lunedì 6 maggio 2024

La Trione Ferroleghe di Pozzuoli

 

Dal fumo dell’acciaieria alla “nziria” del monsignore



Nel corso del 1954 la “S.p.A. Trione Ferroleghe”, con sede a Torino, impianta a Pozzuoli uno stabilimento dove produrre “acciai speciali” il cui consumo segna il grado di evoluzione industriale di una nazione.

Gli acciai speciali sono essenziali per creare autoveicoli, treni, navi e macchine utensili per l'industria tessile, dolciaria, farmaceutica, ecc.     

In precedenza il consumo di questi acciai è quasi del tutto limitato all’Italia settentrionale ed inizialmente anche quanto prodotto nello stabilimento di Pozzuoli è diretto verso i grandi complessi industriali del Nord, quali la Fiat, la Dalmine, la Breda, La Falck, la Terni, ecc.

Ma, con l’industrializzazione dell’Italia meridionale, si avverte sempre più la necessità di un analogo consumo in quelle regioni dove la “Cassa del Mezzogiorno” incentiva nuove iniziative imprenditoriali.

Questo Ente, attraverso la “ISVEIMER”; ha finanziato la stessa Ferroleghe che nello stabilimento di Pozzuoli fonda la sua attività su tre grandi reparti:

1 - Produzione di “ferroleghe pregiate” col metodo dell’alluminotermia.

2 - Produzione di “ferroleghe super affinate”, fra cui il ferro-cromo.

3 – Produzione di “acciai speciali inossidabili”, fucinati al maglio.

In definitiva le ferroleghe pregiate prodotta a Pozzuoli sono:

“ferrotungsteno, ferromolibdeno, ferrotitanio, ferrovanadio, ferrozirconio, ferroboro, manganese metallo, cromo metallo, ecc”.

Tutte queste leghe servono per dare agli acciai peculiari caratteristiche di durezza, di elasticità, di resistenza al calore, all'usura e alla corrosione; il loro consumo aumenta col progredire della scienza, della tecnica e dall'indice di industrializzazione.

Questa nuova fabbrica va ad insediarsi nell’area meridionale lasciata libera dagli Stabilimenti Meccanici di Pozzuoli, oggi sede dei “Sud Cantieri Maglietta”, e nasce contemporanea alla Sunbeam che, con personale quasi tutto femminile, produce rasoi e piccoli elettrodomestici.



Purtroppo le assunzioni effettuate dalla Ferroleghe non passano attraverso l’Ufficio del Collocamento e gli operai, assunti direttamente, per forzata riconoscenza rinunciano alle normali garanzie di salario e di sicurezza.

Nello stabilimento non vi è mensa aziendale e non è riconosciuta alcuna indennità sostitutiva; inoltre, in conseguenza dell’ossessionante ritmo dei turni di lavoro, già nel settembre del 1954 muore folgorato l’operaio Alfonso Colonna.

In seguito numerosi altri saranno i morti e i mutilati per scoppi di residuati bellici, provenienti dai campi di battaglia, che giornalmente su camion varcano il cancello della fabbrica per essere gettati nei forni elettrici.

Ricordo, con terrore, gli scoppi improvvisi e gli sguardi di tutti dirigersi verso quei capannoni fonte di sostentamento ma anche di dolori.

Numerose le interpellanze parlamenti che denunciano i rischi e le vessazioni cui sono sottoposti i dipendenti di questa fabbrica.

Il crescente boom economico, che sta conducendo l’Italia verso il benessere, oltre a mietere vittime umane provoca anche danni all’ambiente.

I capannoni per la produzione di acciai sono in pieno centro urbano e il fumo nero che da loro fuoriesce oscura il cielo, depositandosi  sui muri delle case circostanti e nei polmoni  di chi le abita.

A differenza di Bagnoli e delle sue ciminiere, la Ferroleghe di Pozzuoli non possiede camini; il fumo fuoriesce da tutte te aperture presenti nei capannoni di produzione, in modo costante e continuativo.

Le ciminiere aiuterebbero il fumo a risalire e, con venti favorevoli, dirigerlo verso alte quote; niente, lo smog irrora con costanza le limitrofi zone, specialmente quelle poste ai piedi ed alla sommità del costone della Starza.

I residenti non ne possono più, non si respira, e dopo le prime e singole rimostranze decidono d’organizzarsi in comitato per contrastare il malessere a mezzo vie legali.

Promotore del comitato è sua Eccellenza Luigi Punzolo, nato a Pozzuoli nel 1905, arcivescovo dal 1954, quasi sempre inviato dal Vaticano, quale Nunzio Apostolico, in nazioni “difficili”.

Mons. Punzolo risiede in una villa, donata poi alle suore della “Congregazione delle Missionarie dell’Immacolata”, posta alla sommità della Starza; dirimpettaia di “Villa Cordiglia” e con affaccio sulla Ferroleghe.

Luigi Punzolo, nei primi anni sessanta, riunisce presso la propria residenza i proprietari, o rappresentanti, degli immobili che subiscono il comune e grave inconveniente in modo che firmino un legale atto costitutivo del comitato.

A questa assemblea partecipano, ne ricordo alcuni, i Caracciolo, i Costigliola, i Mirabella, i Iappelli, i Delli Paoli, i Zaarauolo, i Gentile, i Ferrigno, i rappresentanti del Villaggio del Fanciullo, e tanti altri tra cui mio Padre quale amministratore della sottostante Villa Maria.

E’ così costituito il Comitato che incarica un legale di intraprendere regolare azione a salvaguardia della pubblica incolumità e contemporanea richiesta risarcitoria per i danni subiti dagli edifici.

Spesso sua Eccellenza Punzolo riunisce i proprietari per aggiornarli sull’andamento della vicenda e intanto, nel gennaio del 1962, è nominato internunzio apostolico in Siria; incarico che lo terrà molto impegnato e lontano da Pozzuoli.

Nel maggio del 1962 il legale, dovendo fornire importati comunicazioni, invita i proprietari  nel salone di Villa Punzolo ed io vi partecipo su delega di mio Padre, assente per lavoro.

Una volta riuniti si nota la mancanza dell’arcivescovo e la signora Maria D.P., nota proprietaria di un fabbricato dell’allora via Miliscola, chiede:

 Ma non c’è Monsignore Punzolo?

Una suora, che ha fatto gli onori di casa, risponde:

 No! Sua Eccellenza è in Siria!

Con volto rammaricato la signora Maria ribatte:

 Hoo, ma’ dispiace! Ma chi l’ha fatto i’ ‘nziria?


PELUSO GIUSEPPE - Segni dei Tempi - MAGGIO 2024


sabato 6 aprile 2024

Eugenio Scalfari

 

Eugenio Scalfari, Civitavecchia e Pozzolani.

 


Cento anni fa, il 6 aprile del 1924, a Civitavecchia nasceva Eugenio Scalfari; scrittore, politico e giornalista fondatore di “La Repubblica”, che ci ha poi lasciati nel luglio del 2022.

In un suo libro autobiografico ha raccontato gli inizi della sua vita dove troviamo intrecci con Pozzuoli e le isole flegree.

Il suo bisnonno materno si chiamava Domenico Scotti, nato e vissuto per lungo tempo a Procida.

 Gli Scotti sono armatori e Domenico possiede tre navi a vela che trasportano grano, carbone, tessuti e altre mercanzie tra Tunisi e Pozzuoli; su quelle navi suo nonno Francesco fa le sue prove da mozzo e poi da marinaio.

Verso la metà dell’Ottocento Domenico Scotti decide di trasferire la Famiglia e i suoi velieri da Procida a Civitavecchia e nel frattempo il figlio Francesco acquisisce la patente di capitano di lungo corso per cui è lui a guidare per i mari la flottiglia dei tre velieri.

Poi anche questa fase finisce, perché i vapori prendono il posto delle navi a vela; ma gli Scotti restano nel porto laziale dove acquistano un grande appartamento in un palazzo costruito, nei primi anni dell’ottocento, nella piazza centrale della città.

In quell’alloggio resta Francesco che, con sua moglie e la numerosa Famiglia, occupa tutto l’ultimo piano del palazzo.

Francesco Scotti ha cinque figli, la Madre di Scalfari è la seconda e gli altri sono due femmine e due maschi.

Nonno Francesco muore nel 1923, zia Maria si sposa e va a vivere in un’altra casa, zia Lidia si sposa anch’essa e si trasferisce a Roma dove vanno a vivere anche la nonna e i restanti suoi due figli maschi; nella casa restano solo Eugenio e i suoi genitori.

 E’ in quella casa che la sua memoria comincia ad accumulare sensazioni e ricordi; alcune finestre affacciano sulla piazza il cui lato opposto si apre sulle banchine dove attraccano le navi chiamate “postali” perché portano la posta, i passeggeri e le merci nei porti sardi di Olbia, Golfo degli Aranci e Cagliari.

Proprio sotto casa c’è una costruzione di grande interesse, risalente all’epoca romana, che alloggia fondachi, pescherie, botteghe di attrezzi e reti da pesca, protetti da una fila di portici, dove sono allestiti i banchi del pesce che le paranze sbarcano la mattina e il pomeriggio.

Spigole, orate, ricci di mare, aragoste, cefali, merluzzi luccicano su quei banchi; le donne, quasi tutte “pozzolane”, ne illustrano il pregio e richiamano l’attenzione dei compratori mentre i “postali” puntano la prua verso la bocca del porto a sirene spiegate.

Le sere della bella stagione il piccolo Eugenio si affaccia sul balcone insieme a sua madre che in quella casa c’è nata ventitre anni prima di lui.

Sul mare aperto si vedono le luci delle lampare, le barche da pesca che stendono le reti al largo e pescano a strascico, suonano le sirene dei postali e le luci delle cabine brillano in alto mare.

La mattina, prima dell’alba, partono le paranze e tornano la sera con il loro carico di saraghi, triglie, merluzzi, cefali e calamari.

La sera partono le lampare e restano fuori tutta la notte attirando nelle reti stese a pelo dell’acqua banchi di sarde e di alici.

Le famiglie dei pescatori provengono quasi tutte da Pozzuoli e da Procida e conservano di quei loro paesi di origine una parlata che col tempo si è corrotta e mischiata con le inflessioni del luogo, dando vita ad una cadenza spuria e sguaiata.

Ma le donne sono belle, con gli occhi di un blu profondo e capelli morbidi e scuri; aspettano al tramonto le barche dei loro uomini e sono loro a sistemare i pesci nelle ceste, a preparare i banchi sopra i quali esporre le spigole argentee, le triglie color di rosa e gli scorfani rossi.

 Un giorno, su quel balcone, la Madre gli dice:

 “… dobbiamo andar via, lasceremo questa casa, è troppo grande per noi, ne avremo un’altra, ti piacerà….”

Lui, piangendo disperato, gli risponde:

“Quando sarò grande te la ricomprerò e torneremo qui…”

Forse quella promessa l’avrebbe mantenuta, ma, quando fu grande e tornò in quel luogo dell’infanzia, la casa non c’era più, sprofondata in un cratere di bombe.

La guerra era passata furiosamente distruggendo le banchine del porto, il muraglione dell’Arsenale, le pescherie, la Torre della Rocca, la chiesa di Santa Firmina e i palazzi di piazza della Vittoria.

Al posto della casa dove era nato vent’anni prima c’era solo quel cratere.

 Era lì che era cominciata la sua vita, la sua memoria, la sua malinconia; quel pianto disperato in braccio alla Madre era il suo primo ricordo, insieme alla finestra sul mare, il cesso sul balcone e la ringhiera di ferro, le navi del porto che partivano e arrivavano, il suono della sirena del postale che salpava per la Sardegna e i gabbiani che volavano maestosi e all’improvviso cadevano a picco sui pesci del mare.

Era sempre lì che era cominciato anche il suo risentimento e la voglia di compensare un torto subito.

 


Bibliografia:

Eugenio Scalfari - Incontro con io, Rizzoli, Milano 1994

www.poetidelparco.it – Civitavecchia

Don Filo Puteolano – Abbàscio o’ mare

Giuseppe Peluso – I Pescatori di Pozzuoli lungo le coste Laziali – Pozzuoli Magazine


GIUSEPPE PELUSO – APRILE 2024