Viaggio
sulla vecchia cara Cumana
Tra
emozioni e ricordi
La Ferrovia Cumana, fin dalla sua
inaugurazione nel 1889, ha la stazione iniziale a Napoli in piazzetta
Montesanto e, causa il ristretto piazzale, una porzione di binari si ritrova
già in tunnel [1].
Il treno, appena parte, s’inoltra nella
galleria Sant’Elmo e, oltrepassata questa collina, sbuca al Corso Vittorio
Emanuele dove incontra la prima fermata.
Lo scrittore e giornalista napoletano Antonio
Scotto di Uccio così descrive le sensazioni provate nei suoi viaggi su questa
vecchia ferrovia:
«Il
trenino della Cumana era un nostro amico dell’estate. Quando, alla fermata del
Corso, lo vedevamo sbucare sbuffando proveniente da Montesanto di sotto ad un
tunnel che sembrava, a noi giovanissimi, come un tremendo Moloch, era una corsa
allegra [2].
Scattavamo
come saette per conquistare il posto (e si andava in prima!) che cedevamo alla
mamma ed alle sue amiche; noi preferivamo, poi, andarcene sul terrazzino; il
vecchio belvedere.
Per
goderci la passeggiata, il tran tran sulle ruote non molto veloce, a far finta
di nulla ma notare qualche coppia appena più adulta, furtivamente pronta ad
intrecciare le mani nelle mani.
Paragonarle
a quelle odierne dei trenini elettrici; il capostazione dal berretto rosso, il
cancelletto dipinto di verde per l’uscita, le siepi di fiori profumati.
Fiori
semplici di stagione con certe ortensie multicolori che davano il capogiro,
l’immancabile seriosa coppia di carabinieri.
Non era
veloce il nostro amico trenino. Ma ci concedeva il lusso del chiaroscuro; un
tunnel breve; uno spicchio di sole; un tunnel più lungo; una panoramica di
azzurro fatta di mare e cielo a contatto.
Tecnicolor
della più pura luce. Un regista, un fotografo, uno scenografo di quelli moderni
non avrebbero potuto far meglio. Aveva pensato a tutto l’alchimista
dell’Universo. . .
La
fermata delle Terme Puteolane, ad esempio. Ecco una cartolina che abbiamo
nell’album dei ricordi. Una specie di sogno. Giù si sentiva Pozzuoli, alveare
di odori di pesce fresco e fritto, ma, durante la sosta, osservavamo come
affascinati; piante esotiche, scalinatelle che si intrecciavano, ombrelloni su
spiazzi ampi di terrazze fatte a balconate, lumi colorati. Predominava il rosso
mattone. Un rosso di lusso; come un pugno nell’occhio, ma dato con stile.
C’era
ancora un tratto di ferrovia, se ben ricordiamo lungo la Pietra, con altri
tunnel che si intrecciavano, ed il fischio della locomotiva accompagnava
l’uscita mentre si scorgeva, d’improvviso, un tratto di strada che sfiorava il
mare [3].
Esisteva
un intermezzo di verde costituito da canne di bambù o di viti, di frasche
rilucenti e di erbe selvagge; quale contrasto. E poi l’incantesimo della
visione; la barca a vela ondeggiante pigramente, una specie di paranza che si dondolava.
C’erano anche spruzzi di fichi d’india invidiati. Li avremmo voluti cogliere al
volo. Ci avvicinavamo, così, alla meta; alla parte, a quel tempo
dell’anteguerra, più bella della nostra Napoli.
Quando
il treno si fermava a Lucrino, era fatta. E bisognava attendere le prime ore
della sera per rifare il cammino a ritroso ed a volte con la luce diffusa di
una luna inviolata piena di sospiri, di occhiate amichevoli, di strizzatine, di
quelle che sembravano occhi per una carezza fugace.»
Il 9 giugno 1898 escursione classica per gli
alunni del convitto Vittorio Emanuele II di Napoli.
«Alle 6
del mattino gli studenti, accompagnati anche dal distinto prof. Giuseppe
Mercalli, escono dall’edificio di Piazza Dante avviandosi alla stazione della
Cumana [4].
Il
treno partì e circa un’ora dopo, alla stazione del Lucrino, la comitiva
scendeva per incominciare l’escursione a piedi. La prima visita fu alle Stufe
di Nerone, con spiegazione del fenomeno da parte del Mercalli che fece notare
le analogie, e le opportune differenze, con le stufe di San Germano, la Grotta
del Cane e la Solfatara.
Poi ci
si prese a camminare verso Pozzuoli: si visitò il Serapeo, dove il prof.
Mercalli mostrò le perforazioni subite dalle tre colonne, si proseguì quindi
per la Solfatara, il cui proprietario cav. Eugenio De Luca concesse l’ingresso
gratuito, e si eseguirono vari esperimenti chiaramente spiegati sempre dal professor
Mercalli.
Tutti,
lasciando il luogo, vollero portare con se un pezzettino qualunque di materiale
che fu oggetto di lunghi dibattiti nelle carrozze della Cumana durante il
ritorno a Napoli.»
Edoardo Salzano, ingegnere ed urbanista nipote
di Armando Diaz, così scrive nel suo libro “La lunga infanzia”:
«A
volte, d’estate, quando stavamo in città ci portavano al mare. Ricordo il
viaggio verso Lucrino, una grande spiaggia pulitissima e deserta. Percorrevamo
a piedi un pezzo del Corso, fermandoci dalla drogheria Stinca a comprare le
caramelle, e raggiungevamo, subito dopo la casa di Luigi Massaro, la stazione
della ferrovia Cumana. Era divertente guardare dal finestrino il paesaggio
prima urbano poi, dopo Pozzuoli, aperto sulla Baia. Come tutti i bambini,
raccoglievamo conchiglie, facevamo i castelli di sabbia, prendevamo il bagno
nelle ore stabilite e ci facevamo asciugare dai grandi lenzuoli a spugna.»
Nel 1932 la stampa enfatizza sul buon cuore
fascista che non trascura i bisognosi. Così riporta:
«Alla
presenza delle autorità cittadine, dalla stazione della Cumana di Napoli è
partito il primo treno delle vacanze per la colonia estiva di Arco Felice [5].
Spettacolo
indimenticabile; sventolava il tricolore, la banda suonava gli inni della
Patria, i babbi e le mamme agitavano i fazzoletti per salutare i loro piccini.
Intervistato,
un povero bimbo, figlio di un falegname, ha suscitato la commozione degli
astanti dicendo:
“Oh,
quanto son grato a Sua Eccellenza Mussolini! Io non ero mai stato in treno, e
nemmeno in funicolare!»
Ancora fino a tutti gli anni ’30 erano in
voga le “ottobrate”, una sorta di scampagnata fuori porta organizzate, spesso,
dal Dopolavoro Provinciale del Partito Nazionale Fascista. Tutti insieme si
partiva dalla stazione Cumana di Montesanto e si raggiungeva quella del Fusaro,
vicinissima al lago ed alle sue peschiere, a rinomati o meno ristoranti, a
estesi prati [6].
Antonio Buonomo, nel suo libro “L’arte della
fuga in tempo di guerra”, così parla del nonno e della Cumana:
«Di lui
ho un ricordo stupendo!
Amava
molto il suo lavoro di capotreno della Ferrovia Cumana e spesso mi portava con
sé sul treno.
Durante
quei viaggi avevo avuto modo di vedere come mio nonno fosse stimato e amato da
tutti quelli che lo conoscevano. Sui treni della Ferrovia Cumana viaggiavano
vaste categorie di commercianti che trasportavano derrate alimentari;
pescatori, ortolani, salumieri, ecc.
Lui
cercava sempre di facilitare il loro lavoro, facendo il suo senza essere mai
eccessivamente fiscale.»
Sia i pescatori (generalmente di sciabica i
quali dividevano tra loro il pescato che vendono in proprio casa per casa) che
i pescivendoli erano quasi tutti puteolani.
Ancora ricordo il loro coreografico assalto
mattutino ai treni della Cumana presso la stazione di Pozzuoli; le urla, gli spintoni,
le precedenze mai rispettate e... il coro finale quando il convoglio partiva
lasciando a terra qualche tinozza o delle cassette col rispettivo proprietario.
Il citato Buonomo così continua i suoi
ricordi, in piena guerra:
«Dopo
aver dormito qualche notte sui marciapiedi del tunnel della metropolitana, per
ragioni di vicinanza, ci trasferimmo sotto al tunnel della Cumana; una ferrovia
suburbana che collega la città di Napoli con la costa Flegrea. Il tunnel era da
preferire perché aveva due uscite; mentre i rifugi sotterranei, durante i
cosiddetti “bombardamenti a tappeto”, potevano essere bloccati dalle macerie
dei palazzi soprastanti.
Conoscevo
molto bene la Ferrovia Cumana, perché me ne servivo spesso, sia per andare a
trovare i miei nonni sia per andare al mare d’estate.
Quello
che colpiva la nostra fantasia di bambini erano i due treni diretti per Lucrino
(detto anche Lido di Napoli); uno tutto bianco e l’altro azzurro [7].»
Questa idea innovativa della cumana non deluderà, rivelandosi utile sia
per i cittadini sia per i turisti, tanto da
incentivare l’idea di un biglietto che non solo garantisca il viaggio ma anche
l’ingresso agli stabilimenti balneari posti a pochi metri dalla stazione
di arrivo. Col tempo arriva anche l’idea di un titolo di viaggio con un
pacchetto più vasto; nel costo del biglietto, oltre al viaggio di andata e
ritorno e l’ingresso agli stabilimenti balneari, sono previste escursioni,
visite guidate e pranzo compreso.
I napoletani possono
definirsi quindi i precursori di un’epoca moderna,
quella delle offerte vantaggiose oggi definite “all inclusive” [8].
I miei primi ricordi di questa ferrovia
risalgono agli anni cinquanta; d'estate si andava con la Cumana a fare i bagni
a Torregaveta, al Lido Fusaro in cabine concesse a prezzi modici ai dipendenti
del Silurificio di Baia, come lo era mio Padre.
Più spesso, con tutta la Famiglia, s’andava a
Napoli per gli acquisti importanti, per la Piedigrotta, per i Presepi.
Ci sono due odori che mi ricorderanno sempre
quel tempo; la frittata di maccheroni, il piatto classico da spiaggia del
napoletano e l'odore misto di treno e panzarotti che ancora adesso, se si
cammina per Montesanto e si passa vicino alla Cumana, ti riporta a quei tempi.
E m’è rimasto impresso anche il fumo passivo
che, nelle umide giornate con i finestrini ben serrati, invadeva l’intero treno
quando non esisteva il divieto.
Lucio Musto, in un blog napoletano, così
racconta:
«Da Fuorigrotta prendevamo la Cumana che ci
portava a Lucrino o ad Arco Felice o ancora a Torregaveta. Salivamo sulla
Cumana carichi di vettovagliamenti, ruoti di maccheroni, insalate di pomodoro;
c’era di tutto. In quegli anni il periodo più lungo lo trascorremmo al ”Lido
Fusaro” [9].
Era uno stabilimento balneare molto bello che
si trovava sul tratto iniziale de “la spiaggia romana”, partendo da
Torregaveta. L’ingresso era formato da un edificio circolare che comprendeva
gli uffici, il bar ed una grande sala in cui c’era il bigliardino e soprattutto
il juke-box che spesso faceva da sottofondo ad alcuni ballerini che accennavano
qualche ballo di coppia o di gruppo. All’epoca non c’era bisogno di fare scuola
di danza, chi aveva voglia di ballare, o cercava nel ballo la possibilità di
fare “acchiappanza”, si buttava senza vergogna, per la gioia di noi ragazzi che
ci divertivamo a guardare quei Fred Astair e Ginger Roger nelle loro
coreografie valorizzate dai costumi da bagno. Sono trascorsi solo
cinquantacinque anni ma sono tanti.»
Sul blog del puteolano Giuseppe Caso,
troviamo:
«Arrivavo
a Bagnoli ogni mattina con la Cumana, che aveva ancora i vecchi convogli con
motrice e carrozze di colore rosso e crema, e ne ripartivo con la stessa
all'uscita da scuola. Sulla stazione iniziai a notare, in quello stesso autunno
del 1960, una ragazza che mi colpì particolarmente per il suo aspetto. Questa
bambina, perché tale era avendo solo 12 anni, frequentava la mia stessa scuola
e utilizzava anche lei la Cumana, ma in direzione opposta alla mia. In seguito
scoprii che proveniva da Fuorigrotta e lei poteva usufruire, diversamente da
me, anche di una navetta, una specie di “littorina”, che ogni dieci minuti
intercalava le corse con i normali convogli come quelli diretti verso Pozzuoli.
Questa “littorina” acquisterà poi grande rilievo nel prosieguo dei miei ricordi [10].»
Salvatore Savino, nel suo “Il ragazzo di via
Enrico Alvino”, così scrive:
«Scoprii
così nuove spiagge, anche lontane dalla città. Come Arco Felice, e le
pulitissime acque del Lido Napoli di Lucrino, che raggiungevamo con il treno
della Cumana.
Durante
il non breve viaggio parlavamo di scuola, dei libri di lettura, dei nuovi film
visti o da vedere e dei nuovi attori americani. Poi giunti al Lido, giù in
acqua con lunghe nuotate a raggiungere la Torre di Pulcinella, forse un antico
faro allora non più attivo, situata in mezzo a quell’arco di mare e utilizzata
da noi come trampolino per i tuffi.»
Sul Forum “Napolifans” c’è questo
interessante intervento di Carlo Orso:
«La
mattina mi svegliava una lama di luce dalle persiane. E subito avvertivo quel
languore, la sottile leggerezza del vivere una vita unica e irripetibile tra le braccia
di una donna. Con lei andavo spedito alla stazioncina della Cumana al Corso
Vittorio Emanuele e (tra una folla fragrante di mare, una giovane ciurma
allegra e gentile, munita di pinne, tamburelli, palloni e sacchi da spiaggia
odoranti colazioni a base di mortadella, cotolette o cozzetti riempiti di
cianfotte) in compagnia di tale piccola umanità del Paradiso, andavo a fare il
bagno al Lido Napoli di Lucrino.
Quel
vagone (me lo ricordo bene, proprio oggi che qui nevica a fiocchi ampi e
leggeri) risuonava di voci, risate e chiacchierine, e pur essendo ciascuno
sull'altro, aggrappati a ganci o a corrimano, nessuno si permetteva di sbuffare
al vicino; di felicità per la vita, per quella vita, ce n'era in abbondanza per
tutti. Ricordo ancora, io sì che mi ricordo, una signora occhialuta, alta e
magra, che indossava un vestitino celeste con i fiori arancione. Saliva sul
treno in compagnia di una bimba ciotta ciotta e di un ragazzetto pasciuto e
cretino che piangiucchiava senza una ragione. La signora portava una gran sacca
a tracolla e sotto il braccio una di quelle sedioline pieghevoli in legno che,
fattosi un po' di spazio tra la gente, apriva di scatto per sedercisi sopra.
Dalla nuova altezza canticchiava coi suoi bambinetti "perchè perchè, la
domenica mi lasci sempre sola".
Man
mano che la meta si avvicinava il chiacchiericcio si infittiva, sentivi
nell'aria l'eccitazione di quando il mare si approssima. Nell'ultimo tratto la
botta al cuore, dopo un tratto in galleria, lungo il quale risate e
chiacchierine accusavano il picco, improvviso il silenzio. Lasciata la stazione
di Arco Felice la Cumana sfrecciava all'aperto e sotto i nostri occhi incantati
scorreva il lido di Lucrino [11].
Erano
attimi di gioia cristallina; il mare! il mare! e il mare ci accoglieva paterno
con le note di “Azzurro”, la canzone di Celentano che impazzava quell'estate.
Addio
Napoli, e forse addio vita vera. Addio per sempre.»
Amalia Galante, nel suo “La signora dagli
occhi di viola”, così scrive:
«L’estate
era arrivata con molto anticipo quell’anno. Messi da parte piumoni e poullovers
s’indossavano abiti chiari, allegri camicioni.
Martina
accettò l’invito di Rosetta di recarsi con lei al mare e verificò che nel
borsone vi fosse tutto l’occorrente. Mancavano le creme solari, ma sapeva che
Rosetta ne aveva una scorta.
“Andiamo
a Lucrino?”
“Per me
va bene, senza macchina però, prendiamo la Cumana a Montesanto.”
Da
molti anni mancava dal Lido Napoli. Era uno stabilimento di pietra. Un lungo
nastro di cemento separava le cabine per famiglia, grandi spaziose, con una
terrazzina coperta, dagli spogliatoi in muratura.
Il
proprietario del bagno aveva predisposto ad una certa distanza dall’arenile una
zattera dalla quale ragazzi e ragazze si tuffavano con le più inverosimili
esibizioni.
Martina
nuotava bene allora, arrivava senza sforzo alla tomba (sic) di Pulcinella, il
bianco tempietto che si ergeva come un faro.
Chiassoso
il treno dei bagnanti stipato quasi esclusivamente di giovani.
La
piccola comitiva di allora non sostava nella carrozze, era fuori, nel breve
abitacolo che le precedeva a godere del vento che scompigliava i capelli, dei
baci furtivi nelle lunghe gallerie, di strette rapide che i sobbalzi della
carrozze in fila rendevano sempre audaci…[12].
Non
erano molti i viaggiatori quella mattina. L’estate non aveva ancora sfoderato
l’irresistibile desiderio di denudarsi, di sentirsi finalmente liberi da
moralistiche sovrastrutture imposte dall’inclemenza della stagione invernale.
Ancora
pochi i bagnanti al lido.
Martina
si provò il costume, avrebbe dovuto pensarci! Le andava stretto, erano più di
tre anni che non andava al mare, lo tirò verso l’alto, poi verso il basso, lo
strapazzò, lo tese, non cedeva di un millimetro.
Lo
avrebbe indossato ugualmente, non poteva consentire che un lembo di stoffa
condizionasse la giornata che si era guadagnata con caparbia volontà.»
Salvatore Fiore in un Forum, dedicato ai
trasporti, narra una sua avventura curiosa mentre era in viaggio con la Cumana:
«In
quegli anni ero più legato alla Ferrovia Cumana perché spesso la domenica la
prendevamo per andare a Fuorigrotta da parenti.
Inoltre
la utilizzavamo in estate per andare al mare a Lucrino al Lido Napoli; allora
luogo frequentatissimo di napoletani, oggi non più.
La
Cumana ha segnato anche la mia autonomia, la mia libertà. La prendevo da solo
già a 12 anni; andavo di mattina prestissimo al Lido Napoli per prenotare la
cabina, altrimenti non avremmo trovato più un buco...
Non
posso mai dimenticare la graffa che mangiavo appena sceso dal treno prima di
scendere in spiaggia.
Ma
ancor più ricordo un episodio dell'estate del 1978.
Una
mattina divenni rosso paonazzo dalla vergogna, perché il treno fermandosi
bruscamente al Lido Augusto mi fece perdere l'equilibrio, mandandomi
letteralmente ad abbracciare una bella vacanziera sui 30 anni. Questa molto
turbata mi fece un "rimbrotto isterico" che ricordo ancora adesso a
distanza di anni, con molta tenerezza.
Fu
inutile giustificarmi, la donna non volle sapere scuse!
Tutti i
viaggiatori della cumana poi mi presero a guardare in maniera sospetta..., come
un "molestatore ferroviario".
Si,
perché nei luoghi pubblici, allora come oggi, basta uno che fa una sceneggiata
ad alta voce e la gente sta sempre dalla parte di chi accusa, senza sapere se
l'altro ha ragione o no.
Insomma
avrei voluto disintegrarmi..., avevo appena 14 anni!
Adesso
nei treni succede di ben altro..., altro che queste ingenuità della fine degli
anni '70.
Quando
da adulto ho finalmente raccontato la cosa gli amici mi dissero:
“Salvatò...
t'è piaciuta 'a signora, eh?”
Veramente
era molto carina, e anche molto scollata, era in tenuta balneare con
prendisole, ma allora a 14 anni si incominciava appena a uscir col naso fuori
l'uscio di casa.
Adesso
tiferei per una bella frenata in un treno affollato, ma mannaggia non capita
mai!
Possibile
che i macchinisti sono diventati tutti bravi?» [13]
Salvatore Casaburi, nel suo “Quei ragazzi sul
treno chiassosi e soli”, così scrive e, debbo ammetterlo, mi riconoscono nelle
sue riflessioni:
«Quando
nei lunghi giorni d'estate prendo la Cumana per andare a Montesanto, non posso
fare a meno di cedere, indifeso, all'invasiva e struggente malinconia che mi
riporta agli anni della lontana giovinezza.
La
malinconia deve essere assunta a dosi giuste. Come i farmaci, bisogna
rispettarne la posologia, altrimenti fa male, può dare assuefazione, fino a
determinare stravolgimenti per cui il passato, anche il più doloroso, ci appare
come il migliore dei mondi possibili. Per chi racconta la sua e la vita degli
altri, poi, questo rischio è ancora più forte.
La
Cumana è il mio luogo dell'anima, è, come per un "flâneur" parigino
dell'Ottocento, un "passage" da riscoprire a ogni transito.
La
Cumana è il mio "luogo della verifica" per capire cosa è cambiato
nella città. O cosa è rimasto immutato. Perciò, in questa complicata estate,
non posso fare a meno di andarci, come se l'abitudinario e breve viaggio
potesse rivelarmi ciò che mi sfugge nella ricognizione urbana.
I
ragazzi seduti davanti a me nel vagone comunicano per "selfie", si
bombardano di "selfie", si vantano dei "selfie" ricevuti.
Non fanno altro per tutto il tempo del viaggio. Sono chiassosi e soli.
Accumulano pixel. Perderanno presto le loro "memorie" quando non
riusciranno più a governarle. Ora siamo come i giapponesi che venivano a Napoli
nei primi anni Sessanta. Vediamo ma non osserviamo. Per osservare occorre lo
sguardo di Ulisse, occorrono la fatica e la voglia di vivere.
La
Cumana è il mio percorso d'Ulisse e anch'io, ogni volta, ho come meta
rassicurante la mia Itaca.
A
Montesanto, mentre il mio treno entra in stazione, la folla dei viaggiatori in
attesa ha ormai invaso la banchina, impedisce a noi passeggeri in senso
contrario di defluire. Spintoni, imprecazioni, qualche avvio di rissa. Altro
che trascinato. La folla, presa da un'assurda frenesia, ora mi blocca [14].
Bisogna
tenere integro il sottile filo che unisce il passato al presente. Cerco di
capire. Mi chiedo quale oscura ragione abbia impedito ai progettisti di
istallare, anche nella nuova stazione di Montesanto, le porte automatiche che,
nella vicina funicolare, rendono ordinato il flusso degli utenti. Condividiamo
i "selfie", non il senso civico.
a cura di Giuseppe Peluso