Il San Marco
La scuola delle monache
negli anni ‘50
Nei primissimi anni ’50 inizio a frequentare
quella che è chiamata la scuola delle monache. Trattasi del San Marco, ovvero
del “Collegio Vescovile Sacro Cuore” presso cui ha sede l’Istituto Parificato
San Marco.
Qui è possibile ultimare il completo ciclo
scolastico dall’asilo infantile alla maturità classica. Alla scuola media, al
ginnasio ed al liceo classico possono accedere solo ragazze dagli undici ai
diciotto anni; ma la scuola materna e la scuola elementare sono frequentati da
bambini e bambine dai quattro ai dieci anni. L’asilo infantile, un unico grande
ambiente che dalla strada pubblica appare come seminterrato, è praticamente a
livello con il cortile interno adornato a giardino. All’asilo si accede da
questo cortile ma lo si può raggiungere anche scendendo le scale situate vicino
l’ingresso dell’Istituto. Allo stesso livello dell’asilo trovasi il grande
refettorio con la contigua cucina. Le aule delle elementari sono al piano
rialzato e sono cinque, tante quante le classi, dalla prima ubicata lontana in
fondo al lungo corridoio fino alla quinta situata vicina all’entrata; sempre mi
son domandato perché non fossero disposte in modo inverso, così da far
risparmiare strada ai più piccoli. La quinta classe viene così a trovarsi
vicino al grande ufficio dove la Madre Superiore svolge la sua funzione di
direttrice. A questa “direzione” si accede dal citato vasto ed accogliente ingresso.
Al primo piano, già zona tabù per il sesso
maschile, troviamo le aule occupate dalle tre classi di scuola media e dalle
due classi del ginnasio. Al secondo piano le tre classi del liceo e le camerate
occupate dalle “interne”; così chiamiamo le ragazze che vivono in collegio. Al
piano più alto, già zona di clausura, si trovano gli ambienti occupati dalle
stesse suore. Il complesso è, allora come oggi, imponente perché comprende
anche l’annessa chiesa di San Marco, numerosi corridoi, molte scale, depositi e
vari ambienti semibui. Tutto contribuisce a farlo apparire immenso e misterioso
ai bambini che lo frequentano.
L’anno scolastico dura oltre nove mesi, dal
primo ottobre fino a tutto giugno e, poiché ci si fa ricreazione e doposcuola, l’uscita
è fissata alle ore 15,45.
Il sabato si va a scuola, ma il giovedì si resta
a casa come la domenica.
Il mio asilo inizia nell’ottobre del 1952 e la
mia prima maestra è una monaca, che fa tutto da sola, scelta in questo delicato
ruolo per avere al suo attivo, tra tutte le sorelle presenti al San Marco, il
più basso grado d’istruzione.
La piccola suora ci legge qualche storia di genere
religioso e per il resto o facciamo un po' di “casino” o ci fa
"dormire"; cioè dobbiamo stare fermi con le braccia acciambellate sul
banco, la testa china e gli occhi chiusi. Non ci sono giochi, non c’è materiale
didattico; verso fine anno per farci esercitare a tenere bene la penna ci fa riempire pagine e pagine di
aste, le famose “mazzarelle”. Al bagno ci si va tutti assieme, a due a due tenendosi
per mano, maschietti e femminucce, poi ordinatamente si attende il proprio
turno sollecitando chi è già in bilico su quei piccoli servizi igienici.
C’è poi il pranzo in piatti di stagno; zuppe e
minestre che non mi piacciono, servite nel comune refettorio. Il problema è il
dopo pranzo, quando c’è una lunga ricreazione e chi ha portato qualcosa da casa,
e ha ancora fame, può mangiarla. Durante questo riposo la monaca scompare e si
chiude a chiave in una vicina stanza; una volta guardammo dal buco della
serratura e vedemmo la monaca in camicione e senza il velo in testa. Poi da una
giovanissima aiuto bidella, che di tanto in tanto entrava a controllarci,
sapemmo d’aver fatto peccato mortale. Non ci sono urla, schiamazzo o disastro
che faccia ricomparire la nostra suora prima di un’ora abbondante. Ma è pur
vero che a questa monachella debbo l’aver appreso tante piccole ma utili cose. A
lei debbo il saper ben sbucciare un’arancia, conoscere “l’Inno di Mameli” ed
anche il saper bere da una fontanella, come quella posta nel cortile dove ci
porta nelle belle giornate.
Ricordo che una primaverile mattinata del
1953 ci conduce nel refettorio trasformato in sala cinematografica. Ci sediamo
sulle piccole seggiole, le porte vengono chiuse, gli stretti ed alti finestroni
oscurati da pesanti drappi, si spengono le luci ed inizia la proiezione. Ad un
certo punto della visione si sentono i leoni ruggire; i loro versi sono
ampliati dagli altoparlanti posti alle nostre spalle e rimbombanti
nell’ambiente chiuso. Nella trama del film le belve arrivano in un anfiteatro
sbucando dalle laterali aperture poste sotto le tribune, ci sembra sentirli saltare
dagli alti finestroni del refettorio e appaiano intenzionati a sbranare proprio
noi e non i cristiani al centro dell’arena. Pianti, grida, tentate fughe verso
le sbarrate porte; si è costretti a sospendere la proiezione del film (anni
dopo ho capito trattarsi di Quo Vadis) e riprenderla solo dopo aver calmato i
piccini; annullando comunque la proiezione delle fatidiche scene che hanno reso
“Kolossal” questa pellicola.
Ancora film durante tutti gli anni delle
elementari; sempre nel refettorio, con pellicole come “Marcellino pane e vino”
o “Senza Famiglia”, ancora scelte dalle monache, ma sicuramente meno
traumatiche.
L’anno seguente quasi tutti noi dell’asilo passiamo
al piano superiore dove resteremo altri cinque lunghi anni per frequentarci la
scuola elementare.
Mi ritrovo con una insegnante civile; la
classe è numerosa, oltre quaranta bambini, ed ancora oggi mi sorprende la dolcezza,
la severità, l’autorevolezza e l’impegno della maestra Maria Di Matteo, sorella
dell’allora sindaco di Pozzuoli, e di come sia riuscita a far leggere e
scrivere un così elevato numero di allievi. Con tutti questi scolaretti, ben 41
nella foto di seconda (oltre qualche assente tra cui sicuramente Fulvio La Rana e mia cugina Rita), sono
rimasto in amicizia o almeno ci si rivede ben volentieri; qualcuno è lontano da
Pozzuoli e qualche altro ci ha lasciati per sempre; tranne il ricordo.
Della mia classe rivedo i neri banchi di
legno con agganciata una panca per sedersi e poi la cattedra della maestra
posta in alto, su di una pedana. La lavagna non è fissata al muro, ma ha dei supporti
e può essere girata. Su di essa vedo per la prima volta le lettere dell’alfabeto
e su di essa faccio i primi conti. La
mia cartella è rigida, di colore marrone, senza disegni, senza colori; sembra
una piccola valigetta. Nella cartella il corredo scolastico composto da poche
cose: quaderni, libri di testo, l’album da disegno e astuccio; quest’ultimo di
legno, adatto a raccogliere i pennini, le penne e i pastelli. Non esistono
pennarelli, non usiamo la colla. I quaderni sono tutti piccoli, non ci sono né
quadernoni né diari, e non esistono copertine colorate come adesso; esse sono
di cartoncino nero e quando il quaderno è chiuso si vede una sfumatura rossa
lungo i bordi. Ogni quaderno ha poi un foglio di carta assorbente, da usare
ogni qualvolta si finisce di scrivere una pagina. Quelli a righe sono di
diverso formato a seconda dell’anno che si frequenta; quelli a quadretti sono
unici e nell’ultima pagina c’è un bel quadrato con scritte le “tabelline”. Come
libro il solo abecedario in prima e in seconda elementare; un libro di lettura
ed un sussidiario, che contiene le diverse materie, dalla terza alla quinta.
Le penne stilografiche sono rare e costose e
si usa la penna col pennino e l'inchiostro. I pennini sono di due tipi, “ciucciariello”
per le scritture semplici giornaliere e “cavallotti” per la “bella copia”. Ogni
tanto viene la bidella "Titina" con una bottiglia nera col beccuccio
e ci rabbocca i calamai di vetro inseriti in un buco situato sul piano dei banchi.
Questa operazione porta Titina ad una giornaliera distribuzione di scappellotti
destinati principalmente al mio compagno di banco Aldo Maddaluno che ha
trasformato i calamai in una indesiderata piscina per le mosche catturate con molta
destrezza. Ovviamente le macchie su dita, grembiuli, quaderni e libri, sono
all'ordine del giorno; il tutto per la
gioia delle nostre mamme.
Chi non sta attento, disturba e non si
comporta bene, finisce in castigo dietro la lavagna, sta in piedi a guardar per
aria più di mezz’ora, una vera noia; per le cose più gravi la maestra fa
mettere le mani sul banco e le bacchetta con un legnetto lungo e sottile.
Nell’aula c’è un capoclasse che tiene la
disciplina durante le assenze della maestra. La procedura è la seguente: non
appena la maestra esce il capoclasse, o meglio la capoclasse perché tale è quasi
sempre stata in tutti i miei anni di elementari, con il gesso divide la lavagna
in due parti ed in alto alla prima colonna scrive ”BUONI” ed in alto alla
seconda scrive “CATTIVI”. Tutti debbono mettersi "con le mani
conserte" sul banco o in posizione di riposo con le mani unite dietro la
schiena. La capoclasse va alla lavagna e segna il nome di chi parla o si agita.
Se l'infrazione è ripetuta, mette una linea sotto il nome e poi, e qui risalta
la sua delicata funzione, riporta a sinistra il nome di quei pochi che si son
ben comportati. Al ritorno della maestra vengono impartite a ciascun
"segnato nella lista di destra" un numero di bacchettate sulle mani
pari al numero di linee più uno. La bacchetta, usata per impartire la punizione,
qualche volta l'ho "assaggiata" anch’io, nonostante fossi tranquillo e
sempre cercavo di non rendermi antipatico alla capoclasse. Ricordo il bruciore
intenso sulle mani… ma c’è tanta disciplina, grande stima per la maestra, tante
regole da rispettare. Quando in classe entra la direttrice, oppure altre
maestre, la capoclasse dice “ATTENTI!” e noi tutti scattiamo in piedi aspettando
il segnale di “RIPOSO” per sederci. Ai “segnalati
nella lista di sinistra”, qualche particolare giorno, va l’ambita fascia
tricolore che si indossa come quella dei sindaci. La si mostra con orgoglio a
casa ed agli amici perché generalmente è rilasciata come testimonianza dell’aver
studiato con diligenza.
D’altronde se non si è svelti ad apprendere si
va incontro a drastici metodi pedagogici. La maestra arrotola due fogli di
carta a forma di imbuti (cuoppi) che poi schiaccia trasformandoli in due lunghe
orecchie da asinello. Ricordo il giorno, ero in quarta, che sono state fissate
vicino alle mie orecchie a mezzo di due mollette ferma capelli da femminuccia.
Ho fatto il giro di tutte le altre aule delle elementari dove la capoclasse che
mi accompagna bussa ed una volta entrata invita la scolaresca a strillarmi per
tre volte “asino, asino, asino”. Tutti gridano con entusiasmo, solo mia sorella,
che si trova in terza elementare, è ammutolita; una volta a casa riferisce del
triste spettacolo.
La guerra è terminata solo da pochi anni ed
alle pareti, accanto alla carta geografica (che ancora riporta come italiane
Pola, Fiume e Zara) due manifesti: uno per i funghi velenosi e l'altro per gli
"ordigni bellici". Si sa che i bambini sono curiosi pertanto l’invito
è a non toccare né gli uni, né gli altri. Ancora si racconta di invalidità
provocate per la imprudente raccolta in strada, o nelle campagne, di esplosivi
apparentemente somiglianti a giocattoli.
A mezzogiorno bisogna raggiungere il
refettorio in fila ed in silenzio. In linea di massima si mangia quasi sempre
pasta o minestra, una confezione piccolina di marmellata cotognata oppure un
formaggino, un panino e una mela; il tutto di provenienza “UNRRA” (United
Nations Relief and Rehabilitation Administration).
Durante la ricreazione spesso ci sono cricche
di bambini grandi, quelli che frequentano le classi “superiori” che se la
prendono con i più piccoli; minacciano e poi picchiano; anche se la maggior
parte non lo fa con violenza, il risultato è immaginabile.
Intanto gli anni passano e cambiano anche i
fiocchi che portiamo al bianco colletto e che le femminucce hanno anche tra i
capelli; rosso in prima elementare, giallo in seconda, verde in terza, blu in
quarta e verde – bianco – rosso (il tricolore italiano) in quinta elementare.
Da ricordare che nelle scuole pubbliche si sostengono gli esami solo in seconda
ed in quinta (oggi, nemmeno più quelli di quinta per il passaggio alla scuola
media) ma noi della scuola delle monache gli esami li facciamo tutti gli anni
ed alla presenza di Rosario Baldanza, Direttore del Circolo Didattico, che
viene apposta in sede.
Nostra direttrice e madre superiore negli
anni ’50 è suor Maria Graziani, originaria della provincia di Frosinone,
sorella del maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani. Ella nasce in una famiglia
borghese, con il padre medico condotto, e viene indirizzata inizialmente dai
genitori verso gli studi religiosi presso un istituto femminile di Subiaco. La
ricordo nelle sue giornaliere visite alle varie classe e ricordo la sua frase che
sempre pronuncia nell’accomiatarsi: “Bambini pregate affinché Gesù mi faccia diventare
Santa”. Noi bimbi abbiamo pregato tanto per lei, però dubitiamo d’essere
riusciti ad aiutarla.
Foto n. 1 – Cartolina ufficiale San Marco
Foto n. 2 – 1954/1955 - Seconda elementare
Foto n. 3 – Manifesto ordigni bellici
Foto n. 4 – 1957/1958 – Quinta elementare
Giuseppe Peluso – Pozzuoli Magazine del 20
aprile 2013
salve volevo chiedervi se c'è un archivio del sacro cuore. mia zia nell'anno 1966 è stata in questo istituto ma non ha mai saputo il perché, visto che aveva una madre ed un padre. può aiutarmi per indirizzarmi dove andare per avere la cartella dei documenti? ? grazie
RispondiEliminaCredo che gli archivi di questo Istituto siano custoditi presso la Biblioteca Diocesana di Pozzuoli. Consiglio rivolgersi direttamente alla dott.ssa Andreana Moio - biblioteca@diocesipozzuoli.org
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