Johnston-Lavis Collections – Una stampa del vulcano Solfatara
Henry James Johnston-Lavis
Da Londra a Pozzuoli, dalla medicina ai fossili, dalla geologia
al colera
Henry James Johnston-Lavis nasce a Londra il
19 luglio dell’anno 1856.
Discende da una vecchia famiglia ugonotta francese,
i "de Levis", che, causa le persecuzioni religiose, emigrano in Gran
Bretagna nel diciassettesimo secolo; alla fine si insediano nel Devonshire,
dove è acquisita della terra ancora oggi in possesso della famiglia.
Il loro nome è anglicizzato e trasformato in
Lavis ed a questo Henry James aggiunge il cognome della madre, Johnston [1].
Henry riceve la sua educazione primaria
presso la “Grammar School” di Iver, Bucks, sotto la direzione del Rev. W. E. Oliver,
in seguito Vicario di Ealing. Pieno di buon umore, è sempre nei guai con i suoi
maestri per qualche scherzo innocente o altro, durante le ore di scuola.
Il suo vecchio compagno di scuola, il signor
Harry Kimber, scrive:
“… di
conseguenza riceveva più frustate di tutti i ragazzi messi insieme, ma presto
dimenticava le sue pene e teneva la classe in allerta con ulteriori battute, seguite
da ulteriori punizioni " [2].
E’ a Iver che si verifica un semplice
incidente che determina il suo interesse in geologia per tutta la vita; un
sasso lanciato contro di lui da un compagno di scuola altro non è che il guscio
di una conchiglia di Echinoderma. Henry è colpito dall'aspetto curioso della
pietra, ora conservata tra le reliquie di Famiglia, che così diventa il primo
esemplare di una collezione che alla fine diventerà unica nel suo genere [3].
A diciannove anni Henry si unisce alla Società
Geologica e scrive diversi articoli su questa materia, uno dei quali pubblicato
sul “Journal of the Geological Society”, prima che abbia vent'anni.
Dopo l’educazione primaria inizia la sua
formazione medica presso l'University College, a Londra, e qui subisce
l'influenza del Prof. John Morris, dal cui insegnamento rafforza la passione
per gli studi geologici.
Dopo aver conseguito la laurea in “MRCS” a
Londra, e ricoperto alcuni incarichi medici minori sia in Inghilterra che in
Francia, si dedica con passione alla sue ricerche di fossili ed ai suoi studi
geologici.
Per diversi anni Lavis fa uno studio attento
dei Terziari della Bassa Londra esposti ora a Charlton e Lewisham, nel Kent.
Nel suo lavoro sanitario la Fisiologia lo
attrae più dell’Anatomia, tuttavia trasforma le sue conoscenze mediche in un
resoconto pratico conducendo corsi serali sulla Fisiologia Animale presso il
vecchio Politecnico, in Regent Street; sedute che gli permettono di guadagnare
dalla sua passione.
Nel gennaio del 1879 sposa Mademoiselle
Antonia Francoise Bourdariat de Saint-Aupre, conosciuta a Marsiglia, delle cui
qualità così testimonia nella dedica alla sua ultima opera pubblicata:
"…
attraverso una lunga vita matrimoniale mi ha incoraggiato nel lavoro medico e scientifico,
offrendomi un valido aiuto e apprezzamento, favorendomi a superare difficoltà
quasi insormontabili" [4].
Abbandonando Stalbridge a febbraio, trascorre
la maggior parte del 1879 come assistente medico a Plaistow e, dopo aver preso
il grado di "B.-es-Sci. Paris", alla fine dell’anno si trasferisce a
Napoli.
Qui apre uno studio come medico consulente e inizia
a praticare tra coloro che parlano inglese, siano essi britannici, americani o
delle colonie, che si trovano a Napoli come residenti o visitatori.
Una delle prime osservazioni fatte nel corso
del suo lavoro medico è quello di tracciare la connessione tra alcuni disturbi
gastrici prevalenti e il consumo di molluschi, un argomento che è stato poi ampiamente
da lui trattato in un secondo momento.
L'anno 1882 lo trova a ricoprire la carica di
consulente medico presso il “Naples Sailors' Rest” (Casa o Riposo
del marinaio, strutture presenti nei maggiori porti mondiali) in cui la signora
Johnston-Lavis funge segretario [5].
Offertagli la opportunità, dalla “Compagnia
di Navigazione Trinacria” con la quale firma un contratto, fa un viaggio negli
Stati Uniti dal 3 al 28 giugno del 1883. Sfortunatamente soffre così gravemente
il mal di mare che quando si presenta l’unico caso in cui si richiedono i suoi
servizi professionali non si regge in piedi e deve essere sostenuto da due
marinai su entrambi i lati. L’unico beneficio di questo viaggio lo riceve
visitando varie località geologicamente interessanti, tra cui Niagara.
Una volta tornato in Italia, per meglio poter
svolgere il suo lavoro professionale, Johnston-Lavis consegue la laurea di "Dottore
di Medicina e Chirurgia" all'Università di Napoli nel gennaio 1884.
Nell’estate del 1884, importata da alcuni
operai provenienti da Marsiglia e Tolone, arriva in Italia una epidemia di
colera che colpisce principalmente il meridione e Napoli in particolare. Le
condizioni igieniche dei cosiddetti “bassi” sono molto precarie e Napoli conterà
circa ottomila morti [6].
Proprio nel corso di questa estate
Johnston-Lavis trascorre circa quindici giorni a indagare sulla struttura
geologica dell’isola di Ponza. Il colera sta infuriando sulla terraferma e gli
isolani, non comprendendo l’operato di un uomo che con un martello rompe pezzi
di roccia avvolgendoli poi nella carta "come se fosse formaggio",
arriva alla conclusione che questo personaggio sia stato inviato dal governo per
diffondere "Polvere di colera" [7].
E’ purtroppo questa una credenza abbastanza diffusa
e pertanto gli ordinano di andarsene dall’isola con il primo piroscafo
disponibile; cosa che per sicurezza è costretto a fare.
Per debellare l’epidemia il 15 gennaio 1885 è
emanata la cosiddetta “legge per Napoli” che segna un punto di svolta nella
politica governativa dell'Italia unita con l’imporre norme igienico-sanitari
pubbliche e private che le municipalità debbono far osservare a tutti i
cittadini. Prioritario è un sistema fognario, l'edificazione di nuovi
quartieri, la costruzione di nuove strade e piazze e il risanamento dei luridi
“bassi” e “tuguri”.
Nel mentre sono attuate le norme varate dalla
legge per il risanamento di Napoli, e sebbene la principale epidemia di colera
si sia placata, ricadute della malattia sono registrate nel 1886 e nella tarda
estate del 1887 quando un ultimo focolaio epidemico colpisce ferocemente
Pozzuoli e il suo circondario.
Il capoluogo flegreo conta un elevato numero
di case malsane al Rione Terra, nei quartieri ad esso addossati e al borgo
marinaio; al Pendio San Giuseppe e in tutto quel groviglio di abitazioni
fatiscenti che sono tra il borgo del Rosso, il rione Torre e il Palazzo Pollio
[8].
Come racconta Rosario Zanni, nel suo
“Malaria”, il 1887 è anno, di lutti e cambiamenti, che i puteolani non avrebbero
più dimenticato. Una repentina aggressione di epidemia colerica sta colpendo
moltissime famiglie; i negozi sono chiusi, le strade deserte; la contrada
Ospizio è completamente abbandonata.
Strade dissestate, carenza di fogne, di
cessi, mancanza di acqua corrente nelle abitazioni provocano una notevole
mortalità infantile. Le pessime condizioni igieniche della città sono poi
aggravate dalla presenza delle acque stagnanti del mare e del sottosuolo che hanno
invaso la parte bassa della città.
Dal 1891 si inizia ad affrontare quest’ultimo
inconveniente con la sistemazione della banchina, preludio al futuro
risanamento delle zone limitrofe a Santa Maria delle Grazie, e nel 1892 si fa giungere
a Pozzuoli l’acqua del Serino. Necessaria è la creazione di un lazzaretto, alle
pendici di Monte Nuovo, ma la maggior parte dei puteolani nasconde alla vista
dei medici i familiari colpiti dal morbo.
Nel marzo dello stesso anno 1887
Johnston-Lavis è stato nominato “Chief Medical Officer” per i grandi cantieri di
recente aperti a Pozzuoli dalla “Sir W. Armstrong, Mitchell & Co., Ltd.” di
Newcastle. Il suo compito è quello di dirigere il settore medico della fabbrica
e curarsi della salute delle maestranze provenienti dall’Inghilterra [9].
Ma ben presto Henry è completamente assorbito
dall’emergenza colerica che minaccia tutti indistintamente, inglesi e italiani.
Così scriverà nelle sue memorie il dottor
Louis Westenra Sambon, un medico italo inglese, che sarà un pioniere della
“Medicina Tropicale” e dei “vermi parassiti”, all’epoca residente a Napoli e giovanissimo
amico di Henry [10]:
"Lavis
si è occupato dei dipendenti stranieri colpiti e ha preso tutte le misure
sanitarie necessarie per la protezione degli operai italiani. So che aveva una tremenda paura di questa terribile malattia “Gangetica” [dal
Gange indiano da cui proveniva il ceppo colerico] che era considerata insidiosa,
rapida e mortale come il morso del cobra. Ma nessuno avrebbe mai pensato di
vedere con quale apparente disprezzo della vita lavorava giorno e notte, spesso
senza cibo, sempre stanco, per salvare la vita degli altri.
Quando
il suo collega di Pozzuoli [probabilmente il dottor Ivo Fiaccarini] ha contratto
l'infezione Henry è venuto da me. Non lo dimenticherò mai, sembrava orribile, e
io gli ho promesso di sostituirlo e di andare quella stessa notte a condizione
che lui si riposasse".
Fortunatamente le sue occupazioni
professionali non assorbono tutto il suo tempo ed è proprio a Napoli che inizia
i suoi studi vulcanologici.
Al giovane, energico e ardente geologo, il
Vesuvio, con i suoi numerosi affascinanti problemi, rappresenta una pietra
miliare cui dedicare, nel tempo libero, il suo studio e le sue ricerche.
Innumerevoli sono i suoi scritti su argomenti
legati al Vesuvio e ai vulcani dell’Italia Meridionale incluso uno studio
esauriente sul grande terremoto di Casamicciola. Johnston-Lavis si precipita
nell’isola di Ischia, dopo la prima scossa, inizialmente per prestare la sua
opera di medico e poi per studiare gli effetti del terremoto e comprenderne
l’origine. Lo studio dura più settimane e lui torna più volte sull’Isola, ma
non è sul luogo quando avviene il terremoto del 28 luglio 1883. Studia in
dettaglio anche gli effetti di questa scossa e dimostra, in polemica con tutti
gli altri scienziati ma in accordo con Mercalli, che tutte le scosse avvenute
hanno un ipocentro molto superficiale. Il suo lavoro sul terremoto ha come
risultato una serie di raccomandazioni da seguire nel progettare la
ricostruzione [11].
Ma forse il suo lavoro più importante è il
completamento, con grandi difficoltà, del suo studio sul Vesuvio nel 1880-88 e
la pubblicazione della sua Carta Geologica, poi aggiornata con l'aggiunta di
alcuni flussi di lava durante l'eruzione del 1906; mappa su cui ancora oggi c'è
poco da modificare.
Il 14 dicembre 1892 è nominato Professore di
Vulcanologia nella Reale Università di Napoli; nel 1893 è eletto membro
onorario del Società Geologica di Edimburgo.
Nel suo zelo, per far bene il suo lavoro, non
si è mai risparmiato e spesso ha preso grandi rischi. Suo frequente compagno di
quei giorni è ancora il dott. L. Sambon che racconta:
"Molte
volte ho temuto per Lavis il cui nome dovrebbe essere scritto sulla stessa tavoletta
che porta quelli di Empedocle, Plinio il Vecchio e Louis Coutrel. L'ho visto
cadere da altezze pericolose, mentre cercava di raggiungere alcuni esemplari di
minerali particolarmente interessanti; in due occasioni il vulcano irato gli ha
lanciato pietre mentre stava fotografando il cono eruttivo a distanza
ravvicinata.
Ma l’avvenimento
più pericoloso che ricordo avvenne il 7 giugno 1891; in quel pomeriggio, avendo
notato una apparente strana attività eruttiva tra il cono vesuviano e la cima
del vecchio cratere del Monte Somma, ci siamo diretti verso la sede
dell'attività. Che notte abbiamo passato nell'inferno vesuviano!
Avendo
raggiunto la piana di lava dell'Atrio, iniziammo ad ascendere il cono eruttivo,
che sembrava un enorme mucchio di farina gialla di mais a causa di sublimati di
percloruro di ferro che rivestivano i suoi materiali di superficie. Una
notevole parte del cono era già caduta, e il cratere allargato misurava trecento
piedi nel suo diametro più largo. Il bordo rotto era tutto fessurato e
pericoloso da approcciare.
Grandi
quantità di tumultuoso vapore bianco usciva da questo grande calderone che non
era più un cratere eruttivo ma un cono fumante a bocca aperta. Abbiamo lottato contro
le scorie incoerenti e raggiunto ad est l'apertura da cui la lava stava uscendo.
Grandi
raffiche di dell'acido solforoso ci soffocavano impedendo il nostro progresso e,
sebbene in fondo avessimo avuto il coraggio di saltare oltre la fessura dove
era larga solo tre o quattro piedi, siamo stati costretti a fare un ritiro
affrettato per evitare di essere scottati o soffocati dai vapori riscaldati e
soffocanti.
Alle 2.30
di notte il terreno sotto i nostri piedi tremava violentemente e, tra lampi di
luce, un nuovo spacco si spalancò ai piedi del cono eruttivo, riversando un
grande flusso di lava fusa, che sembrava calpestarci precipitosamente.
Terrorizzati dall'improvvisa e inaspettata esplosione ci siamo ritirati il
più velocemente possibile, ma abbiamo trovato la nostra strada sbarrata dal flusso
precedente, che era abbondantemente fuoriuscito.
Credendo
d’essere completamente tagliati fuori, e temendo d’essere travolti dalla lava
rovente o dalla scottatura di vapori irrespirabili, procedemmo a scalare la
quasi perpendicolare scarpata del Somma. Fortunatamente, Lavis l'aveva scalata
in un'occasione precedente, mentre studiava esposte dighe di lava, e siamo
riusciti a raggiungere la sicurezza in una pietosa condizione di esaurimento.
Dalla
vetta del Somma, ancora senza fiato, abbiamo assistito al grande spettacolo dell’eruzione.
La lava sgorgò a ondate, tuonando come un mare tempestoso che esplode.” [12]
E’ poi Lavis a raccontare questa stessa e pericolosa avventura:
“Io e
il Dr. L. Sambon, che era allora il mio assistente, eravamo quasi sopraffatti,
il pericolo era molto reale e noi lo avevamo cercato come Semele che, volendo
vedere Zeus in tutto il suo splendore, fu consumato dai fulmini.
Un
compagno gradevole, il dr. L. Sambon, i cui allegri spiriti tiravano fuori il
lato amichevole del Natura Italiana."
A Johnston-Lavis (e Flores, E.) dobbiamo le intriganti
notizie ed ipotesi circa l’antico lago di Pianura e sulle ossa di un cervo in
esso rinvenute, argomento che meriterebbe un apposito articolo [13].
Sempre sua è l’interessante relazione circa
le “Osservazioni geologiche lungo il tracciato del Grande Emissario Fognone di
Napoli dalla Pietra sino a Pozzuoli”.
Nel dicembre del 1894 Johnston-Lavis lascia
l’Italia e si trasferisce nella Francia meridionale dove continua la sua attività
medica e la sua passione per la geologia.
Verrà a Napoli saltuariamente, anche subito
dopo l’eruzione del Vesuvio nell’aprile del 1906. Nel corso di questa grande
eruzione sono rinvenute e descritte per la prima volta al mondo tre nuove
specie: “bassanite”, “palmierite” e “chlormanganokalite”. Quest’ultimo minerale
è esclusivo del Vesuvio ed è a Lavis che va il merito della sua scoperta [14].
Il 10 settembre 1914, in piena prima guerra
mondiale e con parte della Francia occupata dai tedeschi, deve ritornare verso
il sud del paese e, causa il blocco delle ferrovie, ricorre ad un trasferimento
a mezzo auto. L’itinerario è tortuoso e lo chauffeur corre troppo; a Bourges,
nel dipartimento di Cher, una gomma scoppia e l’auto esce di strada.
Capovolgendosi colpisce alla testa Hanry che muore istantaneamente.
E’ questa la triste fine di una esistenza impegnata
e utile che ancora aveva la prospettiva di molti anni fruttuosi; un uomo che
non possiamo dimenticare e che, come detto da Sambon, meriterebbe una tavoletta
a Napoli o Pozzuoli.
GIUSEPPE PELUSO
BIBLIOGRAFIA
Antonia Johnston-Lavis – Bibliography of the Volcanoes
of Southern Italy - 1918
Massimo Russo – I minerali della grande eruzione
vesuviana del 1906 - 2006
Gerald Hugo
Rée – Pioneer of Tropical Medicine - 2017
Rosario Zanni – Mal’aria -
P. Gasparini – Scienziati ad Ischia -
W. L. Kirk, R.
Siddall & S. Stead - The
Johnston-Lavis collection -
Bellissimo profilo di un uomo colto tipico dell'ottocento
RispondiEliminaTi ringrazio del commento.
RispondiEliminaCiao