martedì 23 giugno 2020

Galeone o Violone?


Galeone o Violone? Questo è il problema!
Ragionamenti attorno l’appellativo della nostra darsena

E’ una notte buia e tempestosa; sono a letto, ascolto l’ululato del vento e avverto lo scroscio della pioggia.
Per assaporare e non addormentarmi inizio a fantasticare e subito la mente mi trasporta nella darsena di Pozzuoli.
Probabile che l’accostamento derivi dal gran parlare che s’è fatto del luogo, del suo stravolgimento, della fine che farà la baracca dei vecchi maestri d’ascia, del ritrovato verricello che s’intende salvaguardare.

Certo il “Valione” ne ha date di emozioni e si spera che possa rinnovarle in futuro, sebbene tutto possa cambiare.
La vita continua e non aspetta nessuno; il mondo può fare a meno di tutti, figuriamoci del Valione!
La vecchia Darsena, con il suo profilo dipinto nei nostri cuori, più non mostrerà questa familiare immagine ai nostri nipoti [1].

In verità non mostrava queste sembianze neppure ai nostri bisnonni.
Per i nostri avi ottocenteschi era qualche cosa di diverso.  Era solo una piccola insenatura racchiusa tra i resti dei Ponti di Caligola e la sporgente Chiesa dell’Assunta.
I fondali erano bassi fin sotto le due piccole rive sabbiose accostabili solo da piccole imbarcazioni [2].

La moderna darsena, intesa come bacino chiuso artificialmente, proprio non esisteva ed è stata realizzata occupando parte delle romane vasche di pescicoltura che si estendono intorno alla rocca puteolana giungendo fin oltre l’Ospizio dei Cappuccini.
Fu completata tra fine ottocento ed inizio novecento; nell’ambito dei più estesi lavori di imbanchinamento e ricostruzione del molo si decide di creare, per la locale piccola marineria, un riparato bacino artificiale.
Per la completa chiusura di questa darsena, di forma che spinge al triangolare, è stato sufficiente realizzare, sui bassissimi fondali, una breve scogliera che congiunge il predetto molo con il sottile e sporgente sperone di tufo su cui fu innalzata la chiesa dedicata alla Madonna dell’Assunta a Mare, Conosciuta pure come della “Purificata”; “Mprefecata”, in dialetto.
L’ingresso alla darsena è intelligentemente ottenuto non colmando la luce esistente tra la prima e la seconda pila, creando di fatto un piccolo canale sovrastato da un ardito ponte in ferro (per l’epoca) che permette il passaggio terrestre tra il borgo marinaro e il molo caligoliano ricostruito inglobando le altre antiche “pilae”.
La graziosa ringhiera che orna il ponticello, i due scivoli immersi nella vulcanica trachite locale, la gialla rocca tufacea sulla sinistra, la caratteristica chiesetta dell’Assunta sullo sfondo del proscenio, la bianca scogliera sulla destra, l’azzurro mare sul fondale; tutto rende questo borgo unico, affascinante, inimitabile [3].

Proprio nel periodo della realizzazione la zona principia ad essere appellata come “rint ‘u valione”, denominazione che inizialmente s’accompagna all’esistente toponimo “abbascio ‘u mare” che poi, col tempo, quasi riesce a soppiantare.
Certo è che questo nome fino a metà ottocento non compare o comunque non è riportato da nessun storico locale o viaggiatore tra i tanti che ebbero la fortuna d’inoltrarsi sui nostri lidi.
L’ipotesi più ricorrente è che esso derivi da “galeone”, un poderoso veliero da guerra progettato per affrontare la navigazione oceanica tra il cinquecento e il seicento.
Già ai primi del settecento più non ci sono galeoni e tantomeno poteva essercene uno a Pozzuoli come la credenza popolare possa far credere.
Inoltre l’attuale darsena, ovvero la zona dove doveva trovarsi questo ipotetico galeone, all’epoca come ancor più oggi, aveva bassi fondali. Una particolarità che mai e poi mai avrebbe permesso l’attracco di una nave pesante e con forte pescaggio. Anche in caso di naufragio, come qualcuno racconta; lo scafo di un galeone si sarebbe incagliato sui resti delle lontane vasche e comunque ben oltre lo sperone della Purificata [4].

Nell’Accademia Navale di Livorno c’è un piazzale che prende il nome “brigantino” in quanto al centro si ritrovano issati alberi e attrezzature veliche ad uso didattico; così pure in una scuola nautica ritroviamo un similare luogo detto “nave”, anch’esso dedicato a lezioni pratiche di navigazione.
Ma a Pozzuoli non ci sono e mai ci sono state simili attrezzature.

Dunque il toponimo è moderno come moderni sono altri nomi di luoghi quali: “arete i blocchi”, “fore ‘o topo giggio”, “ncopp ‘u preventorio”, e tanti altri.
Tutti questi toponimi come i più antichi “rint ‘a carcara”, “ncopp ‘a annunziata”, “arete ‘a croce”, e tanti altri ancora indicano sempre un consistente riferimento, individuabile da tutti o comunque visibile in passato, che funge da richiamo, percettibile in tutta la località.
Certo è che ne Raimondo Annecchino, ne Raffaele Giamminelli, ne tanti altri storici o appassionati hanno mai potuto avallare una origine certa e inconfutabile di questo toponimo che comunque ha nel titolo tutta una sua originalità e bellezza.
Allora ritorna spontanea la domanda! Da dove deriva questo nome?
Io avrei un’idea, o meglio una ipotesi; un ragionamento che possiamo insieme sviluppare.

Sappiamo che a Pozzuoli ci sono stati due distinti centri per la costruzione di barche, in maggioranza per la pesca professionale.
-     Il primo, dislocato nella zona della “calcara”, era dedito alla realizzazione di grossi battelli tipo feluche, bilancelle e martegane. Le barche venivano impostate su uno dei due scali, di cui disponeva, dal quale poi venivano direttamente varate in acqua. Il piccolo cantiere era fornito anche di qualche pontile su palafitte [5].

-     Il secondo centro di costruzione, costituito da più squeri produttivi, era dislocato proprio nella località della futura darsena. Da esso discende l’attività dei Fratelli Vallozzi, eredi di tutti i Maestri d’Ascia Puteolani. Qui, “abbascio u’ mare” si son sempre costruite piccole imbarcazioni; lance, cianciole e gozzi [6].

Ora soffermiamoci sui gozzi ed in particolare su quelli costruiti a Pozzuoli. Trattasi del tipico gozzo napoletano, molto utilizzato in tutto il golfo partenopeo, che però si differenzia da quello sorrentino e molto più dal gozzo ligure e adriatico.
Grosso modo il gozzo napoletano è simile in tutto il golfo ma ogni località usa rifinirlo con sue caratteristica dovute alle particolari pesche cui sarà adibito.
A Pozzuoli è molto richiesto il “gozzo violone”, una barca dalla linea filante e slanciata, con la prua “amaltigana” caratterizzata da una curvatura a rientrare, detta appunto a “violone” [7].

Questo nome è affibbiato a queste prue per la loro somiglianza con il “violone”, antico strumento musicale ad arco molto in auge tra seicento e primi dell’ottocento. In seguito quasi dimenticato perché compositori e musicisti gli hanno preferito il contrabasso.  Lo strumento ha ricevuto questo nome perché in pratica è una grande “viola”, così come il “violoncello” è un piccolo “violone” [8]

Ritornando al nostro gozzo esso richiama, pur nelle piccole dimensioni di 5 o 6 metri, le caratteristiche strutturali sia della feluca, che è una barca a vela da carico tradizionalmente in uso nel Mar Tirreno, sia della Martegana, classica barca da pesca d’altura (almeno per l’epoca) [9].

Dunque i gozzi puteolani si differenziano da tutti gli altri per questo dritto di prua, detto comunemente “a Violone”; oltre che per il timone, sporgente dalla chiglia, che funge anche da deriva.
Possiamo dunque dire che i due centri produttivi puteolani, pur costruendo barche completamente diverse per uso e tipologia, uniformano le loro prue in base ad una comune esperienza di costruzione e di navigazione.
Coloro che praticano la pesca d’altura preferiscono questa prua all’altra “diritta”, detta a “tagliamare”, come le barche dei pescatori di “rint ‘a Torr” che praticano una particolare pesca costiera [10].

Il fatto che la zona della darsena fosse strapiena di “gozzi violone” [11] 

ha probabilmente inciso sulla denominazione della località e poi la cadenza dialettale, specie nella difficoltà di pronunciare i dittonghi, ha sicuramente “perfezionato” lo “storpiamento” della parola.
Il passo da “violone” a “valione” è stato breve e scorrevole.

Cronache storiche, risalenti alla presa di possesso sarda da parte del Regno Sabaudo-Piemontese, dicono che nel settecento in Sardegna si crea una nuova situazione che garantisce ai pescatori una certa sicurezza. Tranquillità dovuta alla presenza di navi armate impiegate contro i barbareschi favorendo così l’immigrazione di pescatori dal Sud Italia.
I vari ceppi provenienti dalla Campania portano con loro tre tipi di barche; la “feluca” di Ponza, la “spagnoletta” di Torre che diventa tipica di Alghero e il “gozzo violone” di Pozzuoli che diventa la barca tipica pure a La Maddalena.


                     
Due “gozzi violone” di La Maddalena di proprietà di pescatori maddalenini ma di origine puteolana [12-13]

                       
                                                 
                                                                             
GIUSEPPE PELUSO – GIUGNO 2020

lunedì 15 giugno 2020

229 Banco di Napoli



 Una Tragedia Puteolana
Il crollo del Banco di Napoli a Pozzuoli

Il 1° novembre del 1940, alle ore 4 e 20 minuti della notte, Pozzuoli subisce il primo bombardamento ad opera dell’aviazione inglese.
Esso è quasi innocuo, nonostante la completa impreparazione della Difesa Antiaerea; mancanza di apparati di scoperta, di armi idonee, di appropriati ricoveri per la popolazione civile.
Per tutto l’anno 1941 si susseguono solo sporadici sorvoli di bombardieri notturni e di ricognitori diurni, sempre britannici, che scherzosamente la popolazione chiama: 
“u’ fotograf; vene a c’è fa u’ ritratt”.

La Royal Air Force ritorna a fare danni dopo un anno, il 9 novembre 1941, e questa volta per errore sono colpiti anche obiettivi civili.
Una bomba, che però non esplode, cade sullo scivolo della banchina di largo del Rosso e, per la prima volta, entrano in funzione in modo massiccio i pezzi antiaerei e i dispositivi fumogeni che oscurano la vista dall’alto.
Ma un'altra bomba, pur cadendo in Piazza Vittorio Emanuele (attuale Piazza della Repubblica) senza colpire direttamente edifici, provoca il crollo di una palazzina dove ha sede la filiale del Banco di Napoli.
Sarà questo il movente delle prime tre vittime civili puteolane.
Questa palazzina, innalzata negli anni venti e tra l’altro mai più ricostruita, si trovava addossata alla Farmacia Azan; tra i famosi portici di “sott ‘a neve” e la vecchia stazione tranviaria oggi sede della Associazione ex Reduci, Combattenti e Marinai [1].

Tutti gli storici locali accennano a questo bombardamento, alle prime vittime, alla Banca distrutta.
Ma solo poche parole, non si va oltre; c’è assoluto silenzio e non ci sono altri riscontri pur essendo stato colpito un centralissimo edificio di “miezz a piazz”.
Probabilmente l’avvenimento, dato il particolare momento storico, è messo a tacere ed incanalato nel dimenticatoio per non propagandare eventi sfavorevoli al regime e alla guerra in corso.
Le stesse macerie sono subito rimosse, a differenza di quanto avverrà con il più tragici bombardamenti del 1943, e l’edificio non più ricostruito proprio per non dar adito a ragionamenti e ricordi. Occhio non vede, dente non duole [2].

Queste considerazioni le ho di già narrate sul mio blog in un precedente scritto che affrontava le problematiche dei bombardamenti e della difesa antiaerea nei Campi Flegrei [https://giuseppe-peluso.blogspot.com/2018/05/bombardamenti-pozzuoli.html]. [3]

Poi un giorno ricevo il seguente messaggio:

Caro Peppe. Sono Domenico Aniello e facendo delle ricerche su Pozzuoli, e su mio nonno Domenico Aniello, mi sono imbattuto nel tuo blog.
Mio nonno, che come me si chiamava Domenico, già da prima della guerra era il cassiere della filiale di Pozzuoli del Banco di Napoli.
Il palazzo del banco era attaccato al palazzo dove ci sono i portici con la farmacia; al piano terra c’era l’ingresso e la sala per i clienti, al primo piano l’ufficio ed al secondo piano la casa di servizio dove mio nonno abitava.
Nonno Domenico occupava questa casa con la moglie, mia nonna, e ben dieci figli, tra cui mio Padre.
Mio nonno, pur abitando nello stesso edificio, tutte le notti restava all'interno della filiale del Banco di Napoli, ovvero al primo piano dove era ubicata la cassaforte; aveva paura che potessero venire a rubare.
Durante gli allarmi aerei mandava la moglie con tutti i figli a ripararsi sotto il vicino tunnel del tram ma lui restava nella filiale della Banca.
Questa sua testardaggine verso il dovere a lui costerà la vita ed a mia nonna costerà tutto [4].

Durante l’incursione del 9 novembre 1941 nonno Domenico si trova in banca con il collega Rocco, preposto della filiale di Bacoli, e Antonio Testa, un facoltoso commerciante di Pozzuoli; moriranno tutti e tre e non perché l’edificio sia stato colpito direttamente.
Lo spostamento d’aria, prodotto da una bomba caduta nelle vicinanze, provoca il movimento della pesante cassaforte che con il suo peso sfonda un muro portante trainando nel baratro pareti e pavimenti.
Con la sua morte Domenico lascia sola mia nonna Maria con dieci figli; inoltre Maria è incinta dell’undicesimo che nascerà un mese dopo la tragedia.

Mio padre, rimasto orfano a nove anni, ora di anni ne ha 88 ma è perfettamente lucido; mi racconta tantissime cose di Pozzuoli e della storia di Pozzuoli.
Mi sembra di vedere un film con i suoi racconti ed i ricordi della nonna; mio Padre rammenta sempre quel giorno e le grida della mamma e di tutti i fratellini quando, uscendo dal tunnel, videro il crollato edificio che seppelliva il loro Papà [5].


GIUSEPPE PELUSO – GIUGNO 2020


giovedì 4 giugno 2020

228 Incredibile Caso Pensionato di Pozzuoli


 Va ogni anno all'ufficio postale a ritirare la pensione di 10 lire

Incredibile caso di un vecchio lavoratore a Pozzuoli