martedì 13 novembre 2012

Il Monumento ai Caduti di Pozzuoli











Il Monumento ai Caduti di Pozzuoli
L’altare cerimoniale cittadino

In Italia la prima “ondata monumentale” sorge spontanea subito dopo la vittoriosa battaglia di Vittorio Veneto; poi dal 1919, l’anno immediatamente successivo alla fine della “Grande Guerra”, dappertutto dilaga la necessità di costruire monumenti ai caduti.
Nel 1920, sulla scorta di analoghe iniziative già attuate in Francia ed in altri Paesi coinvolti nella "Prima Guerra Mondiale", si propone  di onorare i caduti italiani, le cui salme non sono identificate, con la creazione di un monumento al milite ignoto. Viene deciso di creare questo mausoleo nel complesso monumentale del Vittoriano in Roma dove, sotto la statua della dea Roma, sarà tumulata la salma di un soldato italiano, selezionata tra quelle dei caduti ignoti. La scelta della salma viene affidata a Maria Bergamas, madre del volontario irredento Antonio Bergamas che è caduto in combattimento senza che il suo corpo sia stato più ritrovato. Il 26 ottobre 1921, nella Basilica di Aquileia, mamma Maria sceglie il corpo di un soldato tra undici altre salme di caduti non identificabili, raccolti in diverse aree del fronte. Maria viene posta di fronte a undici bare allineate, e dopo essere passata davanti alle prime, non riesce a proseguire nella ricognizione e gridando il nome del figlio si accascia al suolo davanti a una bara, che così diviene la prescelta. Il feretro è collocato sull'affusto di un cannone e, accompagnato da reduci feriti e decorati con la Medaglia d'oro al Valore Militare, viene deposto in un carro ferroviario appositamente disegnato. Il viaggio si compie da Aquileia a Roma a velocità moderata in modo che presso ciascuna stazione la popolazione abbia modo di rendere onore al milite. La cerimonia ha il suo epilogo nella capitale; tutte le rappresentanze dei combattenti, delle vedove e delle madri dei caduti, con il Re Vittorio Emanuele III in testa, e le bandiere di tutti i reggimenti muovono incontro al Milite, che da un gruppo di decorati di medaglia d'oro è portato prima nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e poi, il 4 novembre 1921, è posto nel monumento creato nel 1911 per celebrare il cinquantenario dell’Unità Italiana. Da allora, per le numerose cerimonie che vi si svolgono, il mausoleo viene anche chiamato “Altare della Patria”.
Da quel momento ogni cittadina italiana anela ad avere il suo monumento ai caduti. Dinnanzi a centinaia di migliaia di morti, tra soldati e civili, alla distruzione di intere città, i lutti che hanno colpito praticamente ogni famiglia di ogni paese, accadde qualcosa mai successo per i conflitti del passato; inizia il processo di glorificazione della guerra, che presto si trasforma in Mito. Prima del 1914 i mausolei non riportano i nomi dei singoli caduti; i monumenti celebrano il coraggio ed il valore di un battaglione o di un reggimento, o talvolta dell’intero esercito di una nazione, senza che sia presente un elenco con i nomi di tutti i caduti. Con la Prima Guerra Mondiale i monumenti ai caduti cessano di essere anonimi e su di essi iniziano a comparire i nomi dei singoli soldati; il mito della guerra diventa anche un mito democratico. Il singolo non viene onorato per le sue gesta individuali, non come persona in quanto tale, ma come parte di un progetto superiore, di una guerra condotta per glorificare e potenziare la patria. Il valore simbolico di ciò che rappresentano rende unici i monumenti dedicati ai caduti di Guerra e l’ideologia che sta alla base di essi. Essi fanno molto di più che ricordare dei morti; i caduti sono identificati prima come eroi, poi come garanti della fede e del dovere, infine, come guardiani della patria, dell’umanità e della giustizia. Essi non sono mai evocati in quanto semplici morti.
Negli anni 1922-23, con l’avvento del fascismo, questo costume riceve una vera e propria regolamentazione quando il sottosegretario Dario Lupi promuove una campagna di attuazione di parchi e viali della “rimembranza”. La circolare prevede che in ogni località, d’intesa con autorità e scuole, gli alunni debbano essere mobilitati e coinvolti nella cura del parco e delle piante. Particolare non secondario, ogni pianta dovrà essere munita di una targhetta con il nome di un deceduto in guerra. Spesso però si preferisce costruire al centro del parco un monumento sulle cui pareti sono scolpiti i nomi dei caduti.
Anche Pozzuoli, come tante altre città italiane, sente la necessità di erigere un mausoleo dove si possano eternare i nomi dei caduti puteolani.
Il concorso viene lanciato tra il 1928 ed 1929 ed il premio viene assegnato allo scultore Santo D’Amico mentre il secondo posto viene assegnato agli scultori Sanarica e Meconio. Ma una commissione (composta dal podestà di Pozzuoli Giovanni de Fraya, dal professore Vincenzo Volpe e dall'architetto Angelo Crippa) per la realizzazione sceglie un altro progetto; quello dello scultore Enzo Puchetti. La commissione, riunita nella sede della Real Accademia di Belle Arti di Napoli, nel motivare la scelta del progetto fa riferimento anche alle tradizioni della terra puteolana dove "l'arte seppe nelle epoche migliori imprimere il suo segno divino anche nelle più semplici e modeste manifestazioni".
Quale luogo per l’erezione del monumento viene scelto lo slargo, esistente presso Porta Napoli, che nella seconda metà dell’ottocento è usato come terminale dell’Omnibus a cavalli proveniente da Napoli. In questo stesso slargo sostano le vetture da nolo che qui attendono i numerosi visitatori attratti dalle antichità flegree e che dal 1883, in sostituzione dell’omnibus, arrivano con la linea tranviaria a vapore che termina la sua corsa poco distante, nell’attuale via Matteotti, nei pressi della chiesa di San Vincenzo. 
Per visitare le antichità c’è un’organizzazione di "ciceroni", sistemata in una baracca di legno nei pressi della Porta; poi, nel 1920, l’ingegnere puteolano Federico Sabino progetta un "casotto" per le guide addossato al muraglione di sostegno della Pretura. Ora, agli inizi degli anni ’30, il tram ha visto spostata la sua stazione in via Cavour; le vetture da piazza sostano nella piazza principale di Pozzuoli; i “ciceroni” son quasi scomparsi perché rari sono i visitatori cui dovrebbero far da guida. Pertanto si decide di demolire il loro casotto, seppur ancor recente, ed utilizzare l’intero spazio a disposizione per la costruzione del monumento ai Caduti della Grande Guerra. Oggi possiamo affermare che scelta migliore non poteva essere effettuata.
Il monumento [fot.1] viene solennemente inaugurato il 28 giugno 1931. Esso si presenta imponente con la parte anteriore distribuita in tre spazi di cui quello centrale, più largo degli altri due, sorregge incastonata una grande lapide di marmo che su cinque righe riporta la scritta:
FORTI NELLA VITA
EPICI SVLLE ALPI E SVL MARE
NELLA STORIA ETERNI
POZZVOLI MADRE
SVPERBA DI ESSI E MEMORE
Vi sono poi altri due frontoni laterali, angolati quel tanto che basti a renderli visibili all’occhio del passante, su cui sono riportati i nominativi di tutti i nostri concittadini caduti nel corso della “Grande Guerra” dal 24 maggio 1915 al 4 novembre 1918. Al di sotto di ogni elenco è scolpita una daga sovrastata da uno scudo stilizzato; sullo scudo di sinistra è riportato, in numeri romani, l’anno di inizio della guerra, il MCMXV; su quello di destra e riportato l’anno di fine guerra, il MCMXVIII. Ognuna delle cinque parti, in cui si scompone la fronte del monumento, è divisa dalle altre da una fascio littorio; notoriamente un fascio di dodici verghe di betulla legate assieme da nastri di cuoio (in latino “fasces”) su cui è infissa un’ascia, originariamente in bronzo. Ai sei angoli esterni del monumento (due sono sul retro e quindi visibili solo aggirando l’opera) l’ascia è scolpita in rilievo e quindi sporgente dalla struttura; viceversa le asce situate sui fasci posti ai due angoli convessi anteriori sono scolpite in bassorilievo.
Sulla sommità si elevano due aquile, con ali spiegate, reggente ognuna uno scudo. L’aquila di sinistra sorregge uno scudo che riporta le sette teste di gallo, simbolo della città di Pozzuoli; l’aquila di destra sorregge uno scudo che riporta un fascio littorio, simbolo temporaneo dello Stato Italiano.
Il monumento, con grande effetto scenografico, sembra ergersi dalle acque che lo circondano e che sgorgano da due fonti poste alle estremità dove altrettante divinità fluviali sono scolpite sdraiate e protese a proteggere amorevolmente le loro falde. Esse rappresentano i due fiumi sacri alla Patria; a sinistra l’Isonzo [fot.2], dolorosamente assopito per il troppo sangue versato in tante cruenti battaglie combattute lungo sue rive; a destra il Piave che, fiero della eroica resistenza, con lo sguardo indica ai combattenti la via della Vittoria [fot.3 di Salvatore Brontolone]. Con queste fonti il nostro monumento ripropone una similitudine con il Vittoriano di Roma alle cui estremità sono poste due fontane che rappresentano il mare Adriatico a sinistra, il mare Tirreno a destra.
Intenso è l’utilizzo di questo monumento nei suoi primi dodici anni di vita; essi coincidono con il periodo di massimo consenso al fascismo e naturalmente non mancano gli anniversari da celebrare; come la Fondazione di Roma; la Fondazione dell’Impero; quello della entrata in guerra; quello della Marcia su Roma; l’anniversario della Vittoria, ed altri ancora. Il monumento diventa il vero Altare cittadino e si carica di significati simbolici impensabili in passato. Nella prima foto, scattata il 4 novembre 1936, notiamo la guardia d’onore composta da marinai e “giovani fascisti”, tra cui mio Padre, primo a sinistra. Il regime ha il pieno possesso di questi luoghi e li trasforma a suo uso e costume, con l’aggiunta di cerimonie e iscrizioni tipiche dell’epoca. Nella foto n. 4, del 24 maggio 1937, sul muraglione di sostegno del Rione Terra si nota una lunga scritta che riporta una frase tratta dal discorso fatto dal Duce il 30 agosto 1936 alle Forze armate e al popolo dell'Irpinia in Avellino, al termine delle grandi manovre [fot.5]. Questa serie di operazioni militari sono guidate dall’erede al trono, S.A.R il Principe Umberto, che dal marzo 1936 comanda il X Corpo d’Armata con sede a Napoli e reparti dislocati in tutta la Campania. Con la caduta del fascismo al monumento vengono troncate le sei scuri sporgenti dai fasci, lasciando inalterate quelle in bassorilievo ed il fascio raffigurato nello scudo retto da un’aquila. Comunque il monumento resta, a Pozzuoli come in ogni altro luogo, un segno tangibile dei massacri della Grande Guerra e spiega almeno in parte come mai essa si sia fissata indelebilmente nella memoria popolare e collettiva di tutte le comunità.
Il Monumento ai  Caduti  di Pozzuoli, ancorché ce ne ricordiamo per poche annuali cerimonie, avrebbe bisogno di urgente restauro; la struttura presenta varie screpolature e le statue raffiguranti l’Isonzo e il Piave si presentano molte degradate. Le due antenne alza bandiera, se pur encomiabili, andrebbero risistemate alquanto defilate per non imbarazzare la prospettiva [fot.6] e poi, cosa più importante, le lapidi laterali, riportanti i nomi dei caduti, non sono più leggibili. Fra qualche anno ricorre il centenario di quella Vittoria che pose fine ad una immensa carneficina e sarà doveroso ricordare e leggere uno ad uno i nomi di quei nostri giovani cittadini che fecero dono della loro vita.
E’ bene ricordare che non sono i grandi generali ad essere “eternati” nel marmo, ma la grande massa che ha subito le privazioni, gli stenti e la tragica morte sotto i colpi del mortaio o delle mitragliatrici.

Giuseppe Peluso - Pozzuoli Magazine del 21 luglio 2012