EUGENIO MINISINI E IL
SILURIFICIO DI BAIA.
Tra Realtà, Fantasia , Sabotaggi, Agenti Segreti, Fughe e Film
Nel 1935 il “Silurificio Italiano SpA”, con
stabilimento a Napoli in via Emanuele Gianturco e poligono di prova
(siluripedio) sull’isolotto di San Martino, si trasferisce a Baia nei locali
del fallito cantiere navale “Società Cantieri ed Officine Meridionali” [1].
Riprende così il travagliato cammino di
questo silurificio che ha vissuto un periodo difficile fra inadempienze,
manomissioni e lamentele dei committenti esteri e nazionali. Problematiche che,
nel 1933, hanno portato al rilevamento della società da parte dell’I.R.I.
(Istituto Ricostruzione Industriale) con conseguente cambio dei vertici che ha
visto la sostituzione del trio Bianchini – Raffaelli - D’Agostino con la coppia
Gorleri - Minisini.
Eugenio Minisini nasce ad Ospedaletto di
Gemona il 19 novembre 1878. Il padre Francesco, farmacista, appartiene ad una
facoltosa famiglia locale, la madre, Eugenia Fremont, è originaria di Fiume. A
15 anni entra nell’Accademia Navale di Livorno, uscendone guardiamarina nel
1898. Con la nave “Elba” opera nell’Estremo Oriente, per ben tre anni, dove è
decorato con l’Ordine di San Stanislao dallo zar per aver partecipato con le
truppe russe alla spedizione italiana al Pe-chili (golfo a NW del mar Giallo in
Cina). Rientrato in patria, imbarca prima sulla nave “Affondatore”, poi sulla
“Regina Margherita” ed infine sul primo sommergibile italiano, il “Delfino”,
ove mette in mostra il suo talento e la sua ingegnosità sull’ideazione di
apparecchiature importanti per quel battello.
Creativo, fantasioso, eclettico, Minisini si
congeda nel 1907 e lascia la Marina, forse perché appassionato della ricerca ed
il servizio militare non gli permette di sviluppare appieno la sua inventiva,
tant’è che frequenta corsi, in Italia e all’estero, addirittura sui motori
della nascente aeronautica. Egli trova utili impieghi anche in Francia e in
Gran Bretagna.
Nel 1914, all’approssimarsi della “Grande
Guerra”, è richiamato in servizio e nel periodo bellico è assegnato nella zona
costiera tra l’Isonzo ed il Piave. Per meriti di guerra viene promosso capitano
di corvetta e prosegue quindi la sua carriera nella Regia Marina. Da allora
questa forza armata gli permette di sviluppare le sue eccezionali doti
intellettive, per cui diviene responsabile nell’arsenale di Venezia della
“Commissione Permanente” per gli esperimenti del materiale bellico.
In Marina viene ricordato per la sua attività
nel campo delle applicazioni elettriche, elettroacustiche e in quelle della
chimica di guerra. Progetta e realizza impianti di artiglieria navale, in
particolare rammoderna il vecchio impianto binato navale ed anti aereo a culla
unica, su affusto a piattaforma, derivato dallo Skoda mod.1910. Dopo le modifiche
questo risulta dotato di un affusto a ginocchiello, variabile automaticamente
in funzione dell'elevazione, e viene ora definito cannone 100/47 OTO mod.1928
“Affusto Minisini”.
Diventa famoso quale ideatore delle tenaglie
di trasporto e di lancio di siluri applicate sui “M.A.S.” italiani; un apparato
che sarà giustamente ricordato come “Sistema Minisini”. Questi lanciasiluri, ad
impulso laterale, sono di tipo pneumatico ed hanno la caratteristica di essere
molto semplici e leggeri e quindi specificamente adatti per l'impiego sulle
piccole siluranti, permettendo di raddoppiare i punti di tiro senza ricorrere
ai pesanti ed ingombranti tubi di lancio. Particolarità questa in comune
solamente con le “Pt Boats” americane su cui nel 1943-1944 è introdotta un'arma
chiaramente derivata dalla pratica ed efficiente apparecchiatura italiana [2].
Eugenio Minisini, che in Marina ha raggiunto il grado di ammiraglio di divisione delle Armi
Navali,
dalla metà dell’anno 1934 resta praticamente solo al vertice del silurificio.
Egli è anche membro del Comitato Tecnico per lo studio dei problemi della
siderurgia bellica; speciale ente creato nell’estate del 1934 per suggerire
proposte di sistemazione di questo importante settore. Inoltre ricopre la
carica di Direttore Generale dell’I.R.I.; per tutte queste
attività gli è conferita l’onorificenza di Cavaliere del Lavoro nel settore
industriale, mai prima assegnata ad un ufficiale in servizio.
A Baia i lavori di adattamento procedono
lentamente sotto la direzione dell'ing. Raffaelli tanto che il trasferimento
che si prevede per il 1938 è completato solo nel 1939 quando finalmente ha
inizio la produzione di siluri.
Nello stesso 1939 l’Azienda incarica una
ditta di Bacoli ad iniziare i lavori, che terminano alla fine dell'anno
successivo, affinché l’isolotto di San Martino sia collegato alla terraferma
mediante un suggestivo pontile a palafitte ed uno stretto tunnel lungo 1.150
metri che in località Cappella si riconnette alla viabilità stradale [3a/3b].
In origine il collegamento fra gli impianti
pensato da Minisini contempla una funivia, così come si evince da un suo
promemoria del 17 maggio 1935 intitolato "Riorganizzazione del Silurificio
Italiano". Probabilmente Minisini pensa a questa soluzione osservando
alcune funivie che esistono nelle vicine cave di pozzolana, ma il progetto non
è realizzato perché questa funivia avrebbe dovuto superare ben due dislivelli
rappresentati dal Parco Monumentale di Baia e dal promontorio di Monte di
Procida.
Il Podestà di questo comune chiede che la
costruendo galleria sia adeguata a permettere il passaggio di autocarri e sia
fornita di un binario ferroviario ad eventuale uso del vicino porto di
Acquamorta raggiungibile, allora come oggi, da una inadatta e scoscesa strada
caratterizzata da molti tornanti. Questa aspirazione non viene accolta e la
galleria risulterà a malapena adatta al transito di automobili.
Nel contempo anche sull’isolotto è scavata
una galleria di 250 metri che permette un agevole collegamento tra la parte
iniziale dell’isola, in cui arriva il ponte di calcestruzzo ed in cui ci sono
gli edifici di ricezione, con l’altra estremità dove sono ubicati i locali più
riservati con relativo pontile di lancio [4a/4b].
Locali sono ricavati anche sotto la collinetta,
all'interno del tunnel, dove c’è il reparto dei compressori che caricano l’aria
indispensabile al lancio dei siluri. Gli edifici costruiti nella parte
superiore dello scoglio sono utilizzati come torre telemetrica e posti di
controllo durante i lanci di prova.
Dato l'abbondare delle commesse l'ammiraglio
Minisini pensa ad una collaborazione con la “Navalmeccanica”, controllata
sempre dall'I.R.I., per la costruzione dei lanciasiluri e anche per quelle
parti di siluro già affidate ad altre ditte; inoltre propone all'azienda
collaboratrice l'utilizzazione del macchinario e delle maestranze di via
Gianturco. Poiché la collaborazione procede con difficoltà Minisini pondera di
adibire un capannone del nuovo impianto di Baia alla costruzione di lanciasiluri
e di varia meccanica da attivare nel caso di rottura degli accordi con la
Navalmeccanica. Questo progetto è osteggiato dall'I.R.I. che lo ritiene un
oneroso doppione che, mentre toglie alla Navalmeccanica un campo di lavoro su
cui essa conta, costituirebbe per il silurificio un'attività disperditrice di
mezzi e di energie.
Nel corso della seconda guerra mondiale le
esigenze belliche impongono di aumentare la produzione per la continua
assegnazione di commesse; pertanto la direzione del silurificio decide di
realizzare un nuovo impianto nella vicina zona pianeggiante del Fusaro [5].
I lavori terminano verso la metà del 1943 ed
il nuovo stabilimento viene collegato a quello di Baia mediante una galleria
lunga 1.300 metri. Questa con un percorso rettilineo sbuca nella parte
retrostante di quella che sarò la Selenia. In merito a questi lavori, che per
abbreviare i tempi si avvalgono di cavamonti del posto tra i più esperti allora
esistenti nelle cave di tufo, c’è una fitta corrispondenza tra il silurificio,
il comune e la Soprintendenza Archeologica (diretta da Amedeo Maiuri) che ha
forti perplessità perché i lavori interessano aree di alto valore storico -
archeologico come il Parco Monumentale di Baia. Dal cantiere di Baia, e precisamente
dall'area attualmente occupata dal parcheggio antistante l'IRSVEM, esce un
binario, a scartamento ridotto che attraversa il tunnel e termina nel cantiere
del Fusaro [6].
Da qui a San Martino c'è un altro tratto
riservato che porta a Cappella, alla già menzionata galleria ed al susseguente
pontile; in questo modo i tre impianti vanno a costituire un unico complesso.
Inoltre lo stabilimento del Fusaro viene allacciato ai binari della vicina
Ferrovia Cumana a mezzo della quale risulta praticamente collegato alla rete
nazionale.
A Baia continuano le prove alla vasca oltre
al montaggio di alcune parti dell'arma. Al Fusaro vengono trasferite le
lavorazioni meccaniche e la fonderia. Secondo alcune fonti in piena guerra il
silurificio arriva ad impiegare 4.674 dipendenti; secondo Simon Pocok i
dipendenti diretti arrivano a 5.100 unità più altri 2.000 nello indotto [7].
All’età di 62 anni,
il 1° maggio 1940, il Minisini va in pensione, tuttavia proprio in quel periodo,
siamo all’inizio del secondo conflitto, il Capo di Stato Maggiore della Marina
dà una incisiva svolta ad ogni genere di ricerca tra cui il rivoluzionario
programma sviluppato dal nostro ammiraglio sui sommergibili d’assalto. Un interessante progetto coperto dal massimo segreto e portato avanti all’interno del
silurificio di Baia che pertanto Minisini dovrà continuare a presiedere per
ordini superiori.
Praticamente l’ammiraglio continua un piano
di lavoro derivato dall’iniziale studio, per un sottomarino tascabile,
effettuato da Pericle Ferretti negli anni ‘30.
Ferretti, già inventore di un dispositivo da
lui contraddistinto dalla sigla “ML” (iniziali del nome della moglie Maria
Luisa) precursore di quello che poi sarebbe stato lo
“schnorchel”, sta pensando non più ad un sommergibile ma ad un
sottomarino. Ovvero ad un battello che a mezzo del suo dispositivo “ML” non
abbia più bisogno di affiorare per il ricambio d’aria ed inoltre, a mezzo di un
particolare e modificato motore Isotta Fraschini Asso 100 detto a “circuito
chiuso”, non abbia necessità di scaricare i gas nell’atmosfera rimettendoli in
ricircolo. Questo motore, unico per la navigazione sia in superficie che in
immersione, è alimentato ad alcol ed imprime il movimento ad una coppia di
eliche controrotanti sistemate a prua. La velocità prevista in immersione è di
circa 15 nodi, contro i 5/6 nodi qualsiasi altro sommergibile, mentre
l’autonomia è pari a 8/10 ore. Le prove a terra nel 1936 dimostrano
l’impossibilità di raggiungere grandi potenze con questo sistema che ne riduce l’utilizzazione
a battelli di piccole dimensioni e quindi di limitato valore strategico.
Da questa limitazione nasce l’idea di
Minisini di un piccolo sottomarino d’assalto. Questo, costruito in acciaio, è
lungo 13 metri e pesa circa 13 tonnellate; l’armamento è costituito da un
siluro esterno da 450 mm appeso sotto la chiglia. A Baia sono costruiti sicuramente
due prototipi; il primo S.A.1 (Sommergibile d’Assalto 1) viene impostato nel
1941, completato nel 1942 e chiamato “Sandokan” dalle maestranze; il secondo
S.A.2 viene impostato qualche mese dopo, chiamato “Yanez”, e presenta lieve
differenze e miglioramenti tra cui l’armamento aumentato a due siluri.
I due nomi “esotici” sono dati dalle
maestranze influenzate dal film “I Pirati della Malesia” uscito proprio nel
1941 [8].
I battelli sono dotati di uno scafo
resistente di forma cilindrica con terminali conici molto raccordati e la navigazione
in immersione, alla quota massima di 25 metri, è assicurata dinamicamente dai
timoni di profondità. Lo scafo ha una poppa affilata e a punta poiché si pensa
di metterlo in mare di poppa, a breve distanza dall’obiettivo, facendolo
scivolare da una apposita slitta posta a poppa di un cacciatorpediniere. Le
prove a mare, svolte in gran segreto nel tratto di mare tra Procida e le isole
Pontine, danno buoni risultati, ma il vero ostacolo all’impiego immediato di
questo mezzo rivoluzionario è la complessità e delicatezza dell’apparato motore
e della sua conduzione.
Così nel 1942 come ulteriore perfezionamento
Ferretti sperimenta con successo, al banco dell’Istituto dei Motori di Roma, un
nuovo motore che questa volta è un Diesel, probabilmente un O.M. a due tempi,
la cui miscela comburente è costituita, oltre al gasolio, da una base di
ossigeno allo stato liquido che successivamente è diluita nell’elio che è un
gas neutro. I gas di scarico usati per diluire l’ossigeno liquido vengono
direttamente espulsi in mare, mentre il loro residui, arricchiti di ossigeno,
vengono iniettati nei cilindri.
Si crede (?) che questo motore sia applicato
ad un nuovo sottomarino impostato anch’esso in un reparto isolato e segreto del
silurificio di Baia. Questo prototipo riceve la sigla S.A.3 e sembra che dalle
maestranze sia chiamato “Kammamurì”; altro personaggio di Salgari, un ragazzino
indiano, il cui nome (con un semplice spostamento di accento) ben si presta
alla espressione dialettale “Qua dobbiamo morire”.
Esso è realizzato modificando il progetto
S.A.2, in particolare la parte poppiera dello scafo non resistente, che è del
tipo a “castoro“ con il timone di profondità incorporato, e sormontata da una
coppia di timoni direzionali. I due tubi lanciasiluri da 450 mm, con lancio
verso poppa, sono all’interno dello scafo non resistente. Il sottomarino S.A.3
è accreditato di una velocità subacquea di oltre 20 nodi, ma Ferretti si
propone di poter raggiungere i 25 nodi con un motore esotermico a turbina.
Incerta e aleatoria resta l’affascinante
ipotesi della sua costruzione, o almeno del suo parziale completamento e della
sua fine misteriosa.
Secondo alcune fonti lo S.A.3 parte alle
19.30 dell’8 settembre da Baia per l’ultimo collaudo a bordo del pontone
“G.I.S.7”, accuratamente coperto con reti mimetiche. Lo stabilimento è ormai
chiuso, ma a bordo, come d’altronde in tutta l’Italia, nessuno sa ancora della
proclamazione dell’armistizio. Si afferma che il misterioso danneggiamento di
un incrociatore americano nel Golfo di Salerno, avvenuto nella notte tra l’8 ed
il 9 settembre del ’43, più volte attribuito a bombe teleguidate tedesche, ad
aerosiluranti o al sommergibile italiano “Vellela“, successivamente affondato
presso “Punta Licosa”, potrebbe essere in realtà attribuito al piccolo S.A.3.
Questo, non ancora consegnato ufficialmente
alla Regia Marina ma in collaudo operativo di accettazione con equipaggio
militare, si sarebbe inoltrato tra il naviglio alleato impegnato nello sbarco a
Salerno ed avrebbe effettuato il lancio.
Proprio l’esistenza o meno di quest’ultimo
battello è accennata o negata da Minisini a varie riprese negli interrogatori cui
viene sottoposto dagli agenti americani. L’ammiraglio parla delle
caratteristiche dello S.A.3, di cui poi non si trova traccia; pertanto in
alternativa indica il secondo prototipo, lo S.A.2, che fa ritrovare agli
americani affondato nelle acque prospicienti lo stabilimento di Baia [9].
Ma ripercorriamo con ordine gli ultimi tristi
mesi di guerra del silurificio.
Il 28 aprile 1943 l’Ufficio di Sorveglianza
Tecnica Armamento Aeronautico presso il Silurificio Italiano rileva una grave
infrazione. Ai siluri sottoposti al collaudo, presso il pontile di Baia, sono
stati sostituiti i guida siluri (la parte più delicata dell'arma) con altri già
collaudati, alterando cosi i risultati delle prove [10].
Denunce e sospetti di pratiche simili sono
emersi anche in anni precedenti, ma ora i tempi sono cambiati. L'indagine
interna condotta dall’ammiraglio Minisini esclude un intendimento doloso da
parte degli accusati i quali sarebbero stati animati soltanto dal desiderio di
aumentare la produzione. Ma quando il ministero dell’aeronautica comunica
l’irregolarità a quello della marina che, per ragioni di competenza, nomina una
commissione d'inchiesta, questa rileva la responsabilità indiretta della
direzione del silurificio e diretta di un ingegnere addetto ai collaudi, di un
capoperaio e di tre operai che sono deferiti al T.S.D.S. (Tribunale Speciale
per la Difesa dello Stato).
Il Duce, il ministro della produzione bellica
ed il sottosegretario di stato alla marina dispongono lo scioglimento del
consiglio di amministrazione del “Silurificio Italiano” con l’immediato esonero
dell’ammiraglio Minisini che però resta come consulente tecnico.
Il 26 maggio 1943 il Consiglio di
Amministrazione del silurificio lo sostituisce col presidente della
Navalmeccanica Vincenzo Tecchio, che mantiene le due cariche, con conseguente
appesantimento burocratico e perdita di snellezza indispensabile in quei momenti di battaglia, così come lamenta lo stesso Minisini, con una lettera
non esente da rancori e gelosie pregresse.
All’8 settembre 1943, alla dichiarazione
dell’armistizio, la direzione del silurificio ha già preso buona nota di una
direttiva emessa il 31 agosto da Francesco Giordani, vicepresidente dell’I.R.I.,
la quale ordina che in caso di occupazione gli stabilimenti ancora in grado di
funzionare non debbono essere in condizione di lavorare per il nemico.
Un tentativo del tenente Giuliani, affiancato
da Pasquale Schiano figlio di Ernesto podestà di Bacoli e noto antifascista, di
difendere lo stabilimento dall’occupazione tedesca non riesce anche per la
opposizione dell’ex presidente Eugenio Minisini. Pertanto lo stabilimento viene
occupato e sembra che all’atto dell’ingresso da parte dei tedeschi fosse già
stato saccheggiato dai civili con la distruzione e l’asporto di molto
materiale.
E questo nonostante l’apparente atteggiamento
ostile mostrato da Minisini che in questo frangente trova rifugio presso il
siluripedio dell’isolotto di San Martino che i tedeschi, non del tutto consci
del completo collasso italiano, ancora non hanno occupato.
Questa circostanza fortuita (o pianificata?)
dà inizio alla "Mission Mc Gregor",
una delle più famose azioni condotta dall’O.S.S. (Office of Strategic Service),
i servizi segreti americani predecessori dell’attuale C.I.A., il cui rapporto
del novembre 1943, denominato “Three-man assault submarine”, è stato di recente
declassato. Gli americani hanno problemi con i loro
siluri ed in questo campo hanno bisogno della più precisa tecnologia italiana
sviluppata sia dall'ammiraglio Minisini sia dal professor Calosi [11].
Carlo Calosi, nato nel 1905, è ritenuto un
esperto ricercatore in merito alle nuove tecnologie sottomarine e durante la
seconda guerra mondiale partecipa allo sviluppo del siluro filo alimentato e
filoguidato progettato per la Marina Italiana; il miglior siluro marittimo
disponibile sulla piazza.
La storia di Calosi comincia con un
"click" quello prodotto dal sensore elettromagnetico di sua
invenzione che, inserito nella testata del siluro, consente l'esplosione per
prossimità col bersaglio e non più per impatto diretto; nasce così il S.I.C.
(Siluro Italiano Calosi). Questa tecnologia è ora in possesso anche dei
tedeschi (cui la Regia Marina ha venduto un grosso quantitativo di questi
siluri) pertanto gli americani, che ancora non fanno molta differenza tra
Minisini e Calosi, hanno bisogno di questi tecnici per sviluppare un antidoto
alla loro stessa invenzione. Nel frattempo sembra che Calosi, che risiede a
Roma, sia accusato, non si sa bene se dagli italiani o dai tedeschi, di
spionaggio a favore degli americani per la qual cosa qualche fonte riporta che
si sia rifugiato in un convento della capitale per sfuggire alla caccia dei
tedeschi che occupano la città.
La sera del 24 settembre i commando
britannici della “30° Assalt Unit” prelevano l’ammiraglio Minisini e la sua
seconda moglie (rimasto vedovo nel 1929 ha sposato nel 1932 Adele
Dozzi di anni 46)
dall’isolotto di San Martino e con una “Patrol Boat” lo portano a Capri, che è già occupata dagli alleati,
facendolo alloggiare presso l’albergo “La Palma”. L’ammiraglio, in mancanza di
addetti inglesi, è interrogato dal famoso agente americano dell’O.S.S. Peter
Tompkins, in quel momento a Capri per convincere Benedetto Croce ad appoggiare
il governo Badoglio. Tompkins consente a Minisini di scegliere se collaborare
con gli inglesi o con gli americani; Minisini, abbagliato dal miraggio
americano, sceglie questi ultimi e da questa decisione prende il via l’accennata
missione "Mc Gregor".
L’ammiraglio cede agli agenti dell’O.S.S.
cianografie e campioni di congegni segreti, ampie descrizioni di mezzi
sottomarini in costruzione, risultati di esperimenti aerei e navali,
particolari di siluri radiocomandati e di un acciarino magnetico di nuovo tipo.
Disegna anche una pianta del Silurificio di Baia, indicando dove possono
trovare un sottomarino tascabile e parti di un siluro speciale in costruzione.
Gli americani, che solo da poco hanno messo
piede sul suolo europeo, non riescono a trattenere il loro entusiasmo per aver
messo le mani su quello che valutano una specie di “Dottor Stranamore”;
scienziato tuttofare e pentito che non vede l’ora di collaborare con i novelli
liberatori. Subito sono avvisati i responsabili della "Mission
Mc Gregor" che è guidata dal
tenente John M. Shaheen ed è inoltre composta da E.
Michael Burke, John Ringling North e Marcello
Girosi. Quest’ultimo è un ex uomo
d'affari di New York (poi produttore di film con Carlo
Ponti) fratello dell’ammiraglio Massimo Girosi
che in quel momento ricopre delicati incarichi al Comando Supremo della Marina
Italiana (sic …e non nel senso di Siluro Italiano Calosi).
Viene coinvolta la marina americana che mette
a disposizione una sua “Patrol Boat”
dalla quale i quattro agenti sbarcano a Capri, sottraggono nottetempo Minisini
alla custodia degli inglesi, e lo trasportano in una località (o probabilmente
una unità navale) sotto giurisdizione americana. Da un rapporto dell’O.S.S., diretto al
generale Donovan, apprendiamo poi che Minisini il giorno 18 è inviato negli
Stati Uniti dove arriva il 23 ottobre 1943.
Il 17 dicembre lo raggiunge un gruppo di 11
ingegneri e tecnici italiani (Giuseppe Buono, Antonio Calandrelli, Raffaello
Gentile, Alfonso De Luca, Salvatore Lucci, Franco Pasqualigo, Umberto Russo, Francesco
Rosapepe, Alfredo Sciarrotta, Ferdinando Stahly, Fabio Calcabrini) selezionati
e richiesti dallo stesso Minisini, unitamente a 40 tonnellate di materiale
tecnico prelevato presso il silurificio di Baia per facilitare il suo lavoro in
America. L’intero gruppo di italiani (di cui 8 sicuramente tecnici ed altri
amici o parenti di amici) è inviato a Newport (Rhode Island) presso la “U.S.
Navy Torpedo School” [12].
La maggior parte della collaborazione tra la
“U.S. Navy” e la “Regia Marina” si svolge in modo ambiguo e questa cooperazione
è definita dagli americani come “delicate relationship”; un delicato rapporto con
balzi che alternativamente vanno dal tragico al comico. I 12 italiani richiesti
da Minisini in America non solo hanno problemi con la “U.S. Navy” ma anche con
il servizio segreto italiano. Quando il Tenente Fabio Calcabrini è trasportato
dalla O.S.S. da Napoli negli Stati Uniti, per lavorare al progetto, viene
accusato di diserzione dal ministro della Marina, l’ammiraglio de Courten, che
non è ben informato non concede i relativi permessi. Questi sono rilasciati
solo il 16 dicembre 1943 quando Minisini stesso dichiara che Calcabrini è
essenziale al suo progetto.
Il 30 dicembre l’ammiraglio Minisini chiede,
per se e per i suoi collaboratori, migliore sistemazione logistica, automobili,
salari, indennità ed altri “benefit”, tutte cose che ottiene generosamente
dagli americani con gli accordi del 12 gennaio 1944.
Intanto il giorno 11 gennaio anche il
professor Carlo Calosi aderisce all’appello di Minisini. Fugge da Roma ed è
raccolto in mare da operatori della stessa O.S.S. che prontamente lo conducono
in America.
Il 14 febbraio gli americani reclamano la
loro insoddisfazione e delusione per il lavoro svolto dal gruppo di Minisini,
in particolare pensano che non siano sviluppabili oltre gli studi sui
sottomarini sperimentali di cui hanno di già constatato i limiti. Sono ora
maggiormente interessati all’elettronica ed alle spolette di prossimità del siluro
studiato da Calosi, pertanto il 3 marzo lanciano proposte e raccomandazioni per
studiarne e migliorarne le contromisure. Il 10 maggio 1944
Minisini e Calosi sono pronti a dare dimostrazioni delle contro misure da loro studiate per annullare i sistemi
del siluro S.I.C., pertanto viene richiesto alla Regia Marina, per scopi
di ricerca, d’inviare verso gli Stati Uniti otto di questi siluri muniti delle
famose testate realizzate da Calosi. La Marina cobelligerante riferisce che non
è possibile poiché la documentazione, circa l’uso dei siluri, è a Roma, in quel
momento occupata dai tedeschi, e quindi se pure inviasse qualche siluro nessuno
saprebbe poi lanciarli.
Il gruppo Minisini cerca di sopperire “a
memoria” ma intanto le loro richieste diventano sempre più pressanti e la U.S.
Navy non può fornire tutto ciò di cui hanno bisogno.
E’ incredibile, riferisce la marina
americana, la quantità di materiale che essi acquistano direttamente a livello
locale con costi a carico della base.
Inoltre desta scalpore il “menage” quotidiano
condotto dalla moglie di Minisini che alloggia presso il “Muenchinger King
Hotel” di Newport. L’ammiraglio italiano ha richiesto per lei un trattamento a
norma ed in linea con il suo rango. Per gli americani sembra che i protagonisti
di questa avventura si siano dimenticati di una guerra in corso e che
l’importante sarebbe solo collaborare con maggior impegno al progetto che
riveste una certa importanza per il loro servizio sottomarino.
La U.S. Navy sebbene
burocraticamente ubbidiente al progetto approvato dal Segretario di Stato alla
Marina, ma recalcitrante ad ammettere di avere qualche cosa da imparare dagli
italiani, il 22 giugno 1944 riferisce che, ad eccezione di Calosi al quale è richiesto di
rimanere, non è più interessata all’intero
gruppo di lavoro che pertanto può
tornare in Italia. Il 24 settembre 1944 l’ammiraglio de
Courten dall’Italia approva sia il ritorno di Minisini e del suo gruppo sia la
richiesta di prolungare la permanenza di Calosi. Per esso la U.S. Navy auspica
il collocamento in qualche collegio universitario (che saranno poi la Harvard
University e il Massachusetts Institute of Technology). Si pensa che dopo la
guerra possa essere utilmente impiegato in qualche industria privata; come effettivamente avverrà con il gruppo Raytheon.
Intanto il 5 gennaio 1945 Minisini parte da
Newport per far ritorno in Italia ed arriva a Napoli il giorno 13. Tutti i suoi
collaboratori riescono a restare oltre oceano ottenendo un provvisorio permesso
da visitatori; faranno ritorno in Italia alla conclusione delle ostilità ed
otto di loro saranno assorbiti dalla Microlambda fondata nel 1951 al Fusaro ad
opera di Carlo Calosi. Tra essi il solo Alfredo Sciarrotta (1907-1985) resta a
Newport dove impianta un laboratorio di argenteria diventando un famoso
cesellatore orafo.
Il giorno 7 febbraio 1945 viene dichiarato
ufficialmente concluso il progetto “Mc Gregor” e gli agenti Burke e North
ricevono la “Stella d’Argento” per il buon lavoro svolto.
Nel 1946 dalla vicenda viene tratto un film
più o meno aderente alla storia dal titolo "Cloak and Dagger" (“Maschere
e Pugnali” il titolo italiano) a cui partecipa lo stesso Burke; produttore è Milton Sperling,
anch’esso un agente O.S.S. in
tempo di guerra [13a/13B].
La storia è
basata sulle esperienze reali del
consulente tecnico Michael Burke che, come agente O.S.S., si vede assegnata la missione di contrabbandare l'ammiraglio Minisini fuori
d'Italia.
Burke, completando con
successo la missione, impedisce
ai nazisti di entrare in possesso del
meccanismo elettronico per siluri sviluppato da Minisini.
Eugenio Minisini muore a Varese il 16 maggio
1946, non se ne conosce la causa nè si sa se abbia lasciato figli. In lui sono
da riconoscere alti meriti unitamente a grosse perplessità che assolutamente
non scalfiscono la sua incrollabile creatività e laboriosità.
Per descriverlo e capirlo basta la frase che pronunciano
tutti i friulani:
“E fasìn di bessói”, (facciamo da soli).
Gran gente i friulani”.
E questo fu anche Minisini.
E questo fu anche Minisini.
Giuseppe
Peluso
Bibliografia
Roberta
Lucidi – Il Silurificio Italiano dal 1922 al 1945 - Quaderno SISM 1995
Admeto Verde – Monte di Procida tra XIX e XX
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Ammiraglio
Antonio Fioravante Volpi – Pari Avanti Turra - Gemona del Friuli – Apr./Set.
2011
Enrico
Cernuschi - Il Regio Sottomarino Sandokan – Rivista Marittima, ago./set. 2002
Charles T. O'Reilly - Forgotten Battles: Italy's War of Liberation, 1943/1945
General
William J. Donovan – Selected O.S.S. Domuments
- 1941/1945
Simon
Pocock – Campania 1943 – Volume II – Parte II – 2009
P.S.: Pubblicato su “Sibilla Cumana – La fonte del sapere” . nel Dicembre 2012
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