mercoledì 17 settembre 2025

Mare e Cielo a Pozzuoli

 




MARE E CIELO A POZZUOLI

Un primato di volo conseguito nel golfo puteolano

 

I Campi Flegrei hanno avuto un importante ruolo nella storia del volo; da quello mitologico di Dedalo, che atterra a Cuma e vi costruisce il Tempio di Apollo, a quello storico dell’Aeronautica che a Pozzuoli ha costruito la sua Accademia.

Da segnalare inoltre che in questo golfo il Tenente di Vascello Bruno Brivonesi nel 1914, con un traballante idrovolante, raggiunge i mille metri di altitudine; un primato mai raggiunto prima da questa tipologia di aeromobili.

 

Bruno Brivonesi, nato ad Ancona nel 1886 e morto a Roma nel 1973, è stato un ammiraglio italiano che ha preso parte alla guerra Italo-Turca, alla Prima ed alla Seconda Guerra Mondiale.

Suo nonno e suo Padre (entrambi marinai) sono originari di Rovigno, in Istria, dove il loro cognome autentico è Brionesi; ossia abitanti dell’isola di Brione.

Nel 1903 inizia il primo anno di corso presso l’Accademia Navale di Livorno da dove ne esce nel 1906 con la nomina a Guardiamarina.

E’ subito imbarcato sulla corazzata Regina Margherita con la quale nel 1908 contribuisce ai soccorsi in favore dei terremotati di Messina.

Fa poi domanda di partecipazione ai corsi per pilotare i primi dirigibili della Regia Marina ed appena brevettato è sulla navicella che porta in alto Re Vittorio Emanuele III, primo sovrano al mondo ad effettuare una ascensione.

Con queste aeronavi a fine 1911 partecipa in Libia alla campagna militare volta all’occupazione di questa colonia.

Lascia Tripoli nel gennaio del 1913 e, dopo il momentaneo imbarco su di un rimorchiatore, è destinato alla corazzata Dante Alighieri appena entrata in servizio [2].



 Il Comando Marina ha intenzione di provare ad imbarcare su questa unità un velivolo “Curtiss Flying Boat”. Nello stesso 1913 è indubbiamente l’anno si svolta nella storia dell’aviazione navale. Il Capo di Stato Maggiore Amm. Paolo Thaon de Revel istituisce ufficialmente una Sezione Autonoma Aeronautica; pertanto invita Brivonesi a frequentare il primo corso di pilotaggio per idrovolanti; gli aspiranti pilota sono cinque e alla fine Bruno riceve la tessera con il brevetto N. 5 di Pilota per Idrovolanti.

 

Brivonesi ritorna a bordo della corazzata e dopo un inizio rocambolesco, che meriterebbe essere narrato, prende sempre più confidenza con il suo piccolo apparecchio al quale si affeziona e dal quale cerca di ottenere il massimo rendimento.

Ed è così che la Dante Alighieri diventa la prima unità della Regia Marina ad imbarcare un aereo, seppure in via sperimentale, ed è vanto dell’Italia di aver iniziato, prima nel mondo, un vero servizio organico di idrovolanti.

 

Dal 20 aprile al 20 maggio del 1914 la Dante Alighieri trascorre un mese nella rada di Pozzuoli a motivo di importanti lavori di settaggio alle artiglierie di grosso calibro (i dodici pezzi da 305/46 disposti in quattro torre trinate) che sono state fabbricate nel locale Cantiere Armstrong [3].



Verso la fine di aprile passa nei pressi di Pozzuoli il grande panfilo Imperiale tedesco “Hohenzollern” che ha a bordo la Famiglia imperiale, dignitari, militari d’alto grado ed ospiti illustri.

Brivonesi s’alza in volo con il suo idrovolante, raggiunge la nave al largo del golfo, la sorvola più volte, e nota che il Kaiser Guglielmo II insieme ad alcuni personaggi del seguito, l’osserva dalla passeggiata superiore della grande nave [4].

 


Sempre a Pozzuoli, nella prima quindicina di maggio, mentre la Dante Alighieri è ormeggiata alla punta del lungo molo, sotto la potente gru della Armstrong, Brivonese vuole sperimentare il comportamento del suo “Curtiss” a quota elevata.

 

L’idrovolante “Curtiss Model H” all’epoca genericamente denominato “Curtiss Flyin Boat” e riconosciuto come il primo costruito con successo, è munito di motori assai più potenti di quelli degli apparecchi terrestri, perché con motori di poche diecine di cavalli un idrovolante, al momento di partire, non potrebbe vincere l'aderenza del galleggiante sulla superficie dell'acqua.

Il suo galleggiante è a sezione rettangolare, simile ad una lunga cassettina, a fondo piatto con le estremità appena smussate, con al centro l'incastellatura del motore; lo stesso galleggiante sorregge le ali, a cellula biplana, la coda e gli equilibratori.

Ai due lati della cellula, fra i due piani portanti, sono gli alettoni, enormi e potentissimi; la coda è sorretta da un sistema di tubi, e, oltre all'equilibratore posteriore, esiste un secondo equilibratore anteriore, fissato sulla prua del galleggiante.

La cosa più buffa di tutto l’insieme è quel rettangolo di tela che si chiama col nome pomposo di “seggiolino del pilota”; costituito da una piccola cornice di legno di forma quadrata, ricoperta di tela, e posta a un metro circa al disopra del galleggiante e molto più avanti delle ali.

In tal modo il pilota, completamente scoperto, prima ancora di partire in volo viene bagnato dalla testa ai piedi dagli spruzzi dell'acqua, e poi, quando è in aria, viene investito in pieno dal vento della velocità e travolto dal freddo.

Tutto questo è accompagnato dalla sensazione di restare completamente sospeso nel vuoto.

L’acceleratore del motore è comandato da un pedale come quello delle vetture automobili ma un'altra strana particolarità del “Curtiss” è quella che gli alettoni si muovono con le spalle.

Il piccolo quadrato di tela che funziona da seggiolino porta difatti una specie di spalliera mobile, nella quale si entra col corpo; facendo forza con la schiena a dritta od a sinistra si spostano gli alettoni da un lato o dall'altro, secondo il bisogno.

Il sistema non è del tutto irrazionale, perché i movimenti che occorre fare con le spalle sono abbastanza istintivi, ma, nelle giornate di aria mossa, si scende coi muscoli della schiena tutti indolenziti, perché essi debbono compiere un lavoro intenso al quale non sono affatto abituati.

 

Non tutti i piloti montano volentieri questo velivolo, a motivo della sgradevole impressione che qualcuno prova volando così perfettamente scoperti, e così sospesi nel vuoto.

Ma questo stranissimo apparecchio ha però delle buone qualità di volo per l'epoca in cui è nato, tanto più che risulta leggerissimo ed ha un motore certamente esuberante per il suo peso.

Ed è questo il motivo per cui Bruno Brivonesi decide di effettuare su questo idrovolante il suo esperimento a quota elevata.

Si munisce di un barografo, che assicura provvisoriamente alla gamba sinistra, si inerpica sul sediolino di pilotaggio, fa mollare gli ormeggi e flottando si dirige verso Baia iniziando a sollevarsi [5].



Lentamente ma regolarmente s’alza sempre più e, proprio al centro del golfo puteolano, supera e s’avventura di poco oltre i mille metri d’altitudine.

Poi, tutto soddisfatto per il bel volo, inizia una deliziosa discesa planata che, da quella quota insolita, sembra non dovesse mai finire.

Finalmente ammara su di una superfice leggermente increspata e flottando raggiunge sottobordo la Dante Alighieri. Qui il pilota trasborda su di una lancia di servizio e il velivolo è agganciato ad un picco di carico che lo isserà a bordo della corazzata [6].



Bruno Brivonesi crede di non aver compiuto nulla di eccezionale, e come d’obbligo, compila il solito rapportino.

Invece, dopo qualche giorno, la notizia, apparsa in qualche giornale locale, viene a conoscenza dell'Aero Club d'Italia, che scrive al Comando di bordo chiedendone conferma e domandando qualche documento probatorio. La quota che ha raggiunto Brivonesi [7] costituisce il record di altezza dell'epoca per gli idrovolanti del tipo adoperato.

 


Subito dopo però altri idrovolanti di tipo più moderno e più efficiente del primitivo “Curtiss”, in servizio dal 1913 a fine 1915, stanno entrando in servizio. Fra gli altri, un nuovo “Curtiss” a scafo centrale ed il “Bréguet” a fusoliera con elica trattiva e con galleggiante unico. Questo ultimo apparecchio è uno dei più grossi idrovolanti esistenti e può portare a bordo quattro persone.

Il Ministero della Marina decide di imbarcarne uno sulla Dante Alighieri, ed ordina al comando di bordo di mandare Brivonesi in missione alla Scuola Idrovolanti di Venezia per eseguire il passaggio del brevetto sul “Bréguet”.

Pur essendo assai lusingato all'idea del prossimo cambio, Brivonesi si separa con sincero rammarico dal suo primo piccolo velivolo che gli ha dato tante soddisfazioni ed al quale s’è molto affezionato.

 


GIUSEPPE PELUSO

Pubblicato inizialmente sul numero di aprile 2023 del Notiziario del Centro Studi Tradizioni Nautiche della Lega Navale Italiana.



REFERENZE

B. Brivonesi – Mare e Cielo 2014

https://it.wikipedia.org/wiki/Bruno_Brivonesi

https://www.earlyaviators.com/edefilip.htm

 

 



mercoledì 3 settembre 2025

Il Palazzo del Maggiore

 


Storie di famiglie e case nel centro del Rione Terra

A via Crocevia il Palazzo e il Giardino del Maggiore

 

Su via Crocevia, la strada che percorre il punto più alto del Rione Terra, si trova l’ingresso principale del Tempio di Augusto, oggi Cattedrale si Pozzuoli. E’ questo il centro dell’antica rocca; qui si esibisce l’amazzone Maria Puteolana e qui, per millenni, si sono svolte solenni cerimonie civili e religiose.

Su questa stessa strada affacciano due palazzi gentilizi, un tempo abitati da nobili famiglie; palazzo dei Lucignano e palazzo dei Mirabella e Ragnisco [1].



I Mirabella sono una nobile famiglia giunta nel seicento dalla Sicilia; non altrettanto i Ragnisco che, pur avendo uno stemma familiare, sono notai e professionisti e annoverano loro esponenti nella amministrazione municipale e nel clero diocesano. Il primo Ragnisco, Giacomo Antonio, è sindaco di Pozzuoli nel 1716; il notaio Ferdinando Ragnisco, rivoluzionario e simpatizzante giacobino, alla restaurazione borbonica è condannato a quindici anni di deportazione; il più famoso, Pietro Ragnisco docente universitario, ha avuto dedicata una strada. L’ultimo discendente, Raffaele Ragnisco, ha involontariamente donato un appellativo alla nominata residenza; oggi da tutti indicata come “Palazzo e Giardino del Maggiore”. 

 Raffaele nasce a Pozzuoli il giorno 11 novembre 1889 da Achille, notaio, e da Maria Carolina Lucignano. A fine 1907 si arruola nella Regia Marina e, prima come allievo e poi come macchinista di seconda classe, imbarca sull’incrociatore Giovanni Bausan, sulla corazzata Napoli sulla gemella Sardegna e sulla Regina Margherita [2].



Tutto il periodo della guerra italo turca lo trascorre a bordo del cacciatorpediniere Fulmine partecipando al bombardamento della città libica di Zuara.

Passa poi sui cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Ostro; lo scoppio della Grande Guerra lo trova imbarcato sull’esploratore Alessandro Poerio.

Nel 1915 riceve la nomina a 1° macchinista e, sempre in guerra, sarà imbarcato per cinque mesi sulla torpediniera 61OL e per altri undici sulla torpediniera Albatros.

Il 30 dicembre del 1917 riceve la nomina a sottotenente del Genio Navale e destinazione l’incrociatore Varese sul quale resta per ventuno mesi dei quali circa otto in periodo bellico.

Il 30 marzo 1919 riceve la nomina a Tenente Macchinista e per nove mesi imbarca sulla corazzata Andrea Doria, per altri due sull’esploratore Premuda, un mese sulla corazzata Duilio ed altri cinque di nuovo sulla Doria.

Il 2 dicembre del 1923 riceve la nomina a capitano e per due anni dirige la sala macchina della torpediniera Calipso.

Nel 1926, ormai 37enne, sposa la nobile 19enne Maria Mirabella che, essendo a 12 anni rimasta orfana del padre Giuseppe, è dalla madre messa in collegio dove impara anche a suonare, cantare, ricamare e dipingere. Maria gli è cugina in quanto sua madre Maria Carolina Lucignano è sorella di Maria Teresa Lucignano madre della giovane.

Maria porta in dote l’antico nobile palazzo, col pertinente giardino di via Crocevia, dove gli sposi prendono ufficiale residenza.

 Ma Raffaele deve lasciare a Pozzuoli la giovanissima sposa ed imbarcare per altri nove mesi sulla corazzata Duilio e due mesi sull’esploratore Aquila. E’ poi destinato all’Istituto Idrografico di Genova dove saltuariamente presta servizio sulle navi dell’istituto, la Magnaghi, la Brennero, l’Istria e l’Ardito.

Poi è destinato, sempre a Genova, a Ufficio Tecnico Genio Navale e in seguito come Direttore di Macchina imbarca per 19 mesi sul cacciatorpediniere Aquilone, otto mesi sull’incrociatore Venezia e dodici mesi sul cacciatorpediniere Strale.

Intanto, dopo la nomina a Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia nel 1931 ed aver ricevuto la Croce d’Oro per Anzianità di Servizio nel 1932, il 23 gennaio 1933 riceve la nomina a maggiore nel Ruolo Tecnico Navale ed inviato in Licenza Ordinaria di novanta giorni.

 Il maggiore Raffaele Ragnisco trascorre questi tre mesi a Pozzuoli presso la Famiglia ed è ben accolto dal vicinato che così inizia ad identificare il palazzo con il suo occupante che, per la sua piacevole personalità, desta sempre più simpatia e curiosità. Quando lo si vede uscire o rientrare a casa, con la sua candida uniforme, è tutto un vociare di scugnizzi e la fornaia dell’adiacente via Ripa non accende il forno per non sporcargli la divisa con la fuliggine.

Così il vecchio nobile palazzo diventa il “Palazzo del Maggiore” e l’adiacente orticello, munito di grazioso gazebo dove Raffaele ama godersi meritati riposi, diventa per tutti il “Giardino del Maggiore”.

 Nel maggio del 1933 è destinato alla Direzione delle Costruzioni Navali di Taranto dove trova alloggio anche sua moglie Maria che, in questa città marinara, partorisce l’unica figlia Marta.

Saltuariamente imbarca sugli esploratori Guglielmo Pepe e Carlo Mirabello e per un anno, tra il 1937 e 1938, svolgerà la funzione di Giudice Effettivo del Tribunale Militare Marittimo di Taranto.

Il 10 settembre del 1938 è inviato presso la Corderia Marittima di Castellammare di Stabia e, data la vicinanza con Pozzuoli, la moglie ritorna nel palazzo del Rione Terra.

La dichiarazione di guerra trova i due coniugi nelle citate destinazioni; nelle grotte d’età romana, ubicate nei sotterranei dell’antico palazzo, sono ricavati rifugi anti aerei che si rileveranno molto utili per gli occupanti e per il vicinato.

 Il 20 dicembre 1940 il maggiore Ragnisco lascia Castellammare ed ha solo poche ore da trascorrere a casa, con moglie e figlia, prima di raggiungere Tobruk, in Libia. Il giorno 5 gennaio del 1941 si imbarca sull’incrociatore San Giorgio; questa nave, seppure ancorata nella baia, necessita di un maggiore che diriga le macchine utili ai piccoli spostamenti e alla fornitura di energia.

Innumerevoli saranno gli attacchi subiti dal glorioso incrociatore, specialmente nel corso dell’Operazione Compass, nella difesa di quella importante piazzaforte [3].



Il 22 gennaio del 1941 l’estremo sacrificio; il San Giorgio è affondato e gli inglesi catturano l’equipaggio che è inviato in India, nei campi intorno Bangalore. Raffaele, in quanto ufficiale, è inviato nel famoso “camp 25” di Yol [4].

 


Per un anno e più non si hanno notizie del maggiore e Il vicinato, con grande rispetto, giornalmente chiede notizie di quel simpatico ufficiale che per tanti anni ha visto percorrere affabilmente i vicoli della rocca.

La guerra infuria e le conseguenze son ben presto palpabili in una zona abitata per lo più da pescatori a giornata e da manovali avventizi.

Su al “Rione Terra” diventano celebri due finestre del “Palazzo del Maggiore”; sono quelle dell’ampia cucina posta a piano terra con affaccio su vico SS. Acuzio e Eutichete. Fuori questi varchi in molti si fermano a guardare la servitù indaffarata, ad annusare gli odori e fantasticare sulle preparazioni. Da queste stesse aperture, nel corso del lungo conflitto, usciranno pietanze per piccoli e grandi bisognosi dell’antica rocca di Pozzuoli.

 Raffaele Ragnisco, dopo oltre cinque anni di dura detenzione, è rilasciato a Bombay il 4 aprile del 1946 e raggiunge a Napoli il seguente giorno 22. Subito ritorna a Pozzuoli ed ancora oggi la figlia afferma che, pur avendo trascorso una vita intera in paesi lontani, il luogo che il maggiore ha sempre identificato come casa è qui, al Rione Terra.

Per la fragile condizione fisica, che risente delle privazioni sofferte in prigionia, è dispensato dal servizio attivo e collocato a riposo nella Riserva.

 I disagi, e il clima, subiti nei sessantatre mesi di prigionia incidono sulla sua salute e saranno la causa della sua prematura morte, avvenuta in data 12 maggio 1953.

Solo l’otto settembre del 1950, poco prima della morte, riceve la nomina a Tenente Colonnello del Genio Navale. In questo Corpo la carriera è più lenta che nel Corpo Stato Maggiore e la prigionia ha certamente ritardato una promozione che sarebbe giunta anche prima [5].



Seppure la figlia racconti che il Padre era Tenente Colonnello tutti coloro che l’hanno conosciuto lo ricordano come il “maggiore”.



PELUSO GIUSEPPE

- Articolo pubblicato a giugno del 2025 sul numero 154 del Notiziario Centro Studi Tradizioni Nautiche della Lega Navale Italiana.

- Articolo pubblicato a giugno del 2025 sul numero 6 di Segni dei Tempi, giornale di attualità sociale, culturale e religiosa della Diocesi di Pozzuoli.

- Le due foto a colore del Rione Terra, che riprendono l'ex Palazzo e l'ex Giardino del Maggiore, sono di Assunta Mele.