L’attuale empio progetto di una discarica in zona “castagnaro” contrasta vivamente con la bellezza di questi luoghi che sempre sono stati meritevoli di venerazione. A tal proposito mi pregio riportare la sconosciuta pagina del diario di una ottocentesca escursione in questi siti.
Nel 1888 il Ministro della Pubblica Istruzione ingiunse che gli alunni dei Regi Licei dovessero, nei giorni di vacanza, esercitarsi in passeggiate ginnastiche per le quali è riconosciuta l’utilità e per lo sviluppo delle forze fisiche e per le cognizioni che acquistano i giovani specialmente di Archeologia e di Scienze Naturali. In omaggio a tale provvida disposizione del Ministro, durante l'anno scolastico 1888-89, gli alunni del Regio Liceo Antonio Genovesi di Napoli ebbero a compiere parecchie gite sempre guidati dal Preside o da altri Professori. Di tutte queste escursioni furono fatte minute relazioni dagli alunni medesimi, per cura del Prof. Vincenzo Campanile.
Oggi trascrivo la loro settima passeggiata, interessante per la descrizione che se ne fa sia del Gruppo del Gauro sia della Piana di Quarto, non senza aggiungere che per il Preside, Dott. Angelo Ferrari, l’ordine e la disciplina, anche in questa passeggiata, furono pienamente mantenuti, e non ebbe a deplorarsi inconveniente alcuno.
Settima Passeggiata - Domenica 10 Febbraio 1889.“La gita, che troverete da me descritta, o colleghi, sono sicuro, che vi riuscirà poco dilettevole, e perché avete innanzi letto descrizioni fatte da giovani bravi, e perché il cattivo tempo non ci permise di ammirare quei quadri, che ci aspettavamo. Pur tuttavia, facendo a fidanza con la vostra indulgenza, mi accingo a scrivere, nella speranza di gettare un po' di luce negli animi di coloro, che non hanno ancora compreso l'importanza dell'alpinismo, ed i vantaggi fisici e morali, che la nobile passione arreca.
Alle 6 e 3/4 del mattino era stabilita la nostra posta in Piazza del Plebiscito, per prendere il tram a vapore in partenza alle 7 e 10 minuti per Pozzuoli. La sera precedente il tempo cominciò a mostrarsi brutto, quasi in segno di minaccia, per farci desistere dalla risoluzione presa. Andai a letto, con la speranza di trovare all'indomani tempo migliore. La notte piovve dirottamente. Alle 5 e 3/4 il mio orologio a sveglia mi avvisava ch'era tempo di alzarmi. Il mio primo pensiero fu di correre al balcone, ma il tempo era pessimo, la pioggia veniva giù a catinelle. Mi vestii in fretta, mi armai del mio “alpenstok” e corsi alla Piazza Plebiscito. Trovai il Prof. Campanile, che dirigeva la gita, i due figli di lui Adolfo ed Arturo, Giuseppe Giordano e Francesco Cirillo. Il cattivo tempo aveva fatto disertare gli altri. La pioggia era cessata; ed il largo S. Ferdinando, a quell’ora così mattutina, era deserto. Solo di tratto in tratto si vedeva correre qualche vettura da nolo, ma spariva subito, come il lampo. Alle 7 e 10 il tramway si mise in moto, e la pioggia ricominciò con più costanza di prima. Pareva, che il fato congiurasse contro la nostra passeggiata. Alle 8, giungemmo a Pozzuoli e, provvedutici della colazione, c’incamminammo subito per la via Campana, la quale, traversando il piano di Quarto, conduce a Qualiano e poscia a Giugliano. Appena usciti dalla città, come se non fosse bastata la pioggia, si aggiunse anche la neve, ed un penetrante venticello di tramontana si faceva sentire fin nelle ossa. Tutte queste difficoltà non ci sgomentarono, e seguimmo allegri la nostra via. Lo spettacolo della neve è raro tra noi, e quando ci è dato di ammirarlo, ci riesce sempre piacevolissimo. In campagna poi desta entusiasmo. Dopo ½ d'ora di cammino, lasciammo la via carrozzabile, e c'inoltrammo in un viottolo fangoso, ove appena si poteva camminare per uno. In mezz'ora, seguitando sempre la nevicata, giungemmo al cratere di un vulcano spento, denominato il Campiglione. Le terre di Pozzuoli sono quasi tutte vulcaniche, ed anche oggi ne abbiamo prove abbastanza valide per dimostrarlo. Noi ci trovavamo appunto nel cratere di un antico vulcano, come ho detto di sopra. Esso ha la forma di un tronco di cono; la circonferenza superiore più grande della inferiore è divisa in due archi da una sella dirimpetto alla porta d'entrata per mezzo della quale vien distinta la parete destra col nome di Monte Corbara (m.315) e l'altra a sinistra con quello di Monte Barbaro (m.320). La pioggia intanto era finita, e solo rimaneva qualche bianca nube sull'orizzonte e un poco di nebbia, che copriva le pianure. Ci avviammo per un ripido sentiero a destra, che si svolge nella parte interna del cratere, ma, non potendo vedere il panorama esterno, deviammo dopo 15 minuti per una gola, e guadagnammo un bellissimo viottolo, dal quale, ci diceva il Prof. Campanile, con tempo sereno si scorge una veduta estesissima. Il cattivo tempo cessato un pochino, ci permise di ammirare poche montagne, tutte coperte di neve e le colline, che si alternavano a larghi tratti di pianure, coperte da nebbie. Il piano di Quarto, estesissimo, si spiegava ai nostri piedi. Indi continuammo il cammino, e man mano che salivamo , allargandosi la visuale, il panorama si faceva sempre più bello. Un fremito di gioia e d‘impazienza, un desiderio vivissimo di visitare quelle contrade, alle quali la natura era stata prodiga di tante bellezze occupava tutti noi; ed avremmo preferito le mille volte di ascendere su quelle montuose cime, anziché fare quella piccola passeggiata. E noi ci beammo di questa veduta, finché entrati in un boschetto la perdemmo, ed in cambio dovemmo pensare ad afferrarci a qualche tronco di albero per non sdrucciolare, a saltare siepi per rintracciare un sentiero. Dopo tre quarti d'ora di questa bellissima ginnastica, senza che ce ne fossimo accorti, fummo sull'altura. Un altro breve tratto ci separava dalla vetta più alta, la quale fu raggiunta di corsa da tutti. Quivi trovammo una vecchia casa disabitata. Sebbene ci fossimo pervenuti ad un' altezza abbastanza modesta, pure il panorama era bellissimo. I nostri polmoni respiravano aria più pura, i nostri occhi spaziavano in un vasto orizzonte, noi ci sentivamo beati. Di fronte avevamo il mare ampio, mugghiante, le isole di Procida e d'Ischia col suo Epomeo, a destra il golfo di Gaeta, le cui acque lambivano il bosco di Licola; a settentrione le catene delle Mainarde e del Matese furono per un momento osservate; ad oriente il Vesuvio, S. Angelo a tre pizzi e la collina dei Camaldoli. A poca distanza da noi erano i laghi del Fusaro, di Licola e di Patria ed il Mare Morto; e poi il Monte di Procida, la collina di Cuma e quella di Capo Miseno. Assisi dietro un muro di quella vecchia casa, ammirammo per circa un'ora il bellissimo orizzonte. Alle 12 e ½ cominciammo la discesa pel versante settentrionale. Per comodo sentiero, il quale scende dolcemente fra belle campagne, in poco più di mezz'ora, ci trovammo nella via Campana, sul piano di Quarto, e poscia alla Montagna Spaccata, il punto più alto della strada. Questo luogo è cosi denominato per essere una gola, fra due colline. All'uscita, anziché seguire la strada, che conduce a Pozzuoli, volgemmo a sinistra per un'altra via che sale dolcemente attraverso basse colline, coperte di scarsa vegetazione. Costeggiando gli Astroni, dopo un'ora e quarto toccammo Soccavo; poi, saliti ad Antignano, alle 15 fummo di ritorno in Napoli.” - Michele Taglienti - Alunno della 3° liceale
Giuseppe Peluso - Quarto Magazine del Marzo 2012
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