Un Leoncino contro la Cumana
Nella tarda serata di domenica 28 aprile 1957
corre veloce una tragica notizia; due morti, tre moribondi e molti feriti in
uno scontro tra un convoglio della ‘Ferrovia Cumana' ed un camion, ad un
passaggio a livello nei pressi della stazione del lago Fusaro.
Come narra Gamboni, nel suo bell’articolo
“Quel Treno per Cuma” [1], anche se denominata ‘Ferrovia Cumana’ in realtà la
linea non arriva a Cuma ma ha una fermata a ‘Cuma-Fusaro’; alquanto distante
dalla dimora della Sibilla, la somma sacerdotessa di Apollo.
Fino a tutti gli anni ’30 è questa una
elegante stazione molto frequentata da turisti per i quali è facile raggiungere
a piedi l’euboica rupe o i numerosi ristoranti e taverne meta di “ottobrate” e
di scampagnate fuori porta [2].
Con la realizzazione della ‘Ferrovia
Circumflegrea’ e la costruzione, su quest’ultima linea, della stazione ‘Cuma’,
la vecchia fermata della ‘Ferrovia Cumana’ perde il doppio nominativo e, nel
gergo comune, resta nota solo come ‘Fusaro’.
Ancora nei primi anni ’90 un inserto della
rivista ‘Mondo Ferroviario’ riporta una foto di questa stazione e la sua
didascalia così recita:
“La pittoresca stazione di Fusaro/Cuma
accoglie un locale Torregaveta-Napoli con in composizione l’ET 103a” [3].
Ma già pochi anni dopo, nel 2011, il ‘Corriere
Flegreo’ con un articolo di Annarita Costagliola, riferisce che i cittadini
considerano fatiscente, e inadeguata alle esigenze della utenza, la stazione
di ‘Fusaro’ della ‘Ferrovia Cumana’; con edificio e chiosco vetrato in totale abbandono [4].
Ma questa è altra storia. Giusto ritornare
alla tragedia segnalata.
Prima c’è però da ricordare che all’epoca nelle
adiacenze della stazione ‘Fusaro’ c’era un passaggio a livello che congiungeva
l’attuale Piazza Gioacchino Rossini con via Giulio Cesare; e questo riduceva
sensibilmente il percorso stradale tra Torregaveta e Cuma. Passaggio a livello
che si trovava nell’area che si nota in fondo all’allegata foto [5].
Ritornando all’incidente le notizie immediate
di quella tragica domenica raccontano che il camion (un FIAT ‘Leoncino targato’
NA 98351), sbucato a tutta velocità da una curva, è piombato sulla strada
ferrata dopo aver travolto una ‘Lambretta’, in attesa del segnale di via
libera, e dopo aver divelto le sbarre del passaggio a livello.
Il sinistro provoca la morte di due ragazze
ed il ferimento di diciassette persone di cui tre sono in fin di vita; solo
sette leggeri feriti sono dimessi dagli ospedali dopo le medicazioni.
Il 27enne autista del ‘Leoncino’, Gennaro Tafuri,
seppur ferito si è dato alla fuga appena liberatosi dai rottami in cui il
violento cozzo ha trasformato il suo automezzo.
Dalla sommaria visione dell’incidente la
responsabilità sembra ricadere proprio sul conducente che, diretto a Mugnano,
da qualche chilometro ha ingaggiato una tacita sfida col macchinista del treno
procedendo sulla carrozzabile parallela alla strada ferrata.
Nei pressi del Fusaro il Tafuri ha imboccato
a fortissima velocità la curva che porta al passaggio a livello e deve aver
pensato, forse alquanto brillo, di poter transitare prima del treno lanciandosi
a tutta velocità e andando a cozzare contro le sbarre del passaggio a livello
la cui esistenza deve aver dimenticato. Prima però ha travolto la ‘Lambretta’
in sosta sulla quale sono il medico 32enne Gino Aroma e la sua fidanzata, la
26enne Anna Giannone.
Anche il casellante Giuseppe Odierno è
investito dall’automezzo che si è trovato sulle rotaie nell’attimo in cui dalla
curva sbuca il treno proveniente da Torregaveta.
Il ‘Leoncino’ è proiettato in aria fuori
della strada ferrata mentre il convoglio va ad arrestarsi più avanti, proprio
dove inizia lo scambio, senza però deragliare [6].
Sull’autocarro viaggiano diciassette persone
delle quali solo il piccolo Erminio Salzano di 2 anni esce incolume. Nella
cabina, oltre il conducente, ci sono i suoi genitori Nicola Tafuri di 58 anni e
Maria Di Stasio di 56 anni; sua zia Elena Di Stasio di 47 anni, la nipotina
Maria Tafuri di 18 mesi ed il nipotino Erminio. Le suddette due sorelle Di
Stasio, in fini di vita, sono trasportate prima alla clinica ‘Villa Bianca’ di
Pozzuoli e poi trasferite all’ospedale’ Loreto’ di Napoli.
Nell’interno del cassone dell’automezzo si
trovano altre undici persone, quasi tutte di età inferiore ai venti anni e
componenti delle famiglie Tafuri e Di Stasio, recatesi in gita insieme con
alcuni altri amici.
Le cugine Anna Di Stasio di 18 anni e la
16enne Elena Tafuri, sorella del conducente, sono morte all’istante mentre la
23enne Rosa di Stasio è stata trasportata in gravissime condizioni all’Ospedale
Civile di Pozzuoli.
C’è subito una attenta inchiesta da parte
della Polizia Stradale e dei Carabinieri, che intanto ricercano il latitante
conducente. Si accerta che nessuna responsabilità è da attribuirsi alla ‘Ferrovia
Cumana’ in quanto il passaggio a livello era regolarmente custodito da una
casellante, Luisa Odierno, che ha abbassato la sbarra mentre suo fratello
Giuseppe Odierno, di 29 anni, faceva le segnalazioni col fanalino rosso; tanto
che anch’egli è rimasto ferito nell’incidente.
Il convoglio della Cumana trainato dalla
elettromotrice ‘E6’ guidata da Nicola D’Alessio, treno numero 193 partito da
Torregaveta alle 19.30, giungeva al passaggio a livello alle 19.40 a velocità
moderata quando si era trovato la strada sbarrata dal camion. Ha subito frenato
ma non ha potuto fare a meno di agganciare, con il respingente destro, un
parafango della ruota anteriore sinistra del ‘Leoncino’ trascinandolo quindi
per circa trenta metri prima di arrestarsi quasi in stazione [7].
Il camion si ribaltava sul lato destro, con
la cabina di guida sfondata, e tutti i suoi occupanti si rovesciavano a terra
fra i rottami ed in mezzo a una confusione di piatti rotti e di cestini
portavivande; ovvero i residui della gita che la sventurata comitiva si era
recata a fare ad Ischitella [8].
Ma come mai il conducente del ‘Leoncino’ non
si era fermato a tempo?
Anche se sembra assurdo era da escludersi
subito che si trattasse di imperizia dell’autista, esperto di quella strada che
percorreva ogni notte per il suo mestiere. Dall’interrogatorio dei carabinieri,
agli occupanti meno gravemente feriti, s’è appurato la seguente storia.
Erano stati a fare una scampagnata ad
Ischitella e poi di là erano andati a Torregaveta dove si erano fermati nel
locale di un fornitore del Tafuri a far colazione. Avevano consumato sei birre,
particolare importante se si pensa che erano diciotto persone; quindi non è
possibile che il Tafuri fosse ubriaco.
Sulla via del ritorno, che costeggia la
strada ferrata, Tafuri aveva forzato l’andatura e quando sbucando dalla curva
si accorse del passaggio a livello chiuso, tentò di frenare ma gli uscì un
grido dalla gola:
“Uh’ Madonna, non frena”.
La strada era in leggera discesa e pochi
metri lo separavano dalla sbarra chiusa. Tentò di azionare il freno a mano ma
questo si sballò ed allora il camion andò a sbattere sulla ‘Lambretta’ del
dott. Aroma, che era ferma in attesa dinanzi al passaggio a livello; la
travolse e quindi proseguì oltre la sbarra spezzandola, fino a urtare proprio
contro il treno che in quel momento stava sopraggiungendo [9].
Subito dopo l’incidente il Tafuri, forse in
preda allo choc, scappa per non vedere quello che in un primo momento deve
essere apparsa una strage: “tutti i suoi familiari più cari uccisi.”
Ma lo stato delle indagini fa ritenere che le
responsabilità del Tafuri siano minime; l’aver sovraccaricato il camion, il non
aver forse controllato sufficientemente i freni, ed altre piccole cose.
Ma certamente non era ubriaco ne volle
lanciarsi a corsa pazza; furono i freni che lo tradirono.
Nell’insieme una tragica fatalità.
N.B. - Cronologia principale da L'Unità del 29 e del 30 aprile 1957
Si ringrazia l'Archivio Carbone che gentilmente ha fornito le foto relative all'incidente.
Ricordiamo che l'Archivio Carbone, con i suoi oltre 500mila negativi rischia d'andar distrutto (o disperso), pertanto il progetto del suo salvataggio necessita dell'aiuto di tutti noi:
https://www.eppela.com/it/projects/11092-archivio-carbone/
Si ringrazia l'Archivio Carbone che gentilmente ha fornito le foto relative all'incidente.
Ricordiamo che l'Archivio Carbone, con i suoi oltre 500mila negativi rischia d'andar distrutto (o disperso), pertanto il progetto del suo salvataggio necessita dell'aiuto di tutti noi:
https://www.eppela.com/it/projects/11092-archivio-carbone/
Giuseppe Peluso
E' senza dubbio un archivio importantissimo.
RispondiEliminaDistruggerlo significherebbe la distruzione di parte della storia flegrea.
I dettagli storici sono importanti quanto i fatti stessi, e qui sono ottimamente rappresentati.
Un archivio del genere va salvaguardato, come non lo so.
Che che istituzioni si mobilitino a fronte della possibile perdita di una così importante testimonianza.