Il non facile inizio della unità nazionale
Siamo a Pozzuoli [1] nel novembre del 1860; dal
giorno cinque Francesco II e i superstiti soldati napoletani si sono rinchiusi
in Gaeta che inizia ad essere assediata dall’esercito piemontese.
Poco prima, il 21 ottobre, si è svolto il
plebiscito che ha sancito l’unione dell’ex regno borbonico al resto dell’Italia.
Nelle province napoletane è stato posto il
seguente quesito:
“Il popolo vuole l'Italia Una e Indivisibile con
Vittorio Emanuele Re costituzionale e i suoi legittimi discendenti?”
Il popolo nulla deve
scrivere, la sua possibilità di scelta si limita a poter inserire la scheda,
che riporta il laconico quesito, in un’urna contrassegnata dal “SI” oppure in
un'altra contrassegnata dalla scritta “NO”.
Nella nostra Pozzuoli la votazione si svolge
presso la Chiesa della Purificazione, dove nel 1870 sarà apposta una lapide
ricordo [2].
Gli ammessi al voto sono 5403, ed altrettanti
appaiono i votanti; i “Si” raggiungono quasi l'unanimità, vi sono solo quattro
“No”.
Nessuno vuole andare controcorrente e nessuno quasi osa
contraddire i “garibaldini” che, ben armati, e con gesta esplicite invitano ad
inserire la scheda nella giusta urna.
Un mese dopo a Pozzuoli ancora bivaccano
truppe d’occupazione di questa armata di volontari, ora appellata “Esercito
Meridionale” che, dagli iniziali mille dello sbarco a Marsala, son diventati
migliaia di migliaia [3].
La popolazione continua a chiamarli
“garibaldini” poiché indossano la rossa camicia che sempre più spesso si tinge
con le tonalità dei loro frequenti delitti consumati in questi mesi di
transazione e confusione.
Tra loro ci sono sbandati, delinquenti ed
avventurieri saliti sul carro del vincitore e, come fan sempre gli occupanti di
ogni era storica, si comportano da provocatori, rissaioli, assassini.
Di già nel settembre avviene a Pozzuoli una
deplorevole rissa tra popolani e garibaldini inviati dal vicino capoluogo.
Queste truppe sono giunte perché ci sono preoccupazioni circa la condotta del
castello di Baia, presidiato da una guarnigione di veterani borbonici;
soprattutto per la notevole quantità di polvere pirica che vi è depositata.
Il 18 settembre, vigilia della festa di San
Gennaro e nella quale suole concorrere molta gente al Santuario di Pozzuoli,
suscita allarme la voce diffusa che Giacomo Livrea, il comandante del castello,
vuole dar fuoco alle polveri.
A Pozzuoli è mandato il maggiore Giuseppe Mangili, con un distaccamento di garibaldini
che si accampano nella pubblica piazza della Malva, con la decisione di non
attaccare il forte ma di bloccarlo.
Come tutte le truppe occupanti anche i
garibaldini di Mangili hanno necessità di vettovaglie, per il loro
sostentamento, pertanto procedono a requisizioni forzate di viveri.
Commercianti, contadini e pescatori ben sanno che i beni requisiti mai verranno
risarciti, pertanto aizzano il popolino del borgo contro queste truppe che comunque,
per evitare ulteriori disordini, sono prontamente richiamate e sostituite da
altro distaccamento comandato dal capitano Viggiano, ufficiale che non proviene
dai garibaldini.
Queste nuove truppe s’avvicinano
al forte di Baia il giorno 26 settembre ma una sortita di quella guarnigione mette
in fuga tutti coloro che hanno osato accostarsi troppo alla roccaforte.
Però, mancando i viveri e vedendo
sempre più ingrossarsi le file del nemico assediante, Livrea invia a Gaeta, per
mare, tutta la polvere che ha superflua e tratta la resa con il capitano
Viggiano. Fra
i patti della capitolazione c’è quella di pagare gli arretrati alla guarnigione
borbonica, per l'ammontare di circa 600 ducati, e consentire di raggiungere il
Re a Gaeta ai moltissimi che esprimono tale desiderio.
Si conclude così l'attività bellica di quel
Castello che per vari secoli è stato uno dei più importanti baluardi della
difesa costiera del regno.
Il primo ad entrare in quel forte
è Marino Caracciolo, disertore della marina militare borbonica che come molti ufficiali,
incoraggiati e ben pagati dall’ammiraglio piemontese Carlo Pellion di Persano,
ha violato il giuramento reso alla real marina napoletana.
Nasce da questi moltissimi episodi di
tradimento l’esclamazione tipica "mannaggia ‘a Marina", che si dice
sia stata per la prima volta pronunciata da “Franceschiello”, ancora oggi diffusissima.
Ma ora il giorno 22 novembre, per motivo
d’interesse, avviene un più grave incidente tra il beccaio puteolano Antonio
Gaudino e alcuni garibaldini che, come al solito, vorrebbero “requisire” parte
della merce in vendita.
Il macellaio, che probabilmente avrà di già
subito simili attenzioni, chiede aiuto e giustizia al concittadino Gennaro
Barletta che fa parte della Guardia Nazionale; una specie di polizia locale
creata dai nuovi governanti al posto della Gendarmeria borbonica [5].
Il Barletta non riesce a domare gli animi dei
“valorosi” garibaldini; pertanto ne nasce una furiosa rissa che provoca la
morte dello stesso don Gennaro.
Subito la notizia si sparge per tutta
Pozzuoli ed i suoi abitanti, stanchi di soprusi e promesse non mantenute, in preda
al furore fa strage di undici garibaldini.
I sopravvissuti, del piccolo presidio militare
di Pozzuoli, scappano verso Napoli ed i corpi degli uccisi sono frettolosamente
sepolti dalla plebaglia, come riferiscono le fonti filogovernative, sotto la
sabbia che forma la spiaggia antistante il Tempio di Serapide [6].
Giunta la notizia a Napoli, così come
riportata dai superstiti garibaldini i quali giurano d’aver udito grida di
“Viva ‘o Re”, si crede che a Pozzuoli sia in atto una sommossa borbonica.
Per questo motivo subito sono inviate truppe
per sedarla, ma ben presto si chiarisce l’equivoco e tutto ritorna alla calma.
Probabilmente non vengono rintracciati i veri
colpevoli sia tra la “plebaglia” sia tra i “garibaldini” che ormai, malvisti
anche dai “piemontesi”, sono in procinto d’essere congedati e definitivamente
allontanati dall’Italia meridionale.
Garibaldi ha donato il regno a Vittorio
Emanuele e subito e ritornato a Caprera; Bixio, ora generale italiano, non può
mettere in atto rappresaglie come fatto a Bronte; il nascente Regno d’Italia ha
bisogno d’esperta gente di mare che Pozzuoli può fornire in abbondanza.
Giuseppe Peluso
Giuseppe Peluso
P.S.
Nello scrivere queste note, con il programma “Word”
di Microsoft, ho evidenziato la parola “borbonica”, per cercarne un sinonimo, e
con sommo dispiacere mi sono stati restituiti i seguenti termini: reazionaria;
conservatrice; retrograda, retriva.
BIBLIOGRAFIA
www.brigantaggio.net – Pozzuoli: Vicende
storiche che portarono al plebiscito
Raimondo
Annecchino – Storia di Pozzuoli
Giuseppe Peluso
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