lunedì 26 maggio 2025

I Fratelli Ferraro - Primi Sportivi Puteolani

 GUIDO E MARIO FERRARO

PRIMI SPORTIVI PUTEOLANI

La loro vita tra giochi, passioni, guerre, emozioni, amori e curiosità


Nella Pozzuoli di fine Ottocento - primi anni del Novecento, lo sport rappresenta un aspetto del tutto secondario della vita cittadina. Solo un ristretto gruppo di giovani dell’agiata borghesia, e della piccola nobiltà, si cimenta in alcune discipline come la scherma, il ciclismo, la caccia, l’equitazione; tutte attività che richiedono una costosa attrezzatura.

Gli operai scoprono la ginnastica, il canottaggio, il podismo, il calcio ed il nuoto; discipline che non necessitano di investimenti da parte dei singoli.

L’amico Gennaro Gaudino, giornalista e massimo storico dello sport puteolano, nel suo libro “La Tradizione Sportiva Puteolana – Storia e Ricordi dal 1902” (pubblicato nel 2018), ci informa che risalgano al 1902 le prime notizie su avvenimenti sportivi nella zona Flegrea e sulla nascita di circoli sportivi rivolti ai giovani; con l’intento di favorirne lo sviluppo delle forze fisiche ed intellettuali.

 

Il primo giornale che riporti una specifica gara ed i nominativi dei vincitori è “La Stampa Sportiva” di Torino (giornale fondato nel gennaio del 1902) che in data 6 settembre 1903 ci informa di due gare di nuoto, svoltasi nel golfo di Pozzuoli, e dei suoi partecipanti. Vincitori della prima di queste gare, organizzate dal Circolo “Virtus”, sono Guido e Mario Ferraro.

Il giornale scrive:

«Nella ridente baia di Pozzuoli hanno avuto luogo due gare di nuoto sul percorso di 1.250 metri. Nella prima di queste gare giunsero primi i fratelli Guido e Mario Ferraro con il tempo di 32 minuti e 17 secondi; terzo il signor Ascione con il tempo di 37 minuti e 5 secondi.»

Dalla lunghezza del percorso e dai tempi impiegati si ha motivo di ritenere che Guido, o Mario viceversa, abbia atteso il fratello per tagliare insieme il traguardo. Si ritiene che sia quasi impossibile arrivare insieme in una gara di nuoto svolta su di un percorso di 1.250 metri e che richiede un tempo di oltre 30/35 minuti. Probabilmente avranno fatto in modo di vincere insieme, aspettandosi, ma senza dare il destro per essere battuti dal nuotatore Ascione che arriverà terzo sopraggiungendo con circa cinque minuti di ritardo.

 


Immagine tratta da "La Tradizione Sportiva Puteolana – Storia e Ricordi dal 1902" di Gennaro Gaudino


L’estate seguente Guido Ferraro inizia fantastiche navigazioni con la sua barca a vela, la mitica Zizià; imbarcazione armata con due vele latine, maestra e mezzanella, oggi totalmente abbandonate.



La barca è stato il regalo, per la conseguita laurea in giurisprudenza, ricevuto da sua zia Clotilde, sorella maggiore di sua Madre che ha sposato suo nonno Francesco rimasto vedovo. La barca ha questo strano nome che deriva dal soprannome con cui in Famiglia è chiamata la zia, e nonnastra, Clotilde che l’ha regalata.

Zizià è una delle pochissime unità da diporto padronali del golfo e per anni Guido sarà tra i promotori della costituzione di un “Reale Yacht Club Puteoli” al quale, come insegna, vorrebbe donare la fiamma di Famiglia che sventola all’albero principale della barca e che ancora oggi è possibile ammirare in casa di suo figlio, ammiraglio Renato Ferraro.


Il 18 settembre  dello stesso 1904 il giornale “PUTEOLI”, Gazzetta del Circondario di Pozzuoli,  scrive che in occasione delle feste dell’Addolorata il “Club Virtus”, ridente ritrovo di baldi ed eleganti giovanotti, presieduto dal notar Giovanni Oriani, volle dare delle gare di nuoto, che riuscirono importanti e emozionanti per il valore dei nuotatori e per il lungo tratto da percorrersi.

Le gare erano due; una di velocità, l’altra di resistenza.

Giunse per primo, superando non lievi difficoltà, il giovane Mario Ferraro, allievo del Collegio Militare di Napoli. Un simpatico, gagliardo ed intraprendente tipo di sportman che conta al suo attivo non lievi vittorie; una promessa valida e sicura per il nostro esercito.

Mario Ferraro, malgrado questa prima ed interessante vittoria, volle, nulla curando, pigliar parte, fuori gara, anche alla seconda, riuscendo primo pure in questa.

 


Immagine tratta da "La Tradizione Sportiva Puteolana – Storia e Ricordi dal 1902" di Gennaro Gaudino


Ma chi sono i Fratelli Guido e Mario Ferraro, e che rapporto hanno con Pozzuoli?

Guido e Mario sono due tra i numerosi figli di Maria Antimo Luigi Ferraro di Silvi e Castiglione (Napoli 19-12-1845 + 20-01-1913), marchese,  avvocato, Consigliere, Assessore, Vicesindaco e Sub Regio Commissario del Comune di Napoli, Ufficiale dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia.

Luigi Ferraro è proprietario di un ridente villino a Pozzuoli, conosciuto all’epoca come “Casina alla Starza”, o “Villa Ferraro”. Questo immobile sarà in seguito acquistato dalla famosa imprenditrice Maria De Sanna e trasformato nella imponente “Villa Maria”, in stile Liberty, dedicata alla memoria della Madre che fu moglie del finanziere, impresario e commendatore Roberto De Sanna.

Poi, nel 1929, “Villa Maria alla Starza” sarà acquistata dalla Famiglia Peluso ed oggi, completamente espropriata, risulta abbattuta per far posto alla erigenda nuova stazione della “Ferrovia Cumana”.

 


La “Casina alla Starza”, con annesso Territorio, è stata, fin dal cinquecento, una masseria di proprietà dalla Mensa Vescovile di Pozzuoli annualmente concessa in enfiteusi. Nel 1844 è acquistata, all’asta giudiziaria, da Francesco di Paola Ferraro (Napoli 2-9-1816 + 30-3-1870), Consigliere particolare di Re Francesco II delle Due Sicilie, Avvocato della Corona.

Francesco di Paola Ferraro realizza una residenza padronale al di sopra del Casone e del Cellajo dell’antica masseria; costruisce una edicola votiva dedicata a San Francesco da Paola di cui è devoto (come pure il suo Re), e ricava un elegante e marmoreo gazebo agli estremi confini del Territorio. L’intera tenuta diventa un confortevole “casino di delizie” dove trascorrere vacanze e momenti di relax; vicini al mare e immersi nella quiete e nel verde di una fattoria di circa quattro moggia condotta da una famiglia di agricoltori; primi coloni sono state alcune generazioni della Famiglia Daniele, in seguito della Famiglia Monaco.

Alla morte di Francesco Ferraro la Casina, come pure il piano nobile del Palazzo di Napoli, passa al primogenito Luigi continuando però ad essere usufruita anche dagli altri figli; ovvero Enrico, Eugenio, Clotilde, e loro discendenti.

Luigi Ferraro sposa Matilde Caterini, sorella di Cleonice Caterini che sposa Eugenio fratello di Luigi, e sorella della già nominata Clotilde Caterini che sposerà suo Padre Francesco, quando resterà vedovo.

Luigi e Matilde saranno genitori di Riccardo nato nel 1875, Valentina nata nel 1877, Guido nato nel 1880, Mario nato nel 1885, Maria nata nel 1889 e Immacolata nata nel 1891. Molte vecchie foto di famiglia li ritraggono a Pozzuoli; teatro delle loro vacanze e delle loro avventure.

 


L’ammiraglio Renato Ferraro, figlio di quel Guido giunto primo insieme al fratello Mario nella gara del 1903, così scrive:

«Mio Padre fu sempre molto orgoglioso di questa sua vittoria e in genere della sua resistenza al nuoto. Inoltre, siccome era solito fare lunghissime nuotate, tra l’altro partendo da Pozzuoli andava a Nisida e tornava, aveva preso l’abitudine di mangiare nuotando.»

Ad avvalorare quanto scritto invia una vecchia foto del 1907 con il padre Guido (il primo a sinistra) nello specchio d’acqua antistante il Lido Ortodonico (precedente al Lido Spina), con in mano un grappolo d’uva che si accinge a mangiare.

 


All’epoca nella Famiglia Ferraro è invalso l’uso di chiamare i bambini con dei nomignoli; Ame per Amerigo, Vale per Valentina, Mimià per Maria, Tracola per Immacolata (diventata poi Babà per la sua dolcezza).

Fratelli e cugini usano chiamare Guido Co’, da Cotto, per le cotte che continuamente prende; però, poiché alla delusione amorosa segue in genere una crisi mistica e dice di voler farsi prete, in tale fase lo si chiama Pre'.

Prima di sposarsi (piuttosto tardi, a 46 anni) è stato, per i suoi tempi, un grande viaggiatore, ma anche un grande “tombeur de femmes”. In uno dei suoi viaggi ha occasione di conoscere una signorina triestina, sorella di un allora celebre scrittore. Fra i due sorge una disputa circa la rilevanza del cibo in un contesto romantico; la “mula” si dichiara decisamente contraria, ritenendo che il solo parlar di mangiare sia una volgarità.

Un bel giorno la signorina, forse con qualche mira matrimoniale, si presenta a Napoli “en touriste”, e Guido, gradendolo molto, crede sia suo dovere di farle da cicerone. Nel contempo però pensa che sia giunto il momento di riaffermare il proprio punto di vista sulla vecchia querelle. La povera triestina è trascinata a piedi (il racconto originale romanticamente riporta che è trascinata sul cavallo di San Francesco) per tutti i moltissimi luoghi di Napoli degni di essere visitati, completando, sempre a digiuno, il giro con un’ascesa alla collina di Posillipo. Finalmente, quando è ormai esausta e mezza morta d’inedia, Guido la porta al leggendario “Scoglio di Frisio”, dove la incauta “mula” s’ingozza di leccornie napoletane fin quasi a sentirsi male!
Quale fosse stato, poi, il guiderdone per questa sua vittoria morale, le cronache non lo tramandano. Sappiamo che il giorno dopo Guido gli farà visitare, questa volta in auto, le bellezze flegree.

 


Il nostro Guido (che abbiamo visto sportivo, cicerone, avvocato ed anche buontempone) quale ufficiale di artiglieria, farà anche lui la guerra sul serio e finisce poi per sposarsi proprio una austriaca (Hildegard Rupprecht von Virtsolog, nata a Baden – Austria nel 1889) che per scherzo chiama “La Nemica”, come il titolo di una celebre commedia di Dario Niccodemi.

Il loro primo figlio Luigi, nato nel 1927, muore a Cassino nel maggio del 1944 ed il secondo Mario, nato nel 1930, morirà solo due mesi dopo la morte del fratello, nel luglio del 1944, investito da un camion militare americano nel mentre attraversa via Campana, a Pozzuoli.

Resta in vita il suo terzogenito Renato Ferraro di Silvi e Castiglione, nato nel 1934, ammiraglio e poi Comandante in Capo della Guardia Costiera.



Di Mario Ferraro, secondo sportivo della Famiglia, il giornale “Puteoli” nel 1904 scrive che si tratta di un simpatico, gagliardo ed intraprendente tipo di sportman che conta al suo attivo non lievi vittorie. Aggiunge che è allievo del Collegio Militare di Napoli, quindi una promessa valida e sicura per il nostro esercito.

Sappiamo che Mario frequenta la “Nunziatella” di Napoli e poi l’Accademia Militare per l’Arma di Artiglieria, all’epoca con sede a Torino, e che nei suoi giovani anni da ufficiale, oltre che ottimo nuotatore, sarà un grande schermitore ed un eccellente cavaliere.

Anche lui, da bambino, ha avuto in Famiglia il suo nomignolo; alquanto curioso che val la pena raccontare.

Mario è il più piccolo tra tutti i fratelli e cugini; comunque sempre gioca con loro alla guerra, sia negli androni del grande Palazzo Nobiliare di Napoli che nei giardini della Casina alla Starza di Pozzuoli.

Oltre al fratello Guido partecipano ai giochi i cugini  Gustavo, Renato, Sara (benché sia una femminuccia) e Amedeo; quest’ultimo sarà un Pioniere della nascente Aviazione, ma purtroppo cadrà con il suo aereo nel corso della Grande Guerra.

Mario, come Nemecsek il piccolo dei “Ragazzi della via Pal”, è ammesso a partecipare a tutte le battaglie a condizione che faccia la parte del nemico, ovvero dell'Abissino; siamo a fine ottocento nel pieno delle prime guerre coloniali.

Poiché il più celebre capo abissino è Ras Mangascià, Mario è chiamato Mangascià, da cui il più familiare “Scianiello”; questo soprannome lo segue per tutta la sua lunga carriera militare, che si concluderà con il grado di generale di divisione.

Nel corso della Grande Guerra Mario, comandante di una Batteria, farà visita a suo fratello Guido, anche lui nella stessa arma, che si trova sul Monte Grappa e in questa occasione si faranno ritrarre insieme. Normalmente Guido Ferraro, a destra nella foto, ha sempre un'aria fascinosa, ma qui il fratello Mario lo batte.

 


Quanto al fascino di Mario va detto che è stato un grandissimo conquistatore per tutta la vita; ha avuto a lungo un'amante tedesca che si rifà viva dopo la guerra, ma intanto lui, generale in pensione da vari anni, si è sposato con Lia Macrelli, professoressa presso la Università di Bari.

In questa città, durante l'occupazione alleata, essendo noto per la sua adamantina onestà, riceve il delicatissimo incarico di “Commissario agli alloggi”, ovvero delle abitazioni da assegnare ai sinistrati di guerra.

 

Negli anni cinquanta sua cugina Sara Ferraro, rimasta fino alla fine un'inguaribile monarchica, si reca in pio pellegrinaggio a Cascais (Portogallo) a rendere omaggio a Umberto II di Savoia, colà in esilio.

Sara, che ricordiamo tra i ragazzi a giocare alla guerra nei giardini alla Starza di Pozzuoli, ha avuto tre fratelli caduti nel corso della Grande Guerra ed altri due ufficiali di carriera che Umberto avrebbe potuto conoscere.

«Sono la sorella dei colonnelli Renato e Decio Ferraro del Regio Esercito, che Vostra Maestà ha forse conosciuti.»

«No, signora, mi dispiace. Ma ho conosciuto e frequentato il generale Mario Ferraro, detto “Scianiello”, mio istruttore in Accademia.»

Insomma, un titolo confermato con “rescritto reale”.

 

 

 

REFERENZE

G.GAUDINO, La Tradizione Sportiva Puteolana – Storia e Ricordi dal 1902 - Edito nel 2018

R.FERRARO, Note Autobiografiche – 2014

H. FERRARO, https://first-life-original-life.blogspot.com/

G.PELUSO, https://giuseppe-peluso.blogspot.com/search?q=FERRARO

 

N.B. - Le foto senza didascalia sono pubblicate per gentile concessione della Famiglia Ferraro

 

GIUSEPPE PELUSO – MAGGIO 2025


martedì 15 aprile 2025

Cavalleggeri Aosta



RIONE CAVALLEGGERI AOSTA

Area di passaggio e di frontiera in cui si respira la storia dei Lancieri Aosta e delle Fabbriche Napoletane



Incastrato tra Bagnoli e Fuorigrotta troviamo il rione Cavalleggeri d’Aosta, un popoloso quartiere di Napoli come i vicini Pianura e Soccavo.

Geograficamente appartengono ai Campi Flegrei e storicamente sono da sempre integrati nella Diocesi di Pozzuoli.

Il Rione Cavalleggeri si sviluppa all’interno di un triangolo i cui vertici sono costituiti dalla Chiesa di S. Maria Solitaria in via Diocleziano, dalla chiesa dei Sacri Cuori di Gesù e Maria a piazza Neghelli e dalla chiesa di S. Ciro in via Carnaro.

 

Il fulcro del rione è nelle traverse e sullo stesso omonimo viale; ottocento metri di trafficato asfalto che attraversava un area di passaggio e di frontiera, tra zone industriali, quartieri operai e quartieri militari.

Nei primi anni trenta del novecento in vicinanza del Tiro a Segno di Campegna e della Piazza d’Armi di Coroglio, su di una superficie di oltre 115.000 mq, è realizzata  la caserma di cavalleria intitolata al Conte di Torino. Trattasi di Vittorio Emanuele di Savoia-Aosta, Conte di Torino per nomina dello zio re d’Italia Umberto I° e comandante della Cavalleria Italiana nella Prima Guerra Mondiale.

 


Con la riforma del Regio Esercito si sta provvedendo alla nuova dislocazione dei Corpi d’Armata e si ha intenzione d’aggregare un reggimento di cavalleria alla Divisione acquartierata a Napoli. L’antica caserma della cavallerizza a Chiaia è diroccata ed è impensabile ripristinarla in una zona ormai centrale, giusta quindi l’idea di realizzarla in aperta campagna non lontana dal nuovo passante ferroviario e dalla Piazza d’Armi.

La scelta del reggimento di cavalleria ricade sul glorioso “6° Lancieri d’Aosta”, fondato il 16 settembre dell’anno 1774 (250 anni questo settembre 2024), che si distingue in innumerevoli fatti d’arme dalle Guerre Napoleoniche, alle Campagne del Risorgimento, alla Grande Guerra.



Nel primo dopoguerra “Aosta” vive le vicende del “ripensamento” della Cavalleria, da molti già ritenuta anacronistica; pertanto il 20 maggio del 1920 perde la “lancia” come arma principale ed assume la denominazione di “6° Reggimenti Cavalleggeri di Aosta”.

Il primo ottobre del 1932 avviene il trasferimento da Ferrara alla nuova caserma di Napoli e contemporaneamente è battezzato con lo stesso nome del reggimento il nuovo viale che collega la caserma con l’antica via Regia, oggi via Diocleziano.

Poco più di un anno dopo, l’otto febbraio del 1934, il reggimento riassume la denominazione tradizionale di “Lancieri di Aosta”; riprende il fregio dei “lancieri” ma mantiene invariato l’armamento più moderno dei “cavalleggeri”. 

Ma il viale, appena battezzato, non muta il suo nome; resta come “Cavalleggeri Aosta” tramandando per sempre un titolo che nella realtà il reggimento di riferimento ha avuto solo per breve tempo.



Non solo, in breve tempo il suo toponimo si estende all’intero rione che va formandosi attorno ed in seguito anche ad una nuova stazione della metropolitana realizzata per meglio servire questo popoloso agglomerato.

 


Il reggimento dei Lancieri è formato da due gruppi (corrispondenti ai battaglioni delle fanterie) a loro volta composti da tre squadroni (corrispondenti alle compagnie delle fanterie) montate a cavallo più uno squadrone mitraglieri autocarrati.

Intanto la politica espansionista del fascismo porta ad incrementare la consistenza del reggimento e nel 1935 sono costituiti altri due gruppi di mitraglieri; ognuno su tre squadroni ed uno squadrone comando.

Non potendo essere ospitati nella caserma “Conte di Torino” il III Gruppo è costituito a Torre Annunziata ed il IV Gruppo a Baia. In quest’altra località flegrea i lancieri sono alloggiati nelle palazzine popolari rimaste vuote allorché le maestranze dei chiusi Cantieri Navali di Baia sono trasferite, unitamente alle Famiglie, presso i cantieri navali di Castellammare di Stabia.



Il 27 settembre 1935 i circa 500 lancieri del IV Gruppo di Baia, comandati dal maggiore Travaglianti, si imbarcano per Mogadiscio dove ricevono autocarri Ford e con questi conquistano Neghelli in Etiopia.

Gli squadroni rimpatrieranno nella tarda primavera del 1937 e saranno subito disciolti, ma il reggimento, seppure diviso in Gruppi, parteciperà all’occupazione dell’Albania e alle offensive in Grecia ed in Africa.

Ma la caserma, ancora con funzione deposito di reggimento, sarà minata ed in gran parte distrutta dai tedeschi nel settembre del 1943; i cavalli, scappati nei prati dei dintorni, forniranno un caldo e sostanzioso pasto a molti sfollati.

Il boom economico del dopoguerra favorisce il mercato edilizio che si mangia la zona rurale; sparisce il verde e, al costo d’un alto tasso d’inquinamento, si costruisce a ridosso della ILVA, della CEMENTIR e della ETERNIT.

La vivibilità è sacrificata in nome del lavoro che sfama migliaia di famiglie che ben presto formano una comunità locale peraltro integrata nelle tradizioni partenopee. Come non ricordare due “grandi” musicisti figli di questo rione; Beppe Vessicchio che vi nasce nel marzo del 1956 e Gigi D’Alessio qui nato nel febbraio del 1967.

La crisi economica della metà degli anni '80 decreta la chiusura delle industrie e lo sgretolamento del tessuto sociale prosperato all’ombra delle ciminiere.

Anche un pezzo della storica caserma è demolito per accogliere i container che ospitano parte dei terremotati del 1980. Il campo è sgombrato dopo una decina d’anni e al suo posto nasce un presidio dei carabinieri ma, purtroppo, la porzione di caserma ancora in piedi resta abbandonata.



 

GIUSEPPE PELUSO

Pubblicato su Segni dei Tempi di settembre 2024



 

sabato 12 aprile 2025

Teatro Sacchini

 


LA FABBRICA DEI SOGNI DI POZZUOLI

Il SACCHINI

Un Teatro tra Belle Epoque e Termalismo



L’area della villa comunale, dedicata al poliziotto medaglia d’oro Pierluigi Rotta, fino al 1885 è conosciuta come largo Malva [fig. 1].



E’ prevalentemente utilizzata da pescatori per alare barche e stendere reti; inoltre ospita un antico cantiere navale che realizza lance e gozzi, l’attuale via Cesare Battisti è conosciuta come via Cantiere [fig. 2]



Nello stesso anno la zona è ceduta in uso al nascente Stabilimento Armstrong che qui ammassa i macchinari, provenienti dalla casa madre inglese, sbarcati nel porto puteolano.

Il largo Malva, sgomberato da questo materiale, nel 1887 è risistemato a villa comunale dedicata al musicista Antonio Maria Gaspare Sacchini, erroneamente ritenuto nativo di Pozzuoli [fig. 3].



Negli ultimi anni dell’ottocento sulla parte settentrionale dell’area [fig. 4] 



il Municipio fa progettare e costruire, da Gaetano Volpe, un teatro che, completato nel 1906, è anch’esso dedicato al compositore Antonio M. G. Sacchini.


Questo teatro è un’opera architettonica di grande pregio artistico; nella sua forma ovale, con platea e palchi ai piani superiori, ricalca la disposizione dei classici teatri italiani [fig. 5].



Il Sacchini, unico teatro di Pozzuoli e dintorni, per lunghi anni ospita prestigiose compagnie teatrali, opere liriche e concerti.

Sono gli anni della Belle Epoque, del Liberty e del Termalismo Flegreo che registra i favori di una Clientela colta e benestante; gli ospiti degli stabilimenti termali e balneari amano trascorrere piacevoli serate tra passeggiate, concerti, caffè e teatri.

Sono talmente tante le rappresentazioni che, per evitare reciproco disturbo, si ritiene opportuno trasferire l’adiacente Cassa Armonica, in cui si esibisce la locale Banda Musicale, nella centrale piazza oggi detta della Repubblica [fig. 6].



Il Teatro Sacchini  ospita compagnie famose come la De Riso e nello stesso tempo compagnie locali come quella diretta dal regista, attore e musicista Procolo Matarese [fig. 7].



Il 7 giugno del 1914 il Conservatorio San Pietro a Maiella di Napoli partecipa alle celebrazioni del restauro della tomba di Pergolesi e per l’occasione la sua orchestra esegue nella cattedrale di Pozzuoli lo “Stabat Mater” con la soprano Ines Maria Ferraris. In serata, al Teatro Sacchini, Salvatore Di Giacomo tiene un discorso commemorativo seguito da una impareggiabile esecuzione della “Serva padrona”, accolta da applausi interminabili; solisti ancora la soprano Ines Maria Ferraris, la mezzosoprano Argia Casano e il baritono Giuseppe Kaschmann.

Nel maggio del 1917, in piena Grande Guerra, le cronache riportano la presenza, al teatro Sacchini di Pozzuoli, di Antonio de Curtis, il principe della risata.

Preziosa è la notizia che nel 1920 in questo teatro è eseguita la ‘prima assoluta’ del più bel canto degli emigranti mai scritto. Si tratta della canzone “Santa Lucia Luntana” di E.A. Mario cantata al Sacchini da Fulvia Musette, una bellissima e apprezzata cantante dei primi del ’900 [fig. 8].



Con l’avvento del regima fascista al teatro è addossato un nuovo edificio, realizzato dall’ingegnere Nicola Ercieri, che ne ripropone le linee architettoniche; si tratta della “Casa del Fascio” e dell’alta “Torre Littorio” [fig. 9].



Negli anni del ‘consenso’  il teatro Sacchini è sempre più utilizzato per riunioni e adunate del Regime tanto che per talune manifestazioni in alto all’edificio compare la scritta “Teatro Littorio” [fig. 10].



Nello stesso periodo sulla balconata del piano superiore sono sistemati degli altoparlanti da cui, il sabato pomeriggio, gli scolari possono ascoltare le trasmissioni di “Radio Rurale” che ha propositi educativi oltre che propagandistici. La domenica mattina sono i contadini che qui si riuniscono perché va in onda “L’Ora dell’Agricoltore” [fig. 11].



Dagli stessi altoparlanti i puteolani apprendono, direttamente dalla voce del Duce, grandi e tragiche notizie come la conquista dell’Impero e la dichiarazione di guerra [fig.12].



Il Teatro si adegua ben presto alla proiezione cinematografica che, già dal periodo bellico, diventa attività principale; la stessa Sofia Loren nelle sue memorie e interviste lo nomina spesso per avervi visionato memorabili pellicole e indimenticabili attori [fig. 13].



Il Cinema Teatro Sacchini, come il “Nuovo Cinema Paradiso” di Tornatore, resiste alle nuove mode perché suoi diretti concorrenti sono il “Cine Teatro Lopez” e due Arene con sala scoperta; pertanto, specialmente nei mesi freddi, continua ad essere frequentato da un pubblico affezionato [fig. 14].



In seguito, con l’apertura delle più Moderne sale cinematografiche “Mediterraneo” e “Serapide”, gli incassi diminuiscono e si è costretti a proiettare film scadenti e diversificare le offerte ospitando convegni politici e riunioni di pugilato [fig. 15].



Nel corso degli anni cinquanta la confinante ex “Casa del Fascio”, che dall’immediato dopoguerra è stata trasformata nella Scuola Elementare Giovanni Bovio, nonostante varie manifestazioni popolari è da Demanio destinata ad ospitare il Commissariato di Polizia di Pozzuoli [fig. 16].



All’inizio degli anni sessanta per i gestori del Cinema Teatro Sacchini diventa favorevole la proposta di cedere anche questo fabbricato al confinante Commissariato di Polizia”. Della struttura resta la sola facciata, il suo interno è completamente sventrato e adibito a garage, proprio come succede al “Nuovo Cinema Paradiso” che nel film diventa parcheggio [fig. 17].



Ingloriosa fine per quello che fu la “fabbrica dei sogni” puteolana.



GIUSEPPE PELUSO

Pubblicato su "Segni dei Tempi" di febbraio 2025


martedì 8 aprile 2025

Santa Marta

 


Ospedale, Ospizio e Chiesa di Santa Marta

 


Risale al 1572 la costruzione di Santa Marta, con annesso ospizio e nuovo ospedale, realizzata al quadrivio dell’Annunziata in sostituzione dell’omonimo complesso distrutto a Tripergole dalla eruzione del 1538.

 

La chiesa è a pianta rettangolare ad unica navata con tre piccole cappelle laterali che sono ad archi, sorretti da pilastri, e sormontate da altrettanti finestroni su ogni lato.

La zona dell’altare maggiore, preceduta da un arco trionfale, termina in alto con un’alta cupola ornata da finestroni.

L’ingresso, rivolto verso l’attuale corso Terracciano, è abbellito da un portale in piperno, sormontato da una lunetta; nella facciata si apre un piccolo rosone e tra questo e il sottostante portale si ammirava lo stemma di Santo Spirito in Saxia a Roma, patrono di questo Oratorio come del primitivo distrutto a Tripergole.



Più che una Chiesa è infatti un Oratorio riservato agli ospiti dell’Ospedale e dell’Ospizio. Non possiede arredi sacri, solo in due cappelle laterali ci sono figure rappresentanti Santa Marta e Santa Maddalena, e le messe sono officiate dai frati del vicino convento di San Francesco.

Il sagrato della chiesa è tuttora collegato col corso Terracciano con rampe di scale ricavate in una rientranza del muro di contenimento.

L’Ospedale sorge nella zona antistante la chiesa, ma distaccato, e ad entrambi si accede mediante una stradina in salita distrutta negli anni ’70 per la costruzione di nuovi edifici.

L’ambiente principale dell’Ospedale è costituita da un'unica aula,  detta sala grande, e di un attiguo giardino con alberi da frutta; i poveri vi sono ospitati per 40 giorni solo dopo la Pasqua.

Altri locali sono addossati alla parete posteriore della basilica e questi confinano con un area sottostante alla chiesa adibita inizialmente a cripta dell’ospedale e per breve periodo (nel 1838-1843) a sepoltura pubblica.

L’Ospedale non sarà mai completamente terminato e malsana sarà la sua gestione da parte della dalla Real Santa Casa dell’Annunziata di Napoli che alla fine dello stesso secolo favorisce la realizzazione del nuovo Ospedale di Santa Maria delle Grazie presso l’omonima chiesa sorta nel borgo di Pozzuoli.

A tutto questo complesso è annesso lo xenodochio, ovvero ospizio dall’unione delle due parole greche xénos, (ospite)  e dochèion (ricettacolo),  come tanti esistenti nel medioevo con lo scopo di offrire ospitalità gratuita a pellegrini e forestieri sulle strade dei pellegrinaggi, presso le grandi cattedrali o nella stessa Pozzuoli per accedere ai bagni termali.



Questo ospizio annualmente resta aperto per brevissimo periodo e ai poveri ospiti stranieri e puteolani si offre un pasto molto frugale e solo per un massimo di tre giorni.

Lo xenodochio continua a svolgere la sua attività per tutto il XVII secolo , seppure in forma molto ridotta anche per la presenza di altre strutture simili esistenti a Pozzuoli (ospizio dei Cappuccini a via Napoli, dei Pasqualini in via Ragnisco e dello stesso vicino Convento di San Francesco).

Nel 1705 papa Clemente XI ne autorizza la sospensione decennale ed infine nel 1725 sarà papa Benedetto XIII a sospenderne definitivamente ogni attività sociale.

 

Inizia così il lungo periodo di abbandono del complesso che incide sul suo degrado fino a che con l’Unità d’Italia, con le leggi di soppressione degli ordini religiosi e incameramento dei loro beni, questi ruderi sono acquisiti al patrimonio del Comune di Pozzuoli.

Nel 1910 il conte Vincenzo Cosenza, procuratore presso la Corte di Appello di Messina, acquista l’intero complesso per la somma di Lire 400,00 dando incarico all’ing. Antonio Causa di trasformare tali ruderi in civili abitazioni.

 

Il Causa lascia intatte le preesistenti strutture portanti e dalla chiesa ricava tre piani con la semplice inclusione di solai. Il corpo più basso è lasciato ad un sol piano, come prima, e dagli ambienti che ospitavano l’Ospedale ricava la residenza personale del senatore Vincenzo Cosenza.

Successivamente sul lato della Piazza Capomazza, ai piedi dell’edificio, sono realizzata una squallida serie di negozi ed altri locali industriali sono realizzati nella parte opposta ed interna.

 


Con la crisi bradisismica del 1970 le abitazioni sono sgombrate e con l’ultimo restauro il complesso si presenta con una nuova e decorosa veste.

Gli ariosi archi a piano terra, e la completa trasformazione del corpo basso con l’inserimento di pregevoli finestre, hanno dato alla facciata un “sapore” antico donando eleganza e sobrietà allo storico quadrivio.

 


 

GIUSEPPE PELUSO

Pubblicato su Segni dei Tempi – luglio/agosto 2024