Il Sacrificio di
Giuditta Levato
Lo stendardo con la sua immagine sfila nel Cantiere Ansaldo, Santuario del proletariato meridionale, e per la città di Pozzuoli
La contadina Giuditta Levato, nata a
Calabricata in provincia di Catanzaro il 18 agosto del 1915, è la prima vittima
negli scontri del 1946 in Calabria, verificatisi a seguito della
lotta al latifondo.
Giuditta fin da bambina divide la sua
esistenza tra il lavoro nei campi e le faccende domestiche; una volta sposata,
e quando suo marito parte per la guerra, è costretta a vestire i panni del capo
famiglia. Non si tira indietro alla fatica, coltiva la terra, raccoglie il
grano e dà il pane ai propri figli.
La “Legge Gullo” del 1944, dal nome
dell’allora Ministro dell’Agricoltura, ha decretato l'assegnazione di alcune
terre di vari latifondi ai contadini che, riuniti in cooperative,
le coltivavano. Il provvedimento è ostacolato dagli agrari calabresi, che
vedono nei contadini, nuovi proprietari, degli usurpatori; questa situazione
causa diversi scontri violenti.
Il 28 novembre del 1946 Giuditta Levato si unisce
a un gruppo di persone che affronta Pietro Mazza, latifondista del luogo; la
contesa è causata da una mandria di buoi che il Mazza ha lasciato
pascolare nei campi assegnati ai contadini, impedendone quindi la
coltivazione.
Durante la protesta, in circostanze mai del
tutto chiarite, dal fucile di un uomo al servizio del Mazza parte un
colpo che raggiunge la contadina all'addome [1 - Foto Corriere della Calabria].
Giuditta è trasportata prima a casa e subito
dopo in ospedale, ma inutilmente; muore all'età di 31 anni, mentre è incinta di
sette mesi del suo terzo figlio.
La grave vicenda è taciuta dagli ufficiali
organi d’informazione, i quotidiani non ne danno notizia. Guardando nelle
cronache, sotto quella data e nei giorni seguenti, vi si trova da leggere di un
imminente incontro calcistico Italia-Austria, del processo contro von
Mackensen, della condanna degli assassini di Villarbasse confermata dalla
Cassazione e del Prestito Redimibile.
Dell'episodio sanguinoso nulla, solo una
notizia pubblicata a distanza di due giorni può essere messa in relazione con
quanto è accaduto. De Gasperi, riuniti al Viminale una trentina di prefetti e
tra questi quello di Catanzaro, ha ad essi raccomandato di far sempre opera di
mediazione nell’evenienza di conflitti sociali. Essi non devono però esagerare
perché altrimenti a furia di mediare rendono più tenue il prestigio
dell'autorità statale.
Si capisce che la vita di Giuditta Levato,
una donna morta durante una agitazione comunista, non ha niente a che vedere
con il prestigio dello Stato e non è il caso di parlare dell'episodio che,
seppur luttuoso, giova ad una sola parte dello schieramento politico.
A livello istituzionale, nazionale e locale,
Giuditta riceverà i giusti riconoscimenti solo mezzo secolo dopo; a lei saranno
intitolate, sempre in Calabria, strade, sale regionali e museali, ballate e
libri [2].
Nell’immediato dopoguerra l’episodio di
Giuditta resta isolato ai soli compaesani che iniziano a santificarla ritraendola,
coi figli, in una immagine stampata su carta lucida, come si usa per i santini
che i parroci regalano ai bambini [3].
Il fatto nuovo è che, non esistendo nel
meridione solide tradizioni socialiste, le forze politiche di sinistra mettono
a frutto questa vicenda; in questo si segue il consiglio di Giorgio Amendola
che, in un precedente congresso, concettualmente, dice: «Poiché in Italia
meridionale c'è un diffuso fanatismo religioso, noi marxisti dobbiamo farne
conto, anzi cercare di cavarne profitto.»
Pertanto, in vista delle elezioni politiche
del 1948, il Fronte Popolare stampa una immaginetta di propaganda, a beneficio
dei contadini, che, oltre a riprendere sul fronte la foto di Giuditta con i
suoi due figli, riporta sul verso un paragrafo che, per l'ispirazione e la
stessa disposizione delle parole, è come una preghiera:
«Il piombo degli agrari ha stroncato la tua vita di madre e di sposa, nel giorno in cui guidavi le donne del tuo paese all’occupazione della terra che, da secoli incolta, volevate lavorare.
Tu sei
caduta perché i tuoi figli abbiano pane, perché tuo marito sia un libero
cittadino e non uno schiavo umiliato ed oppresso, perché i contadini abbiano
terra e lavoro, e tutto il popolo si liberi dalla servitù e dalla fame.»
Tu sei caduta per
loro
Tu sei caduta per
tutti
Nel tuo
nome noi donne italiane, ci impegniamo a continuare unite la lotta per una vita
di pace, e giustizia, lavoro, libertà; ideali per cui tu, Giuditta Levato,
offristi la vita.
Nel tuo
nome, noi, donne italiane, ci impegniamo a Votare
FRONTE DEMOCRATICO POPOLARE
Questa litania di derivazione liturgica si
spiega facilmente col fanatismo religioso dei paesi meridionali dove la pagana
familiarità coi santi è cosi viva che con essi si tratta, si discorre, si
litiga; concetto ben miniato nella famosa scenetta di Troisi, e del suo trio,
davanti alla statua di San Gennaro.
Un santo è detronizzato ed un altro innalzato
in vece sua quando il vecchio patrono non soddisfa più; e in casi eccezionali,
se la fantasia del popolo è colpita fortemente da un fatto straordinario, come
la morte di una brava donna come Giuditta, vendicatrice dei poveri, un santo lo
si inventa addirittura.
Giuditta è anche raffigurata su di uno
stendardo, come quelli che si vedono precedere le confraternite nelle
processioni, normale episodio di folklore per il Meridione, e questo stendardo,
che apre le sfilate, è presente a tutte le manifestazioni politiche e di lotta
sociale organizzate dalle sezioni comuniste nella provincia di Catanzaro.
In un'unica occasione questo stendardo
travalica i confini provinciali, anzi quelli regionali calabresi, e si reca a sfilare
in altra città; questa città è Pozzuoli.
L’occasione è data da uno dei tre grandi
congressi preliminari indetti dai partiti politici di sinistra in vista dell’Assemblea
Costitutiva del Fronte Popolare sotto la cui sigla le loro forze intendono
presentarsi unite alle elezioni politiche del 1948.
Il Congresso Democratico del Mezzogiorno si tiene
a Pozzuoli il 19 dicembre 1947, in un capannone dei Cantieri ex “Ansaldo
Artiglierie”, appena rinominati ”Stabilimenti Meccanici di Pozzuoli” [4].
Alle popolazioni meridionali è lanciato un
manifesto con l’indicazione degli obiettivi da conseguire, contro ogni lusinga
paternalistica, dando una concreta organizzazione alle forze popolari e
prevedendo l’assegnazione delle terre mal coltivate alle cooperative di
contadini e la proroga dei contratti agrari.
Il Congresso di Pozzuoli vuole dimostrare
all’Italia tutta un volto e una dignità nuova del popolo; non più solo miserie
e lacrime, ma operai che dalle miserie, dai lutti e dalle distruzioni hanno ricostruito
macchine e officine; braccianti e contadini che, contro le forze ostili della
natura e dei padroni, hanno fecondato terre incolte; intellettuali che si sono
legati al popolo e col popolo vogliono combattere la battaglia del Mezzogiorno.
Attorno al problema della terra, a quello
della difesa e del potenziamento delle industrie del Mezzogiorno, attorno ai
problemi della vita economica, scolastica, igienica, il Congresso di Pozzuoli
chiama tutti i democratici del Mezzogiorno ad un’azione unitaria e concreta.
Il Congresso si presenta come la più
imponente rassegna di forze meridionali fin qui tenutasi; operai, tecnici,
contadini, partigiani, politici e personalità della cultura. Tra i primi
arrivano le delegazioni di contadine di Bologna e di Torino; un gruppo di
partigiani da Modena, con fazzolettoni rossi al collo; una lunga autocolonna di
solidarietà, carica di doni, partita il mercoledì da Milano. I dipendenti della
Breda hanno inviato aratri, zappe e vanghe; quelli della Motta panettoni per i
bambini poveri; la Isotta Fraschini invia millesettecento chili di riso; la
Moto Meccanica un martello pneumatico; la Sefar venticinque apparecchi radio;
la Filotecnica cento termometri; scatolame dalla Franco Tosi; duecento quintali
di concime dalla Commissione Interna delle Industrie di Terni, destinati alle
cooperative agricole del Mezzogiorno; due milioni di lire dalle sottoscrizioni,
sempre a favore delle popolazioni meridionali.
Centinaia e centinaia di lettere e telegrammi
da Enti, Partiti, Organizzazioni, Sindaci; rappresentanti del Sindacato
Direttivo Universitario Nazionale; una Delegazione di ragazze romane di tutte
le categorie sociali; una Delegazione giovanile iugoslava.
Tutti gli operari degli stabilimenti Ansaldo
di Pozzuoli hanno lavorato per addobbare la grande sala che ospita il congresso
e tutta la città si è prodigata per preparare l’alloggio ai partecipanti dopo
aver tappezzato le strade di striscioni di benvenuto. Sono infatti 7.000 i
delegati di tutte le regioni meridionali che partecipano a questa solenne e
grandiosa rassegna dove pongono in una prospettiva nazionale la questione del
riscatto del Mezzogiorno.
La mattina del giorno 19, quando è ancora
buio, i primi delegati infreddoliti da una notte in treno o in camion, col pane
avvolto in un fazzoletto, bussano alla porta dell'Ansaldo. Alle otto la lunga
sala del congresso è piena di canti dei braccianti siciliani, pugliesi e
calabresi, delle tabacchine di Lecce, delle mondine di Bologna, degli operai di
Taranto, di Milano e di Torino. Venuti questi ultimi dalle città del nord a
portare di persona alla seduta la solidarietà ed il sostegno delle loro
popolazioni.
Alle nove il grande palco della presidenza si
affolla; sono presenti i comunisti Giorgio Amendola, Girolamo Li Causi, Velio
Spano, Emilio Sereni, ecc..; i socialisti Luigi Cacciatore, Francesco Cerabona,
Luigi Renato Sansone, Luigi Longo; ecc..
Presenti sono anche tutti i membri del
Comitato di Iniziativa e del Comitato Esecutivo del Congresso tra cui Mario
Alicata, Corrado Alvaro, Francesco De Martino, Carlo Muscetta, Giorgio
Napolitano (appena laureato), Gabriele Pepe, Manlio Rossi Doria.
A Pozzuoli il locale comitato organizzatore è
composto da Domenico Conte, Ilio Daniele, Angelo Di Roberto, Enrico Vellinati,
Nicola Fasano, Giovanni Marino, Ciro Musto e un giovanissimo Umberto Lucignano
[5].
Ci sono poi il prof. Floriano Del Secolo,
vecchio maestro del giornalismo democratico meridionale, e i rappresentanti del
mondo della cultura, tra i quali Renato Guttuso, Carlo Levi, Alfonso Gatto,
Francesco Jovine.
Poco dopo, accolti da una grande
manifestazione di entusiasmo, arrivano Lelio Basso, Giuseppe di Vittorio,
Rodolfo Morandi, Fausto Gullo, Giacomo Mancini. E poi Vera Lombardi, Franco
Castaldi, Tommaso Fiore, ecc…
Il primo a prendere la parola, a nome del
comitato di iniziativa, è Floriano Del Secolo che pronuncia un breve discorso
di saluto a tutti i congressisti; tra l’altro dice: «I contadini della Basilicata
ed i braccianti della Puglia e della Sicilia non si sono mossi per venire ad
ascoltare promesse di un governo distaccato dalle masse, o impegni di ceti
dominanti, ma per misurare la propria forza ed in nome di questa operare perché
si inizi una grande battaglia di rinnovamento del Mezzogiorno.»
Inizia poi il dibattito e la prima relazione
al Congresso è pronunciata da Emilio Sereni il quale dice: «Se politica
significa, come significa, lotta di popolo per realizzare le sue aspirazioni,
questo è un Congresso politico. Il primo che il popolo del Mezzogiorno ricorda
e dal quale partirà un movimento politico che trasformi la faccia del
Mezzogiorno.»
Lo stesso spirito è nelle parole di Luigi
Cacciatore, che pronuncia la seconda relazione; Giuseppe Di Vittorio porta il
saluto e la solidarietà della C.G.I.L.; Girolamo Li Causi, di Termini Imerese,
nel suo discorso sottolinea la portata che dovrà assumere per la Sicilia il
grande “Congresso dei Lavoratori della Terra” convocato a Palermo per i primi
di gennaio. Un particolare significato ha l'intervento del prof. Tommaso Fiore,
vecchio combattente meridionalista e affezionato amico di Guido Dorso la cui
vedova ha telegrafato augurando il pieno successo della manifestazione. Con
uguale affetto sono accolte le parole di Francesco lovine che porta l'adesione degli
scrittori e degli intellettuali che si schierano a fianco del popolo
meridionale.
Grandi manifestazioni di entusiasmo salutano
Luigi Longo quando sale alla tribuna per portare il saluto caloroso e
l’adesione più piena del Partito Comunista e gli abbracci particolarmente
vigorosi dei combattenti della libertà. Dopo di lui Lelio Basso porta il saluto
e l'adesione del Partito Socialista. Si succedono quindi alla tribuna i
delegati di tutte le regioni del Mezzogiorno e del Nord, tutti animati dallo
stesso spirito di unità e di lotta.
Alla conclusione il Congresso dà mandato al
Comitato d’Iniziativa di organizzare un “Fronte per il Mezzogiorno” al quale
aderiscono non solo i partiti della sinistra, ma anche repubblicani e
azionisti. Predispone liste unitarie in vista delle successive elezioni
politiche del 18 aprile 1948, impone una mobilitazione generale e fa più forte
il quadro delle rivendicazioni, in particolare quelle relative alla
distribuzione delle terre, alle bonifiche, alla riforma dei contratti agrari,
alla difesa dell’industria nell’Italia meridionale, all’assistenza creditizia
delle piccole aziende.
Proprio in questa assise, ospitata nel grande
cantiere che rappresenta il tempio del proletariato meridionale e che pone tra
i principali obiettivi la ridistribuzione delle terre del Mezzogiorno, non può
mancare il ricordo e l’esempio di Giuditta Levato; una donna che con il
sacrificio della sua vita, e della creatura che porta in grembo, è stata
protagonista del suo tempo.
Un omaggio a tutte le donne calabresi
abituate a lavorare sodo e spesso in silenzio, ma soprattutto un omaggio a
tutte le donne che, pur non avendo molta visibilità perché occupate nel loro
lavoro quotidiano, sono uno dei pilastri fondamentali della società e che, al
momento giusto, sanno sfoderare grinta e determinazione diventando protagoniste
del loro destino.
Lo Stendardo che raffigura Giuditta [6] è
portato al Convegno di Pozzuoli dalle braccianti di Calabricata e a un certo
momento, nel traversare la grandissima sala dei Cantieri Ansaldo, sovrasta gli
ammutoliti settemila congressisti lì riuniti.
Lo seguono alcune contadine calabresi in
vesti nere; neri i volti chiusi nei pesanti scialli, anche loro neri, annodati
sotto il mento.
Bianco e frangiato d’oro è invece lo
stendardo e al centro, in una corona di spighe legate da un nastrino tricolore,
è dipinto il ritratto di Giuditta, più melanconico che nella immaginetta, a
mezzo busto, in camicetta color lavanda e giacchetta marrone, una catenina al
collo con appesa una medaglietta della Madonna.
Il solo errore commesso dagli organizzatori,
capace di distogliere dai pensieri religiosi, è quello di far reggere lo
stendardo da due giovani donne modenesi, molto belle, che la segreteria del
congresso ha stimato più decorativo e pertanto più adatte alla funzione d’onore.
Sono floride ragazze comuniste in uniforme di partigiane, decorate e graduate.
Dopo le ore 18.00, quando l’assise è sciolta,
tutti i delegati sfilano per le strade di Pozzuoli [7] accompagnati dal saluto
della popolazione scesa nelle strade.
Passano i rappresentanti delle Camere di Lavoro provinciali e comunali, dei Consigli di Gestione, dei Sindacati e Commissioni Interne di fabbrica, delle Amministrazioni Comunali, delle Deputazioni Provinciali, delle Associazioni dei Combattenti e dei reduci, dell’Associazione dei Mutilati e Invalidi, dei Sinistrati e dei Perseguitati Politici Antifascisti, delle Vedove di Guerra, degli Ordini Professionali dei Medici degli Ingegneri e Avvocati, delle Associazioni Universitarie delle Leghe Contadine e delle Cooperative Agricole. Con queste ultime sfila lo stendardo di Giuditta Levato, sorretto dalle due giovani partigiane e seguito dalle donne nere calabresi che formano un gruppo composto e disperatamente rassegnato.
Passano i rappresentanti delle Camere di Lavoro provinciali e comunali, dei Consigli di Gestione, dei Sindacati e Commissioni Interne di fabbrica, delle Amministrazioni Comunali, delle Deputazioni Provinciali, delle Associazioni dei Combattenti e dei reduci, dell’Associazione dei Mutilati e Invalidi, dei Sinistrati e dei Perseguitati Politici Antifascisti, delle Vedove di Guerra, degli Ordini Professionali dei Medici degli Ingegneri e Avvocati, delle Associazioni Universitarie delle Leghe Contadine e delle Cooperative Agricole. Con queste ultime sfila lo stendardo di Giuditta Levato, sorretto dalle due giovani partigiane e seguito dalle donne nere calabresi che formano un gruppo composto e disperatamente rassegnato.
REFERENZE
Daniela Alemanno – La contadina calabrese che
morì per tutti – 2015
Giuseppe Peluso – Il Congresso Democratico
del Mezzogiorno - 2012
Romano Pitaro - Quando uccisero Giuditta
Levato - 2007
Vittorio Gorresio – Dove non esistono
tradizioni socialiste - 1948
GIUSEPPE PELUSO – SETTEMBRE 2019