, consacrandosi definitivamente come la diva del cinema italiano e non solo.
Nella trama del film Assunta Spina vive con il Padre in una imprecisata località della baia di Napoli ed è fidanzata con un macellaio di nome Michele Boccadifuoco. La prima tra le scene ambientate a Pozzuoli riprende la protagonista che, avvisata dal genitore del prossimo arrivo del fidanzato, esce da casa; praticamente una porta di servizio del famoso ristorante “Sirena” appartenente alla Famiglia Mavilio. Nessun dubbio sia sul luogo, la porticina immette in via Torre attuale via Roma, sia sul locale il cui nome è  riportato nella nota insegna pubblicitaria che si vede solo parzialmente.



La seconda scena ci porta alla stazione puteolana della ferrovia cumana dove Assunta ed il Padre attendono l’arrivo di Michele proveniente da Napoli. Il convoglio, trainato da una locomotiva a tre assi di cui due accoppiati, immatricolata F.N. N.4 (sigla di “Società per le Ferrovie Napoletane”), sta giungendo sul secondo binario che fino agli anni ‘60 rasentava il muraglione di contenimento della sovrastante via Pergolesi. Naturalmente nella realtà, allora come oggi, questo binario è quello destinato alle partenze verso Napoli e non agli arrivi dal capoluogo che invece avvengono sul primo binario. Le vecchie carrozze a terrazzini, ancora quelle della prima dotazione ottocentesca, sono affollate di viaggiatori e si nota numeroso personale viaggiante.







La terza scena riprende i due amanti, tra i quali si aggira lo spasimante corteggiatore Raffaele, affacciati al belvedere della discesa di Coroglio da cui si gode una splendida veduta su Nisida e sul più vicino isolotto del Chiuppino. Entrambi ancora non collegati alla terraferma ed ancora compresi nel Comune e nel Circondario di Pozzuoli. 






Nella quarta scena vediamo i protagonisti nella villa comunale puteolana, in località “Malva”, sempre seguiti dal pretendente Raffaele. Sullo sfondo la banchina, barche di pescatori e tra gli alberi si intravede il pontile e la grande gru dell’Armstrong. Puteolani ignari passeggiano lungo l’attuale via Roma ed anche in questo il film è da considerare un precursore del realismo mostrando gente comune nella loro vita quotidiana.




Con la quinta scena siamo di nuovo alla stazione della cumana dove Assunta ed il Padre riaccompagnano Michele che ritorna a Napoli; sempre sullo stesso binario e questa volta quindi nella giusta direzione. Come nella precedente scena sullo sfondo si intravede via Follieri, la proprietà Manganella e l’edificio termale dove sarà realizzato il Cinema Lopez.


Sulla sesta scena, dove Assunta si accomiata dal Padre ed è poi avvicinata dal sempre più impertinente Raffaele, potrebbero esserci dei dubbi di precisa individuazione dei luoghi, ma sicuramente siamo in terra flegrea.




La settima scena è stata la più grande sorpresa. Siamo al centro di Pozzuoli nel borgo allagato e non ancora innalzato e sanato. Emozionante vedere la diva Francesca Bertini percorrere i nostri vicoli impegnando con naturale sicurezza, come tutte le nostre donne, le tavole che permettono di attraversare il vecchio borgo per raggiungere alloggi, botteghe e malazè. Sullo sfondo tanti puteolani e molti bambini che divertiti attraversano e riattraversano la scenografia.





L’ottava scena vede ancora Assunta respingere con decisione Raffaele  che la segue lungo la banchina puteolana. Una barca rema in parallelo vicino la ripa facendo il loro stesso percorso. Sulla destra il Monte Barbaro, l’alto capannone dell’Armstrong per la tempera delle bocche da fuoco, il pontile e la gru del cantiere, il Monte Nuovo, varie bilancelle da carico o da pesca, naviglio di maggior tonnellaggio in prossimità del molo caligoliano. Il modo naturale di agire e il fatto che molte scene sono girate all'esterno in ambienti naturali conferisce una grande autenticità all'opera.






Dopo che Raffaele per vendetta invia una lettera anonima a Michele questo si precipita nuovamente a Pozzuoli a casa della fidanzata e poi riappacificati escono per una romantica passeggiata in barca. Qui la nona scena puteolana  che li vede abbracciati su di una piccola barca a remi che partita probabilmente dal “valione” raggiunge il largo fra la lanterna e grossi bastimenti ancorati alla fonda.




Michele decide di portare Assunta a Napoli trovandole un lavoro in una stireria vicino alla sua macelleria riprendendo, quindi, felici il loro menage e le romantiche passeggiate. Così ci ritroviamo nella decima scena puteolana in cui i due protagonisti sono sulla spiaggia di Coroglio con sullo sfondo Nisida ed in lontananza si distinguono Capo Miseno e l’altura di Monte di Procida.


Poi…..poi… consiglio di vedere questo film ritrovato in Brasile e restaurato; seguire il dramma, la passione e la bravura dell’attrice.
Ho annotato altre scene, sia esterne che interne, girate probabilmente sempre in questa magnifica “location” che è Pozzuoli, ma lascio agli amici il piacere di poterle verificare.



Giuseppe Peluso

martedì 14 aprile 2015

La collina di Sain Laise a Bagnoli



La collina di Sain Laise a Bagnoli
Dai gesuiti agli americani

Saint Laise, per altri Santa Lucia (o San Lavise come ricordano i coloni), nel seicento altro non è che una campagna di proprietà dei gesuiti sulla collina dei “Bagnuoli”. Le sue radici risalgono a quando tutta l'area flegrea è coltivata a perdita d'occhio ed il nome è dovuto ad una vecchia chiesetta di campagna, dedicata a San Luigi, dove il parroco serve messa per le famiglie del borgo. Il poggio è attraversato da due antiche cupe campestre che collegano Bagnoli con la strada San Gennaro con la quale è possibile raggiungere l’omonimo Santuario, la Solfatara e la stessa Pozzuoli [1].
In seguito la collina diventa un feudo appartenente a Maria Salluzzo, contessa di Corigliano, che lo concede a vari fittavoli che vi insediano le loro fattorie. La masseria di San Laise, nella cui corte si trova la piccola chiesetta rupestre, da il nome a tutta la località; ma la più famosa è la “Masseria della Starza” nel cui cortile a giugno, in onore del santo, si svolge una grande festa durante la quale, tra gli scoppi dei petardi, si assiste al "Volo dell'Angelo".
Intanto nel ventennio fascista Fuorigrotta, nonostante fosse stata inclusa nei piani di ampliamento fin dal 1885, resta ancora un villaggio e solo nel 1937 vengono attuati grandiosi progetti con il nuovo piano di risanamento. Questo ha carattere monumentale e prevede l’ampliamento del tunnel di Piedigrotta; un largo viale (che sarà quello di Augusto), con ampio spartitraffico alberato, che termina alla nuova stazione cumana di Campi Flegrei e poi la Mostra d’Oltremare dove l’autocelebrazione del regime si esprime, oltre che negli edifici, anche attraverso le decorazioni, i bassorilievi i gruppi scultorei e gli affreschi.
L’ideale asse scenografico prosegue con lo zoo ed il cinodromo; un complesso espositivo, mai realizzato, dedicato al “Lavoro degli Italiani nel Mondo”; per finire a Bagnoli, ai confini con Pozzuoli, dove si realizza un grandioso collegio destinato ad ospitare gli orfani di guerra e la gioventù disagiata [2].
Il collegio deve sorgere là dove decine e decine di ettari sono coltivati e danno lavoro e ospitalità a numerosi nuclei familiari. La contessa vende tutto a una società immobiliare con sede a Milano e di conseguenza i contadini di San Laise, che occupano questo suolo, sono sfrattati dalle terre nelle quali vivono e lavorano da generazioni. In questa circostanza sono demolite varie masserie tra cui quella "a ferro di cavallo" che ancora oggi, tra i ruderi del vecchio cortile, ospita un torchio a pressione di notevoli dimensioni.
La bonifica urbana avviata a Napoli dal fascismo prevede la necessità di eliminare le condizioni di insalubrità e l'intera e complessa gamma delle problematiche giovanili, dalla tutela dei neonati abbandonati alla mobilitazione contro l'analfabetismo all'educazione per il corretto sviluppo fisico. Si mette mano alle riforme e si cerca di affrontare la triste piaga dell'infanzia abbandonata.
L'iniziativa è assunta dalla “Fondazione Banco di Napoli” che decide di costruire un'opera di beneficenza in occasione del quattrocentesimo anniversario della sua fondazione; nasce così l'Istituto per i Figli del Popolo. Il progetto rappresenta un'assoluta novità nel campo dell'architettura sociale in quanto risponde efficacemente all'esigenza di garantire educazione intellettuale e politica, addestramento manuale e ginnico.
La cosiddetta "Città degli scugnizzi", in effetti, è una vera e propria cittadella della gioventù composta da diciotto grandi fabbricati, con le sue scuole maschile e femminile, i dormitori, le infermerie, le officine, le strutture logistiche e sportive, la chiesa e il teatro.
Il grande piazzale centrale, dove si affacciano i dormitori, è chiuso a nord dall’edificio della scuola maschile, simmetrico rispetto all’ingresso principale con la grande scalinata monumentale. Il progetto, redatto da Francesco Silvestri, è articolato in una serie di terrazze rivolte a sud che richiedono consistenti movimenti di terra ed include anche vigneti e frutteti, parto naturale di un terreno fertile e produttivo incastonato in un contesto ambientale d'incomparabile bellezza. L'area prescelta si estende per circa 322 mila metri quadri ed è compresa tra il quartiere di Bagnoli, le pendici delle colline puteolane e i confini della Triennale d'Oltremare. Il complesso è destinato ad ospitare circa 2500 ragazzi di entrambi i sessi. I lavori durano poco più di un anno e si concludono nell’aprile del 1940 in coincidenza con l'ultimazione della Mostra D’Oltremare.
Durante la costruzione della sede, nel giugno del 1939, muore Costanzo Ciano; allora il Consiglio Generale del Banco di Napoli decide di dedicare alla sua memoria l'Istituto che così muta la denominazione originaria in "Collegio Costanzo Ciano della Gioventù Italiana del Littorio". Il 9 maggio 1940 Vittorio Emanuele III inaugura ufficialmente il Collegio, la Mostra Triennale, l'Istituto dei Motori del nascente C.N.R. dopo di che conclude la memorabile giornata con l'inaugurazione della casa madre del Banco di Napoli, in via Toledo, progettata da Marcello Piacentini e la posa della prima pietra della sede napoletana della Banca d'Italia [3].
Al Collegio Ciano i bambini sono ospitati giusto il tempo dell’inaugurazione, la guerra incombe e cambia un'altra volta il destino di San Laise. La struttura è convertita ad uso militare ed è gestita dal Ministero della Guerra italiano che la concede ad una organizzazione giovanile fascista fino al 1942. Poi è data in concessione agli alleati tedeschi che la utilizzano per alloggiare i loro militari in attesa d’imbarco per l’Africa Settentrionale. Nel contempo i tedeschi vi impiantano anche una scuola per sottufficiali per le truppe in servizio nell’area mediterranea.
Nelle settimane immediatamente posteriori all’armistizio i tedeschi utilizzano questo collegio per concentrarvi i napoletani oggetto delle retate forzate ed in procinto d’essere trasferiti al nord. Pietro Scotto Di Vetta di Bacoli, intervistato dall’amico Elio Guardascione, così racconta nelle sue memorie:
“Salimmo sul treno [cumana], ma quando arrivammo a Bagnoli, il treno fu fermato da molti tedeschi che avevano i fucili pronti per sparare. Fecero scendere tutti gli uomini e pure me. Mia madre, piangendo, diceva che io non avevo ancora 18 anni e perciò non potevano prendermi; mostrò loro anche la mia tessera dove si vedeva che avevo 17 anni. Ma i tedeschi la minacciarono con i fucili, gridando “Raus, Raus” [fuori, fuori] e poi spingendomi con la canna del fucile, mi portarono vicino a un camion dove c'erano altri uomini e mi fecero salire. Mia madre arrivò piangendo fino al camion e urlava che ero piccolo, ma i tedeschi non rispondevano. Allora un uomo che stava sul camion cercò di calmarla e le promise che mi avrebbe aiutato lui. Il camion partì e ci portò fino al Collegio “Costanzo Ciano” di Bagnoli, qui ci fecero scendere e ci portarono in un tunnel sotterraneo dove c'erano prigionieri stranieri. Mi pare che fossero neozelandesi.”
Con l’occupazione alleata nell’ottobre 1943 prendono alloggio le truppe anglo americane tra cui, da metà febbraio 1944, il 765° Squadrone dell’aviazione statunitense. Dai diari dei reduci risulta che dormono sui pavimenti in marmo, con solo una coperta che li protegge dal freddo pungente che entra nei saloni attraverso i vetri rotti. Pessimo cibo e pessime condizioni igieniche.
Al termine della guerra, dall’estate 1945, il complesso diventa un incrocio di destini perchè trasformato in un campo transito profughi gestito dalla Organizzazione Internazionale per i Rifugiati (l'International Refugee Organization). Vi arrivano tra le 8.000 e le 10.000 persone; sopravvissuti dei lager, esuli politici, italiani in fuga dall'Istria, perfino cosacchi che hanno combattuto in Italia con le divise tedesche. Le razioni sono scarse, le camerate sovraffollate, le risse all'ordine del giorno; ci sono lamentele per le malattie e i bambini muoiono troppo facilmente. Molti profughi provengono dall'Est Europa e restano in attesa di collocazione per l'immigrazione in vari Paesi tra cui Argentina, Australia, Canada e Stati Uniti [4].
Il campo profughi diventa complice di una terribile atrocità consapevolmente commessa dagli Alleati dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Si tratta della tristemente famosa Operazione Keelhaul, che in lingua inglese significa “giro di chiglia” (forma di punizione corporale in uso nella marina a vela), con cui le forze armate inglesi e statunitensi sono costrette a consegnare all’Unione Sovietica di Stalin ed alla Jugoslavia di Tito tutti i cittadini delle rispettive nazioni che per qualsiasi motivo si trovassero nelle zone da loro controllate.
Tra i rifugiati in occidente, quindi anche di Bagnoli, ci sono collaboratori dei nazisti, civili anticomunisti, circa 70.000 cosacchi, cetnici oppositori sia dei tedeschi che dei titini in quanto fedeli a re Pietro II di Jugloslavia, ed ustascia provenienti dalla Croazia.
Molti dei rifugiati, appena restituiti al controllo delle forze sovietiche o jugoslave, sono giustiziati sommariamente, talvolta sotto gli occhi delle truppe inglesi che in Austria li hanno appena riconsegnati; i più fortunati finiscono detenuti nei gulag siberiani.
L'operazione Keelhaul dura fino all'autunno 1946 quando avviene l'ultimo rimpatrio forzato da Bagnoli e da altri campi profughi italiani (Aversa, Pisa e Riccione) di circa un migliaio di sfollati, classificati correttamente o per errore come cittadini ex-sovietici.
A Bagnoli ci sono anche ebrei usciti miracolosamente indenni dalla tragedia e tra questi lo scrittore Aharon Appelfeld [5], allora quattordicenne, che ha perso genitori e nonni nel lager.
Qui, insieme a tanti altri ragazzi, è aiutato da anziani ebrei che piano piano lo fanno sillabare nella nuova lingua, abbandonando a poco alla volta le parole dell'infanzia, il tedesco impastato di yiddish che era in uso a Czernowitz, la città natale una volta appartenuta all'impero austro-ungarico e poi via via diventata rumena, russa, ucraina.
Appelfeld scrive: “Nel ghetto di Czernowitz i miei nonni parlavano yiddish. Le cameriere a casa mia erano ucraine, così parlavo ucraino. All'inizio il regime era rumeno, così appresi un po' di rumeno. Poi diventammo Russia e io imparai un po' di russo. Quando mi accolse l'Italia appresi anche un po' di italiano. Crebbi così con un grappolo di parole e lingue straniere che non fecero che disorientarmi profondamente. Alla fine verrà l'ebraico pronunciato per la prima volta a Napoli, nutrito della lettura della Bibbia, e sarà la lingua della mia vita e dei mie libri”.

Agli inizi degli anni '50, dopo il completo sgombro dei rifugiati, per dare assistenza ai ragazzi abbandonati, nel frattempo divenuta ancora più pressante per gli effetti della seconda guerra mondiale, il Banco di Napoli tenta di affidarne la gestione all'Opera Nazionale Maternità e Infanzia. Ma la Fondazione Banco di Napoli, ente distinto e politicizzato, ne reclama il possesso e nel 1952 l'area è da questa ceduta al Comando delle Forze Alleate del Sud Europa (AFSOUTH - Allied Forces Southern Europe) [6].
L’Alleanza versa un canone annuo alla Fondazione Banco Napoli che a sua volta ne utilizza una parte per attività a favore dell’infanzia abbandonata, da svolgere in altre sedi e con l’aiuto di altri istituti.
La struttura è in pessime condizioni e sono necessari due anni di lavoro per renderla nuovamente agibile. I costi delle operazioni sono coperti per un terzo dagli americani e per i restanti due terzi dal governo italiano. La nuova sede è formalmente inaugurata dall’ammiraglio William Fechteler il 4 aprile 1954, giorno del 5º anniversario del Trattato del Nord Atlantico (NATO). Il ruolo di comandante è sempre appannaggio di un ammiraglio della U.S. Navy e da lui dipendono sei comandi subordinati sparsi tra Italia, Grecia e Turchia. Nel corso della guerra fredda il comando di Bagnoli dirige delicati incarichi e negli ultimi anni altre missioni tra le quali quelle in Bosnia, nel Kosovo ed in Libia. Dal 2004 il quartier generale, a seguito di riorganizzazione dei comandi NATO, diventa Comando della Forza Congiunta Alleata a Napoli (Joint Force Command Naples) [7]. E questo fino al 3 dicembre del 2012 data del definitivo trasferimento presso le nuove strutture costruite in località Lago Patria.
La Fondazione Banco di Napoli detiene tutt’ora il possesso del suolo militare oltre che di dodici ettari incolti nella parte alta della collina. Le strutture della ex base Nato fanno gola alla Regione Campania, che ha chiesto formalmente alla Fondazione di trasferirci i suoi uffici sparsi in vari luoghi della città.
Nell’aprile del 2014 i gruppi scout AGESCI di Napoli e Pozzuoli hanno festeggiato il loro San Giorgio di Zona ospiti della Fondazione Banco di Napoli per l’Assistenza all’Infanzia. Un campo Scout “cittadino” all’interno del Complesso Bagnoli San Laise per riaffermare l’importanza di vivere la propria città e prospettare un futuro all’ex Collegio Costanzo Ciano [8].

Nella parte bassa, che cresce alle spalle della metropolitana, ci sono invece gli otto ettari in possesso della I.G.C. (Ingegneria e Costruzioni spa) in cui vivono circa dieci famiglie che ancora coltivano la terra. La società sta lentamente sfrattando i figli dei vecchi fittavoli e affittuari. I progetti sono ignoti ma prevedibili, si prospetta l’ennesima speculazione edilizia.
 
Giuseppe Peluso

BIBLIOGRAFIA

Sergio Carrea – Il miracolo possibile di Saint Laise - 2013

Comune di Napoli – Variante alla zona occidentale – 1972

Aharon Appelfeld – Memorie dal buoi – 2002

Elio Guardascione - Testimonianza di Scotto di Vetta Pietro - 2012

Napoli Monitor – Una collina da salvare nel cuore di Bagnoli - 2012