LO SCALDARANCIO
Pozzuoli per i suoi figli in trincea
Nell’inverno 1915, pochi mesi dopo lo scoppio
della Grande Guerra, gli schieramenti italiano e austriaco appaiono già fermi e
al riparo di lunghe trincee. Queste sono molto vicine tra loro pertanto, per
non provocare fumo, niente cucine da campo per cuocere e niente fuochi per
riscaldarsi.
Allora, per permettere ai soldati di
consumare un pasto caldo tra i disagi della trincea e in difficili condizioni
climatiche, è introdotto un espediente, semplice ed efficace, per riscaldare il
cibo quasi senza fiamme e senza fumo.
E’ lo scalda-rancio che con una fiammella
quasi invisibile, eppure resistente, consente l'impiego nelle primissime linee
a contatto con quelle nemiche.
Questo aggeggio è una specie di torcia che
riesce ad ardere quanto basta per riscaldare la gavetta con il cibo; una volta
acceso, lo scaldarancio, sviluppa calore senza fiamma per circa 15 minuti [1].
Per confezionarlo bastano vecchi giornali che
vanno a formare un cilindretto di carta, avvolta e pressata, imbevuto di
paraffina e grosso come un rullo di pellicola fotografica. La carta, arrotolata
a più strati e legata stretta, è immersa nella paraffina, o nel grasso o nella
cera, per diverse ore fino ad impregnarsi. Essenziale è l’impegno di volontari
disposti a dedicare ore di lavoro; buona parte della produzione è garantita da
quello che è chiamato "fronte interno", ovvero le iniziative della
popolazione a sostegno dei combattenti.
In pratica questo compito è affidato a donne
e bambini dei Comitati e delle Associazioni di Assistenza che numerose sorgono in
tutta Italia [2].
E’ talmente rapida e vasta la diffusione
dello scaldarancio che alla fine del primo anno di guerra a Milano è costituita
l'Opera Nazionale dello Scaldrancio per il cui tramite al 5 febbraio del 1916
ben 25 milioni di pezzi sono stati già inviati al fronte.
Nelle lunghe veglie invernali, le mamme, le
spose, le fidanzate, le sorelle dei combattenti, arrotolano strettamente i
vecchi giornali; quindi immergono i rotoli in cera o paraffina che lasciano
rapprendere; poi li ritagliano in piccoli cilindri di circa un centimetro di
altezza [3].
Tutti coloro che sono impegnati in questa
produzione ricevono, come nei cartoons di Minnie e Paperina, un distintivo con
l’effige stilizzata dello scaldarancio a riconoscimento del benemerito impegno.
Accompagnati da pietosi ed affettuosi auguri,
gli scaldarancio vengono inviati al fronte, in misura sempre maggiore per
esaudire le crescenti richieste.
Ogni soldato ne abbisogna di almeno sei al
giorno per il solo cibo, due per il caffè e quattro per il rancio; essi sono
accesi sotto le tazze di latta per riscaldare caffè o vino, sotto le gavette
per riscaldare il rancio (da qui il loro nome), sotto il coperchio delle gavette
impiegato come tegame per riscaldare qualsiasi altra cosa. Utili quindi per
poter mangiare il rancio sempre caldo; poiché pasta, brodo e carne, quando
giungono in trincea, sono sempre freddi [4].
Ma gli scaldaranci sono utilizzati anche per
altri scopi che si rivelano provvidenziali nell’aiutare a combattere il freddo;
agli inizi i soldati non vorrebbero sprecarli ma poi, accertata le quantità che
ne ricevono, a turno ne sacrificano alcuni per riscaldarsi.
Nelle prime ore del mattino è talmente rigida
la temperatura che si deve usare molta cautela nell'aprire la tenda ghiacciata.
E’ consigliabile, prima di uscire, riscaldare l'aria del ristretto ambiente
interno accendendo qualche scaldarancio e questo consente poi di aprire e
chiudere i teli senza correre il rischio di spaccarli.
L’invenzione, di antichissima origine
giapponese dove serviva per riscaldare l’acqua del thè, è portata da un
giornalista in Francia nel 1914 il primo anno di guerra. E’ qui vista da una
nobildonna italiana, Maria Pogliani, che elegge la sua cucina come prima sede
del Comitato Nazionale per lo Scaldarancio; le amiche sue milanesi la imitano,
gli industriali regalano delle attrezzature un po’ più professionali, la gente
comune dona la carta [5].
Pozzuoli non può essere da meno per i suoi
figli al fronte; scuole, associazioni cattoliche, circoli e nobildonne hanno di
già costituito un “Comitato Puteolano di Assistenza Civile” nell’ambito del
quale è creata “L’Opera dello Scaldarancio”.
In breve tempo ragazzi, signore e popolane si
dedicano in pieno alla produzione di questo fantastico aggeggio diventato ormai
leggendario come il motto che gli è stato coniato: “Riscalda, Ristora, Rincora”.
Attorno a quest’opera immediatamente sorge tutta
una galassia di organizzazioni volontarie per la raccolta di fondi e allestimento
di spettacoli a favore dei militari al fronte, dei mutilati, degli orfani, delle
vedove e degli sfollati.
Anche queste organizzazioni sono guidate da
nobildonne e ci fa piacere ricordarne in particolare una che, ancorché
napoletana, ha Pozzuoli nel cuore e nella mente, ed in parte anche negli
interessi economici.
La signorina Maria De Sanna, figlia del
finanziere Roberto che fu anche impresario del Teatro San Carlo, e fondatrice
essa stessa, nel primo dopoguerra, dell’Associazione Musicale Alessandro
Scarlatti, ancora oggi esistente.
Maria De Sanna è proprietaria del “Cantiere
Navale e Officine Meccaniche di Arco Felice” e di “Villa Maria alla Starza”;
complessi entrambi rintracciabili lungo la provinciale via Miliscola [6].
Nell’anno 1917 l’offensiva degli imperi
centrali ha portato l’esercito austriaco ad occupare gran parte del Friuli e
del Veneto provocando l’esodo delle locali popolazioni che cercano rifugio al
di qua del Piave.
Tutta Italia si attiva per alleviare le loro
sofferenze ed anche nella Napoli “bene” il commendatore Augusto Laganà, altro
fervido e fattivo impresario del San Carlo, ha l’idea di un grande concerto
“Pro Fratelli Veneti e Friulani”, da organizzare al celebre teatro [7].
Dirama quindi un largo invito ai
rappresentanti dell’alto commercio e dell’alta finanza e nel primo convegno,
dovendosi provvedere alla presidenza del Comitato, per acclamazione è scelta la
signorina Maria de Sanna, la degna figliuola del Commendatore Roberto, la cui
figura e la cui opera non può essere dimenticata dai napoletani.
La giovanissima presidente, figura muliebre
di gentilezza squisita, di larga cultura e di moderni intendimenti, si occupa
con fervore della compilazione del programma, desiderosa che questo sia degno
del grande pubblico napoletano. Il concerto si tiene il giorno 9 dicembre 1917
e vede la partecipazione di famosi artisti come Roberto Bracco, Carlo Alberto Salustri
(Trilussa), Ernesto Murolo (padre di Roberto), Arrigo Serato (famoso
violinista), Graziella Pareto (famosa soprano) e tanti, tanti altri.
Al termine della serata speciali
congratulazioni vanno agli artisti ed alla organizzatrice Maria de Sanna che
con il grande avvenimento ha permesso di raccogliere la considerevole cifra di
Lire trentamila.
Tutto questo fervore patriottico fa sì che i
costi e i lutti della guerra siano assorbiti, senza pericolosi rivolgimenti
politici, dalla Nazione tutta che, come scrisse il presidente del Consiglio
Antonio Salandra, nell’ora del grande cimento si stringe in un sol cuore e ne
forma una sola Famiglia.
REFERENZE
Giulio Bazini - Da Venezia a...Venezia
Andrea Bianchi – Che fame in Trincea
Alessandro Longo – L’Arte Pianistica
Giuseppe Peluso – Le due Villa Maria
www.storiatifernate.it – Il Comitato per lo Scaldarancio
Giuseppe
Peluso