Galeone o Violone? Questo è il problema!
Ragionamenti attorno l’appellativo della nostra darsena
E’ una notte buia e tempestosa; sono a letto,
ascolto l’ululato del vento e avverto lo scroscio della pioggia.
Per assaporare e non addormentarmi inizio a fantasticare
e subito la mente mi trasporta nella darsena di Pozzuoli.
Probabile che l’accostamento derivi dal gran
parlare che s’è fatto del luogo, del suo stravolgimento, della fine che farà la
baracca dei vecchi maestri d’ascia, del ritrovato verricello che s’intende
salvaguardare.
Certo il “Valione” ne ha date di emozioni e si
spera che possa rinnovarle in futuro, sebbene tutto possa cambiare.
La vita continua e non aspetta nessuno; il mondo può
fare a meno di tutti, figuriamoci del Valione!
La vecchia Darsena, con il suo profilo dipinto nei
nostri cuori, più non mostrerà questa familiare immagine ai nostri nipoti [1].
In verità non mostrava queste sembianze neppure ai
nostri bisnonni.
Per i nostri avi ottocenteschi era qualche cosa di
diverso. Era solo una piccola insenatura
racchiusa tra i resti dei Ponti di Caligola e la sporgente Chiesa dell’Assunta.
I fondali erano bassi fin sotto le due piccole
rive sabbiose accostabili solo da piccole imbarcazioni [2].
La moderna darsena, intesa come bacino chiuso
artificialmente, proprio non esisteva ed è stata realizzata occupando parte
delle romane vasche di pescicoltura che si estendono intorno alla rocca
puteolana giungendo fin oltre l’Ospizio dei Cappuccini.
Fu completata tra fine ottocento ed inizio novecento;
nell’ambito dei più estesi lavori di imbanchinamento e ricostruzione del molo
si decide di creare, per la locale piccola marineria, un riparato bacino
artificiale.
Per la completa chiusura di questa darsena, di
forma che spinge al triangolare, è stato sufficiente realizzare, sui bassissimi
fondali, una breve scogliera che congiunge il predetto molo con il sottile e
sporgente sperone di tufo su cui fu innalzata la chiesa dedicata alla Madonna dell’Assunta
a Mare, Conosciuta pure come della “Purificata”; “Mprefecata”, in dialetto.
L’ingresso alla darsena è intelligentemente
ottenuto non colmando la luce esistente tra la prima e la seconda pila, creando
di fatto un piccolo canale sovrastato da un ardito ponte in ferro (per l’epoca)
che permette il passaggio terrestre tra il borgo marinaro e il molo caligoliano
ricostruito inglobando le altre antiche “pilae”.
La graziosa ringhiera che orna il ponticello, i
due scivoli immersi nella vulcanica trachite locale, la gialla rocca tufacea sulla
sinistra, la caratteristica chiesetta dell’Assunta sullo sfondo del proscenio,
la bianca scogliera sulla destra, l’azzurro mare sul fondale; tutto rende questo
borgo unico, affascinante, inimitabile [3].
Proprio nel periodo della realizzazione la zona
principia ad essere appellata come “rint ‘u valione”, denominazione che
inizialmente s’accompagna all’esistente toponimo “abbascio ‘u mare” che poi,
col tempo, quasi riesce a soppiantare.
Certo è che questo nome fino a metà ottocento non
compare o comunque non è riportato da nessun storico locale o viaggiatore tra i
tanti che ebbero la fortuna d’inoltrarsi sui nostri lidi.
L’ipotesi più ricorrente è che esso derivi da
“galeone”, un poderoso veliero da guerra progettato per affrontare la
navigazione oceanica tra il cinquecento e il seicento.
Già ai primi del settecento più non ci sono
galeoni e tantomeno poteva essercene uno a Pozzuoli come la credenza popolare
possa far credere.
Inoltre l’attuale darsena, ovvero la zona dove doveva
trovarsi questo ipotetico galeone, all’epoca come ancor più oggi, aveva bassi
fondali. Una particolarità che mai e poi mai avrebbe permesso l’attracco di una
nave pesante e con forte pescaggio. Anche in caso di naufragio, come qualcuno racconta;
lo scafo di un galeone si sarebbe incagliato sui resti delle lontane vasche e
comunque ben oltre lo sperone della Purificata [4].
Nell’Accademia Navale di Livorno c’è un piazzale
che prende il nome “brigantino” in quanto al centro si ritrovano issati alberi
e attrezzature veliche ad uso didattico; così pure in una scuola nautica ritroviamo
un similare luogo detto “nave”, anch’esso dedicato a lezioni pratiche di
navigazione.
Ma a Pozzuoli non ci sono e mai ci sono state
simili attrezzature.
Dunque il toponimo è moderno come moderni sono
altri nomi di luoghi quali: “arete i blocchi”, “fore ‘o topo giggio”, “ncopp ‘u
preventorio”, e tanti altri.
Tutti questi toponimi come i più antichi “rint ‘a
carcara”, “ncopp ‘a annunziata”, “arete ‘a croce”, e tanti altri ancora indicano
sempre un consistente riferimento, individuabile da tutti o comunque visibile
in passato, che funge da richiamo, percettibile in tutta la località.
Certo è che ne Raimondo Annecchino, ne Raffaele
Giamminelli, ne tanti altri storici o appassionati hanno mai potuto avallare
una origine certa e inconfutabile di questo toponimo che comunque ha nel titolo
tutta una sua originalità e bellezza.
Allora ritorna spontanea la domanda! Da dove
deriva questo nome?
Io avrei un’idea, o meglio una ipotesi; un ragionamento
che possiamo insieme sviluppare.
Sappiamo che a Pozzuoli ci sono stati due distinti
centri per la costruzione di barche, in maggioranza per la pesca professionale.
- Il primo, dislocato nella
zona della “calcara”, era dedito alla realizzazione di grossi battelli tipo
feluche, bilancelle e martegane. Le barche venivano impostate su uno dei due
scali, di cui disponeva, dal quale poi venivano direttamente varate in acqua.
Il piccolo cantiere era fornito anche di qualche pontile su palafitte [5].
- Il secondo centro di
costruzione, costituito da più squeri produttivi, era dislocato proprio nella
località della futura darsena. Da esso discende l’attività dei Fratelli
Vallozzi, eredi di tutti i Maestri d’Ascia Puteolani. Qui, “abbascio u’ mare”
si son sempre costruite piccole imbarcazioni; lance, cianciole e gozzi [6].
Ora soffermiamoci sui gozzi ed in particolare su
quelli costruiti a Pozzuoli. Trattasi del tipico gozzo napoletano, molto
utilizzato in tutto il golfo partenopeo, che però si differenzia da quello
sorrentino e molto più dal gozzo ligure e adriatico.
Grosso modo il gozzo napoletano è simile in tutto
il golfo ma ogni località usa rifinirlo con sue caratteristica dovute alle
particolari pesche cui sarà adibito.
A Pozzuoli è molto richiesto il “gozzo violone”, una
barca dalla linea filante e slanciata, con la prua “amaltigana” caratterizzata
da una curvatura a rientrare, detta appunto a “violone” [7].
Questo nome è affibbiato a queste prue per la loro
somiglianza con il “violone”, antico strumento musicale ad arco molto in
auge tra seicento e primi dell’ottocento. In seguito quasi dimenticato perché
compositori e musicisti gli hanno preferito il contrabasso. Lo strumento ha ricevuto questo nome perché in
pratica è una grande “viola”, così come il “violoncello” è un piccolo “violone”
[8]
Ritornando al nostro gozzo esso richiama, pur
nelle piccole dimensioni di 5 o 6 metri, le caratteristiche strutturali sia della
feluca, che è una barca a vela da carico tradizionalmente in uso nel Mar
Tirreno, sia della Martegana, classica barca da pesca d’altura (almeno per
l’epoca) [9].
Dunque i gozzi puteolani si differenziano da tutti
gli altri per questo dritto di prua, detto comunemente “a Violone”; oltre che
per il timone, sporgente dalla chiglia, che funge anche da deriva.
Possiamo dunque dire che i due centri produttivi
puteolani, pur costruendo barche completamente diverse per uso e tipologia,
uniformano le loro prue in base ad una comune esperienza di costruzione e di
navigazione.
Coloro che praticano la pesca d’altura
preferiscono questa prua all’altra “diritta”, detta a “tagliamare”, come le
barche dei pescatori di “rint ‘a Torr” che praticano una particolare pesca
costiera [10].
Il fatto che la zona della darsena fosse strapiena
di “gozzi violone” [11]
ha probabilmente inciso sulla denominazione della località e poi la cadenza dialettale, specie nella difficoltà di pronunciare i dittonghi, ha sicuramente “perfezionato” lo “storpiamento” della parola.
ha probabilmente inciso sulla denominazione della località e poi la cadenza dialettale, specie nella difficoltà di pronunciare i dittonghi, ha sicuramente “perfezionato” lo “storpiamento” della parola.
Il passo da “violone” a “valione” è stato breve e
scorrevole.
Cronache storiche, risalenti alla presa di
possesso sarda da parte del Regno Sabaudo-Piemontese, dicono che nel settecento
in Sardegna si crea una nuova situazione che garantisce ai pescatori una certa
sicurezza. Tranquillità dovuta alla presenza di navi armate impiegate contro i
barbareschi favorendo così l’immigrazione di pescatori dal Sud Italia.
I vari ceppi provenienti dalla Campania portano
con loro tre tipi di barche; la “feluca” di Ponza, la “spagnoletta” di Torre
che diventa tipica di Alghero e il “gozzo violone” di Pozzuoli che diventa la
barca tipica pure a La Maddalena.
Due “gozzi
violone” di La Maddalena di proprietà di pescatori maddalenini ma di origine
puteolana [12-13]