Con vivo piacere pubblico
uno scritto dell'amico, ingegnere aeronautico, Francesco
Fortunato. Un tecnico appassionato di molte cose in generale, e di aviazione in particolare, cui piace cercare dettagli e dare una mano a
tenere viva la memoria della Storia Aeronautica in Campania.
Naturalmente
vi invito ad approfondire visitando il suo blog: http://www.fremmauno.com/
L'articolo che segue, che tra l'altro riporta inedite notizie sulla Industria Aeronautica dei Campi Flegrei, è stato da lui presentato alla:
Italian Association of Aeronautics and
Astronautics
XXII Conference
Napoli,
9-12 September 2013
INDUSTRIA ED INNOVAZIONE AERONAUTICA A NAPOLI
Francesco Fortunato
1 - Introduzione
Il volo è arrivato presto
a Napoli sotto forma di ascensioni in pallone aerostatico. L’esordio, ad opera
di quello stesso Vincenzo Lunardi che aveva effettuato la prima ascensione a
Londra il 15 settembre 1784, avvenne il 13 settembre 1789 dal “Largo di
Palazzo”, sotto gli occhi del re Ferdinando IV di Borbone, della famiglia reale
al completo e di un’immensa folla di popolo accalcata su piazza, strade e
tetti.
Figura1: Stampa d’epoca
rappresentante il “globo aerostatico” di Lunardi
Da allora, l’interesse
per il volo non si è mai attenuato, passando attraverso cambiamenti politici e
guerre e rendendo la città ed i suoi dintorni il principale centro
dell’industria aerospaziale del sud Italia. Proponiamo qui alcuni passaggi
significativi di questa storia, senza la pretesa di realizzarne una sintesi
completa, provando a soffermarci su alcuni esempi che ci sembrano
particolarmente significativi, in termini dell’apporto all’innovazione tecnica
ed alla crescita del settore aeronautico, in un’ottica non solo locale.
2 - Precursori e primordi: FRANCESCO FILIASI
Napoli ha dato origine a
numerosi precursori e pionieri del volo [1], con personaggi quali lo scienziato
Tiberio Cavallo, il patriota e ideatore Federico Capone, l’ideatore ed
industriale Giovanni Agusta, i costruttori Emilio Graff ed Armando De Simone.
Ci soffermeremo sulla
figura di Francesco Filiasi, 5° marchese di Carapelle, ricordato anche come
musicologo. Nato a Napoli nel 1869, è un
classico esempio di appassionato benestante che investe le proprie risorse per
realizzare le proprie idee, sicuramente dotato d’inventiva ma forse privo dello
spirito imprenditoriale di altri suoi “colleghi”. Ad inizio ‘900, prima del primo
volo dei Wright, si era impegnato a progettare un elicottero e poi un velivolo
ad “ali equilibrate”. Presentò un modello di quest'ultimo all'Esposizione
Aeronautica di Parigi del 1902, dove fu premiato. Le due ali in tandem di cui
era dotato erano collegate in modo da cambiare calettamento in modo opposto,
garantendo così la stabilità longitudinale “automatica” del mezzo nelle varie
condizioni di volo. Nel 1906 Filiasi propose il modello in scala di una
versione idrovolante dello stesso velivolo all'Esposizione di Milano, fornito
di scafi catamarani e di ali svergolabili per il controllo laterale [5]. Nello
stesso anno pubblicò un trattato dal titolo: “Causeries aéronautiques et projet d'aéroplane”.
Nel 1910 fu tra i
fondatori del “Circolo Aviatorio” napoletano che successivamente si sviluppò in
aeroclub. Progettò e realizzò, in quello stesso 1910, un biplano terrestre che
presentava alcune caratteristiche interessanti. Puntava sicuramente alla stabilità
automatica in volo, come dimostra il piano orizzontale di coda, a differenza
dei Wright contemporanei ed in linea, invece, con le esperienze francesi. La
fotografia mostra che erano presenti dispositivi di controllo laterale, sotto
forma di piani orizzontali mobili posti fra le ali, secondo lo schema ideato
dallo statunitense Glen Curtiss. Nel complesso, Filiasi risulta ben informato
dell’evoluzione delle macchine aeree e cerca di fare scelte oculate. Il
biplano, benché di proprietà privata e quindi non militare, fu realizzato con
la collaborazione della Brigata Specialisti del Genio, dotato di un motore
rotativo Gnome da 50 CV e provato da Calderara il 3 giugno 1910, sul campo di
Centocelle a Roma. La notizia comparve anche su “La Domenica del Corriere” del
26 giugno 1910. Altre prove vennero eseguite nei giorni successivi, ma gli
esiti non furono abbastanza soddisfacenti da garantire l'ulteriore sviluppo.
Figura 3: Il biplano Filiasi a
Centocelle
Negli anni successivi
l’attività creativa si diradò, ma rimase sempre impegnato a diffondere la “cose
aeronautiche” e la musica. Si impegnò in complessi dibattiti di fisica. Morì a
Roma il 25 giugno 1941.
3 - LA GRANDE
GUERRA: LA “IAM” ED I FRATELLI RICCI
L’industria aeronautica
arrivò a Napoli per le esigenze della Prima Guerra Mondiale [2] [6]. Molte
imprese furono coinvolte nello “sforzo bellico”, per rifornire l'esercito e la
marina delle crescenti quantità di materiali di cui avevano bisogno, e diverse
aziende affiancarono alle competenze che già possedevano la produzione
aeronautica. Nel napoletano questo fu il caso, tra le altre, delle Officine
Ferroviarie Meridionali, della Società Bacini e Scali e dell’Opificio Meccanico
Catello Coppola (successivamente AVIS) di Castellammare di Stabia.
Assieme a questi, sorse
anche un tentativo imprenditoriale di argomento specificamente aeronautico: si
trattava della IAM (Industrie Aviatorie Meridionali), che, se già nel nome
rivelava le sue ambizioni, ancora di più lo faceva nella sua ragione sociale, che
recitava: “fabbricazione e riparazione di
apparecchi di aviazione e motori per detti nonché l'esercizio di trasporti
aerei di posta, passeggeri e merci”. Dietro la sigla IAM ci sono grossi
nomi dell'industria campana, quali Canzio Bruno Canto, grande imprenditore
cotoniero, e Carlo Lefevre, i quali coinvolgono anche la ditta meccanica
“Ingano & Di Lauro” per le attività relative ai motori. L’azienda divenne
in fretta la maggiore del settore aeronautico dell’area partenopea e
meridionale in generale. Il nucleo principale era costituito da due capannoni a
Baia e Lucrino, dove, come in altre aziende nazionali, si riparavano e
costruivano, su licenza, idrovolanti FBA (Franco-British Aviation), da
ricognizione e bombardamento leggero, il tipo standard più comune tra quelli
adottati dalla Regia Marina. Il vicino lago era ideale per le prove dei
velivoli appena costruiti o risistemati. La IAM ne fabbricò 140 esemplari, nel
periodo bellico, su un totale di circa 1000 complessivamente realizzati in
Italia.
Figura 5: L’interno dei capannoni
della IAM con gli FBA in via di ultimazione
Il primo collegamento
postale quasi regolare fu stabilito il 28 giugno 1917 tra Napoli e Palermo,
proprio tramite un idrovolante IAM, privato dell'armamento e con serbatoi di
carburante aumentati. Il pilota Ruggero Franzonim con il motorista Francesco
Romanuzzi decollarono da Napoli alle 6:24 per arrivare a Palermo alle 9:25.
Trasportavano sacchetti di posta e quotidiani e furono accolti da autorità e da
un gran numero di persone, accorse per assistere all’evento. Il collegamento fu
mantenuto con cadenze variabili. Curiosità filatelica: in mancanza di
affrancature specifiche per “posta aerea”, furono usate affrancature da
espresso, modificate con un apposito timbro.
L’impegno fu a tutto
campo: Canto lanciò nel gennaio 1918 la rivista “La Via Azzurra”, che ebbe
notevole successo. Ingano fu anche presidente dell'Aero Club di Napoli, che
assieme a quello di Roma costituì il nucleo iniziale dell'Aero Club d'Italia.
Domenica 2 giugno 1918, Festa dell'Unità Nazionale, un idrovolante IAM lanciò
volantini su Roma inneggiando al valore delle armi italiane ed all’impegno
dell'azienda per la vittoria. Si giocava insomma sul piano mediatico quanto su
quello tecnico.
Su quest’ultimo fronte fu
fondamentale l’apporto dei fratelli Ettore ed Umberto Ricci. Nati a Verona
rispettivamente nel 1886 e 1888, si interessarono prima di dirigibili e poi di
“più pesanti dell’aria” fin dai primi del ‘900. Scoppiata la guerra, non si
sottrassero agli obblighi militari benché il ruolo di costruttori aeronautici
lo avrebbe loro consentito. Passano un anno al fronte, poi la Direzione tecnica
dell’aviazione militare li invia a Napoli. Qui collaborano con la IAM e
progettano il “Ricci 1”, all’epoca il più grande bombardiere idro al mondo. É
un grande biplano trimotore, che poggia su due scafi di tipo FBA ed è propulso
da un’elica traente centrale e due spingenti laterali. Ricevuta l’approvazione
delle gerarchie militari, nel 1917 i Ricci realizzano e collaudano due prototipi,
a cui tuttavia non seguiranno esemplari di serie.
Figura 6: Biplano “Ricci” 1 a
Napoli, ribattezzato “R-600” dopo essere stato rimotorizzato nel dopoguerra
Figura 7: Il “Ricci-6” a Parigi
L’azienda prosegue le sue
attività nei primi anni ’20 del secolo XX. Le piccole dimensioni del lago di
Lucrino, inadatte a grandi realizzazioni, e la generale congiuntura economica
ne rendono difficile la crescita. Il fallimento di un contratto con la Grecia
costringe alla fine i fratelli Ricci a chiudere i battenti.
4 - L’EDIFICAZIONE
DELLA REGIA AERONAUTICA:
LA “IMAM”
L’industria aeronautica
napoletana fra le due guerre è legata soprattutto alla sigla IMAM: “Industrie
Meccaniche ed Aeronautiche Meridionali”. Fondata nel 1923 ad opera
dell'ingegnere Nicola Romeo, l’azienda aveva acquisito gli impianti delle
Officine Ferroviarie Meridionali e, successivamente, quelli della IAM. Produsse
inizialmente alcuni modelli su licenza Fokker, in particolare il
ricognitore-bombardiere Ro.1 (Fokker C.V-E) ed il trimotore di linea Ro.10
(Fokker F.VII/3m). Dal 1927 si costituì in società per azioni ed iniziò a
produrre macchine di propria progettazione. Si ritagliò un ruolo soprattutto
nel campo degli addestratori e dei ricognitori per la Regia Aeronautica, che
era stata costituita come arma autonoma nel 1923. I progetti di maggior
successo furono il Ro.37 e 37 bis (ricognitori e bombardieri leggeri,
ampiamente impiegati nella conquiste coloniali in Africa e nelle prime fasi
della Seconda Guerra Mondiale) ed il Ro.41 (caccia leggero ed addestratore, che
rimase in uso fino ai primi anni ’50). Particolarmente innovativo fu il Ro.43,
idro biplano catapultabile, ideato per fornire “occhi” alle unità navali della
Regia Marina.
La dotazione normale era
di quattro aerei per le corazzate e di due per le unità più piccole. Siccome il
recupero in mare era complesso in condizioni normali ed improponibile in
guerra, la prassi era che i Ro.43 raggiungessero la terra ferma al termine
della missione: l’autonomia consentiva di farlo in pratica da qualsiasi punto
del Mediterraneo. Nel suo ruolo di esploratore imbarcato, prese parte a tutti i
combattimenti navali del conflitto. Raro caso di collaborazione efficace fra le
varie armi, in quegli anni, i Ro.43 volavano con pilota dell’Aeronautica ed
osservatore della Marina, il che rendeva più efficaci gli avvistamenti.
L’eccessiva “parsimonia” del suo impiego è indicata da alcuni storici come una
concausa di insuccessi e cattivi risultati, come nello sfortunato caso della
battaglia di Capo Matapan del 28 marzo 1941, dove il lancio di un Ro.43 avrebbe
forse chiarito i dubbi dell’ammiraglio Angelo Iachino sulla reale posizione
della flotta inglese (si veda ad es. [4], pp 160-161: la flotta italiana
disponeva, alla vigilia della battaglia, di almeno sei dei dieci Ro.43
inizialmente imbarcati sulla corazzata Vittorio Veneto e sulle altre unità).
Ricordiamo che lo scontro è stato la più grave sconfitta navale italiana del
conflitto, costato oltre 2300 perdite.
L’importanza del ruolo
svolto dal Ro.43 è testimoniata anche dal tentativo di ricavarne un caccia
catapultabile, che fosse utile per difendere le unità della flotta quando non
fosse disponibile la scorta di aerei basati a terra. Il risultato fu l'IMAM
Ro.44, monoposto biplano che dimostrò limitate prestazioni. Solo dal 1942, i
Ro.43 cominciarono ad essere affiancati da alcuni esemplari di una macchina più
prestazionale, ovvero il caccia Reggiane Re.2000 appositamente modificato.
Il Ro.43, su cui ho
voluto soffermarmi, non fu l’unico progetto innovativo della IMAM. Con il Ro.57
presentò un interessante proposta di caccia “pesante” bimotore. Il progetto fu
tenuto in attesa troppo a lungo e solo una settantina di esemplari furono, alla
fine, ordinati per la produzione, nella versione Ro.57bis da assalto. Essi
peraltro furono per la maggior parte distrutti al suolo da un bombardamento
americano, all'aeroporto di Crotone Isola Rizzuto, prima che l'addestramento
dei piloti fosse completo e potessero essere impiegati in azione. Dal Ro.57
derivò il Ro.58, rimasto allo stadio di prototipo. Il Ro.63 fu invece un valido
monomotore da collegamento in grado di operare su piste corte e non preparate.
5 - IL DOPOGUERRA
TRA RICOSTRUZIONE ED AMBIZIONI: “AERFER” E “PARTENAVIA”
L'Aerfer nacque nel 1955
come erede della IMAM, che dalla Breda era transitata a Finmeccanica, e finì di
esistere nel 1969, quando fu fusa con il settore aeronautico della Fiat e con
la Salmoiraghi dando vita all'Aeritalia. Un quindicennio di vita, quindi, nel
periodo del boom economico italiano. Come azienda a partecipazione pubblica, ci
si aspetterebbe una limitata dinamica, ma non è così: il numero di progetti in
cui prese parte e di attività innovative, condotte in proprio o assieme ad
altri, illustrano una notevole attività.
Gli autobus ed i treni
marcati Aerfer entrarono spesso nel paesaggio locale. Dal punto di vista
aeronautico, i progetti più famosi sono quelli legati alla serie di prototipi
di caccia a reazione sviluppati da Sergio Stefanutti e che dovevano condurre ad
un caccia supersonico tutto italiano. Stefanutti era a capo della progettazione
della SAI-Ambrosini, una piccola azienda specializzata nelle costruzioni
aeronautiche in legno. Quanto di più distante, se vogliamo, dall'obiettivo
proposto: Stefanutti sapeva di dover operare con risorse limitate, impiegandole
nel modo più efficace possibile. In mancanza di valide gallerie del vento, che
subito dopo la guerra in Italia non esistevano più, Stefanutti aveva iniziato a
studiare l'ala a freccia su un biposto SAI-7 modificato, denominato “Freccia”.
Successivamente aveva sostituito il motore a pistoni Alfa Romeo con un piccolo
turbogetto Turbomeca “Marborè”, per poter esplorare un campo di velocità più
ampio. Il “Freccia” era stato inoltre trasformato in monoposto e
l'aerodinamica, in particolare dell'ala, era stata rifinita; modificato in
questo modo era stato denominato “Sagittario 1”.
Figura 10: SAI-Ambrosini “Freccia”
Completate le prove con
successo, il passo successivo richiedeva di realizzare una macchina in grado di
velocità transoniche, quindi dotata di un motore più potente e necessariamente
realizzata in metallo. La fabbricazione fu assegnata allora alla Aerfer, con
finanziamenti NATO. Da qui nacque il “Sagittario 2” che vide la luce a
Pomigliano d'Arco ed il cui primo volo fu effettuato a Vigna di Valle il 19
maggio 1956, dall'asso Costantino Petrosellini, uno dei pochi piloti italiani
ad avere esperienza sui velivoli a getto, avendo volato sul nuovo Dassault
“Mystère” francese.
E' stata la prima
macchina di progettazione italiana a superare il muro del suono, il 4 dicembre
1956, al termine di una picchiata. Ai comandi c'era Giovanni Franchini, che
aveva preso il posto di Petrosellini nelle prove di collaudo.
Al “Sagittario 2” seguì
l' “Ariete”, che incorporava un secondo motore a reazione in coda (un più
piccolo Rolls-Royce Soar), per fornire spinta addizionale in decollo e quando
necessaria durante il volo, alimentato da una presa d'aria retrattile sul
dorso. Proprio questo componente fu quello che causò maggiori problemi nel
corso delle prove: più volte l’apertura non avvenne in modo regolare o si
verificò spontaneamente, nel corso di alcune manovre. Tuttavia l' “Ariete”
fornì i dati necessari a mettere a punto la configurazione bimotore.
Figura 12: Aerfer “Ariete”,
conservato al Museo Storico dell’Aeronautica di Vigna di Valle
Figura 13: Schema di massima
dell’Aerfer “Leone”
Altri aeroplani, più
piccoli ma ugualmente ambiziosi, erano realizzati a Napoli in quegli anni, in
particolare alla Partenavia Costruzioni Aeronautiche S.p.A., azienda nata e
cresciuta dalla passione dei fratelli Pascale [7]. La denominazione comparve
per la prima volta nel 1952, sul triposto P.52 “Tigrotto”, che prese parte al
Giro aereo di Sicilia iniziato il 21 giugno ‘53. L'aereo montava, tra l'altro,
un'elica in legno realizzata dagli stessi fratelli Pascale. In precedenza, i
Pascale avevano già realizzato il biposto P. 48 “Astore”, in un'autorimessa di
via Tasso a Napoli.
Figura 14: P.48B “Astore”
Nel suo primo periodo di
attività la Partenavia fu l'unica azienda italiana basata esclusivamente sulla
produzione di aerei leggeri. Nel ‘70 l'azienda, in piena espansione, aprì
l'impianto produttivo di Casoria, vicino Capodichino, ed affiancò alla
produzione di aeroplani quella di parti di cellule di aerei di linea. L'azienda
entrò però in crisi, a causa delle instabilità di mercato che incisero su
un'organizzazione finanziaria che, per un'impresa a conduzione familiare, non
era solida quanto quella ingegneristica. L'azienda passò all'Aeritalia nel
1981, ma conservò il valore “intrinseco” dovuto alla qualità dei progetti;
soprattutto la battuta d'arresto non determinò, per fortuna, la fine
dell'impegno dei Pascale in campo industriale, che anzi si concretizzò pochi
anni dopo nel nuovo marchio Tecnam.
Il lavoro aereo propriamente
detto, se si escludono cioè le fotografie dall'alto ed i lanci di volantini
effettuati con cervi volanti, palloni aerostatici o altri mezzi “di
circostanza”, è arrivato a Napoli relativamente tardi, con la “Servizi aerei
Scappin”, fondata nel 1959 da Mario Scappin, veneziano trasferitosi a Napoli
nel dopoguerra. La sua “flotta”, di base a Capodichino, arrivò a contare sei
aeroplani di produzione Partenavia: quattro P.57 e due P.68, impiegati
soprattutto nella pubblicità aerea e nella fotografia.
6 - CONTINUARE A
VOLARE DOPO IL “BOOM ECONOMICO”: “ATR” E “TECNAM”
L’accordo che fondò il
consorzio ATR risale al 1982 e fu firmato dal ministro dei trasporti francese
Fiterman e dal ministro dell’industria italiano Marcora [3]. Entrambe le
aziende coinvolte erano infatti a partecipazione maggioritaria pubblica:
Aerospatiale sul lato francese ed Aeritalia – poi Alenia – su quello italiano.
L’aereo nasceva dalla sfida di andare a riempire una casella vuota nel campo
dell’aviazione civile, quella del trasporto regionale dove un “liner” classico
risulta troppo oneroso ed un velivolo di aviazione generale troppo limitato. La
realizzazione della fusoliera e degli impennaggi avvengono nello stabilimento
di Pomigliano d’Arco, l’ala e l’assemblaggio finale a Tolosa.
Il primo prototipo
dell’ATR 42 volò il 16 agosto 1984, il primo atterraggio su suolo italiano,
all’aeroporto di Roma Ciampino, è del 10 aprile dell’anno successivo. Tre
giorni dopo, il 13 aprile 1985, l’ATR si presenta per la prima volta a Napoli
Capodichino. Il certificato di omologazione internazionale arriva finalmente
nel settembre 1985. La certificazione è firmata da entrambe le aziende
consorziate, risultato fortemente voluto da parte italiana superando l’ostacolo
che le prove di certificazione ed il primo volo di tutti i nuovi esemplari
avvengono, per scelte contrattuali, sul suolo francese.
Il 14 giugno 1985 le due
aziende avevano già deciso di sviluppare la versione allungata, l’ATR72, che ha
effettuato il suo primo volo il 27 ottobre 1988. La fusoliera è allungata di
4.5 m, richiedendo un incremento di apertura alare e l’adozione di motori più
potenti, sempre della serie Pratt & Whitney Canada PW100. Il primo
esemplare è consegnato un anno dopo, nell’ottobre 1989, alla Finnair.
La configurazione turboelica,
che poteva ad alcuni sembrare un azzardo, in epoca di jet, è risultata punto di
forza per il rapporto costo/prestazioni che garantisce. A tutt’oggi le analisi
economiche avvantaggiano questo tipo di velivolo per le tratte inferiori alle
300 miglia nautiche, dove l’incremento della durata del volo dovuto alla minore
velocità di crociera è minimo. I primi anni 2000 hanno visto un preoccupante
calo di vendite, dovuto alla comparsa dei “regional jet”, tuttavia il periodo
critico è stato relativamente breve, perché il crescente costo dei carburanti
ed una maggiore attenzione ai costi hanno ricondotto l’attenzione delle
compagnie aeree sui turboelica. Nel 2009 i turboelica, a livello mondiale,
hanno scavalcato i jet come numero di esemplari prodotti. Nel 2011 l’ATR
copriva da sola il 18% delle vendite mondiali di trasporti regionali e siglava
il suo migliore anno commerciale. Nel 2012 è stato consegnato l’ATR numero
1000, all’operatore spagnolo Air Nostrum. Le esigenze dei paesi emergenti
sembrano garantire una prosecuzione dell’interesse per i prossimi anni, in
attesa del “nuovo ATR”.
Figura 17: Tecnam P.92 RG
Al “Aero Friedrichshafen
general aviation show” del 2011 i fratelli Pascale hanno presentato due nuovi
progetti: il P2010, che segna il ritorno alla formula del monomotore quattro
posti ad ala alta ed introduce, per la prima volta per la Tecnam, la fusoliera
in composito; ed il P2012 “Traveller”, bimotore ad 11 posti progettato su
ordinazione della Cape Air, linea aerea regionale basata nel Massachusetts, che intende sostituire col
nuovo velivolo realizzato “su misura” la sua flotta di bimotori che stanno
raggiungendo la fine della vita commerciale. Del nuovo aereo, che rappresenta
una novità assoluta per la Tecnam, è stata esibita la sola fusoliera.
Impiegherà motori Lycoming TEO-540-A1A in grado di funzionare con benzina avio
o automobilistica.
7 - RINGRAZIAMENTI
E RIFERIMENTI
Voglio in primo luogo
ringraziare i Prof. Leonardo Lecce e Francesco Marulo, che mi hanno stimolato
ed ispirato ad iniziare le mie ricerche storiche da “hobbista evoluto”.
Devo anche ringraziare
Giuseppe Peluso e Umberto Ricci Moretti, per la disponibilità, passione e le
tante informazioni e riferimenti fornitemi su aspetti di storia aeronautica
troppo trascurati.
Oltre ai
riferimenti principali riportati di seguito, molte notizie sono ricavate da
numeri storici della rivista “Flight International”, lodevolmente resi
disponibili on-line, dal sito dell’associazione AVIA (http://www.avia-it.com),
ricchissimo ma un po’ disordinato, nonché da numerose altre riviste e
pubblicazioni italiane ed estere
Riferimenti:
[1]
G. Maisto,
“Ad Astra, Pionieri Napoletani del Volo”, editrice “La Via Azzurra”, Napoli
1948[2] F. Bonifacio. L’Apporto di Napoli all’Aviazione dal Pionierismo al 1943. Orizzonti Economici, N. 25, Novembre-Dicembre 1959.
[3] E. Sorrentino, “Aviazione Generale Civile e Militare in Campania”, Cuzzola Editore s.r.l., 1987
[4]
F. Pagliano,
“Storia di 10.000 Aeroplani, L’Aeronautica Militare Italiana dal Giugno 1940 al
Settembre 1943”, Mursia, 2008.
[5]
A. Marchetti,
“Pionieri dell’Idroaviazione, 1900-1913”, Logisma, 2009.
[6]
B. Di
Martino, “L’Aviazione Italiana nella Grande Guerra”, Mursia, 2011.
[7]
Giovanni
Pascale “Fratelli Pascale Story: from the 30s onward”, Settembre 1971,
disponibile sul sito Tecnam: http://www.tecnam.com/About-Us/Story.aspx
[8]
Atti del
convegno "Storia dell'Aerospazio in Campania", 09 Novembre 2011,
disponibili sul sito AIAN: http://www.aian.it/mostra_news.php?i=93
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