Da Bordeaux a Napoli spiava i movimenti navali italiani
LAURA D’ORIANO
Origini puteolane per la spia fucilata a Roma nel 1943
La vicenda inizia a Pozzuoli, a metà dell’ottocento,
e va ad intrecciarsi con la storia dei nostri emigrati e con quella della
nostra Nazione in guerra.
Tutto principia quando il pescatore puteolano Vincenzo
D’Oriano, figlio di Tommaso e Teresa Ramata, dotato di una bella voce lascia Pozzuoli
per esibirsi sulle navi passeggeri che solcano il Mediterraneo.
A Smirne, la turca Izmir, si innamora di Teresa
Capponi, figlia di Alberico e di Lisa Capellani, da tempo componenti della
locale numerosa comunità italiana.
Vincenzo decide di stabilirsi in questa amena località
levantina, florida e cosmopolita nei cui rispettivi fondachi ancora vi abitano
turchi, greci, russi, arabi, francesi, italiani; ultima eredità della Venezia Serenissima.
Il 29 gennaio 1877 sposa Teresa, nella locale
cattedrale cattolica, e assieme generano ben otto figli:
Angelo
Alfredo D’Oriano; nato nello stesso 1877 e morto nel 1878
Rosa
D’Oriano; nata nel 1879, a Smirne sposa Pietro Finale nel 1903.
Antonio
D’Oriano; nato e morto nell’ anno 1881.
Enrico
D’Oriano; nato nel 1982, a Smirne sposa Fanny Tarabocchia nel 1908.
Margherita
D’Oriano; nata nel 1884, non si conosce altro.
Policarpo
Francesco D’Oriano; nato nel 1886 (approfondiremo la sua vita).
Tommaso
Giovanni D’Oriano; nato nel 1892, a Smirne sposa Teresa Teodora Zalloni nel
1919.
Maria
Lucia D’Oriano; nata e morta nell’anno 1901.
Il sesto figlio Policarpo, registrato il 4
marzo del 1886 presso il consolato italiano di Smirne ancora come cittadino
puteolano, studia musica e diventa un grande artista del pianoforte.
Nella stessa città si innamora di Aida Caruana,
nata a Malta nel 1890, che canta nei cabaret dove anche lui si esibisce.
Policarpo la sposa nel maggio del 1910 e,
poiché il lavoro li porta a viaggiare di continuo, i loro cinque bambini
nascono durante le numerose tournée.
La prima è Laura che nasce a Costantinopoli,
odierna Istanbul, e poi arrivano Umberto, Vittoria, Marina e Maria Teresa.
Laura, nata il 27 settembre del 1911,
dell’infanzia ricorda gli alberghi di lusso in cui i genitori si esibiscono
davanti ad un pubblico distratto, che beve e chiacchiera. Ricorda una madre
autoritaria, rigida e severa ma molto colta; istruzione che trapassa ai figli
che, non potendo frequentare scuole regolari, non conseguiranno licenze o
diploma scolastici.
Aida chiede ai figli di parlare perfettamente
l’italiano, sua lingua anche a Malta, nonostante in Italia ci si recano solo
saltuariamente; vuole che vestano elegantemente e che abbiano modi gentili.
Alla fine degli anni venti, stanco di
girovagare, il padre Policarpo rileva da un lontano cugino un’azienda che
commercia strumenti musicali nel cosmopolita porto di Marsiglia.
L’ormai diciassettenne Laura l’aiuta nel
commercio e spesso la sua presenza è indispensabile per la conoscenza che ha di
ben cinque lingue (italiano, greco, russo, francese, inglese) [1].
Ma Laura ancora ha negli occhi vestiti
luccicanti e camerini dove la madre cambia gli abiti che lei indossa di
nascosto quando resta sola; ricorda le storie di matrimoni fra principi che la
bambinaia gli raccontava e ricorda le tante città che ha frequentato: Costantinopoli,
Mosul, Baghdad, Teheran, Alessandria, Il Cairo, e tante altre.
Non è contenta di questa vita e, seppure
contrastata dai genitori, si reca a Parigi per tentare la carriera di cantante.
Ha diciannove anni e dagli sguardi degli uomini nel locale in cui canta si
rende conto d’essere attraente; ma non sfonda nel campo artistico, pertanto ritorna
senza ottenere il successo sperato.
La ritroviamo nel negozio di Famiglia dove
conosce Emil Fraunholz, un cittadino svizzero allontanatosi dalla sua nazione,
a suo dire, per evadere il servizio militare.
I due si sposano a Marsiglia il 18 agosto del
1931 e, così facendo, Laura acquisisce automaticamente la cittadinanza svizzera
[2].
Fraunholz è una figura enigmatica che fa affari,
con legionari francesi, con metodi al limite del legale; poi, per sopraggiunte
difficoltà economiche, la coppia si trasferisce a Grasse, nella Alpi Marittime.
Qui rilevano una drogheria, presa in fitto da legionario
conosciuto da Emil, e in questa località generano due figlie, la prima Renée e
un anno dopo Anna.
In seguito, per mancanza di clientela e
d’esperienza, le condizioni di lavoro diventano precarie e Laura, per
arrotondare, riprende a cantare nei caffè.
Emil, che non può fare a meno di notare gli sguardi
degli avventori verso sua moglie, si rivela troppo geloso e possessivo; il clima
familiare diventa via via sempre più pesante e, per il sopraggiunto fallimento
della drogheria, ad ottobre 1933 sono costretti a trasferirsi a Bottighofen, in
Svizzera, suo paese natale.
Qui, su di una collina isolata da tutto e da
tutti, tra freddo e neve, e nonostante le attenzioni dei suoceri, Laura mostra
sempre più insofferenza verso questo modo di vivere. Tra l’altro, non
conoscendo il tedesco, non riesce a comunicare con i genitori di Emil e con gli
abitanti del posto.
Una sera, siamo nella primavera del 1935, mette
le bimbe a letto ed esce a fumare una sigaretta; improvvisa prende una grave
decisione, col tempo si è convinta di non sopportare il proprio ruolo di
casalinga, di madre e di tutti i compiti che ciò comporta.
Rientra in casa, prende la sua valigia e si
avvia verso il paese dove si infila nell’ultima corriera per Zurigo; poi prende
il treno per Ginevra e da qui quello per Nizza, dove si sono trasferiti i suoi
genitori.
A Nizza sopravvive grazie all’aiuto dei suoi,
anch’essi in difficolta dopo la forzata chiusura della loro attività a
Marsiglia; padre e madre proprio non sanno come comportarsi con questa figlia.
Nel 1938 si reca nuovamente a Parigi in cerca
di lavoro e poter così continuare le lezioni di canto, ma nel settembre del 1939
la situazione generale precipita per lo scoppio della guerra. Più non può
contare sulla sua Famiglia che, per non essere internata essendo di nazionalità
italiana (anzi ancora cittadini puteolani), si è trasferita in Italia, a Roma.
Dopo cinque anni di vita sbandata, col permesso
di soggiorno scaduto e con il rischio d’essere arrestata, nell’agosto del 1940
ritorna a Nizza lasciando la Parigi ormai occupata dai tedeschi.
Qui conosce un certo Daniel Pétard che l’assume
come dattilografa nella sua coltelleria, e il nuovo datore di lavoro ne
apprezza la bellezza e le capacità.
Petard è in pratica un agente al servizio dello
spionaggio britannico; alla fine del 1940 la presenta a Simon Cotoni, poliziotto
francese della “Défense du Territoire” ma in segreto agente della “Inteligence
Britannica”, e insieme la sottopongono ad una sorte d’interrogatorio.
S’accertano della spiccata intelligenza di
Laura, si compiacciono che parli ben cinque lingue rammaricandosi solo che non
parli tedesco, e gli propongono di lavorare per lo spionaggio alleato; in caso
contrario possono farla arrestare per la irregolarità del suo permesso di
soggiorno.
Laura, anche per i solidi offerti, acconsente e
nel gennaio 1941 è inviata a Parigi in missione di prova per cercare,
sfruttando la sua avvenenza, di carpire informazioni tra gli ufficiali tedeschi
di stanza o di passaggio nella capitale.
Superata questa prova nella primavera del 1941
la D'Oriano è inviata a Bordeaux, la sua prima vera missione, con l'incarico di
monitorare i movimenti dei sommergibili italiani ospitati nella base atlantica
sull’estuario della Gironda, nota come “BETASOM” [3].
Laura riceve nuovi documenti che la
identificano come Louise Fremont, cantante e ballerina detta “Loulou”, e con
questi va ad alloggiare in una pensione in rue du Quai Bourgeois, tenuta da
Madame Blanc non lontana dal porto che pullula di sommergibilisti italiani.
Nei giorni successivi riesce ad avvicinare
diversi marinai italiani che, ben disposti a parlare con una bella ragazza,
inconsciamente l’informano sulla presenza in porto e sulle uscite in mare dei
sommergibili della Flottiglia Oceanica. Conversando, tra una passeggiata al
porto e un caffè, ottiene informazioni importanti che la sera riporta in codice
su cartoline che invia al Little Hotel di Tolosa.
Frequentando la piscina comunale conosce anche
ufficiali italiani e un giovane meccanico al quale racconta d’aver perso marito
e figlio in un incidente; l’uomo si offre di tenergli compagnia nel tempo
libero e nei giorni successivi riesce a carpirgli molti utili dettagli sui
sommergibili sui quali lavora.
Ancora oggi, non è del tutto noto quanto
abbiano influito le informazioni passate da Bordeaux,
dall’affascinante spia, in relazione alla perdita di alcuni battelli
italiani.
Portato a termine questo incarico nel settembre
1941 Laura è di nuovo a Nizza dove incontra per la seconda volta Cotoni che si
dichiara soddisfatto del lavoro e la ricompensa con altri 4000 franchi.
Ai primi di ottobre lo stesso Cotoni gli
propone una missione più vasta in Italia ed a tal proposito è condotta a
Marsiglia dove è presentata ad un certo Cosik.
E’ questo il falso nome di un agente segreto legato
alla rete “Ajax” della resistenza francese e all’intelligence britannica; uno
che manovra gli agenti, dà loro le istruzioni, i compensi e gli incarichi.
Per la nuova missione gli si chiede di recarsi prima
qualche giorno a Genova e poi sei settimane a Napoli per segnalare la presenza
di navi in quei porti e descrivere i danni arrecati dai bombardamenti alleati
sulle due città italiane.
L’agente le fa studiare le sigle ottiche di
navi e sommergibili italiani, così da poterle identificare a colpo d’occhio, e
le spiega come inoltrare queste notizie.
Deve scrivere normali missive, dal contenuto
non sospetto, in lingua italiana ma con le notizie riservate scritte in lingua francese;
queste ultime con “inchiostro simpatico” interpolate tra una riga e l’altra. Le lettere vanno chiuse in una busta che a sua
volta dovrà essere inserita in altra busta indirizzata a Emilio Brayda,
titolare di una agenzia di viaggi a Torino.
Laura non lo sa ma Brayda farà pervenire la
missiva ad Aldo Rossetti, agente di cambio naturalizzato francese a Modane, che
a sua volta provvederà a fa arrivare i messaggi al nucleo spionaggio di
Marsiglia, guidato da Cosik.
La D’Oriano accetta senza esitazioni, anche
perché da mesi sta tentando di entrare in Italia dove vivono i genitori e i
fratelli, e con un intermediario, fingendosi turisti, raggiunge Briancon alla
frontiera alpina.
Prima gli sono fornite Carta di Identità,
Patente, Tessera della Federazione Nazionale Fascista e Tessera Annonaria;
tutti documenti italiani che riportano una falsa identità, quella di Laura
Fantini [4].
Riceve una busta con novemila lire, con la
raccomandazione di non fare grandi spese per non essere sospettata, e infine viene
ancora istruita su come osservare, identificare e comunicare.
Soggiorna a Briançon fino all’11 dicembre 1941
e quella notte, con una guida alpina e indossando racchette da neve, attraversa
a piedi la frontiera nei pressi del passo del Monginevro.
Prende poi un pullman per Torino ed infine
raggiunge Genova in treno dove va ad alloggiare presso una casa privata; ha una
lettera di presentazione da consegnare alla proprietaria.
Ma Laura D’Oriano, a sua insaputa, è già
“bruciata”.
Il capitano Ettore Saraco, del centro di
controspionaggio di Torino e vero personaggio chiave dei servizi informativi
verso la Francia, ha l’astuzia di non arrestare gli agenti nemici individuati e
di limitarsi a seguirne le tracce per spiarne il comportamento e ottenere
maggiori informazioni. Poi, al momento opportuno, il malcapitato sarà catturato
e gli verranno prospettate due opzioni: o si fa reclutare nel controspionaggio
italiano come “doppiogiochista” oppure sarà arrestato e condannato a morte.
Il capitano due mesi prima ha arrestato un
agente nemico e questo, dinanzi all’alternativa fra collaborazione o plotone di
esecuzione, ammette di lavorare per conto di Brayda e Rossetti; entrambi messi subito
sotto controllo.
L’informatore, che ora fa il doppio gioco, è
ritornato in Francia presso la rete “Ajax” e poco dopo invia a Saraco il
seguente messaggio:
«Cosik
tra qualche giorno invierà a Genova una donna che si presenterà a tal Ragusa
Maria, via San Donato 2, perché le dia ospitalità. La donna che dovrà entrare
in Italia sarebbe molto attiva nell’organizzazione spionistica di cui fa parte
Cosik. Si sarebbe più volte recata nella zona della Francia occupata ed in
Germania e godrebbe di particolare considerazione da parte del capo del centro
di spionaggio inglese di Marsiglia.»
Così il 12 dicembre 1941, quando Laura arriva a
Genova, Saraco è già informato; i suoi uomini mettono sotto sorveglianza la
misteriosa viaggiatrice che si reca all’indirizzo comunicato, anche se ancora
non sanno chi esattamente sia e lo scopo della sua missione.
Sistemata la valigia Laura si reca al porto
dove sosta in un bar dalla cui vetrata c’è una perfetta visione dei moli e dei
bacini. Il giorno dopo passeggia vicino alle banchine e scorge la corazzata
“Littorio”, la presenza di quattro MAS e l’incrociatore “Bolzano” in
riparazione nel “Bacino delle Grazie” [5].
Gli agenti si limitano a seguire la D’Oriano che
soggiorna a Genova due soli giorni; la stessa sera di domenica 14 dicembre
lascia la pensione e si dirige alla stazione di Piazza Principe dove acquista
un biglietto di seconda classe per Napoli.
Prima di partire infila nella buca delle
lettere una busta che è subito ritirata da uno degli agenti.
La parte scritta in chiaro è la seguente:
«Mio
caro,
attendo
con impazienza tue notizie.
Ti prego
di scrivermi al più presto.
Conoscendomi
sai che altrimenti sarò molto infelice, temendo il peggio.
Se tu
sapessi quanto sono apprensiva!
Per
favore scrivimi e dimmi che va tutto bene e che non mi hai dimenticata.
Prego
ogni giorno la Santa Madre di Dio sperando che ascolti le mie preghiere.
Ti bacio
e ti bacio e ti bacio.
Tua
Antonia.»
La lettera è fatta pervenire al centro controspionaggio
diretto da Saraco dove è subito decifrata, risalendo così allo scopo della
missione della misteriosa spia, poi alterata e rispedita all’Agenzia di Viaggio
di Brayda.
Un altro agente prende posto nello stesso scompartimento
di Laura che la mattina del 15 dicembre raggiunge Napoli; qui la giovane prende
un taxi e si fa accompagnare alla “Pensione Lombardi”, in via Angiporto, dove
paga un mese in via anticipata.
Poco dopo scende a passeggiare cercando di
raggiungere il porto; si dirige verso il “Molo Luigi Razza” (ora “Molo
Angioino”) onde annotare le navi presenti sia su questo pontile che sul vicino
“Molo San Vincenzo”, dove attraccano le unità militari.
Ben presto si rende conto che ci sono rigide
restrizioni d’accesso e, per non insospettire, percorre via Marina che per
lunghissimo tratto costeggia la recinzione portuale.
Lungo questo percorso, come annotano gli agenti
che la seguono, avvicina un giovane della Milizia Ferroviaria con il quale
s’accompagna per circa mezz’ora.
Viene a sapere, o ha possibilità di vedere direttamente,
la presenza in porto della torpediniera “Cosenz” (distintivo ottico “CS”) e di
due navi ospedale [6].
Verso sera va al cinema dove conosce un
sottoufficiale della Regia Marina con il quale si congeda promettendo di
rivedersi (in seguito, una volta interrogato, il sottoufficiale dirà di non
conoscere la ragazza e comunque di non aver parlato con lei di argomenti navali).
L'indomani Laura all'alba parte in treno per
Roma, sempre ignara di avere il controspionaggio alle calcagna, e imbuca
un'altra lettera (regolarmente intercettata) in cui scrive [7]:
«Caro
cugino, solo poche righe per farti sapere che mia moglie sta meglio.
La sua
malattia ci ha preoccupati moltissimo ma ora. Grazie a Dio, tutto è passato.
Mamma è
felice che la paura sia passata.
Speriamo
di vederti presto, così potrò raccontarti tutto nei dettagli.
Come
stai? Spero bene.
Scrivici,
siamo sempre felici di ricevere tue notizie,
Un
abbraccio da papà e saluti a tutta la famiglia e una cordiale stretta di mano
da me.
A presto!
Bartoly.»
Con le frasi scritte in codice, in questa
lettera, Laura spiega le difficoltà di scoprire qualche cosa nel porto di
Napoli, dove è impossibile entrare, e annuncia che andrà a trovare la madre a
Roma.
Scende alla Stazione Termini e, senza rendersi
conto d’essere seguita, fa un errore imperdonabile per una spia; si reca
all'abitazione dei genitori al Largo Brancaccio 83.
Con questa mossa maldestra il controspionaggio
non ha più dubbi sulla vera identità della spia che sta pedinando.
Laura dirà che questa azione s’era resa
necessaria in quanto rimasta senza i soldi occorrenti per i biglietti
ferroviari (con questo tende a dimostrare che la sua non è una attività
continuativa e retribuita) ma probabilmente è lei che vuole consegnare alla
madre parte della somma di cui è in possesso.
La madre, che non la vede da circa due anni,
quasi si sente male e la trova di molto dimagrita; ma Laura chiede del padre,
che è in Albania per lavoro, dei fratelli che aderendo al fascismo sono militari
in Africa, e delle sorelle.
Il 19 dicembre spedisce la solita busta
indirizzata a Brayda, con la lettera per Rossetti. I carabinieri intercettano anche
questa e scoprono che, oltre alle informazioni su Napoli, la spia completa le
notizie relative a Genova, specificando che il piroscafo “Roma” è sottoposto a
lavori per essere trasformato in portaerei.
[E’ però difficile credere che a dicembre del
1941, con i lavori di trasformazione appena iniziati, Laura sia in grado di riconoscere
questa conversione da cui sarebbe nata la portaerei “Aquila”]
Laura sta dalla madre fino a Santo Stefano passando
con lei un periodo talmente sereno che quasi si convince a lasciar perdere
tutto e restare definitivamente con la sua famiglia originaria.
Il 26 dicembre riparte in treno per Napoli,
città che non raggiungerà poiché è arrestata, senza opporre resistenza, e fatta
scendere alla stazione di Littoria (l'odierna Latina).
L'indomani, nel carcere femminile Mantellate di
Roma, è perquisita e trovata in possesso dei vari documenti falsi a nome di Laura
Fantini, di soldi e appunti; quindi è trasferita a Torino per essere
interrogata.
Laura smette di mentire quando le mostrano le
lettere da lei scritte con evidenziate le frasi visibili sotto le comunicazioni
banali.
Dichiara la sua vera identità e la sua attività
spionistica espletata non per motivazioni politiche ma solo per necessità di
denaro.
Dice che sia a Bordeaux che in Italia ha
fornito solo poche notizie se confrontate con tutte quelle di cui era venuta a
conoscenza, e aggiunge:
«tengo
solo a dichiarare che se ho agito male non l’ho fatto per odio, ma solo perché
trascinata dalla vita stessa che conducevo.»
Sono arrestati anche Brayda, il suo fiduciario
Eugenio Rey (suo sostituto nella ricezione delle missive segrete) e in seguito Rossetti
(inizialmente datosi alla latitanza); tutti restano in custodia cautelare per circa
un anno [8].
Il padre Policarpo, ritornato dall’Albania,
cerca di farla liberare scrivendo al marito Emil e perfino al governo svizzero
di cui Laura è tuttora cittadina. Nessuno gli risponde e non riesce neppure a
vedere la figlia; anzi per le cattive condizioni economiche, aggravate dalla
separazione con la moglie, Policarpo non può permettersi di pagare un avvocato
e a Laura ne viene assegnato uno d'ufficio.
Il processo ha luogo a Roma il 15 gennaio 1943
presso il “Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato” e il presidente dei
giudici è Antonino Tringali Casanuova che, per questa carica, ha diritto a far
parte del “Gran Consiglio del Fascismo”.
E’ un tribunale politico le cui udienze non
sono pubbliche, tutti i giudici sono fascisti in camicia nera, e agisce secondo
le leggi di guerra.
Sono considerate gravi e strategiche le notizie
che la D’Oriano ha trasmesso al nemico. Un perito appositamente convocato
valuta attentamente le informazioni che è riuscita a procacciarsi: e tra
l’altro dichiara:
«… quelle
relative alla base di Bordeaux rientrano tra quelle di carattere segreto, in
quanto esse riguardano la consistenza numerica, nonché i movimenti di nostre
unità subacquee […].
…. quelle
che la D’Oriano si procacciò durante la sua sosta a Genova e a Napoli rientrano
ugualmente tra quelle di carattere segreto […].
… non è
possibile stabilire quale riflesso diretto o indiretto abbia avuto l’azione
della D’Oriano sulla perdita di nostre unità subacquee di guerra dislocate a
Bordeaux.»
La sentenza è emessa nella stessa giornata:
«Considerato
che le notizie che la D’Oriano si procacciò durante la sua dimora a Genova e a
Napoli, nonché quelle dalla stessa rivelate al nemico durante la sua permanenza
a Bordeaux, erano esatte e di natura particolarmente segreta, il Collegio
ravvisa nei fatti commessi dalla D’Oriano gli elementi costitutivi dei delitti
alla stessa ascritti, per i quali il Tribunale, in mancanza di elementi che
possano comunque autorizzare la concessione di circostanze attenuanti, deve infliggere
la pena capitale con le conseguenze di legge.»
Laura D’Oriano è condannata a morte mediante
fucilazione da eseguirsi la mattina seguente presso il “Forte Bravetta” di
Roma.
Emilio Brayda e Eugenio Rey, accettando il
reclutamento nel controspionaggio italiano per prestarsi ad azioni
doppiogiochiste, sono assolti con formula dubitativa; Rossetti è condannato a soli
quindici anni di carcere grazie all'avvocato Bruno Cassinelli, membro influente
de Partito Fascista.
Alle ore
6.15 del 16 gennaio 1943 Laura incontra un sacerdote che, in luogo appartato e
senza la presenza di altre persone, la confessa.
Alle ore 6.45
è portata nel cortile del forte davanti al plotone di esecuzione formato da un
reparto della M.V.S.N. (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale) e il
Capo Manipolo, Mario De Mari, legge ad alta voce la sentenza.
Alle ore
7.00 è posta a sedere davanti al reparto con la schiena rivolta al reparto.
Alle ore 7.07
la fucilazione è eseguita.
Così è descritta l’esecuzione di Laura, nella
relazione del 17 gennaio 1943 tipica della burocrazia mortuaria, a firma di
Augusto Ferrazzoli, Cancelliere Capo Dirigente del Tribunale Speciale per la
Difesa dello Stato.
La figlia Anna, in una intervista su questo
caso, narra che la Madre chiese di non essere messa di spalle ma di voler
guardare negli occhi i militi che stanno per fucilarla, come nell’immaginario
delle esecuzioni cinematografiche; ma sicuramente Laura non ha richiesto tale
modalità che comunque non sarebbe stata concessa. Poi aggiunge:
«Per
tutto il periodo dell’adolescenza, ho sempre considerato mio padre come una
persona severa e dura. Un giorno, ancora oggi faccio fatica a raccontarlo,
eravamo usciti al largo su una barca a remi. Era estate, dissi qualcosa
riguardo alla mamma, lui mi prese e mi scaraventò giù dalla barca, spingendomi
sott’acqua con un remo.
La sua
seconda moglie gridò “Guarda che annega!” e lui disse ‘Meglio così'”.»
Quando le sue condizioni economiche
peggiorarono, Laura D’Oriano avrebbe potuto tornare dal marito e dalle figlie,
che si erano trasferiti nella neutrale Svizzera. Ma il suo orgoglio, e la minaccia
di arresto, la spinsero a diventare una spia; non fu certo solo questione di
soldi.
Unica donna condannata a morte per spionaggio e
fucilata in Italia; non era mai accaduto prima e non sarebbe più accaduto dopo.
La grazia sovrana era intervenuta in tempo,
commutando in ergastolo la pena capitale anche per le peggiori criminali. Ma
per Laura D’Oriano, spia al servizio degli inglesi in piena guerra, Sua Maestà
Vittorio Emanuele III non intervenne.
Il corpo di Laura, come tutti gli altri
fucilati di Forte Bravetta, è subito trasportato, prima dell’apertura al
pubblico, presso il “Cimitero del Verano” dove è sepolto in una fossa comune.
Solo nel 1958 il padre Policarpo la ritrova e
la fa tumulare nello stesso cimitero dove, nel 1962, egli stesso sarà sepolto
accanto alla figlia [9].
BIBLIOGRAFIA
Cinzia Tani
– Donne Pericolose – Rizzoli 2016
Grazie Teresella
Berva - Chi era Laura D'Oriano – 2017
Alain
Charbonnier – Laura D’Oriano, La Spia Analfabeta - 2014
Ciro Biondi
– Laura D’Oriano, Storia della spia originaria di Pozzuoli – 2020
SITI WEB
https://www.robadadonne.it/galleria/chi-era-laura-doriano
GIUSEPPE PELUSO – MARZO 2020