domenica 22 settembre 2019

Giuditta Levato


Il Sacrificio di Giuditta Levato

Lo stendardo con la sua immagine sfila nel Cantiere Ansaldo, Santuario del proletariato meridionale, e per la città di Pozzuoli

La contadina Giuditta Levato, nata a Calabricata in provincia di Catanzaro il 18 agosto del 1915, è la prima vittima negli scontri del 1946 in Calabria, verificatisi a seguito della lotta al latifondo.
Giuditta fin da bambina divide la sua esistenza tra il lavoro nei campi e le faccende domestiche; una volta sposata, e quando suo marito parte per la guerra, è costretta a vestire i panni del capo famiglia. Non si tira indietro alla fatica, coltiva la terra, raccoglie il grano e dà il pane ai propri figli.
La “Legge Gullo” del 1944, dal nome dell’allora Ministro dell’Agricoltura, ha decretato l'assegnazione di alcune terre di vari latifondi ai contadini che, riuniti in cooperative, le coltivavano. Il provvedimento è ostacolato dagli agrari calabresi, che vedono nei contadini, nuovi proprietari, degli usurpatori; questa situazione causa diversi scontri violenti.
Il 28 novembre del 1946 Giuditta Levato si unisce a un gruppo di persone che affronta Pietro Mazza, latifondista del luogo; la contesa è causata da una mandria di buoi che il Mazza ha lasciato pascolare nei campi assegnati ai contadini, impedendone quindi la coltivazione.
Durante la protesta, in circostanze mai del tutto chiarite, dal fucile di un uomo al servizio del Mazza parte un colpo che raggiunge la contadina all'addome [1 - Foto Corriere della Calabria]. 
Giuditta è trasportata prima a casa e subito dopo in ospedale, ma inutilmente; muore all'età di 31 anni, mentre è incinta di sette mesi del suo terzo figlio.
La grave vicenda è taciuta dagli ufficiali organi d’informazione, i quotidiani non ne danno notizia. Guardando nelle cronache, sotto quella data e nei giorni seguenti, vi si trova da leggere di un imminente incontro calcistico Italia-Austria, del processo contro von Mackensen, della condanna degli assassini di Villarbasse confermata dalla Cassazione e del Prestito Redimibile.
Dell'episodio sanguinoso nulla, solo una notizia pubblicata a distanza di due giorni può essere messa in relazione con quanto è accaduto. De Gasperi, riuniti al Viminale una trentina di prefetti e tra questi quello di Catanzaro, ha ad essi raccomandato di far sempre opera di mediazione nell’evenienza di conflitti sociali. Essi non devono però esagerare perché altrimenti a furia di mediare rendono più tenue il prestigio dell'autorità statale.
Si capisce che la vita di Giuditta Levato, una donna morta durante una agitazione comunista, non ha niente a che vedere con il prestigio dello Stato e non è il caso di parlare dell'episodio che, seppur luttuoso, giova ad una sola parte dello schieramento politico.

A livello istituzionale, nazionale e locale, Giuditta riceverà i giusti riconoscimenti solo mezzo secolo dopo; a lei saranno intitolate, sempre in Calabria, strade, sale regionali e museali, ballate e libri [2].

Nell’immediato dopoguerra l’episodio di Giuditta resta isolato ai soli compaesani che iniziano a santificarla ritraendola, coi figli, in una immagine stampata su carta lucida, come si usa per i santini che i parroci regalano ai bambini [3].

Il fatto nuovo è che, non esistendo nel meridione solide tradizioni socialiste, le forze politiche di sinistra mettono a frutto questa vicenda; in questo si segue il consiglio di Giorgio Amendola che, in un precedente congresso, concettualmente, dice: «Poiché in Italia meridionale c'è un diffuso fanatismo religioso, noi marxisti dobbiamo farne conto, anzi cercare di cavarne profitto.»
Pertanto, in vista delle elezioni politiche del 1948, il Fronte Popolare stampa una immaginetta di propaganda, a beneficio dei contadini, che, oltre a riprendere sul fronte la foto di Giuditta con i suoi due figli, riporta sul verso un paragrafo che, per l'ispirazione e la stessa disposizione delle parole, è come una preghiera:

«Il piombo degli agrari ha stroncato la tua vita di madre e di sposa, nel giorno in cui guidavi le donne del tuo paese all’occupazione della terra che, da secoli incolta, volevate lavorare.
Tu sei caduta perché i tuoi figli abbiano pane, perché tuo marito sia un libero cittadino e non uno schiavo umiliato ed oppresso, perché i contadini abbiano terra e lavoro, e tutto il popolo si liberi dalla servitù e dalla fame.»
Tu sei caduta per loro
Tu sei caduta per tutti
Nel tuo nome noi donne italiane, ci impegniamo a continuare unite la lotta per una vita di pace, e giustizia, lavoro, libertà; ideali per cui tu, Giuditta Levato, offristi la vita.
Nel tuo nome, noi, donne italiane, ci impegniamo a Votare
FRONTE DEMOCRATICO POPOLARE

Questa litania di derivazione liturgica si spiega facilmente col fanatismo religioso dei paesi meridionali dove la pagana familiarità coi santi è cosi viva che con essi si tratta, si discorre, si litiga; concetto ben miniato nella famosa scenetta di Troisi, e del suo trio, davanti alla statua di San Gennaro.
Un santo è detronizzato ed un altro innalzato in vece sua quando il vecchio patrono non soddisfa più; e in casi eccezionali, se la fantasia del popolo è colpita fortemente da un fatto straordinario, come la morte di una brava donna come Giuditta, vendicatrice dei poveri, un santo lo si inventa addirittura.

Giuditta è anche raffigurata su di uno stendardo, come quelli che si vedono precedere le confraternite nelle processioni, normale episodio di folklore per il Meridione, e questo stendardo, che apre le sfilate, è presente a tutte le manifestazioni politiche e di lotta sociale organizzate dalle sezioni comuniste nella provincia di Catanzaro.
In un'unica occasione questo stendardo travalica i confini provinciali, anzi quelli regionali calabresi, e si reca a sfilare in altra città; questa città è Pozzuoli.

L’occasione è data da uno dei tre grandi congressi preliminari indetti dai partiti politici di sinistra in vista dell’Assemblea Costitutiva del Fronte Popolare sotto la cui sigla le loro forze intendono presentarsi unite alle elezioni politiche del 1948.
Il Congresso Democratico del Mezzogiorno si tiene a Pozzuoli il 19 di­cembre 1947, in un capannone dei Cantieri ex “Ansaldo Artiglierie”, appena rinominati ”Stabilimenti Meccanici di Pozzuoli” [4].

Alle popolazioni meridionali è lanciato un manifesto con l’indicazione degli obiettivi da conseguire, contro ogni lusinga paternalistica, dando una concreta organizzazione alle forze popolari e prevedendo l’assegnazione delle terre mal coltivate alle cooperative di contadini e la proroga dei contratti agrari.
Il Congresso di Pozzuoli vuole dimostrare all’Italia tutta un volto e una dignità nuova del popolo; non più solo miserie e lacrime, ma operai che dalle miserie, dai lutti e dalle distruzioni hanno ricostruito macchine e officine; braccianti e con­tadini che, contro le forze ostili della natura e dei padroni, hanno fecondato terre incolte; intellettuali che si sono legati al popolo e col popolo vogliono combattere la battaglia del Mezzogiorno.
Attorno al problema della terra, a quello della difesa e del potenziamento delle industrie del Mezzogiorno, attorno ai problemi della vita economica, scolastica, igienica, il Con­gresso di Pozzuoli chiama tutti i democratici del Mezzogiorno ad un’azione unitaria e concreta.
Il Congresso si presenta come la più imponente rassegna di forze meridionali fin qui tenutasi; operai, tecnici, contadini, partigiani, politici e personalità della cultura. Tra i primi arrivano le delegazioni di contadine di Bologna e di Torino; un gruppo di partigiani da Modena, con fazzolettoni rossi al collo; una lunga autocolonna di solidarietà, carica di doni, partita il mercoledì da Milano. I dipendenti della Breda hanno inviato aratri, zappe e vanghe; quelli della Motta panettoni per i bambini poveri; la Isotta Fraschini invia millesettecento chili di riso; la Moto Meccanica un martello pneumatico; la Sefar venticinque apparecchi radio; la Filotecnica cento termometri; scatolame dalla Franco Tosi; duecento quintali di concime dalla Commissione Interna delle Industrie di Terni, destinati alle cooperative agricole del Mezzogiorno; due milioni di lire dalle sottoscrizioni, sempre a favore delle popolazioni meridionali.
Centinaia e centinaia di lettere e telegrammi da Enti, Partiti, Organizzazioni, Sindaci; rappresentanti del Sindacato Direttivo Universitario Nazionale; una Delegazione di ragazze romane di tutte le categorie sociali; una Delegazione giovanile iugoslava.
Tutti gli operari degli stabilimenti Ansaldo di Pozzuoli hanno lavorato per addobbare la grande sala che ospita il congresso e tutta la città si è prodigata per preparare l’alloggio ai partecipanti dopo aver tappezzato le strade di striscioni di benvenuto. Sono infatti 7.000 i delegati di tutte le regioni meridionali che partecipano a questa solenne e grandiosa rassegna dove pongono in una prospettiva nazionale la questione del riscatto del Mezzogiorno.

La mattina del giorno 19, quando è ancora buio, i primi delegati infreddoliti da una notte in treno o in camion, col pane avvolto in un fazzoletto, bussano alla porta dell'Ansaldo. Alle otto la lunga sala del congresso è piena di canti dei braccianti siciliani, pugliesi e calabresi, delle tabacchine di Lecce, delle mondine di Bologna, degli operai di Taranto, di Milano e di Torino. Venuti questi ultimi dalle città del nord a portare di persona alla seduta la solidarietà ed il sostegno delle loro popolazioni.
Alle nove il grande palco della presidenza si affolla; sono presenti i comunisti Giorgio Amendola, Girolamo Li Causi, Velio Spano, Emilio Sereni, ecc..; i socialisti Luigi Cacciatore, Francesco Cerabona, Luigi Renato Sansone, Luigi Longo; ecc..
Presenti sono anche tutti i membri del Comitato di Iniziativa e del Comitato Esecutivo del Congresso tra cui Mario Alicata, Corrado Alvaro, Francesco De Martino, Carlo Muscetta, Giorgio Napolitano (appena laureato), Gabriele Pepe, Manlio Rossi Doria.
A Pozzuoli il locale comitato organizzatore è composto da Domenico Conte, Ilio Daniele, Angelo Di Roberto, Enrico Vellinati, Nicola Fasano, Giovanni Marino, Ciro Musto e un giovanissimo Umberto Lucignano [5].

Ci sono poi il prof. Floriano Del Secolo, vecchio maestro del giornalismo democratico meridionale, e i rappresentanti del mondo della cultura, tra i quali Renato Guttuso, Carlo Levi, Alfonso Gatto, Francesco Jovine.
Poco dopo, accolti da una grande manifestazione di entusiasmo, arrivano Lelio Basso, Giuseppe di Vittorio, Rodolfo Morandi, Fausto Gullo, Giacomo Mancini. E poi Vera Lombardi, Franco Castaldi, Tommaso Fiore, ecc…
Il primo a prendere la parola, a nome del comitato di iniziativa, è Floriano Del Secolo che pronuncia un breve discorso di saluto a tutti i congressisti; tra l’altro dice: «I contadini della Basilicata ed i braccianti della Puglia e della Sicilia non si sono mossi per venire ad ascoltare promesse di un governo distaccato dalle masse, o impegni di ceti dominanti, ma per misurare la propria forza ed in nome di questa operare perché si inizi una grande battaglia di rinnovamento del Mezzogiorno.»
Inizia poi il dibattito e la prima relazione al Congresso è pronunciata da Emilio Sereni il quale dice: «Se politica significa, come significa, lotta di popolo per realizzare le sue aspirazioni, questo è un Congresso politico. Il primo che il popolo del Mezzogiorno ricorda e dal quale partirà un movimento politico che trasformi la faccia del Mezzogiorno.»
Lo stesso spirito è nelle parole di Luigi Cacciatore, che pronuncia la seconda relazione; Giuseppe Di Vittorio porta il saluto e la solidarietà della C.G.I.L.; Girolamo Li Causi, di Termini Imerese, nel suo discorso sottolinea la portata che dovrà assumere per la Sicilia il grande “Congresso dei Lavoratori della Terra” convocato a Palermo per i primi di gennaio. Un particolare significato ha l'intervento del prof. Tommaso Fiore, vecchio combattente meridionalista e affezionato amico di Guido Dorso la cui vedova ha telegrafato augurando il pieno successo della manifestazione. Con uguale affetto sono accolte le parole di Francesco lovine che porta l'adesione degli scrittori e degli intellettuali che si schierano a fianco del popolo meridionale.
Grandi manifestazioni di entusiasmo salutano Luigi Longo quando sale alla tribuna per portare il saluto caloroso e l’adesione più piena del Partito Comunista e gli abbracci particolarmente vigorosi dei combattenti della libertà. Dopo di lui Lelio Basso porta il saluto e l'adesione del Partito Socialista. Si succedono quindi alla tribuna i delegati di tutte le regioni del Mezzogiorno e del Nord, tutti animati dallo stesso spirito di unità e di lotta.
Alla conclusione il Congresso dà mandato al Comitato d’Iniziativa di organizzare un “Fronte per il Mezzogiorno” al quale aderiscono non solo i partiti della sinistra, ma anche repubblicani e azionisti. Predispone liste unitarie in vista delle successive elezioni politiche del 18 aprile 1948, impone una mobilitazione generale e fa più forte il quadro delle rivendicazioni, in particolare quelle relative alla distribuzione delle terre, alle bonifiche, alla riforma dei contratti agrari, alla difesa dell’industria nell’Italia meridionale, all’assistenza creditizia delle piccole aziende.

Proprio in questa assise, ospitata nel grande cantiere che rappresenta il tempio del proletariato meridionale e che pone tra i principali obiettivi la ridistribuzione delle terre del Mezzogiorno, non può mancare il ricordo e l’esempio di Giuditta Levato; una donna che con il sacrificio della sua vita, e della creatura che porta in grembo, è stata protagonista del suo tempo.
Un omaggio a tutte le donne calabresi abituate a lavorare sodo e spesso in silenzio, ma soprattutto un omaggio a tutte le donne che, pur non avendo molta visibilità perché occupate nel loro lavoro quotidiano, sono uno dei pilastri fondamentali della società e che, al momento giusto, sanno sfoderare grinta e determinazione diventando protagoniste del loro destino.
Lo Stendardo che raffigura Giuditta [6] è portato al Convegno di Pozzuoli dalle braccianti di Calabricata e a un certo momento, nel traversare la grandissima sala dei Cantieri Ansaldo, sovrasta gli ammutoliti settemila congressisti lì riuniti.

Lo seguono alcune contadine calabresi in vesti nere; neri i volti chiusi nei pesanti scialli, anche loro neri, annodati sotto il mento.
Bianco e frangiato d’oro è invece lo stendardo e al centro, in una corona di spighe legate da un nastrino tricolore, è dipinto il ritratto di Giuditta, più melanconico che nella immaginetta, a mezzo busto, in camicetta color lavanda e giacchetta marrone, una catenina al collo con appesa una medaglietta della Madonna.
Il solo errore commesso dagli organizzatori, capace di distogliere dai pensieri religiosi, è quello di far reggere lo stendardo da due giovani donne modenesi, molto belle, che la segreteria del congresso ha stimato più decorativo e pertanto più adatte alla funzione d’onore. Sono floride ragazze comuniste in uniforme di partigiane, decorate e graduate.
Dopo le ore 18.00, quando l’assise è sciolta, tutti i delegati sfilano per le strade di Pozzuoli [7] accompagnati dal saluto della popolazione scesa nelle strade. 

Passano i rappresentanti delle Camere di Lavoro provinciali e comunali, dei Consigli di Gestione, dei Sindacati e Commissioni Interne di fabbrica, delle Amministrazioni Comunali, delle Deputazioni Provinciali, delle Associazioni dei Combattenti e dei reduci, dell’Associazione dei Mutilati e Invalidi, dei Sinistrati e dei Perseguitati Politici  Antifascisti, delle Vedove di Guerra, degli Ordini Professionali dei Medici degli Ingegneri e Avvocati, delle Associazioni Universitarie delle Leghe Contadine e delle Cooperative Agricole. Con queste ultime sfila lo stendardo di Giuditta Levato, sorretto dalle due giovani partigiane e seguito dalle donne nere calabresi che formano un gruppo composto e disperatamente rassegnato.


REFERENZE
Daniela Alemanno – La contadina calabrese che morì per tutti – 2015
Giuseppe Peluso – Il Congresso Democratico del Mezzogiorno - 2012
Romano Pitaro - Quando uccisero Giuditta Levato - 2007
Vittorio Gorresio – Dove non esistono tradizioni socialiste - 1948


GIUSEPPE PELUSO – SETTEMBRE 2019

giovedì 12 settembre 2019

La Torre di Pulcinella


Alla scoperta della singolare meda che la Marina costruì sulle rovine dell’antico fanale romano del Portus Julius
Quei tuffi dalla…Torre di Pulcinella
Sulla secca della Fumosa di Lucrino: 
era un segnale per le navi e un paradiso per i bagnanti

Dai commenti dei nostalgici frequentatori di Lucrino spesso emerge il ricordo della “Torre di Pulcinella” che s’alzava al largo del Lido Napoli.
Era questa ciò che restava di una meda; un segnale navale affiorante in superficie, simile a un semaforo senza luci.
Le meda, oggi spesso sostituite da boe galleggianti, sono utili ad individuare un allineamento, quale la rotta di entrata in un porto, ma anche la presenza di secche, scogli o altri ostacoli sommersi. Sono di colori e profili vari; la loro parte alta, detta miraglio, è costituita da forme geometriche come sfera, piramide, cilindro o cono, ognuna delle quali, singolarmente o in abbinamento tra loro e con diverse colorazioni, fornisce informazioni ai naviganti [1].


La meda di Lucrino è costruita nella seconda metà dell’ottocento dalla Regia Marina Italiana sui ruderi, affioranti in superficie e da tutti conosciuti come “Le Fumose”, del sommerso canale costruito per entrare nel “Portus Iulius”. Sembra che sia stata innalzata sulle stesse rovine dell’antico fanale romano che segnalava ai naviganti l’ingresso nei bacini interni costituiti dai laghi Lucrino e Averno.
La nostra meda si ritrova a svolgere vari compiti; segnalare il pericolo costituito dall’improvviso basso pescaggio per la presenza di ruderi sommersi; indicare con la sua forma conica la rotta per superare tale barriera; segnalare distanza e posizione certa alle numerose unità che, nei suoi paraggi, eseguono la verifica delle bussole di bordo.
Nonostante approfondite ricerche non sono riuscito a trovare foto di questa meda; fortunatamente l’amico e maestro Antonio Isabettini, stimato artista puteolano, ha disegnato questa torre per il mensile diocesano “Segni dei Tempi” e per noi tutti. Lo schizzo, che nasce da ricordi fantasiosi ma con Baia e il suo castello sullo sfondo, racchiude incantevoli realtà del nostro Territorio.

Un celebre portolano inglese, il “Mediterranean Pilot” del 1917, nel descrivere le nostre coste la definisce un faro di pietra, colorato verticalmente con strisce alternate di bianco e rosso, che si erge sulla barriera delle Fumose. Questa barriera, così continua il “Mediterranean Pilot”, è una “patch” (toppa) rocciosa con solo 3 piedi d’acqua sopra di essa e si trova a 213 piedi sia da Punta Caruso che da Punta Epitaffio.
Per passare a sud di questa barriera il portolano consiglia di mantenersi nelle vicinanze di una casa bianca che si trova a 300 yards dal molo di Baia, in linea con le rovine del Tempio di Venere.

Anche se simile ad altri generici segnali marini questa torre è eretta anche per altro ben preciso scopo; essa, unitamente ad una serie di boe poste poco più a largo, serve alle unità da guerra per verificare e rettificare le bussole di bordo. Praticamente in queste acque le navi eseguono i cosiddetti giri di bussola tenendo sempre ben inquadrato il miraglio di questo semaforo che indica loro il sicuro punto fermo.
Per fare i giri di bussola bisogna sperare che il tempo sia buono, non ci sia vento e che ci sia uno specchio di acqua adeguato e giustamente ridossato; il circolare ma non vasto golfo di Pozzuoli, ben protetto dai venti del nord e dell’est, con vistosi punti di riferimento nel completo arco di 360 gradi, ben si presta, in ogni stagione, a operazioni di questo genere.
Per calcolare le deviazioni della bussola si porta la nave all'ormeggio sulla boa centrale che, insieme a tutte le altre, sui portolani è segnalata con la sigla B.V.B. [2].

La boa di ormeggio, in legno, è circondata da alcune piccole boe laterali che servono per il tonneggio della nave intorno alla boa centrale.
La nave gira intorno al punto di ormeggio con l’aiuto di un rimorchiatore tenendo ben visibile la meda ed altri punti di riferimento tutto intorno. Poi sulla Rosa della bussola si leggono gli angoli di rilevamento ed a mezzo di formule si ricava la Linea di Fede e la Prora Magnetica; tutta questa operazione è denominata “Giri di Bussola”.

Varie e numerose le testimonianze di rettifica bussole effettuate dalle unità da guerra italiane, specialmente quelle in procinto di partire per lunghe crociere intorno al globo; le più vecchie riguardano unità dell’appena costituta marina unitaria.
Tra queste la pirofregata sarda Vittorio Emanuele che durante la Seconda Guerra d’Indipendenza del 1848 partecipò all'occupazione dell'isola di Lussino e prese parte all'occupazione di Ancona. Fu attiva anche durante l'assedio e il bombardamento di Gaeta (1860-1861) e nel 1866 partecipò alla battaglia di Lissa nel corso della Terza guerra d'indipendenza. E' stata la prima nave scuola della nascente Regia Marina italiana; ha solcato i mari per ben 44 anni, gran parte dei quali passati alla vela sull'Oceano Atlantico e sul Mediterraneo, per allenare, istruire e formare le giovani generazioni di ufficiali al servizio della nuova Italia. Sarà radiata solo nel 1900 per assumere compiti di guardia porto. Il 24 novembre 1880, con a bordo un corso di guardiamarina di nuova nomina ed un corso speciale di marinai per le categorie timonieri e nocchieri, la nave parte da Napoli per la campagna d’istruzione invernale e si dirige a Pozzuoli dove resta i giorni 25 e 26 per la rettifica delle bussole.

Il 16 novembre 1881 la Regia corvetta Caracciolo è a Napoli ed albera le insegne di armamento, dopo essere rimasta un anno in bacino per necessità di raddobbo. Deve raggiungere la Divisione Navale italiana del Pacifico e colà sostituire la Regia corvetta Garibaldi già richiamata.
Imbarcate le munizioni da guerra si reca a Pozzuoli dove, com’è costume per le navi militari del 2° dipartimento marittimo, provvede alla rettifica delle bussole di bordo ed il giorno 30 inizia una lunga navigazione che nei tre anni seguenti la porta a compiere il giro del mondo.

Anche l’incrociatore Dogali, già reduce del mar Rosso, si reca a Pozzuoli per la rettifica delle bussole di bordo e ne riparte il giorno 21 maggio 1904 alla volta del sud America dove compie esplorazioni memorabili sui fiumi di questo continente.

Nel volume “I Campi Flegrei”, della serie “Italia Artistica” edito nel 1909, così Giuseppe De Lorenzo descrive la presenza di queste boe nel golfo di Pozzuoli: “…. ed innanzi Lucrino esistono già da tempo le boe destinate alla rettifica della bussole; così che frequentemente avviene di vedere nelle calme acque del golfo di Baia le possenti corazzate ed i veloci incrociatori, venuti a caricare le artiglierie ed a rettificare le bussole, specchiarsi nel lucido mare con la tinta grigia e le forme ardite e minacciose, fatte per la corsa e la battaglia…..”

La nostra meda in muratura, a guisa di torretta e con il caratteristico miraglio conico, una volta abbandonata dalla Marina principia ad essere danneggiata dal mare e scolorita dalla salsedine.
La cupola superiore quasi bianca somiglia sempre più all’ironico cappello della famosa maschera napoletana; questo è il motivo del perché inizia ad essere da tutti indicata come la “Torre di Pulcinella” [3].


Per i bagnanti dei Lidi di Lucrino la secca della Fumosa, segnata da questo piccolo fanale della Marina, rappresenta il limite da raggiungere a nuoto.
Da qui partono tutte le gare acquatiche organizzate dai primi club agonistici.
Nel 1903 il Circolo Sportivo Virtus di Pozzuoli organizza una gara su di un percorso di 1250 metri; la partenza è dalla Torre di Pulcinella e l’arrivo a Punta della Bambinella dove giungono appaiati vittoriosi, col tempo di minuti 32’ e secondi 17’’, i fratelli Guido e Mario Ferraro; terzo, ma distaccato di circa cinque minuti, l’atleta napoletano Ascione col tempo di 37’ e 5”.
Da sottolineare che Guido Ferraro, padre dell’ammiraglio Renato Ferraro, è uno dei proprietari del Casino alla Starza di Pozzuoli; attuale “Villa Maria”.
E’ questa la prima di innumerevoli attività sportive che iniziano da questo insolito punto di partenza. Tra gli anni ’50 e ’60 ricordiamo le gare di nuoto organizzate tra i vari lidi e per la manifestazione “Ondina Sport Sud”, programmata ogni estate dalla redazione sportiva de “Il Mattino”.
Vi ritroviamo anche i pochi che si affacciano al gran fondo, tra i quali un giovanissimo Giulio Travaglio campione del modo e per ben 4 volte vincitore della Capri – Napoli; ma questa è tutta un'altra bellissima storia [4].


Salvatore Savino, nel suo libro “Il ragazzo di via Enrico Alvino”, narra:
“Scoprii così nuove spiagge, anche lontane dalla città, come Arco felice, e le pulitissime acque del Lido Napoli di Lucrino, che raggiungevamo con il treno delle Cumana.
Durante il non breve viaggio parlavamo di scuola, dei libri di lettura, dei nuovi film visti o da vedere e dei nuovi attori americani. Poi giunti al Lido, giù in acqua con lunghe nuotate a raggiungere la Torre di Pulcinella, forse un antico faro allora non più attivo, situata in mezzo a quell’arco di mare e utilizzata da noi come trampolino per i tuffi.”

L’ammiraglio Giovanni Iannucci, che tra l’altro fu comandante delle Navi Scuola a vela Corsaro II, Stella Polare ed Amerigo Vespucci, così scrive nelle sue: “Memorie – 1933/1939 – La prima infanzia”:
….. La prima elementare finì, superai gli esami e l’anno seguente sarei stato ammesso alla scuola pubblica in seconda. Intanto c’erano le vacanze estive e andavamo quasi ogni giorno al mare, alla spiaggia di Lucrino, vicino all'omonimo laghetto. Si prendeva il treno della Ferrovia Cumana, alla stazione di Corso Vittorio Emanuele, e si percorreva tutta la costiera a ponente di Napoli, con molte fermate. C’era una bella spiaggia di sabbia fine e fu lì che imparai, per modo di dire, a nuotare.
Al largo, ad un centinaio di metri dalla spiaggia, c’era una torre. Un giorno mio padre che, in breve licenza, ci aveva raggiunto, noleggiò una barchetta a remi e ci allontanammo dalla spiaggia. Arrivati in prossimità della torre, senza alcun preavviso, mi prese e mi buttò in mare. Forse era quello che avevano fatto con lui, che non sapeva certo nuotare quando entrò in Accademia, ma non mi sembrò fosse la maniera migliore per insegnarlo a me. Preso dal panico, cominciai ad annaspare, riuscendo a stento a tenere le narici fuori dell’acqua. Poco dopo si tuffò anche lui e mi sorresse per farmi respirare e per insegnarmi i primi rudimenti del nuoto, che appresi sommariamente, ma quanto bastava per tenere la testa fuori dell’acqua. ……

Amalia Galante, nella “La signora dagli occhi di viola”, così scrive:
“Andiamo a Lucrino?” “Per me va bene, senza macchina però, prendiamo la cumana a Montesanto”. Martina da molti anni mancava dal lido Napoli; era uno stabilimento di pietra. Un lungo nastro di cemento separava le cabine per famiglia, con una terrazzina coperta, dagli spogliatoi in muratura. Martina nuotava bene allora, arrivava senza sforzo alla tomba (sic) di Pulcinella, il bianco tempietto che si ergeva come un faro.”

Marco Caiazzo così narra in merito ad Alfredo Vaglieco, presidente della Lega Navale napoletana, che conobbe il mare da bambino, ad Arco Felice:
"La mia famiglia si spostò quando il medico disse ai miei genitori che avevo bisogno di sole e mare, perché troppo gracile. Da ragazzo ho vissuto lunghi pomeriggi nella città sommersa tra Lucrino e Baia, la conoscevo meglio della città emersa per averla vista da pescatore e in parte anche da sub. E poi ricordo la Torre di Pulcinella al centro dello specchio d'acqua tra Lucrino ed Arco Felice, un posto da sogno".

Poi conclude: “Di quel periodo gli sono rimasti i ricordi e un colorito della pelle da marinaio”.

Leggenda vuole che la Torre di Pulcinella sia stata un posto solo per nuotatori esperti, la cronaca informa che un giorno un ragazzo si tuffò e non fu più ritrovato.
Negli anni ’60 la torre, gravemente danneggiata da marosi e temporali, è fatta brillare dagli artificieri della Marina poiché ritenuta pericolosa e per la navigazione e per tutti color che ancora ci si arrampicano.
Adesso è completamente sommersa ed il suo punto più alto è alla profondità di cinque metri.
A chi gli si avvicina ancora elargisce doni preziosi; alla base dei suoi ruderi si trovano facilmente piccole aragoste, scorfani ed altri pesci pregiati.
Ma il suo omaggio più prezioso ha saputo donarlo ad intere generazioni che di lei serbano un prezioso e dolce ricordo.

GIUSEPPE PELUSO