Il senatore Carmelo Patamia, figlio di
Antonio Maria, nasce a Bagnara Calabra il 13 aprile 1826; qui inizia gli studi che
poi completa a Reggio, il vicino capoluogo.
Giovanetto si reca a Napoli, per frequentare l’università
della capitale, e nel 1847 si laurea in medicina; nel 1848 partecipa alla
locale insurrezione, episodio inserito nei più vasti moti risorgimentali. Ritorna
in Calabria e nel 1860 si unisce ai garibaldini appena questi, provenienti
dalla conquistata Sicilia, sbarcano nella natia Bagnara [1].
Con Garibaldi
entra a Napoli e vi si stabilisce definitivamente, mettendo a profitto la sua
qualità di medico.
Nel 1861 va a risiedere sulla via di
Pozzuoli, in località La Pietra, dove acquista dei terreni con vecchie
fabbriche adibite ad attività termali [2].
Presto addiviene a gran fama per la sua
riconosciuta valentia nell’arte di Esculapio; medico capo e cofondatore, col
prof. senatore Sperino, del sifilocomio di Napoli; fondatore delle Terme
Patamia; libero docente presso l’Università di Napoli ed autore di un buon Trattato delle Malattie Veneree e Sifilitiche.
A completamento della
sua opera, per far fronte agli artigli degli usurai che attanagliano gli operai
calabresi nel 1882, insieme all’Onorevole Luzzati, fonda la Banca Popolare
Cooperativa di Bagnara; che fu la prima banca popolare in provincia di Reggio e
fallirà con la crisi del 1929.
Tutte queste attività gli permettono di
costituirsi un gran patrimonio; alla vasta proprietà paterna in Calabria
aggiunge un palazzo al Monte di Dio dove vive, un bel palazzo fatto costruire
al Vomero, una villa a Posillipo, una casa di cura a Bagnoli, uno stabilimento
termale presso Pozzuoli; tutti beni che gli fruttano un larghissimo reddito. La
voce pubblica, che con molta sfacciataggine suole fare i conti nelle tasche
altrui, tiene il senatore Patamia in fama di almeno sette o otto volte milionario.
Inoltre un fratello, emigrato ed arricchitosi
a Marsiglia, muore senza prole e gli lascia molti titoli costituenti una somma
più che rilevante.
Dal 1882 è eletto alla camera dei deputati
per la sinistra moderata per ben quattro legislature, prima nel collegio di
Palmi e poi in quello di Bagnara, ed è membro delle “Commissioni sanitarie per
la modificazione del regolamento sulla prostituzione”.
E’ nominato Commendatore dell'Ordine della
Corona d'Italia; il 14 giugno 1900 riceve la investitura a senatore e poi
quella di Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro.
Nei Campi Flegrei è ricordato per le terme da
lui create in località La Pietra per un fortunato evento accaduto nel 1861. Sta
dissodando il terreno, per trapiantare delle viti attorno al piccolo
stabilimento termale da lui acquistato, quando si avvede della esistenza di
qualche antica fabbrica. Il celebre archeologo Giuseppe Fiorelli, gentilmente
accorso sul luogo, la riconosce per fabbrica che gli antichi romani alzarono
per utilizzare una larga vena di acqua minerale, ovvero il “Balneum Balneoli” detto
volgarmente il Bagnuolo in periodo aragonese, e poi trascurata fino a perdersi
la memoria.
Il dott. Patamia trasforma in deliziosi
giardini una parte dei terreni che circondano le terme, costruisce dei comodi
quartieri per l’inverno e demolisce le mura che separano lo stabilimento dalla
riva del mare.
Nel 1867 il dott. Antonio Candido,
direttore sanitario delle Terme, in un libro descrive dettagliamene il nuovo
stabilimento termo-minerale del Balneolo. Al termine del volume riporta il
giudizio dell’idrologo A. Dardel, medico dello stabilimento termale d’Aix in
Savoia, che, in una lettera del 5 aprile 1865, esalta la bellezza del
paesaggio, la salubrità e la dolcezza del clima, la molteplicità degli effetti
terapeutici delle acque.
Nello stesso libro riferisce che il primo
illustre infermo che abbia scelto lo stabilimento Patamia è il signor James
Hudson, già noto ministro d’Inghilterra in Italia e che tante parte ebbe nel
favorire l’Unità Nazionale.
Così scrive Hudson al termine del ciclo di
cure: “Signor Direttore, con mio sommo compiacimento le fo sapere che affetto
da gotta e da dolor reumatici, mercè i vostri bagni e le alte docce ne ho avuto
i più positivi vantaggi. J. Hudson”
Inizia la grande
epopea dei bagni termali e quelli di Patamia, con bella fabbrica, sono tra i
migliori esistenti nel comune di Pozzuoli; sono a destra della strada venendo
da Napoli [3].
Vi si trova un comodo stabilimento termale con trattoria ed
alloggio pei malati. In un vasto ed elegante edificio c’è una sala, con
intercolunnio innanzi, munita di triplice porta chiusa a lastre, la quale è bellamente
addobbata e serve d'ingresso all'edificio.
Da questa sala
prendono origine due corridoi a destra e a sinistra che conducono ai bagni.
Essi sono in 30 gabinetti eleganti, dipinti alla pompeiana e forniti di
altrettante vasche di marmo e docce.
Al primo piano trovansi la sala da pranzo e da conversazione, 16 camere da
letto e la stanza per le persone di servizio. Dalle finestre di davanti si gode
di bella vista sul golfo di Napoli, di dietro vi ha una vigna. Dietro la casa
sono altri bagni e due piscine, una per sesso, alimentate d'acqua minerale
perenne che mantiene la sua temperatura elevata. Sul tetto di una fabbrica
attigua si lascia stagionare dell'acqua in vasche aperte. Vi ha pure un
apparecchio per la polverizzazione dell'acqua, adoperato nelle malattie degli
organi respiratorii.
Tutto vi è abbastanza
decente e pulito. A differenza degli stabilimenti termali di Agnano è più
immune dall'umidità e, avendo a ridosso come solida barriera il Monte Olibano,
è anche preservato dai venti del Nord.
Lo stabilimento, con
il vicino “Terme Pepere” [4], rappresenta quanto di più funzionale e moderno
possa esserci ne settore idrotermale.
Tale è la loro notorietà, e il loro potere
politico-economico, che le terme di La Pietra persuadono la costruente Ferrovia
Cumana a realizzare una fermata in prossimità dei loro stabilimenti. Tale
stazione, nominata “Terme Patamia Pepere” (in seguito fermata “La Pietra” ed ora
del tutto abolita) sarà inizialmente il capolinea della ferrovia che
all’inaugurazione espleterà il suo limitato servizio sulla tratta Montesanto –
Terme [5].
Lo stabilimento verso fine secolo è diretto
dal dottor P. Roccatagliata e questi, tramite il proprietario, fa pure un’interrogazione alla Camera contro il disservizio
della ferrovia cumana che, come si sa, conduce i bagnanti in dette terme.
Interrogazioni che saranno
poi fatte anche dal nuovo Direttore Sanitario prof. on. M. Pietravalle, quando
le Terme saranno acquistate da G. Arienzo.
Intanto nel 1900 le Terme e
Pensione del “Balneolo” e il Bagno di Mare “L’Aurora”, tutti di proprietà
Patamia, partecipano alla grande “Esposizione d’Igiene” che si tiene a Napoli
nell’anno 1900 [6].
Calabrese di nascita
ma ormai napoletano d’adozione la morte attende il senatore Patamia, in data 12
novembre 1909, proprio nel bellissimo palazzo che possiede in questa città al
Monte di Dio.
Questo l’elogio
tenuto al senato dal presidente Giuseppe Manfredi:
«Signori senatori!
Dalle Alpi il nostro lutto va al mare. In Napoli il 12
di questo novembre morì il senatore Carmelo Patamia, che era nato in Bagnara
Calabra il 13 aprile 1826. Medico dei più dotti e stimati, aveva da moltissimi
anni in Napoli esercitato, primario del Sifilicomio, e professato in Cattedra
di libero docente all'Università nella specie, in cui un voluminoso trattato
teorico-pratico pubblicò nel 1897. Contribuì all'onore della scuola medica
meridionale, quando vi splendevano il Tommasi, Salvatore de Renzi, il
Palasciano; fu de' primi a far conoscere le ricchezze idrologiche del bacino
termale di Napoli, e de' più meritevoli della fondazione degli stabilimenti di
terme tra Bagnoli e Pozzuoli. Nell'amore della libertà fu dei più ardenti, fra
i giovani, nel 1848; ed i sensi patrii senza tema di rischio ei mantenne sino
al risorgimento italico, cui partecipò nel 1860 dando di poi al nuovo ordine di
cose tutto l'animo; onde fu eletto deputato dal II collegio di Reggio Calabria
per la quindicesima, sedicesima e diciottesima legislatura e da quello di
Bagnara per la diciottesima. Non mancò alla Camera la sua voce negli argomenti
a favore della sua Calabria, e fu autorevole nelle questioni d'igiene pubblica.
Nominato senatore il 14 giugno 1900, benché caldo ancora di spirito, nel fisico
sofferente, non poté essere frequente ai nostri lavori. Nondimeno, raccogliendo
le lodi de' suoi meriti e della bontà e del carattere, che odonsi sulla sua
tomba, uniamo il nostro al duolo della famiglia, dei calabri conterranei,
dell'ordine medico napoletano, de' discepoli dell'amato estinto.»
Alla sua morte inizia un clamoroso processo
di milionaria eredità con intrigante intreccio di attricette, servi, padroni,
avvocati; e tutti ruotano intorno al cospicuo interesse formato da gioielli,
titoli, contanti, proprietà.
Il processo offre il tema ad una commedia
galante, di sapore antico, con episodi abbastanza originali e personaggi molto
noti dove il denaro è profuso per soddisfare il piacere. Troppi milioni,
pettegolezzi infiniti, ardite deviazioni d’indagini, molti gioielli, rancori di
servi delusi.
Questi gli ingredienti di cui s’è dovuta
servire l’istruttoria.
Quando nei romanzi e nei drammi una eredità
dà luogo ad infiniti litigi giudiziari ed extragiudiziari deve per forza essere
una eredità che si rispetti ed è così anche nel caso tutto reale del senatore
Patamia.
La prima sorpresa, per gli eredi che non si
trovavano al capezzale del morente, è all’apertura della cassaforte che si crede
contenere titoli, depositi fiduciari, cartelle, denaro in contante. Con stupore
si vede che è assolutamente vuota ed anche negli altri mobili non si trovano ne
gioie ne oggetti di valore.
Senza dubbio, nell’ora d’agonia del vecchio
senatore, è avvenuta una vera razzia; ma chi l’ha compiuta?
Il senatore ha un figlio, il cav. Alfredo,
appassionato “sportman” noto nella società elegante non solo di Napoli, che negli
ultimi tempi vive a Torino, conducendo vita fastosa, con l’ammiratissima
“divetta” Annita di Landa, al secolo Teresa Buscaglione [7].
Sciantosa, nata nel 1875 a Graja come il
famoso e lontano parente Fred Buscaglione, giovanissima posa per lo scultore
Grosso.
Scritturata da una
compagnia di prosa in seguito passa al caffè-concerto esibendosi per qualche
tempo in un baraccone sul Lago Maggiore. Nel 1897 si fa notare negli ambienti
dello spettacolo e nel 1900 è già affermatissima come canzonettista eccentrica:
nel 1902 al "Morisetti" di Milano è proclamata "fra le migliori
cantanti a dizione". Nel 1905 canta in duetto con Nicola Maldacea al
"Teatro Verdi" di Napoli, in questa occasione conosce il figlio del
senatore Patamia. E durante
la sua gloriosa carriera prende parte, in qualità di prima interprete, a
diverse audizioni piedigrottesche. Altezzosa
e popolarissima, una sera proibisce a Ettore Petrolini, che in seguito la
definisce "la Cecile Sorel del Caffè-concerto”, di chiudere lo spettacolo sino
a che il popolarissimo attore romano si rassegna a dover improvvisare un duetto
con lei. Il suo repertorio, intelligente e provocatorio, è formato da cose
prevalentemente scritte appositamente per lei, fra cui alcune belle napoletane
tanto da essere definita “el bel tabarin delle periodiche napoletane”. LINK
I suoi cavalli di
battaglia sono “E Nnanasse”, "Core e Mamma" e "La Spagnola", la
classica canzone da sciantosa, con la sua brava allusione alle doti amatorie
della diva di turno. Molto richiesta nelle sue serate è pure "'A Nuvena" scritta da Salvatore Di Giacomo e che
lei canta con accento piemontese, divertendo molto il pubblico, imitando con
grande bravura, il suono della zampogna con la sua voce pastosa e ben modulata.
Nel 1913 compie
una lunga tournèe in Argentina e in Brasile; morirà, ancora giovane, nella
bella villa di Torino che nel 1912 gli ha regalato il suo ammiratore napoletano.
Il
senatore Patamia ha anche due figliole che per nozze sono entrate nell’alta
aristocrazia napoletana; Maria ha sposato il principe di Sannicandro e donna
Giuseppina il duca di Donnorso.
Nella casa di Napoli il vecchio senatore vive
solo con una cameriera, Pierina Nucci, donna che conserva ancora piacente
aspetto e fascini più propri a femmine più giovane di lei. Costei ha la
direzione della casa e si fa aiutare, specialmente sul lato amministrativo di
tale complessa mansione, dal suo fidanzato; tale Giuseppe Pisco, molto giovane
d’anni in suo confronto, e che a tempo perso fa anche l’agente d’emigrazione.
Le accurate indagini condotte assicurano che
il senatore è molto sospettoso, sebbene non avaro, temendo che la sua fama
d’uomo danaroso lo possa esporre a brutti tiri o a sorprese poco piacevoli.
Custodisce le chiavi della scrivania e della cassaforte in una borsetta che
tiene sempre addosso e che la notte pone sotto il guanciale.
Ma negli ultimi anni va perdendo sempre più
la vista finchè diventa del tutto cieco; inoltre è colpito anche da gravi
malori tipici della vecchiaia e la sua esistenza in vita dipende sempre più
dall’assistenza che gli prestano i predetti collaboratori.
Le voci maligne affermano che costoro
raggirano e circuiscono il vecchio senatore; ma queste sono voci molto facili
quando un vecchio padrone morente non ha altri in casa che antichi servi e
specialmente la preferita fantesca.
All’intensificarsi di queste voci il figlio
cav. Alfredo si decide a lasciare Torino ed accorrere presso il Padre morente.
Ma poiché non ha voluto lasciare la bella di Landa, con la quale convive, si è
fatto da lei accompagnare a Napoli ed entrambi si recano ad alloggiare
all’Hotel Savoy [8].
Giunto a Napoli prende la direzione della casa paterna, togliendone la mansione alla cameriera ed al suo fidanzato, ed assume il ruolo che gli compete.
Giunto a Napoli prende la direzione della casa paterna, togliendone la mansione alla cameriera ed al suo fidanzato, ed assume il ruolo che gli compete.
Tutto questo non fa piacere al duo
Nucci-Pisco che vedono di malocchio questa ingerenza risoluta tra loro ed il
morente. Il cavaliere Alfredo non tarda molto ad accorgersi d’avere in costoro
dei nemici che sanno come approfittare dello stato di amarezza e di freddezza
nei rapporti tra lui e le sue sorelle.
Per pubblico testamento Alfredo è stato
creato dal Padre erede universale coll’obbligo del pagamento di alcuni lasciti
alle sorelle.
Queste disposizioni testamentari diseredano
quasi le figliole e provocano un vivo malumore e alquanto rancore verso il
fratello più fortunato.
Quando si apre la cassaforte e la scrivania
si prendono le chiavi che il senatore teneva nella borsa sotto il cuscino ma,
con grande sorpresa apparentemente generale, si vede che le chiavi non agiscono
nelle serrature. Una mano ignota, approfittando della cecità del vegliardo e
della sua impossibilità a muoversi, ha sottratto le preziosi chiavi
sostituendole con altre similari.
Perciò si deve scassinare cassaforte e
scrivania ma, con nuova grande sorpresa per eredi e astanti, entrambi gli
scrigni risultano completamente vuoti. Per questa manomissione la principessa
di Sannicandro e la duchessa Giuseppina di Donnorso si determinano a sporgere querela
contro ignoti.
La Nucci ed il Pisco seguitano a dire che ad
appropriarsi del tutto deve essere stato il cav. Alfredo prima ancora della
morte del Padre.
I due si dimostrano favorevoli e
simpatizzanti per le figlie diseredate e queste, nel loro stato d’animo poco
benevole per il fratello, pur non raccogliendo le velate accuse fatte dai
domestici incaricano l’avvocato on. De Tilla di stendere querela contro i
possibili responsabili dei furti commessi. La querela, abilmente redatta, è
molto ampia e può accogliere parecchie persone; d’altronde anche i sospetti
possono cadere facilmente su molti personaggi.
Appare sospetto che il cav. Alfredo sia il
solo membro della Famiglia ad aver assunto le redini dell’amministrazione della
casa e sospetta la sua sollecitudine a trasferirsi da Torino a Napoli colla
notissima ed elegante amante.
Pertanto l’istruttoria s’appunta subito
contro di lui ma solo per i pretesi furti “post mortem”; per quelli “ante
mortem” non può esercitarsi l’azione penale delle sorelle essendo il furto a
danno del Padre e non dell’asse ereditario. In entrambi i casi però tutti
quelli che hanno partecipato all’azione delittuosa, secondo la querela, debbono
rendere conto alle querelanti con propria responsabilità penale e civile e per
questa precisa volontà espressa dalle due sorelle l’istruttoria finisce con
l’andare a colpire persone che si sono credute al sicuro d’ogni sospetto.
Il giudice istruttore dott. De Sanctis è
messo in sospetto dalle interessate voci messe in giro dai due domestici e
crede che le loro esagerazioni siano dettate da spirito di vendetta per essere
stati cacciati via dal cav. Alfredo dopo la morte del senatore; allora,
credendo che abbiano avuto molta parte nella sparizione dei titoli, spicca un
mandato di cattura contro di loro.
D’altronde il cav. Alfredo adduce testimoni
con i quali stabilisce che il Padre, prima di morire, ha aperto la cassaforte
che conteneva le sole gioie della defunta signora Patamia e in presenza dei
testi le ha regalate al figliolo come ricordi preziosi della mamma.
Numerose testimonianze assodano che il
senatore, che nei rapporti con i figli aveva antiche ed austere usanze, ad
Alfredo non fece mai confidenze sul suo stato patrimoniale e aveva fatto
deposito fiduciario di molti titoli presso persona amica il cui nome si portò
nel segreto della tomba con la caparbietà che spesso mostrano certi vecchi,
illudendosi delle sue forze e non presagendo prossima la sua fine.
L’ammontare di questa eredità, decantata da
voci popolari, appare esagerata, e la diligente indagine istruttoria, pur
mostrando cifre più realistiche, accerta quanto segue:
-
il
senatore, ostinato e litigioso, in una sola causa contro la Banca Commerciale ha
sborsato un milione e duecentomila lire fra capitale, danni e spese,
-
il
senatore prestato delle garanzie per un precedente fidanzato della cameriera
Nucci, sopportandone naturalmente le spese,
-
al
Pisco ha fatto elargizione di parecchie decine di migliaia di lire per crearsi
un’agenzia d’emigrazione,
-
il
senatore ha iniziato varie speculazioni finanziarie, tutte mal consigliate e
peggio finite,
-
l’amministrazione
di così ingente patrimonio è nelle mani della Nucci che ne dava l’incarico al
Pisco che, a sua volta, mai ha voluto consegnare i libri dei conti.
Come visto il cav. Alfredo riferisce che le
gioie lasciate dalla madre le ha avuto regalate dal padre ma i due domestici,
con accuse che vanno a colpire oltre la persona dell’erede, affermano che le
portò via in una valigetta che consegnò alla sua amante, la canzonettista Di
Landa, la quale ben sapeva che le stesse erano state indebitamente asportate
dalla cassaforte.
Il Pisco assicura d’aver assistito
all’asportazione ma molti testimoni contraddicono le asserzioni del domestico;
comunque l’autorità giudiziaria fa fare una diligente perquisizione nella casa
di Torino che la signorina Buscaglione, in arte Annita Di Landa, possiede [9].
La perquisizione dà risultati negativi ed interrogata la graziosa divetta non solo nega sdegnata la partecipazione al preteso furto ma si prodiga a dimostrare che possiede splendidi gioielli per oltre un centinaio di mila lire, possiede automobili e possiede una elegante villetta. E tutto questo ben di Dio seppe procurarselo in tempi anteriori alla conoscenza del cav. Patamia e che da lui ebbe solo il dono di un altro villino che non è neppure ancora finito e che non può essere compendio di refurtiva.
La perquisizione dà risultati negativi ed interrogata la graziosa divetta non solo nega sdegnata la partecipazione al preteso furto ma si prodiga a dimostrare che possiede splendidi gioielli per oltre un centinaio di mila lire, possiede automobili e possiede una elegante villetta. E tutto questo ben di Dio seppe procurarselo in tempi anteriori alla conoscenza del cav. Patamia e che da lui ebbe solo il dono di un altro villino che non è neppure ancora finito e che non può essere compendio di refurtiva.
Essendo la signorina Buscagliene biellese si
delega da Napoli l’autorità competente per assumere informazioni ed attivare
indagini sul suo conto che però risultano infruttuose allo scopo dell’accusa.
La Camera di Consiglio esclude, al riguardo, ogni responsabilità della Di Landa
che è difesa dagli avvocati Clarotti e Sola di Torino.
I sospetti delle due sorelle querelanti e le
accuse dei due domestici hanno indirizzato delle indagini anche sul conto
dell’avvocato Pasquale Finizia e del procuratore Alessio Vaccariello, entrambi
del foro napoletano, che prestarono zelante assistenza al cav. Patamia.
Ma mentre l’avv. Finizia chiedeva al
Consiglio dell’Ordine una inchiesta sul suo operato di patrono, della cui
onorabilità si faceva paladino l’on. Colosimo, per il procuratore Vaccariello
si rendeva garante, con nobilissima lettera inviata alla stampa, un principe
del foro napoletano, ovvero l’avv. Arnaldo Lucci, professore di diritto civile
alla università di Napoli e del cui studio era sostituto il giovane avvocato.
Egli scrive affermando che il suo
collaboratore ha sempre agito quale suo coadiuvante e, protestando contro le
menzogne e le calunnie raccolte, invoca la luce più ampia sulle posizioni
giuridiche e su quelle morali per mascherare i volgari calunniatori e quelli
che più vili si appaltano dietro costoro.
Tra l’altro afferma che è assurdo chiamare responsabili degli atti di
propri clienti i patroni di una causa.
Dopo queste nobili proteste l’istruttoria
procede cauta ed imparziale ma il cav. Patamia deve forzatamente cambiare
difensori che ora sono l’avvocato Clarotti di Torino e l’avvocato De Nicola di
Napoli.