Zizula
Una puteolana da non dimenticare
Molti cibi, nel tempo, sono stati abbandonati anche se in passato comunemente usati ogni giorno e facili da trovare sulle tavole dei contadini. Sono così scomparsi anche molti frutti per lasciare spazio a prodotti più facili e meno costosi da riprodurre durante tutto l'anno. Di questa famiglia di dimenticati fanno parte le giuggiole.
Zizula, o Zizzola, è il frutto del giuggiolo che è della forma e grossezza di un oliva, di colore rossastro, di sapore dolce e di umore alquanto viscoso.
In Italia il giuggiolo, secondo Plinio il Vecchio, è introdotto durante gli ultimi anni di Cesare Augusto con il nome di “Zyzyphum”. E’ portato dalla Siria dal Console Sesto Pampinio e la sua coltivazione inizia proprio nell’agro puteolano; ben presto diventa simbolo arboreo del silenzio ed è scelto per adornare i templi della dea Prudenza.
Durante il medioevo ogni casa colonica ha i suoi giuggioli adiacenti alla masseria, nella zona più riparata e meglio esposta al sole, per realizzare ad uso familiare ottime confetture, sciroppi e il famoso, antico liquore “brodo di giuggiole”.
Il suo sapore è così dolce e buono da dare vita al modo di dire "essere in un brodo di giuggiole" che vuol assentire essere felice e appagato. Questa espressione è riportata già nel 1612 nel Vocabolario degli Accademici della Crusca.
Giuggiola frutto del Giuggiolo
Giuggiola frutto del Giuggiolo
Le giuggiole, o zizule, sono le caramelle dell’epoca e per la donna, essere appellata in tal modo, è sinonimo di andare in estasi, essere felice, essere appagata. Sebbene significhi pure essere goffa, anche se non in modo dispregiativo, è comunque un complimento al pari d’essere considerate come delle eterne e tenere bambine.
Appellativo, dunque, molto utilizzato nel corso dei secoli ed affibbiato a tantissime fanciulle di cui solo una balza, se non alla storia, alle cronache locali.
Quest’unica donna è puteolana come noi e ancor prima di noi; a sua memoria una tardiva testimonianza che la ricolloca nel suo naturale paesaggio purtroppo funestato da sinistri bagliori. Questo testimone la ricorda cavalcare nella più tremenda notte che Pozzuoli abbia vissuto; notte devastatrice ed elargitrice di cattivi presagi per tutti i Campi Flegrei.
Con la famosa eruzione del 29 settembre 1538, che porta alla formazione del Monte Nuovo, scompare l'intero villaggio di Tripergole sconvolgendo la fisionomia dei luoghi. I segni premonitori dell'eruzione, già avvertiti con terremoti e sollevamento del suolo, diventano sempre più intensi e frequenti e causano lo spopolamento del villaggio che pertanto non registra vittime.
La nuova bocca vulcanica copre il castello di “tre pergule e tutti quelli edifici et la maggior parte dei bagni che erano intorno".
Dalla dichiarazione di Antonio Castaldo apprendiamo che verso le ore due di notte si sente un forte terremoto al quale segue un gran tuono, come di molte bombarde sparate insieme. Non sapendo da cosa fosse provocato questo rumore i puteolani escono nelle strade e nelle piazze domandandosi l’un con l’altro che cosa sia. Appena apprendono che in località “Tre Pergule” è emersa una voragine non ardiscono alzare gli occhi al cielo temendo prossima la rovina e l’eccidio. Un gran numero di sacerdoti, di uomini, di donne e di verginelle scalze e scapillate in processione e con le lagrime agli occhi visitano ora questo ora quel tempio piangendo e pregando il signore Iddio.
Ma non restano molto nei loro dubbi e subito, con le loro donne e figlioli, fuggono per la maggiore verso Napoli e, come riferisce anche il cronista Marco Antonio Delli Falconi, "fuggendo la morte col volto però depinto dei suoi colori".
Mezzo secolo dopo, ovvero nel luglio 1587 in occasione di una ricerca aperta dalla Università Puteolana (autorità comunale) sull’Ospedale di Tripergole, rileviamo l’interessante testimonianza del signor Antonio Russo che al tempo dell’eruzione abitava in quella sfortunata località.
Esso testimonio, ormai ultra ottantenne, ricorda al tempo che era figliuolo, che andava alla festa di S. Spirito e questa chiesa stava dentro il castello nominato Tri Pergola. In detta festa si acquistavano cibi e prodotti artigianali, si ballava e tutta la città di Pozzuoli correva a detta festa.
Nella parte bassa di detto castello vi era un ospedale, comunque al di sopra dei bagni termali, ed esso testimonio, entrato spesso in detto ospedale, vi vedeva circa 30 letti nei quali dimoravano molti infermi forestieri e cittadini; tutti bisognosi di bagni sudatori.
Petrus de Ebulo - Balneum Tripergulae
L'anno 1538 nel giorno di San Geronimo (28 settembre all’una di notte) si sentì un gran terremoto, il quale allo spesso pigliava e lasciava, e tutta la città si mise in rivolta e quasi tutta si svuotò andando chi a Napoli e chi per le campagne. Chi fuggiva in un luogo, e chi in un altro e pareva che il mondo volesse subissare, e la gente fuggiva persino nuda non avendo avuto il tempo di rivestirsi.
Antonio Russo aggiunge che fuggendo anche lui, insieme coi suoi figli e sua moglie, ritrova alla porta di Pozzuoli una donna di cui non conosce il vero nome ma da tutti detta Zizula, moglie di mastro Geronimo Barbiero, la quale andava in camicia da notte in groppa ad un somiero cavalcando alla maniera mascolina. Zizula era scapellata, ovvero con i capelli sciolti, ma avanzava maestosa mentre attorno a lei tutti piangevano e gridavano misericordia.
E’ indubbio che l’ottuagenario testimone in questa sua deposizione, fatta sotto giuramento, rievoca un giovanile dolce ricordo che poca appassiona gli scriventi azzeccagarbugli attirati solo da quanto possa essere attinente al vecchio ospedale.
Probabile che Antonio Russo abbia conosciuta Zizula ben prima della notte dei fuochi, forse proprio in occasione di qualche festa presso il castello di Tripergola oppure presso la bottega del marito Geronimo il cui cognome, Barbiero, lascia libera supposizione al mestiere che potesse esercitare.
Certo è che Zizula con la dolcezza del suo carattere, e con la sua probabile bellezza, avrà ammaliato l’allora fanciullo e poi, rincontrata anni dopo alla porta di Pozzuoli, avrà nuovamente turbato i pensieri dell’uomo ormai sposo e padre.
La fugace e sensuale visione di Zizula resta impressa nella sua mente e mai più sarà dimenticata nel corso della sua lunga vita. Ora, davanti all’assise riunita, si sente autorizzato a farla uscire dalla sua venerazione e consegnarla per sempre ai posteri ed alla leggenda.
Una leggenda di gustosa sensualità medioevale, un erotismo dolce e ambiguo, in armonia con i tempi, che lascia spazio a una garbata fantasia.
Tutto ci riporta al racconto di Lady Godiva che, per contestare l’azione vessatoria del marito verso i contadini di Canterbury, esce nuda a cavallo ma pretende che nessuno veda. Nel contempo ci riporta pure a vecchi riti pagani che, per garantire fertilità alla terra ed alle popolazioni, esigono che in primavera una fanciulla giri per il villaggio nuda su di un asinello.
Sia l’una che l’altra leggenda permettono al popolino povero e sfortunato, grazie ad un gesto generoso a sfondo sociale, di poter fruire per una volta di una visione sorprendente e proibita.
Per gentile concessione del Maestro Antonio Isabettini
Il nostro testimone fotografa Zizula che avanza risoluta con l’asino verso provvisorie ma sicure mete; con il capo chino ed i capelli sparsi, in una nudità composta, ella indica ai puteolani i luoghi dove ricominciare e questo gesto resta simbolo perenne della diaspora che questo popolo ha troppo spesso dovuto affrontare.
L’immaginaria foto della sua fuga è paragonabile a quella dei bimbi vietnamiti che scappano dal terrore del napalm ma anche ad una splendida donna colma di luce benedetta che non deluderà chi saprà accoglierla. Lei cavalca un asino che nello stesso tempo rappresenta sia l’animale degli umili sia una divinità Mediterranea. Anche Cristo entra a Gerusalemme trionfalmente cavalcando un'asina per simboleggiare la sua vittoria sulle forze maligne.
Zizula è una sorta di eroina da strada e, qualunque sia la verità o l’interpretazione che vogliamo dargli, resta il fatto che nessuna meglio di lei potrà essere presa a simbolo delle donne puteolane.
Die 30. Mensis Julii 1587. Puteolis.
Magnificus Dominus Antonius Russus de Puteolis aetatis annorum octuaginta et plus in circa testis summarie productus, et medio suo juramento interragatus, et examinatus super tenore Memorialis magnificae Universitatis Puteolanae, dicit:
Ch’esso testimonio si ricorda a tempo, ch’era figliuolo, che andava alla festa di Santo Spirito, la quale chiesa stava dentro il castello nominato Tripergola, ed in detta festa se ci spendevano per il Mastri le cerase, e se ci abballava, dove concorreva tutta la Città in detta festa, ed in detto Castello vi era un Ospedale dalla parte di basso sopra li bagni terranei, ed esso testimonio entrava dentro detto Ospedale, e vi vedeva da circa trenta letti più, e meno, nelli quali dimoravano molti infermi forestieri, e cittadini, li quali aveano di bisogno de’ bagni sudatori, per tutte infermità, ed anco vi stava la strada, la quale da passo in passo era situata, ed abitata da più persone, delle quali esso testimonio se ne ricorda circa tre osterie, le quali servivano per li Cavalieri, che andavano alli bagni, e persone faccoltose, che avevano denari da spendere; e giontamente in detta strada con dette Osterie vi stava una Speziaria, la quale crede esso testimonio, che stasse là per beneficio di detto Ospedale, e dopo essendo venuto in età più perfetta, vedeva esso testimonio, che detto Ospedale di Tripergole si esercitava per li Mastri, delli quali si ricorda molto bene, che un’anno vi fu Mastro il quondam magnifico Parise Adamiano di Pozzuoli, il quale poi continuamente ne teneva protezione, e dopo di là a certi anni, e proprio l’anno 1538, nel giorno di San Geronimo si sentì per detta Città un gran terremoto, lo quale allo stesso pigliava, e lasciava, e tutta la Città si mise in rivolta, e quasi tutta disabitò, ed andò in Napoli, e per le campagne, chi fuggiva in un luogo, e chi in un’altro, e pareva, che il mondo volesse subissare; e le genti fuggivano etiam alla nuda, ed uscendo esso testimonio co’ suoi figliuoli, e sua moglie, ritrovò alla porta di Pozzuoli una donna nominata Zizula, moglie di Mastro Geronimo Barbiero, la quale andava in camicia a cavallo ad uno somiero alla mascolina scapillata: e tutti piangevano, e gridavano: Misericordia! E come fu verso un’ora in due di notte, uscì una bocca di fuoco, vicino al detto Ospedale, nel luogo nominato la Fumosa da dentro mare, e menava gran moltitudine di pietre pomici, e di arena, e si sentivano gran tuoni, e lampi; ed in cambio di acqua pioveva arena, e venne detta bocca di fuoco così aperta ad accostarsi al Castello, ed Ospedale di Tripergole, e tutto lo sconquassò, e rovinò, e poi lo empì di arena, e di pietre, e vi fece una montagna nuova in ventiquattro ore, dove infino ad oggi si vede.