venerdì 18 novembre 2016

Tragedia al Fusaro


Tragedia al Fusaro
Un Leoncino contro la Cumana

Nella tarda serata di domenica 28 aprile 1957 corre veloce una tragica notizia; due morti, tre moribondi e molti feriti in uno scontro tra un convoglio della ‘Ferrovia Cumana' ed un camion, ad un passaggio a livello nei pressi della stazione del lago Fusaro.


Come narra Gamboni, nel suo bell’articolo “Quel Treno per Cuma” [1], anche se denominata ‘Ferrovia Cumana’ in realtà la linea non arriva a Cuma ma ha una fermata a ‘Cuma-Fusaro’; alquanto distante dalla dimora della Sibilla, la somma sacerdotessa di Apollo.
Fino a tutti gli anni ’30 è questa una elegante stazione molto frequentata da turisti per i quali è facile raggiungere a piedi l’euboica rupe o i numerosi ristoranti e taverne meta di “ottobrate” e di scampagnate fuori porta [2].


Con la realizzazione della ‘Ferrovia Circumflegrea’ e la costruzione, su quest’ultima linea, della stazione ‘Cuma’, la vecchia fermata della ‘Ferrovia Cumana’ perde il doppio nominativo e, nel gergo comune, resta nota solo come ‘Fusaro’.

Ancora nei primi anni ’90 un inserto della rivista ‘Mondo Ferroviario’ riporta una foto di questa stazione e la sua didascalia così recita:
“La pittoresca stazione di Fusaro/Cuma accoglie un locale Torregaveta-Napoli con in composizione l’ET 103a” [3].

Ma già pochi anni dopo, nel 2011, il ‘Corriere Flegreo’ con un articolo di Annarita Costagliola, riferisce che i cittadini considerano fatiscente, e inadeguata alle esigenze della utenza, la stazione di ‘Fusaro’ della ‘Ferrovia Cumana’; con edificio e chiosco vetrato in totale abbandono [4].

Ma questa è altra storia. Giusto ritornare alla tragedia segnalata.
Prima c’è però da ricordare che all’epoca nelle adiacenze della stazione ‘Fusaro’ c’era un passaggio a livello che congiungeva l’attuale Piazza Gioacchino Rossini con via Giulio Cesare; e questo riduceva sensibilmente il percorso stradale tra Torregaveta e Cuma. Passaggio a livello che si trovava nell’area che si nota in fondo all’allegata foto [5].


Ritornando all’incidente le notizie immediate di quella tragica domenica raccontano che il camion (un FIAT ‘Leoncino targato’ NA 98351), sbucato a tutta velocità da una curva, è piombato sulla strada ferrata dopo aver travolto una ‘Lambretta’, in attesa del segnale di via libera, e dopo aver divelto le sbarre del passaggio a livello.
Il sinistro provoca la morte di due ragazze ed il ferimento di diciassette persone di cui tre sono in fin di vita; solo sette leggeri feriti sono dimessi dagli ospedali dopo le medicazioni.
Il 27enne autista del ‘Leoncino’, Gennaro Tafuri, seppur ferito si è dato alla fuga appena liberatosi dai rottami in cui il violento cozzo ha trasformato il suo automezzo.

Dalla sommaria visione dell’incidente la responsabilità sembra ricadere proprio sul conducente che, diretto a Mugnano, da qualche chilometro ha ingaggiato una tacita sfida col macchinista del treno procedendo sulla carrozzabile parallela alla strada ferrata.
Nei pressi del Fusaro il Tafuri ha imboccato a fortissima velocità la curva che porta al passaggio a livello e deve aver pensato, forse alquanto brillo, di poter transitare prima del treno lanciandosi a tutta velocità e andando a cozzare contro le sbarre del passaggio a livello la cui esistenza deve aver dimenticato. Prima però ha travolto la ‘Lambretta’ in sosta sulla quale sono il medico 32enne Gino Aroma e la sua fidanzata, la 26enne Anna Giannone.
Anche il casellante Giuseppe Odierno è investito dall’automezzo che si è trovato sulle rotaie nell’attimo in cui dalla curva sbuca il treno proveniente da Torregaveta.
Il ‘Leoncino’ è proiettato in aria fuori della strada ferrata mentre il convoglio va ad arrestarsi più avanti, proprio dove inizia lo scambio, senza però deragliare [6].


Sull’autocarro viaggiano diciassette persone delle quali solo il piccolo Erminio Salzano di 2 anni esce incolume. Nella cabina, oltre il conducente, ci sono i suoi genitori Nicola Tafuri di 58 anni e Maria Di Stasio di 56 anni; sua zia Elena Di Stasio di 47 anni, la nipotina Maria Tafuri di 18 mesi ed il nipotino Erminio. Le suddette due sorelle Di Stasio, in fini di vita, sono trasportate prima alla clinica ‘Villa Bianca’ di Pozzuoli e poi trasferite all’ospedale’ Loreto’ di Napoli.
Nell’interno del cassone dell’automezzo si trovano altre undici persone, quasi tutte di età inferiore ai venti anni e componenti delle famiglie Tafuri e Di Stasio, recatesi in gita insieme con alcuni altri amici.
Le cugine Anna Di Stasio di 18 anni e la 16enne Elena Tafuri, sorella del conducente, sono morte all’istante mentre la 23enne Rosa di Stasio è stata trasportata in gravissime condizioni all’Ospedale Civile di Pozzuoli.

C’è subito una attenta inchiesta da parte della Polizia Stradale e dei Carabinieri, che intanto ricercano il latitante conducente. Si accerta che nessuna responsabilità è da attribuirsi alla ‘Ferrovia Cumana’ in quanto il passaggio a livello era regolarmente custodito da una casellante, Luisa Odierno, che ha abbassato la sbarra mentre suo fratello Giuseppe Odierno, di 29 anni, faceva le segnalazioni col fanalino rosso; tanto che anch’egli è rimasto ferito nell’incidente.
Il convoglio della Cumana trainato dalla elettromotrice ‘E6’ guidata da Nicola D’Alessio, treno numero 193 partito da Torregaveta alle 19.30, giungeva al passaggio a livello alle 19.40 a velocità moderata quando si era trovato la strada sbarrata dal camion. Ha subito frenato ma non ha potuto fare a meno di agganciare, con il respingente destro, un parafango della ruota anteriore sinistra del ‘Leoncino’ trascinandolo quindi per circa trenta metri prima di arrestarsi quasi in stazione [7].

Il camion si ribaltava sul lato destro, con la cabina di guida sfondata, e tutti i suoi occupanti si rovesciavano a terra fra i rottami ed in mezzo a una confusione di piatti rotti e di cestini portavivande; ovvero i residui della gita che la sventurata comitiva si era recata a fare ad Ischitella [8].

Ma come mai il conducente del ‘Leoncino’ non si era fermato a tempo?
Anche se sembra assurdo era da escludersi subito che si trattasse di imperizia dell’autista, esperto di quella strada che percorreva ogni notte per il suo mestiere. Dall’interrogatorio dei carabinieri, agli occupanti meno gravemente feriti, s’è appurato la seguente storia.
Erano stati a fare una scampagnata ad Ischitella e poi di là erano andati a Torregaveta dove si erano fermati nel locale di un fornitore del Tafuri a far colazione. Avevano consumato sei birre, particolare importante se si pensa che erano diciotto persone; quindi non è possibile che il Tafuri fosse ubriaco.
Sulla via del ritorno, che costeggia la strada ferrata, Tafuri aveva forzato l’andatura e quando sbucando dalla curva si accorse del passaggio a livello chiuso, tentò di frenare ma gli uscì un grido dalla gola:
“Uh’ Madonna, non frena”.
La strada era in leggera discesa e pochi metri lo separavano dalla sbarra chiusa. Tentò di azionare il freno a mano ma questo si sballò ed allora il camion andò a sbattere sulla ‘Lambretta’ del dott. Aroma, che era ferma in attesa dinanzi al passaggio a livello; la travolse e quindi proseguì oltre la sbarra spezzandola, fino a urtare proprio contro il treno che in quel momento stava sopraggiungendo [9].

Subito dopo l’incidente il Tafuri, forse in preda allo choc, scappa per non vedere quello che in un primo momento deve essere apparsa una strage: “tutti i suoi familiari più cari uccisi.”
Ma lo stato delle indagini fa ritenere che le responsabilità del Tafuri siano minime; l’aver sovraccaricato il camion, il non aver forse controllato sufficientemente i freni, ed altre piccole cose.
Ma certamente non era ubriaco ne volle lanciarsi a corsa pazza; furono i freni che lo tradirono.

Nell’insieme una tragica fatalità.


N.B. - Cronologia principale da L'Unità del 29 e del 30 aprile 1957

Si ringrazia l'Archivio Carbone che gentilmente ha fornito le foto relative all'incidente.
Ricordiamo che l'Archivio Carbone, con i suoi oltre 500mila negativi rischia d'andar distrutto (o disperso), pertanto il progetto del suo salvataggio necessita dell'aiuto di tutti noi: 

https://www.eppela.com/it/projects/11092-archivio-carbone/


Giuseppe Peluso

1 commento:

  1. E' senza dubbio un archivio importantissimo.
    Distruggerlo significherebbe la distruzione di parte della storia flegrea.
    I dettagli storici sono importanti quanto i fatti stessi, e qui sono ottimamente rappresentati.
    Un archivio del genere va salvaguardato, come non lo so.
    Che che istituzioni si mobilitino a fronte della possibile perdita di una così importante testimonianza.

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