Benedetto Brin [1] nasce a Torino il 17
maggio 1833 da Giovanni, che muore prima della nascita del figlio, e da
Vittoria Binda.
Si iscrive ai corsi di ingegneria nell'università di Torino e
si laurea non ancora ventenne. Segnalato a Camillo Benso conte di Cavour, per i
suoi meriti, nel 1853 entra col grado di allievo ingegnere navale nella marina
sarda ed è destinato a Genova, alle dipendenze del direttore delle costruzioni
navali nel Regio cantiere della Foce. Sempre per interessamento di Cavour, che
ne apprezza le doti di ingegno e di preparazione, è inviato per un biennio a
Parigi presso l'“Ecole d'application du géniemarittime” e questo periodo di
studio resta una componente importante della sua formazione scientifica. Nel
1863 è chiamato dal ministro della Marina come consulente per le costruzioni
navali e poi, nel 1868 dall'ammiraglio Augusto Riboty nuovo ministro della
Marina, a far parte del Consiglio superiore di marina.
Dopo la disastrosa guerra del 1866 il
ministro Riboty incarica il Brin di progettare i piani di una nuova classe di nave
di linea potentemente armata ma poco vulnerabile; saranno queste le corazzate
tipo "Duilio".
Intanto il 10 luglio 1873 diventa nuovo
ministro l'ammiraglio Simone Antonio Pacoret de Saint-Bon. Le eccezionali
capacità dimostrate dal Brin con i progetti navali ne fanno l’uomo di punta del
nuovo programma di rinnovamento della marina che il Saint-Bon propugna;
pertanto è nominato direttore generale delle costruzioni e segretario generale
del ministero.
Nel 1875 prepara i piani delle navi
"Italia" e "Lepanto" che, rispetto alle "Duilio",
hanno maggiore potenza offensiva.
Nel marzo 1876, col primo ministero Depretis,
il Brin è nominato Ministro della marina e continua l'orientamento del
Saint-Bon favorevole alle grandi navi. Il suo incarico va dal 1º marzo 1876 al
24 marzo 1878, durante i primi due ministeri Depretis, e dal 24 ottobre al 18
dicembre 1878 durante il primo ministero Cairoli.
Da ricordare che il Brin, col disegno di
legge presentato nel marzo 1878, unifica le due scuole di marina esistenti a
Genova e a Napoli, fondando l'accademia navale di Livorno, che è inaugurata il
1º ottobre 1881.
Il 30 marzo 1884 è nominato ministro nel
nuovo gabinetto Depretis, carica che egli ricopre ininterrottamente fino al 31
gennaio 1891, fino cioè alla caduta del ministero Crispi.
L'attività di Brin si svolge in una fase di
importanti modificazioni dell'assetto economico italiano ed egli si schiera fra
i principali sostenitori della necessità della creazione di una industria
pesante nazionale;
E’ dunque naturale che, mirando a una
supremazia navale dell'Italia nel Mediterraneo, il programma di costruzioni
navali persegui anche l'obiettivo della formazione di una moderna industria
bellica, tramite l'impianto di una grande acciaieria cui sarebbe spettato il
compito di produrre le corazze per la marina. Alla grande acciaieria che è
realizzata a Temi segue, d'accordo con l’inglese Armstrong, la fabbrica di
Pozzuoli per la costruzione di cannoni [2].
Numerose le visite che Benedetto Brin
effettua a Pozzuoli ed al nuovo grande opificio; perciò il 23 agosto 1886 il
Consiglio Comunale, riconoscente delibera: «Riunito
legalmente in sessione straordinaria e udita la proposta del Presidente e
considerando che Sua Eccellenza il Commendatore Benedetto Brin, Ministro della
Marina del Regno d’Italia e Deputato al Parlamento si è reso altamente
benemerito della Marina Italiana.
Riconoscendo
il sommo zelo da lui spiegato perché a Pozzuoli venisse fondato il Cantiere e
l’Opificio Armstrong.
In
solenne e pubblico attestato di stima al Suo merito eminente e di gratitudine
per tanto beneficio procurato alla Città di Pozzuoli ad unanimità lo proclama
cittadino di Pozzuoli.» [3]
Nel settennio di ininterrotta permanenza al
ministero, il Brin persegue fino in fondo la sua linea politica e si adopera
all'espansione dell'industria siderurgica e meccanica risollevando con
forniture governative la critica situazione della Ansaldo, favorendo i cantieri
Odero di Sestri Ponente, S. Rocco di Livorno e Tirreno, lo stabilimento
Armstrong di Pozzuoli per le artiglierie, il silurificio Schwartzkopf di
Venezia, patrocinando accordi tra gli stabilimenti Ansaldo di Sampierdarena e
Guppy di Napoli con i più noti costruttori inglesi di macchine marine.
Va ricordato inoltre che veramente ammirevole
è il talento inventivo e la capacità di realizzatore del Brin. Le navi tipo
"Tripoli" e "Folgore", che egli studia, anticipano di dieci
anni i criteri applicati sui cacciatorpediniere.
Le navi tipo "Re Umberto", da lui
progettate, applicano per la prima volta dispositivi contro gli scoppi
subacquei, oltre a segnare il passaggio dalle navi a ridotto centrale a quelle
con artiglierie di grosso calibro unite a numerose batterie di cannoni di medio
calibro protette dai proietti esplodenti.
Caduto il ministero Crispi, il Brin torna al
governo, nel 1892, nel primo ministero Giolitti come ministro degli Esteri,
dopo che è sfumata la sua candidatura alla presidenza del Consiglio. Egli tiene,
dal 25 novembre all'8 dicembre l'interim della Marina, finché non è sostituito
dall'ammiraglio Carlo Alberto Racchia.
Divenuto il Di Rudinì presidente del
Consiglio, dopo la caduta di Crispi in seguito al fallimento della guerra
d'Africa, il Brin entra a far parte del governo come ministro della Marina,
l'11 marzo 1896. Carica che mantiene fino alla data della sua morte avvenuta a Roma
il 24 maggio 1898.
Le ultime unità progettate da Brin sono le
corazzate classe “Regina Margherita” che alla sua morte sono rielaborate dal
Generale del Genio Navale A. Micheli. Nello stesso anno 1898 inizia la
costruzione della capoclasse e nel 1899 è impostata, a Castellammare di Stabia,
la seconda unità alla quale viene assegnato il nome di “Benedetto Brin” [4].
Questa unità, varata nel 1901 e completata
nel 1905, entra in servizio il 1 aprile 1906 e presenta un dislocamento a pieno
carico di 14.574 tonnellate, una lunghezza di 138,8 metri, una
larghezza di 23,8 metri,
e 8,9 metri
di immersione.
Lo scafo è in acciaio, ponte continuo e
sperone a prua; al centro ha una sovrastruttura, larga quanto lo scafo, che va
dalla torre di prua a quella di poppa.
E’ caratterizzata da tre fumaioli, due più a prora affiancati ed uno più
a poppa. Gli alberi sono due con picco di carico e coffe alla estremità del
tronco maggiore, sopra questo ci sono gli alberetti per le antenne degli
apparati radiotelegrafici.
Il suo apparato motore, composto da 28
caldaie alimentate a carbone, fornisce vapore a 2 motrici alternative a
triplice espansione che, con una potenza di 20.000 hp alle due eliche, imprimono
una velocità di 20 nodi.
Motrici e caldaie sono costruite dalla
Hawthor-Guppy di Napoli.
L’equipaggio è formato da 797 uomini, ma
spesso supera le 900 unità quando ospita comandi complessi o quando è impiegata
in determinate situazioni di guerra.
L’armamento principale è composto da 4
cannoni da 305/40 mm, modello 1901, distribuiti in due torri binate poste una
in caccia e l’altra in ritirata. Si tratta del cannone navale Armstrong
Whitworth 12 in/40 Mark IX progettato dalla Elswick Works, ramo inglese
della Armstrong. I primi cannoni prodotti sono forniti al Giappone dove,
denominati Type 41, diventano l'armamento principale di diverse pre-dreadnought costruite per
quella Marina Imperiale.
In seguito il pezzo entra in servizio nella
Royal Navy venendo installato su tre classi di pre-dreadnought e poi è acquistato
anche dalla Regia Marina Italiana, che lo fa costruire su licenza a
Pozzuoli presso i Cantieri Armstrong, per installarlo sulle due navi da
battaglia classe “Regina Margherita” e sulle quattro classe “Regina Elena”.
Memorabile il sollevamento delle torri a Pozzuoli [5].
L’armamento secondario è composto da 4
cannoni da 203/45 mm, modello 1897, posti in coperta ed alloggiati in casematte
corazzate.
Questo cannone navale, prodotto dalla
Armstrong di Pozzuoli, è impiegato da diverse marine. Quella italiana lo
installa sulle due navi da battaglia classe “Regina Margherita” e sulle
quattro “Regina Elena”, ognuna con quattro cannoni in torri singole disposte ai
quattro angoli del ridotto centrale.
In seguito alla dismissione delle navi questo
cannone verrà impiegato come artiglieria costiera e, durante la prima
guerra mondiale, come artiglieria pesante d'assedio su affusto terrestre De
Stefano, con la denominazione 203/45 D.S.
Come ulteriore armamento secondario sono
presenti 12 cannoni da 152/40 mm, modello 1892, disposti nel ridotto, sei per
fiancata.
E’ il famoso QF 6 in/40, un cannone navale progettato
e realizzato nel Regno Unito dalla Armstrong Whitworth , imbarcato
sulle unità navali di molti paesi.
Il pezzo è progettato e costruito, oltre che dalla
casa madre, dalla Royal Gun Factory e su licenza dalla Armstrong-Pozzuoli.
Esso è imbarcato sulle corazzate pre-dreadnought della Royal Navy e sugli
incrociatori corazzati della Marina Imperiale Giapponese. Nella Regia Marina
arma, oltre le corazzate classe “Regina Margherita” e classe “Emanuele
Filiberto”, anche gli incrociatori corazzati tipo “Vettor Pisani” e “Garibaldi”
e l’ariete torpediniere “Piemonte” [6].
Dopo la dismissione di queste unità, i
cannoni sono reimpiegati, fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale,
dai treni armati della Regia Marina e dalle batterie costiere.
Sempre di costruzione Armstrong ci sono, in
funzione antisiluranti, 20 pezzi da 76/40 mm. Questi pezzi sono presenti sia
all’interno del ridotto che in postazioni scoperte [7].
Questo pezzo deriva dal cannone QF12 pounder 12cwt, Armstrong 76/40
Mod. 1897 secondo la nomenclatura italiana, prodotto su licenza dalla Armstrong
di Pozzuoli e dalla Ansaldo di Genova. E’ impiegato dalla Regia
Marina come pezzo antinave imbarcato sulla maggior parte del suo
naviglio sottile fino alla Seconda Guerra Mondiale.
Sono presenti 2 pezzi Hotchkiss da 47/40 mm,
per contrastare piccole unità veloci, Questo cannone a tiro rapido è un pezzo
leggero di artiglieria navale francese, sviluppato nel 1885 e rimasto in
servizio fino alla Seconda Guerra Mondiale.
Infine ci sono e 2 pezzi da 37 mm, il famoso QF 1 pounder
inglese, nonché 2 mitragliere.
Completano l’armamento 4 tubi lancia siluri
da 450 mm,
sistemati 2 sopra la linea di galleggiamento e 2, di costruzione
Armstrong-Pozzuoli, posti sotto il galleggiamento.
La nave è assegnata alle Forze Navali di
Manovra del Mediterraneo e nel 1911-1912 prende parte alla guerra italo-turca,
quale ammiraglia della 2° Squadra Navale. Partecipa al bombardamento dei forti
di Tripoli [8], degli Stretti dei Dardanelli e, con un suo contingente di
marinai, contribuisce ad occupare l’isola di Rodi.
Partecipa poi al bombardamento di Tobruch ed
alla sua occupazione, nonché alle operazioni contro Bengasi e la Cirenaica.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale
l’unità, comandata dal capitano di Vascello Gino Fara Forni, si trova nel porto
di Brindisi, sede del Comando del Basso Adriatico, ed a bordo si trova
l’Ammiraglio di Divisione Ernesto Rubin de Cervin con tutto il suo Stato
Maggiore [9].
Sulla nave sono imbarcati anche sei marinai
puteolani:
Sottocapo Cannoniere Salvatore Chiocca nato a
Pozzuoli il 15 maggio 1891
Cannoniere Scelto Silverio della Volpe
nato a Pozzuoli il 30 marzo 1897
Fuochista Scelto Carmine De Sio nato a
Pozzuoli il 3 giugno 1889
Fuochista Antonio Maiorana nato a Pozzuoli il
13 gennaio 1893
Fuochista Arturo Di Pasquale nato a Pozzuoli
il 14 marzo 1892
Marinaio Ruggiero Cioffi nato a Pozzuoli il 7
agosto 1893
Praticamente la corazzata, come tutte le
maggiori unità italiane, esce solo per esercitazioni poiché la flotta nemica
non lascia i sicuri ancoraggi della costa adriatica orientale. La vita di
bordo, come da foto scattata il giorno 8 settembre 1915, non lascia presagire
l’imminente tragedia [10].
Lunedì 27 settembre1915 ad appena quattro
mesi dall’inizio delle ostilità, la città di Brindisi si sveglia scaldata da un
sole luminoso e si appresta a vivere una quotidianità come tante altre. Sulla
banchina del lungomare si sono radunate un buon numero di persone, per
assistere al suggestivo rito dell’alzabandiera. Esso è considerato un
appuntamento da non perdere, per l’emozione che lo spettacolo è in grado di
suscitare; nel porto ci sono navi francesi, inglesi ed italiane.
Alle ore 8,00, proprio mentre si attaccano le
note degli inni, si sente un violentissimo boato; uno spettacolo spaventoso di
presenta agli occhi dei presenti. La torre poppiera è scagliata in aria, mentre
il fumaiolo e l’albero di poppa, frantumati in piccoli pezzi, ricadono attorno;
poi la nave, ormeggiata nel porto, si inabissa lentamente [11].
La tremenda onda d’urto, provocata dallo
scoppio della santa barbara ha proiettato in alto, per molti metri, poveri
corpi straziati di innocenti marinai.
In considerazione dell’ora della tragedia
tutto l’equipaggio si trova a bordo e dei 943 uomini che in quel momento sono
imbarcati ne muoiono 456 dilaniati dagli scoppi, schiacciati dai crolli dei
ponti e delle paratie, inabissati con la nave.
Tra questi i sei ragazzi puteolani nonché
l’Ammiraglio Rubin de Cevin ed il Comandante della nave.
Fausto Leva, un testimone oculare così descrive
la catastrofe, come riportato nel volume scritto da Teodoro G. Andriani:
«…nel
fumo denso si distinse per un momento la massa d’acciaio della torre poppiera
dei cannoni da 305 mm
che, lanciata in aria dalla forza dell’esplosione fino a metà della colonna,
ricadde poi violentemente in mare, sul fianco sinistro. Pochi momenti dopo,
dissipato il nembo del fumo, lo scafo della Benedetto Brin fu veduto appoggiarsi
senza sbandamento sul fondo di dieci metri e scendere ancora lentamente,
formandosi un letto nel fango molle. Mentre la prora poco danneggiata si
nascondeva sotto l’acqua che arrivava a lambire i cannoni da 152 della
batteria, la parte poppiera completamente sommersa appariva sconvolta e ridotta
ad un ammasso di rottami. Caduto il fumaiolo e l’albero di poppa, si erge
ancora dritto e verticale l’albero di trinchetto.»
E’ tempo di guerra e non appena ha luogo la
deflagrazione il vice ammiraglio Ettore Presbitero, comandante in capo della
piazzaforte marittima di Brindisi, fa uscire subito alcuni mezzi
antisommergibili, per dare la caccia ad eventuali sottomarini in agguato; si
pensa subito al compimento di un’incursione nemica. La caccia risulta vana,
perché ogni varco sottomarino di accesso al porto brindisino è completamente
ostruito da una rete metallica tenuta tesa da galleggianti. Rete accuratamente
ispezionata da due espertissimi palombari che ne accertano l’assoluta integrità.
Ad imbrogliare ancor di più le carte ci sono
poi tante illazioni, anche suggestive, ma difficilmente credibili e
praticabili, su una nave da guerra che per la sua natura è sempre
minuziosamente controllata. Comunque si ventila la paternità dell’attentato
perpetrato dagli odiati nemici austriaci e tedeschi, forti di un attiva
organizzazione di spie.
Si cercano, ma inutilmente, eventuali intrusi
o sabotatori che possano aver preparato l’atto terroristico e, dopo tale
controllo, gli stati maggiori della Marina cominciano a capire che l’ipotesi
“attentato” inizia a vacillare; al contrario, prende corpo la non remota
possibilità di un’autocombustione avvenuta nella grande stiva adibita a
deposito di munizioni.
Tuttavia al governo italiano, in quel
particolare periodo storico, fa comodo diffondere la notizia che la corazzata
“Brin” sia stata distrutta a tradimento da un siluro nemico che ha centrato la
‘santabarbara’.
Ma non sono in pochi coloro, che di cose di
mare se ne intendono, che sussurrano che la nave è saltata per aria perché il
calore della sala motori, troppo vicina al locale della ‘santabarbara’, ha procurato
la combustione della ‘balistite’. Un composto micidiale di nitroglicerina e nitrocellulosa
altamente infiammabile che, con una tremenda reazione a catena, ha innescato
l’incendio e fatto scoppiare tutti gli altri esplosivi depositati nel locale
della sala munizioni. Del contrammiraglio Ernesto Rubin de Cervin si trovano
solo alcune parti del corpo che sono pietosamente composte, ma i resti della
maggior parte dei marinai caduti sono resi irriconoscibili dall'esplosione.
I feriti sono sistemati nel Grande Albergo
Internazionale che, per l’occasione, funge da ospedale militare. Le vittime
sono trasportate al cimitero di Brindisi, nella zona riservata ai caduti militari,
dove, in un mausoleo a loculi, sono tumulati, compresi ufficiali e comandanti
[12].
A Brindisi affluiscono i parenti dei militari
protagonisti della tragedia; la disperazione per la perdita improvvisa dei loro
congiunti è immensa, specialmente quando la maggior parte delle famiglie si
rende conto che mai avrebbero potuto piangere e pregare sulla tomba dei loro
cari.
Tra questi i genitori del sottocapo Salvatore
Chiocca [13]; a Pozzuoli, nella casetta al Borgo Pescatori, resta la giovane
moglie, Amalia Carnevale, con il figlioletto che conta solo un anno di vita.
Questa tragedia, di cui oggi ricorre il
centenario, resta una pagina di gloria della nostra Marina e di diritto appartiene
alla sua Storia; quella Storia che nessuno vuole dimenticare, specialmente
quando è drammatica, tragica e luttuosa.
BIBLIOGRAFIA
A. Cimmino
– La nave da battaglia Benedetto brin
C. Pace –
Benedetto Brin cittadino onorario
G. Chiocca
– Ricordi di Famiglia
G.
Galuppini – Guida alle Navi d’Italia
G.T.
Andriani - La base navale di Brindisi durante la Grande Guerra
www.brindisiweb.it/storia/corazzata_benedettobrin.asp/