sabato 1 agosto 2015

Don Aldo Moretti e Francesco De Gregori



Il perché di un nome
Mio Padre, don Aldo Moretti e Francesco De Gregori

Fra qualche giorno a Bacoli si esibisce il noto cantautore Francesco De Gregori; scavando tra i ricordi di mio Padre, e della sua amicizia con don Aldo Moretti, riscopriamo il perché Francesco ebbe questo nome.

Aldo Moretti nasce a Tarcento (Diocesi di Udine) il 20 novembre dell’anno 1909; ed è il più giovane di ben 12 fratelli di una grande Famiglia patriarcale “i Mios”.
Nel 1931 si laurea in filosofia e nel 1932 prende l'ordinazione sacerdotale e la laurea in teologia presso l'Università Gregoriana di Roma. Per lunghi anni è docente di ebraico e di sacre scritture al Seminario arcivescovile di Udine [1].

La Seconda guerra mondiale lo vede cappellano militare in Africa, con il grado di Tenente, presso il 40° Reggimento della 25° Divisione Fanteria “Bologna”.
Bella è la sua amicizia con mio Padre, Caporal Maggiore Carmine Peluso; entrambi appartengono alla Compagnia Comando del quarantesimo fanteria. Don Aldo appare di già in una foto scattata a Tarhuna nel Novembre del 1939, pochi mesi dopo l’arrivo della “Bologna” in Libia. Lo si vede officiare una Messa alla presenza di tutto il reggimento schierato ed ancora più dietro si notano le tende dell’accampamento [2].

Lo rivediamo in una foto di gruppo scattata nel Luglio 1940, ad el Azizia (lui è sulla scala in basso e mio Padre sulla scala in alto) [3], 

e poi in altra del 20 settembre 1940, sempre insieme, al comando di compagnia [4]. 

Comunque, essendo don Aldo l’assistente spirituale del reggimento, è naturale vederlo in numerose foto scattate in occasione di Celebrazioni Religiose officiate alla presenza di tutta la truppa schierata nei cortili e nelle varie Piazze d’Armi frequentate [5].

In un’altra foto, sempre scattata da mio Padre, lo vediamo ad Homs nel febbraio del 1941, dopo la disfatta di Graziani [6-7].
  

Con l’arrivo di Rommel segue il reggimento nella sua avanzata verso la Cirenaica, e partecipare al massiccio assedio di Tobruch.
Nel corso dell’accerchiamento della città occupata dai britannici, la Divisione “Bologna” è spezzettata in tanti piccoli capisaldi sparpagliati sul duro e desertico terreno Marmarico.
Don Aldo non può officiare con il reggimento schierato al gran completo, tra l’altro ora risiede presso il comando divisionale, pertanto ogni domenica, con una moto che da solo guida sulle impervie e pericolose piste desertiche, si dirige nei vari capisaldi dove i fanti sono rintanati nelle innumerevoli buche che hanno scavato.

Mio Padre così lo ricorda in una pagina del suo Diario:
“…Domenica 5/10 – 941 – XIX
E’ l’alba. Di rado il caposaldo 19, come stamane, è in movimento; alcuni portano una cassa, altri coperte, pezzi di tavole, ecc.
I fanti domandano come va tanto movimento ed uno chiede a quelli che trasportano le casse il perché. Il compagno appaga la curiosità dicendo che si sta erigendo l’Altare per la Santa Messa, che sarà celebrata fra poco.
La nuova si sparge in un baleno per il caposaldo e tutti ormai cercano di accudire alla pulizia personale al più presto per essere presenti al rito.
Man mano che si avvicina l’ora convenuta si vedono giungere dai capisaldi vicini gruppetti di fanti che accorrono al richiamo.
L’Altare è ormai ultimato quando si sente da lontano il rumore di una motocicletta. E’ il Cappellano del nostro Reggimento che arriva.
Giunto al caposaldo il Comandante gli va incontro per riceverlo, ed entrambi si stringono la mano.
Il Cappellano, mentre si accinge ad indossare i paramenti, rivolge ai soldati, che gli fanno cerchio, affettuose parole.
Incomincia il Sacro Rito ed ogni tramestio cessa come per incanto.
Tutti sono allineati lungo il camminamento.
Si giunge alla consacrazione dell’Ostia Santa. Ognuno a fior di labbra, sommessamente, chiede al nostro Salvatore Celeste, una grazia:
“far giungere il proprio pensiero ai cari lontani, pensando che anch’essi, nella chiesa del paese, in quella stessa ora rivolgono con fervore la preghiera, affinché il Signore faccia ritornare sano e vittorioso il caro lontano, al servizio della nobile causa per la grandezza della Patria.”
Il rito è finito, il Cappellano incomincia la preghiera per il Re Imperatore e tutti scattano come molle sull’attenti.
Al termine si formano alcuni gruppetti di amici che, per l’occasione, si ritrovano e si scambiano i saluti.
Ora il sole sfolgora come in un quadro magistralmente pennellato.
Il Cappellano, tolti i paramenti sacri, saluta il Comandante, rimonta sulla moto e si allontana.
Tutti guardano come se si fosse allontanato qualche cosa di loro…”

Il 18 novembre 1941, quando l'8^ Armata britannica inizia l'Operazione Crusader, don Aldo si trova con il I° Battaglione del 39° Reggimento in località Belhamed. All'alba del 20 questa unità, insieme alla 73° Compagnia Bersaglieri contro carri è schierata presso l'aeroporto di Sidi Rezegh.
Nella notte sul 21 i bersaglieri, mentre gli inglesi escono da Tobruch nel tentativo di sfondare l'accerchiamento e ricongiungersi con le forze della 7^ Brigata provenienti dall’Egitto, aiutano il Cappellano a recuperare i numerosi feriti della “Bologna”.
Il 21 novembre, un più massiccio assalto dei Topi del Deserto, distrugge il caposaldo italiano e, insieme a 18 bersaglieri e molti fanti, viene catturato anche don Aldo; ferito ed ormai privo di sensi.
Nel dopoguerra, per quest’azione e per altre susseguenti, è insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:

Cappellano militare presso un reggimento di Fanteria impegnato in aspri combattimenti, si prodigava al di là di ogni umana possibilità, a capo di squadre portaferiti, per raccogliere ed assistere numerosi feriti sotto violento Fuoco avversario. Mentre assolveva la sua pietosa missione riportava gravissime ferite ad una mano e ad una gamba. Pur stremato di forze rifiutava ogni soccorso fino a quando non si era assicurato che non vi fossero accanto a lui altri feriti da raccogliere. Catturato quasi privo di sensi e trasportato in ospedaletto da campo, appena in grado di farlo riprendeva la sua missione a conforto dei compagni connazionali.
Rimpatriato come mutilato, appena iniziata la lotta di liberazione contro i germanici in Friuli si prodigava con grave pericolo nell'organizzare, guidare ed assistere le formazioni partigiane del gruppo divisioni d'assalto Osoppo - Friuli. Magnifico esempio di ardente patriottismo e di sublime carità cristiana". Africa Settentrionale, novembre 1941; Fronte della resistenza, 1943-1945.

Don Aldo Moretti resta sei mesi prigioniero degli inglesi in Egitto, vicino al canale di Suez. Poiché mutilato a maggio del 1942 è scambiato con altri prigionieri a Smirne, nel corso dell’unica trattativa di questo genere tra italiani ed inglesi. Così egli racconta:
“Ritornai in Italia, sbarcai a Napoli e poi giunsi a casa. Accettai un invito a Siena, dove pregai perché i nostri soldati potessero vincere. E lì accadde qualcosa. Al termine del discorso mi avvicinò un ometto. Disse poche parole: "Cambierà tutto, sa... cambierà". Era Giorgio La Pira».

Dopo l’armistizio del 1943 è in Friuli dove entra nelle file della Resistenza con il nome di battaglia “Lino”.
E’ tra i fondatori della Brigata Osoppo composta da partigiani cattolici, ai confini orientali del Friuli. Le formazioni Osoppo, i “fazzoletti verdi”, nascono ufficialmente il 24 dicembre 1943 presso la sede del Seminario Arcivescovile di Udine per iniziativa di volontari (repubblicani e monarchici) di ispirazione laica, liberale, socialista e cattolica [8]. 

Questi sono già operativi in alcune zone per contribuire alla fine del conflitto con dignità e salvare ciò che dell'Italia può ancora essere salvato.
Le brigate Osoppo sono ricordate in modo particolare per la tragedia della malga di Porzûs, del 7 febbraio 1945, dove un reparto dei GAP uccide i comandanti, depreda carteggio e riserve e porta altrove i gregari, che vengono in parte fucilati successivamente; con l'accusa di intesa con il nemico.
Alle malghe di Porzus [9] ha sede il comando del Gruppo delle Brigate Est della Divisione Osoppo. 

Loro comandante è il capitano degli alpini Francesco De Gregori, nome di battaglia "Bolla", zio del famoso cantautore che, primo nato in Famiglia dopo l’eccidio, riceve questo nome a suo ricordo [10].

I trucidatori sono “partigiani rossi filo sloveni”; che li accusano d’essere riluttanti all’idea di mettersi sotto il comando delle formazioni titine. Alcune testimonianze di monsignor Moretti forniscono un po' di luce su questo tragico fatto ed in un'intervista rilasciata nel 1997, a proposito dell’Eccidio, Don Aldo dichiara:

"... La Grande Slovenia, volevano i partigiani comunisti. Noi volevamo solo combattere per la libertà, non per il comunismo, ed eravamo favorevoli a lasciare ad un referendum dopo la liberazione la scelta sui confini...
Bolla, il comandante, alzava la bandiera, bandiera italiana, bandiera con lo stemma sabaudo. Io lo mettevo in guardia: attento, gli dicevo, la vedono i comunisti e i partigiani sloveni, quello stemma a loro ricorda il fascismo, toglila.
E lui no, cocciuto, perché credeva sopra ogni cosa all'Italia, senza compromessi, senza tante prudenze politiche...
Avevamo sempre operato insieme, anche se noi cattolici ci preoccupavamo, oltre che della onestà dei fini, anche della onestà dei mezzi. Ci furono discussioni assai accese con i comandanti comunisti sulla necessità di azioni che comportavano sacrifici di vite umane".

E’ stato lui, Francesco De Gregrori, il 5 ottobre 1944, a dare la risposta negativa ai capi delle brigate garibaldine che volevano anche i partigiani cattolici sotto comando comunista alle dipendenze del IX Corpus jugoslavo. L’incontro è avvenuto al cimitero di Oborza di Prepotto. L’idea di Tito è quella di annettersi il Friuli orientale. Tito strappa a Togliatti il consenso e stabilisce che tutte le formazioni partigiane friulane passino sotto il suo comando.
«Noi non avevamo mai avuto dubbi nel rifiutare», ricorda don Moretti.

Al Comandante Francesco De Gregori è concessa la Medaglia d’Oro al valor Militare con la seguente motivazione:
«Soldato fedele e deciso, animato da vivo amor di Patria, dopo lo armistizio prodigava ogni sua attività alla lotta di liberazione organizzando, animando e guidando da posti di responsabilità e di comando il movimento partigiano nella Carnia e nella zona montana ad est del Tagliamento. Comandante capace e soldato valoroso, dopo essersi ripetutamente affermato in numerosi combattimenti, si distingueva particolarmente durante la dura offensiva condotta da preponderanti forze tedesche alla fine di settembre 1944 nella zona montana del Torre Natisone. In condizioni particolarmente difficili di tempo e di ambiente, fermo, deciso e coraggioso riaffermava l’italianità della regione e la intangibilità dei confini della Patria. Cadeva vittima della tragica situazione creata dal fascismo ed alimentata dall’oppressore tedesco in quel martoriato lembo d’Italia dove il comune spirito patriottico non sempre riusciva a fondere in un sol blocco le forze della Resistenza.»
Friuli, settembre 1943 - 7 febbraio 1945.

Altro trucidato da parte di partigiani “Rossi” filo sloveni, nel cosiddetto “Eccidio di Malghe Porzus”, è Guido Pasolini, fratello minore dello scrittore e regista Pier Paolo [11].

Guido fa parte, con il nome di battaglia “Ermes”, delle Brigate Osoppo dell'Est nelle quali entra alla fine del 1944, subito dopo aver raggiunto la maturità scientifica a Pordenone.
La sua fine è alquanto drammatica.
La mattina del 12 febbraio dopo un sommario processo, unitamente ad altri tre partigiani osovani catturati e fatti prigionieri nelle malghe di Porzus, è condotto sotto scorta sul luogo destinato all'esecuzione.
Qui sono costretti a scavarsi la fossa ed in questo frangente Guido, in circostanze poco chiare, riesce a fuggire. Nella fuga è ferito dai suoi aguzzini alla spalla e al braccio destro e, a fatica, raggiunge la vicina frazione di Sant'Andrat dello Judrio in comune di Corno di Rosazzo (UD). Si fa medicare presso la locale farmacia di Quattroventi e da qui prosegue a piedi verso il vicino paese di Dolegnano ove ottiene ospitalità da una famiglia locale.
In questa abitazione si presentano due partigiani del luogo, probabilmente allertati dalla farmacista, che lo conducono in un'altra casa dove fa irruzione il partigiano Mario Tulissi che, dopo aver preso ordini, preleva il ferito con la scusa di condurlo al vicino ospedale di Cormons per garantirgli le cure del caso.
Pare che alla vista di Mario Tulissi, Guidalberto Pasolini abbia detto: "adesso sono perduto". Infatti è consegnato a due gappisti, dai quali era riuscito a sfuggire la mattina. Questi riconducono il poveretto quasi esanime sul luogo già destinato alla sua esecuzione, lo distendono nella fossa e lo finiscono con un colpo di piccone.
I suoi resti vengono riesumati a guerra finita tra il 10 e il 20 giugno 1945 assieme a quelli degli altri caduti nell'eccidio. Dopo il solenne funerale celebrato a Cividale del Friuli il 21 giugno 1945, i resti di Guidalberto Pasolini sono traslati a Casarsa della Delizia, ove tuttora riposa in una tomba vicino l'ingresso del cimitero che l'amministrazione locale ha riservato ai suoi Caduti per la Libertà.

Nel dopoguerra Don Aldo Moretti è delegato arcivescovile dell’Azione cattolica e delle Opere cattoliche (1946-1954). In seguito è direttore della Scuola cattolica di cultura (1954 - 1962) e socio fondatore del ISR di Udine.
Tra l'altro è autore di un saggio su La grafia della lingua friulana pubblicato nel 1985 ed è coadiutore presso la parrocchia San Pio X di Udine.
Don Moretti, insieme al Prof. Ciro Nigris, è anche cofondatore dell’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione.
Don Aldo Moretti è, negli ultimi anni di vita, assistente delle suore del Carmelo di Montegnacco; un Monastero, quello di Montegnacco, voluto e pianificato da un comitato presieduto proprio da Monsignor Moretti.
Inaugurato il 7 novembre 1965 la sua Comunità vive con semplicità nello spirito della Casa di Nazareth; sempre aperto ai fratelli che si recano numerosi al Carmelo per unirsi alla preghiera delle monache. 

“Pre Aldo di Mio” per i vecchi tarcentini, “Lino” per i compagni del movimento di liberazione, “Don Aldo” per mio Padre e per quelli che gli erano più vicino, .. torna alla Casa del Signore il giorno 26 luglio 2002 a Udine.

La Medaglia d’oro ricevuta si trova incastonata là dove l’ha donata, nella porticina del tabernacolo del Carmelo di Montegnacco [12].