giovedì 16 ottobre 2025

Goniostadiometro

 




Goniostadiometro! Chi è costui?

Le Officine Galileo nelle memorie di 

Giulio Martinez

 

Nel 1896 il napoletano ingegnere Giulio Martinez acquista le “Officine Galileo”, fondate a Firenze nel 1862 (1).



Da sempre la Famiglia  Martinez è con la Real Marina Borbonica; nel 1743, con la flotta organizzata da Re Carlo per contrastare i barbareschi, si mette in luce Giuseppe Martinez, nato a Cartagena nel 1702 e giunto a Napoli nel 1732. Giuseppe, comandante della galera "Sant'Antonio", per le sue gesta ardite assume la dimensione di un eroe quasi leggendario; a Napoli è popolarmente acclamato come "Capitan Peppe" [2].



In seguito Gabriele Martinez sarà Ammiraglio; il fratello Errico ingegnere e Capitano di Vascello; l’altro fratello Ernesto ingegnere e Tenente Generale del Genio Navale e il di lui figlio Giuseppe sarà Contro Ammiraglio.

L’ultimo fratello, Edoardo Martinez, sarà ingegnere e poi guardiamarina; grado che ricopre quando nel 1866, unitamente al fratello Gabriele, partecipa alla battaglia di Lissa.

 

Nella Famiglia Martinez tutto parla di navi e di mare, ma Giulio Martinez, figlio dell’ammiraglio Gabriele, nel 1895 lascia la Regia Marina Italiana, dove non prevede una rapida carriera, e arriva a Firenze con il padre per recarsi presso le “Officine Galileo” con l’intenzione d’acquisirne una partecipazione.

Entrambi non hanno molta pratica del capoluogo toscano, benché il Padre vi sia stato destinato nel ‘68 al tempo del suo matrimonio, e non sanno dove sia l’officina. Saliti in fiacchere, al tubato fiaccherai, domandano se conoscesse dove era la Galileo e questo risponde: “E chi non conosce l’Officina Galileo?”

Arrivati che furono, oltre l’allora barriera daziaria, chiedono del Direttore e il padre fa passare la sua carta da visita che porta l’indicazione “Vice-Ammiraglio in posizione ausiliaria”.

Il Direttore Golfarellis li riceve nel suo alquanto disordinato ufficio e poi li fa visitare lo stabilimento informandoli che la Fondazione proprietaria desidera liberarsi della Galileo [3].



L’officina ha dato ingenti guadagni negli anni precedenti ma ora, cessati i lavori militari e mancando di mercato civile, richiede continuo aiuto finanziario che il proprietario “Istituto Agrario Vegni” non può darle, senza sacrificare la Fondazione voluta dal Vegni.

 

Giulio Martinez trasforma l’iniziale officina in una delle maggiori industrie italiane di ottica e meccanica di precisione; imprimendogli una svolta importante. Ma, nelle sue memorie, descrive con semplicità e chiarezza le difficoltà incontrate, i successi ottenuti, la scelta dell'innovazione, i contatti internazionali e i rapporti cordiali con il personale tecnico.

Inizia la produzione di periscopi, proiettori e telemetri per il Ministero della Marina; nel mentre la produzione di strumenti didattici e da laboratorio passa in secondo piano e anche se nel campo dell'ottica astronomica le “Officine Galileo” continuano a realizzare telescopi di grande potenza per vari osservatori.

 

Giulio narra che quando prende il comando della Galileo quello che ne era il vice-direttore, Paolo Triulzi, lascia l’officina e il ruolo che in essa ricopre, senza avergli mai parlato.

Triulzi, che collabora alla Galileo fin dal 1880, è un disegnatore progettista e tecnico di grande valore che realizza diversi tipi di Telemetri; in seguito sarà comunemente riconosciuto come il padre del periscopio per sommergibili.

Strumento inventato quando la Galileo è ufficiosamente invitata, nel Febbraio del 1901, dal Comandante del “Delfino” (primo sottomarino italiano costruito in gran segreto nell’Arsenale di La Spezia tra il 1890 e il 1892) a studiare il problema dell’assenza di visibilità con il battello in immersione.

Martinez, saputo delle competenze del Triulzi, lo fa richiamare riconoscendogli i grandi meriti e stipula una convenzione di collaborazione con lui e col Maggiore Scipione Braccialini insieme al quale si occupa di terminare in gran segretezza, e in un locale dal quale anche lo stesso Giulio Martinez è rimasto escluso, uno speciale telemetro che, dal suo inventore, sarà brevettato come “Goniostadiometro Braccialini” [4].



Questo è uno strumento che misura la distanza, la velocità e la direzione delle navi; in pratica un avanzatissimo telemetro da costa richiesto dalla marina imperiale giapponese; un bellissimo prodotto meccanico cui lavorano riservatamente solo pochi tecnici ed operai.

Quando è terminato lo Goniostadiometro parte per Porto S. Stefano ed è sistemato sulla costa dove si fanno degli esperimenti che hanno buon esito determinando una ordinazione di 6 o 7 apparecchi da parte della Imperiale Marina giapponese.

Per tutto il 1898, e anche più, gran parte dell’officina è occupata in questo lavoro che permette una discreta tranquillità finanziaria [5], ma nel contempo si decide di costruirne uno in più in modo che i tecnici della Galileo possano utilizzarlo per saggiare miglioramenti e adattamenti.

Poco dopo, nell’autunno dello stesso 1898, questo “Goniostadiometro Braccialini”  è installato a Pozzuoli per farne dei collaudi in via sperimentale.

Le varie prove sono effettuate con l’appoggio logistico della Armstrong il cui direttore è, dal 1889, Roberto De Luca zio di Giulio Maritinez.

De Luca è un ex ufficiale di Marina presso la quale è stato alto dirigente della Divisione Difesa Costiera; un ruolo importante per la casa inglese, visto che l’Armstrong vende anche cannoni destinati alla difesa delle coste.

La base principale del Goniostadiometro è collocata fuori del Cantiere, a strapiombo sul Terrazzo Marino della Starza, presso quel gruppo di case costruite espressamente per ospitare le maestranze venute dall’Inghilterra [6].



All’interno di questo piccolo villaggio c’è la grande villa destinata al direttore del grande opificio puteolano che, come ricorda Martinez nelle sue memorie, è in quel momento occupata dalla Famiglia del vice direttore conte Alessandro Pecori Giraldi.

Alessandro è fratello di Guglielmo Pecori Giraldi, che sarà Maresciallo d’Italia e poi Senatore, ed è padre di Corso Pecori Giraldi. Corso, che proprio in questa villa nasce il seguente anno 1899, coprirà la carica di Capo di Stato Maggiore della Marina Militare dal 1955 al 1962 [7].

 


I tecnici della Galileo utilizzano uffici e sale tecniche dell’Armstrong per fissare i loro appunti e sistemare i loro disegni.

C’è poi la benevole collaborazione della Regia Marina, la quale dispone che una torpediniera faccia delle corse su rotte determinate nel golfo di Pozzuoli. Questa piccola unità militare va avanti e indietro compiendo un percorso tra l’estrema punta del lungo molo del Cantiere Armstrong e la “meda”, che in seguito sarà famosa come “Torre di Pulcinella”, emergente dai ruderi del Portus Julius, davanti Lucrino [8].



Queste prove nel golfo di Pozzuoli dimostrano come col Goniostadiometro possano determinarsi esattamente le rotte seguite e come si possa facilmente determinare la velocità delle navi.

 

Nei sui ricordi Giulio Martinez aggiunge qualche nota folkloristica come quando un giorno viene ad assistere agli esperimenti anche un ufficiale diartiglieria ed insieme hanno una colazione, consumata presso la mensa interna al Cantiere Armstrong di Pozzuoli.

Un’altra volta va a fare colazione in un’osteria vicina; con molta probabilità il “Restaurant La Sirena” condotto dalla Famiglia Mavilio; gli servono un eccellente piatto di spaghetti al pomodoro che non può esimersi dal richiedere il bis, nonostante che occorra un quarto d’ora per poterli ricevere (sic!) [9].



 Scipione Braccialini è assai soddisfatto delle prove ed inizia una campagna tendente ad ottenere un’ordinazione dal Ministero della Marina o da quello della Guerra; cosa che gli riesce nel 1912 quando i suoi strumenti sono inseriti nelle stazioni goniostadiometriche delle batterie costiere in massima parte munite di cannoni e cupole corazzate prodotti dalla Armstrong di Pozzuoli.

 

 GIUSEPPE PELUSO 

Pubblicato la prima volta a settembre 2019 sul Notiziario del "Centro Studi Tradizioni Nautiche" della Lega Navale Italiana.

 

REFERENZE

G. Franceschini, O. Martinez - La Galileo nelle memorie di famiglia di G. Martinez

A.M. Trivulzio, S. Triulzi - Paolo Triulzi Inventore del periscopio per sommergibili

L. Bennati - Il generale Scipione Braccialini

 


venerdì 10 ottobre 2025

Le origini di Dicearchia

 


C’ERA UNA VOLTA DICEARCHIA – LA CITTA’ DEL GIUSTO GOVERNO

UN PICCOLO INSEDIAMENTO DEGLI ESULI DI SAMO

 

Le notizie sull’esistenza di Dicearchia provengono principalmente da due fonti classiche; lo storico greco Polibio e il poeta romano Gaio Lucilio.

Se mettiamo in dubbio i loro scritti, in merito a quanto riportano sulle origini della nostra città, dovremmo poi diffidare delle altre loro preziose cronache. Per il greco Polibio, che su Dicearchia riporta testimonianze orali di antiche tradizioni greche, dovremmo mettere in dubbio tutto quanto ha poi scritto in merito alla storia di Roma del periodo repubblicano. Per il romano Lucilio, che su Dicearchia riporta notizie apprese da antichi testi greci andati persi, dovremmo mettere in dubbio tutti i riferimenti storici cui accenna nelle sue opere.

Tuttavia la quasi totale assenza di testimonianze archeologiche greche a Pozzuoli, pur tenendo conto delle enormi trasformazioni dei luoghi causate dalla natura vulcanica, dal bradisisma e dalla profonda opera di risistemazione che il luogo ha dovuto subire, pone seri dubbi sulla consistenza e la durata dell'insediamento samio.

In ogni caso esso deve essere stato di limitate dimensioni e Dicearchia non dovrebbe aver mai avuto statuto di città. La tradizione dominante vuole che sia stata fondata intorno al 530 a.C. da un gruppo di esuli Sami che le danno quel nome col quale è conosciuta dalla storiografia greca. Un'altra tradizione, più recente, vuole invece che Dicearchia sia stata solo un porto (epìneion) dei Cumani.

La contraddizione tra queste due notizie è solo apparente. E’ molto probabile che i Cumani abbiano impiantato uno di quegli scali che, come Partenope e Miseno, garantisca loro il controllo del Golfo di Napoli.

I Sami sarebbero apparsi sulla scena in un secondo momento dando alla località il nome di Dicearchia “La città del giusto governo”, e questo per commemorare le circostanze del loro stanziamento motivato dall'affermarsi di un ”ingiusto governo” tirannico nella patria che hanno dovuto abbandonare.



Naturalmente l’esodo da Samo non è stato di massa, come molti puteolani oggi immaginano; sarà stata la fuga di una “elite” di possidenti e politici contrari al sistema instaurato con prepotenza dal tiranno Policrate. Analogamente il filosofo Pitagora, anche lui un possidente di Samo, lascia l’isola per motivi politici in quanto non approva la tirannide di Poilicrate.

Personalmente mi piace paragonare gli esuli di Samo ai Padri Pellegrini che nel 1620 sbarcano in Nord America e fondano una colonia di puritani. Ad abbandonare l’Inghilterra, e imbarcarsi sul Mayflower, sono solo in 102 (52 uomini, 18 donne e 32 bambini); durante il viaggio molti si ammalano e alcuni muoiono, ma i superstiti portano con loro sani principi di democrazia.

Tradizione vuole che i Padri Pellegrini mettano piede per la prima volta in America nel sito dove si trova la Roccia di Plymouth (nome dato in ricordo del porto da cui sono partiti) ma, non essendoci oggi visibili evidenze architettoniche, non ci sono prove storiche che lo confermino. Eppure questa cittadina e questo avvenimento rivestono un ruolo essenziale nella tradizione e nella storia degli Stati Uniti d’America.

Come i Padri Pellegrini scappati dal Regno d’Inghilterra così un gruppetto altrettanto eseguo di coloni sami scappa dal Regno di Policrate. Nonostante questo re-despota porti l’isola al massimo splendore artistico e culturale, governa Samo con tirannia allo scopo di ottenere la supremazia sull’intero Egeo.

I fuggiaschi, forse pochi e su di una sola nave come sarà poi per il Mayflower, approdano in terra flegrea e con il consenso di Cuma fondano la città di Dicearchia.

Data l’esiguità dei fuggiaschi, dopotutto a Samo ci si vive bene e son pochi i dissidenti di Policrate, e data la breve durata della colonia, oggi non esistono tracce del suo insediamento.

Probabilmente anche Dicearchia, come il primo insediamento dei Padri Pellegrini americani, è stato un piccolo borgo e, contrariamente a molti altri insediamenti greci radicati su ambiti promontori, è stato eretto in riva al mare.

Quasi certamente a ridosso del molo a formare un piccolo borgo fortificato; proprio come esisteva nella natia Samo.

Dove sono oggi i suoi resti?

Sommersi, per effetti bradisismici, e probabilmente appena visibili nel 215 a.C. quando, per evitare che Annibale se ne impadronisse, i romani fortificano quella rocca che sarà il cuore della Puteoli imperiale.

L’attuale fase ascendente, fonte di danni ed ansie, potrebbe un domani svelare le nostre origini.



GIUSEPPE PELUSO

Articolo pubblicato inizialmente ad aprile 2025 su:

"Segni dei Tempi"