GIOVANNI,
BENIAMINO,
LA MULTIPLA E IL VITELLO
Pozzuoli, 10 marzo 2019
Ieri, nel tardo pomeriggio, sono tornato a far visita ad un caro amico caduto da uno scaletto; imprudente nel raccogliere arance della natia campagna.
Abita, l’amico, nella seconda scala del mio stesso isolato a Monterusciello; le nostre figlie, quando giovanissime, erano unite dalla passione per lo scoutismo; spesso siamo stati insieme in gita ed anche in vacanza all’estero. Inoltre la moglie, Rita P., è assidua frequentatrice del pomeridiano salotto culturale - culinario condotto dalla mia consorte.
Abita, l’amico, nella seconda scala del mio stesso isolato a Monterusciello; le nostre figlie, quando giovanissime, erano unite dalla passione per lo scoutismo; spesso siamo stati insieme in gita ed anche in vacanza all’estero. Inoltre la moglie, Rita P., è assidua frequentatrice del pomeridiano salotto culturale - culinario condotto dalla mia consorte.
Lui, nato nel 1948 in
un fondo agricolo sulla Domiziana al confine tra Pozzuoli e Napoli, da adulto è
stato dipendente delle Ferrovie dello Stato. Ente per il quale ha guidato, per
molti anni, i convogli della Metropolitana Villa Literno – Pozzuoli –
Gianturco.
Una volta in pensione
s’è molto impegnato sia nella cogestione di un localino, ovvero una osteria che
possiamo definire veramente DOC nell’affollata tavola calda di Via Napoli, sia
nella conduzione della familiare campagna rimasta semiabbandonata; in pratica un
ritorno alle origini.
Per motivi di “privacy”
non declamo le sue complete generalità; pertanto lo chiamerò Giovanni M.
Ha trascorso a letto,
per modo di dire in quanto mal sopporta l’inattività, undici dei quaranta
giorni previsti ed è disposto, stufo di troppa televisione, a qualsiasi discussione
o confessione.
«Basta che non parli di
malattie o di guai», gli faccio intendere, e lui parte dando libero sfogo ai
suoi ricordi che, come succede anche a me, non sempre può permettersi di narrare
nel consesso familiare.
Abbiamo avuto una
infanzia, per certi aspetti, similare: ricordi agricoli, stalle, mucche, la
conoscenza di una Santa ancora in vita, le scuole a Bagnoli.
Proprio da questa
località parte il suo narrare, di quando frequentava le elementari presso le
suore Piccole Missionarie Eucaristiche create a Bagnoli da quella Santa Donna
che fu Madre Ilia Corsaro.
Entrambi abbiamo
conosciuto Madre Ilia che Papa Francesco ha dichiarato Venerabile il 26 aprile
2016; lui la ricorda molto bene, io appena appena.
Ma ascoltiamo cosa
racconta Giovanni:
«Nella primavera del
1959 sto per terminare la scuola elementare e le suore convocano mia Madre
comunicandogli che non posso lasciare il loro Istituto senza aver fatto Prima
Comunione e Cresima. Mia Madre, che il precedente dicembre è rimasta vedova, fa
capire che non possiede risorse materiali e temporali dovendo provvedere a cose
molto più urgenti e necessarie per i tre figli rimasti orfani di Padre.
Ma le suore insistono e
la stessa Madre Ilia riferisce che la Famiglia d’origine non deve preoccuparsi,
sarà la Famiglia delle Piccole Missionarie Eucaristiche a provvedere per tutto
quanto necessiti.
La seguente Domenica
mattina ci convocano per presentarci il prescelto mio Padrino di Cresima e, con
somma meraviglia, notiamo che le suore hanno eletto a tale compito don Beniamino
M., che di già ben conosciamo.
Beniamino è un popolare
commerciante, nativo di Monte di Procida, proprietario a Bagnoli di una
macelleria e di due salumerie, ovvero due grossi empori alimentari. Don Beniamino
è un fornitore del Refettorio dell’Istituto Corsaro nonché delle mense aziendali
degli Stabilimenti Meccanici di Pozzuoli e della Montecatini di Coroglio gestite
dalle stesse suore di Bagnoli. Inoltre rifornisce di mangimi e di paglia i
piccoli allevatori flegrei e innumerevoli sono tutte le altre piccole attività
che tuttavia, pur tenendolo seriamente impegnato, non gli impediscono di
svolgere i suoi doveri di buon cristiano.
Io e mammà oltre a don Beniamino,
che ci procaccia il mangime per il bestiame, conosciamo sua moglie, originaria
di Casal di Principe, ed i suoi figli, più piccoli di noi, che qualche volta porta
nel nostro giardino in modo che possano giocare all’aria aperta.
Naturalmente questi
contatti si intensificano dopo la mia Prima Comunione e, specialmente durante
le vacanze estive, don Beniamino spesso viene a chiedere a mammà il permesso affinché
possa accompagnarlo e fornirgli un piccolo aiuto nelle sue consegne che, in pieno
boom economico, sono sempre più numerose.
Una sera d’estate sale
su alla nostra masseria e annuncia che l’indomani verrà presto a prelevarmi per
compiere un lungo giro; questa volta deve procurare rifornimenti ai suoi
negozi.
Di buon mattino arriva
con la sua Fiat Seicento Multipla e noto che accanto, sul sedile anteriore, siede
un altro suo conoscente, un certo Alfonso N., anch’esso convocato per non
rendere noioso un viaggio di lavoro.
Partiamo verso Napoli
dove imbocchiamo la Nazionale delle Puglie alla volta di Mugnano del Cardinale.
All’ingresso del paese svoltiamo in una traversa e ci fermiamo davanti a quello
che sembra un grande cellajo; don Beniamino scende, saluta alcuni del luogo e
con loro s’inoltra nel fabbricato. Poco dopo torna e con l’aiuto di Alfonso
porta dentro alcuni dei vuoti ma ingombranti valigioni che avevamo con noi, sia
in auto che sull’alto bagagliaio esterno.
Saprò poi che sono stati
riempiti di Salami, Soppressate, Pancetta e Salsicce Piccanti che qui, ai piedi
del Partenio, trovano favorevole stagionatura. Il vento che soffia in direzione
sud-sud-ovest, così spiega il mio compare, porta con sé gli aromi di faggi,
querce e castagni che insaporiscono la maturazione.
Ripartiamo e con un
tragitto più lungo attraverso l’Appia e la Casilina giungiamo in un paese della
Ciociaria; ora più non ricordo se sia stato Cassino, Ceprano, Ceccano o la
periferia della stessa Frosinone. Ricordo solo che l’intero circondario è
impregnato dal denso odore emanato dalle pecore; nel capannone, dove pure io entro,
su dei fuochi sono posti enormi e neri calderoni ricolmi di latte. Intorno ai
calderoni, e alle forme di formaggio riposte su molti ripiani, svolazzano sciami
di mosche. Familiari e aiutanti del massaro girano lentamente il latte con grandi
pale di legno ma il loro maggior impegno è rivolto verso quelle mosche che li
tormentano rallentando la produzione.
E’ in questo ambiente
che consumiamo una rapida colazione a base di pane, formaggi e vino e poi, dopo
aver riempito altre valigie con caciotte e formaggi, riprendiamo il nostro girovagare.
Questa volta dirigiamo
verso il mare percorrendo una strada che si incunea tra monti e strette valli. Ci
fermiamo presso una masseria già nota a don Beniamino per la produzione delle
famose cipolle delle colline ciociare.
Il mio compare chiede
d’acquistare dei cipollotti che subito vengono appositamente raccolti e
rinchiusi in due sacchi forniti dagli stessi contadini. Questa volta non c’è
pagamento ed i cipollotti sono prelevati contro lo scambio di qualche salame
stagionato a Mugnano.
Nel tardo pomeriggio
raggiungiamo la campagna dell’Agro Pontino dove don Beniamino fa spesso
capolino e, se c’è l’occasione, acquista qualche vitello da far crescere;
l’opportunità c’è e così la Multipla s’arricchisce di un altro passeggero.
Don Beniamino gli fa
legare le quattro zampe, trasferisce parte del carico sul portapacchi della
Multipla, abbassa i sediolini posteriori e crea quell’ampio vano di carico che
trasforma questa straordinaria auto in piccolo furgone.
Su questo piano,
realizzato nella versatile Multipla, il compare poggia sia il resto dei bagagli
che l’impaurito vitello, insieme al titubante cumpariello.
Riprendiamo il viaggio,
con don Beniamino sempre più allegro, nel mentre io e il vitello ci guardiamo
negli occhi confessandoci reciproco rancore, ma anche mutua richiesta di aiuto.
Ultima tappa, almeno
così assicura don Beniamino, è Gaeta dove si reca in un grosso capannone
uscendone con due bidoncini pieni di olive che, proclama, sono molto ricercate
dai buongustai flegrei.
Finalmente, è quasi buio,
attraverso la Domiziana riprendiamo la via di casa ma durante il percorso la
sopraggiunta oscurità aumenta i timori del vitello che non si fa scrupolo dal
trattenersi dalle sue necessità.
Io, che alloggio in una
pendenza sottoposta al bovino, mi ritrovo bagnato e sconvolto.
Don Beniamino non si
perde d’animo, con calma e pazienza si ferma in vicinanza di una fontanina; porta
tutto fuori e risciacqua, sposta sul portapacchi i due sacchi di cipollotti,
nei quali infila qualche caciotta e salame, e mi fornisce stracci asciutti su
cui sedermi.
Fortunatamente i bidoncini
caricati a Gaeta sono chiusi ermeticamente e non c’è necessità di cambiare l’acqua
alle olive.
E’ notte quando iniziamo
la tortuosa salita che porta da mammà che ci attende sveglia. Ripariamo il
vitello, ormai più morto che vivo, nella stalluccia dove sarà allevato per
conto di don Beniamino. Un domani, una volta cresciuto, sarà rivenduto a pezzi
nella sua macelleria e a noi sarà data una giusta ricompensa per averlo curato.
Ripartiti il compare e
Alfonso c’è tempo solo per cenare rimandando al domani le preghiere e tutte le
altre cose che pur sarebbero necessarie.
Qualche mattina dopo
sono di nuovo in Multipla con don Beniamino; si va a Monte di Procida a
caricare il pane prodotto nel forno di suo fratello.
Al ritorno la macchina,
che ancora ostenta i ricordi del vitello, è invasa dal particolare profumo che
emana il pane appena sfornato. Don Beniamino, mentre guida e senza voltarsi,
allunga la mano sul ripiano posteriore colmo di pane e afferrando qualche
pagnotta grida:
“piglia guagliò, mangia, sient che profumo”.
Io il profumo lo sentivo,
ma ne sentivo pure un altro e nonostante sentissi pure fame risposi:
“no cumpa’, non posso, ho fatto un fioretto, una promessa a Madre Ilia”.»
Così mi è stato
raccontato e così riporto, con qualche piccola licenza scaturita dalla mia
fantasia. Ma veri sono i personaggi come Madre Ilia, come don Beniamino, come
Giovanni, come sua Madre, come la Multipla, come il Vitello.
Sono questi gli uomini e
le donne che tutti insieme, con macchine, animali, lavoro e preghiere, hanno
contribuito a trasformare la nostra Italia, uscita distrutta dalla guerra, rilanciandola
verso un futuro di benessere e di pace che nessuna quarantena e nessun virus potrà sottrarci.
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