E’ un Tempio? No, non è un Tempio!
E’ una Taberna? No, non è una Taberna!
E’ una Mansio? No, non credo sia una
Mansio!
I
più importanti resti archeologici romani son quelli rimasti sempre in vista,
attraverso il medioevo, l’età moderna e quella contemporanea.
I
competenti li han sempre visitati; anfiteatri, teatri, fori, templi, mausolei, descrivendone
gli usi cui erano adibiti o dedicati.
Ma
il popolo, e tutti coloro che nei secoli bui hanno vissuto lontano dal sapere, osservandoli
ha con frequenza stabilito che fossero luoghi di culto; di conseguenza gli
“eruditi” a questi templi hanno anche affibbiato un titolo, spesso scelto
perché vicini a qualche particolare che ricordasse una certa divinità.
I
Campi Flegrei, data la passata grandezza, son pieni di questi esempi; ed alcune
intitolazioni risalgono a tempi lontani, come attestato sin dai primi scritti
in volgare.
Per
l’uomo medioevale, stretto tra la miseria, l’ignoranza e la religione, gli
unici importanti edifici, sia pubblici che privati, che vedevano altro non potevano
essere che santuari dedicati al Culto.
Impensabile
per loro che i predecessori, di cui non capivano ed apprezzavano il grado di
civiltà, possano aver costruiti edifici utilizzati come Terme, Calcidico, Foro,
o altro.
Questi
contadini e pescatori consideravano che tutti questi grandiosi edifici fossero
Templi, dedicati alle infinite divinità romane, così come i moderni dedicati a
San Gennaro, San Procolo, San Sossio o San Celso che vedevano alzarsi attorno a
loro.
Tanto
per citarne solo alcuni, tra i più famosi nei Campi Flegrei, i Templi di
Mercurio, di Diana e di Venere; essi altro non sono che grandiose Sale Termali,
inconcepibile per chi poco curava il proprio corpo e poco sapeva degli imperiali
ozi baiani.
Sulle
rive del vicino Lago di Averso insiste un’altra grandiosa Sala Termale (il
quarto trullo per Petrarca e contemporanei) e questo, data la vicinanza al
creduto ingresso agli inferi, non poteva non essere dedicato ad Apollo, il Dio
dell’Oltretomba.
Nella
stessa Pozzuoli sono stati erroneamente definiti tali i grandiosi resti delle
Terme di Nettuno; in particolare l’ambiente principale, il Calcidium, destinato
al passeggio dei frequentatori. Anche in questo caso la sua funzione originale
era impensabile per i più moderni puteolani. Le sue rovine erano talmente
grandi, e visibili da lontano, che i letterati pensarono fosse quel Tempio di
Nettuno sotto i cui portici Cicerone, stando a Baia, vedeva passeggiare il suo
confidente Avieno.
Sempre
a Pozzuoli è il Tempio di Diana; in pratica una fontana monumentale in cui
furono rinvenuti bassorilievi marmorei che raffiguravano cani e cervi e un
frammento marmoreo su cui sembra fosse inciso il nome della dea cacciatrice.
Giusta
invece la definizione di Tempio per il principale edificio sacro che, mantenendo
la sua originale funzione, continuava a svettare sull’alto della Rupe tufacea.
Infine
l’ultima scoperta nel 1750, quel mercato monumentale anch’esso confuso per
tempio, consacrato a Serapide, una divinità egiziana.
Una
certa analogia di catalogazione la si riscontra nei più recenti rilevamenti di
ruderi, ridotti al solo livello stradale, attribuendo loro la funzione di
Taberne.
Questa
mansione mercatale la si sta affibbiando, con disinvolta facilità, anche a
strutture conosciute da molto tempo e il cui unico peccato è l’essere poste al
piano terra, di alti edifici non più esistenti; alcuni pur lontani dalla
viabilità.
Vero
è che di Taberne doveva esserne piena la Puteoli cosmopolita (sempre
accogliente verso i portatori di ricchezza, novità e religioni), e vero è che per
Taberna si intendeva non solo il luogo di somministrazione di cibo o di riposo
ma anche il luogo dedicato a qualsiasi attività commerciale, ad attività
artigianale e pure attività amministrative a contatto con il pubblico.
Ma
è pur vero che non tutti i locali posti al piano terra fossero Taberne; la gran
parte serviva da abitazioni, come in seguito lo saranno i vasci con accesso
diretto dalla strada; molti servivano quale deposito delle enormi quantità di legname
richiesto dai focolari domestici; oppure erano adibiti a scuderie per muli e
cavalli, destinati ad essere cavalcati o al traino dei carri; molti altri
servivano da stalle per bovini e ovini che in numero elevato vivevano in città.
Dopotutto
fino a tutti gli anni sessanta i paesini arroccati nei nostri appennini erano
così, nel percorre le loro stradine notavi che, tranne qualche cantina e
drogheria, tutti i locali posti al piano terra erano occupati da animali; no da
Taberne.
Tutto
questo preambolo è servito ad esporre una personale supposizione in merito alla
definizione di Mansio del magnifico edificio esistente da sempre a Quarto
Flegreo.
Non
ricordiamo chi per primo gli abbia affibbiato questa destinazione d’uso, certo
è che non la riportano come tale né il Dubois nel suo libro del 1907 né il
Chianese nel suo del 1938, né Maiuri che si interessò a vicini reperti
archeologici, e neppure Caputo, Camodeca e Giglio nel loro saggio del 2013.
Questo
bellissimo manufatto si sviluppa su due piani, ognuno dei quali costituito da
quattro ambienti comunicanti, separati da archi in laterizio aventi funzione di
rinforzo della copertura a volta. Ognuno degli ambienti è illuminato da due
lucernari a bocca di lupo contrapposti sulle pareti Nord e Sud; le stanze
terminali sono dotate di aperture anche sulle pareti laterali Est ed Ovest.
La
parte inferiore dell’edificio, ora adibito a stalla, non ha subito modifiche di
rilievo se si eccettua la separazione, mediante tramezzo, della stanza più ad
Est.
La
parte superiore, attualmente abitata, è stata suddivisa in più parti da
tramezzi.
Wikipedia
ci dice che la Mansio era una stazione di sosta lungo una strada Romana gestita
dal Governo centrale e messa a disposizione di dignitari, ufficiali, o chi
viaggiasse per ragioni di stato, come i semplici portatori di dispacci.
Insomma
il loro scopo era garantire un’adeguata ospitalità ai viandanti di servizio e,
spesso, era messa a disposizione dello stesso imperatore se in viaggio.
Facile
dedurre che una Mansio, per assolvere il suo compito, doveva essere fornita di
ambienti destinati a dormitorio per ospiti e operatori, di cucine e refettori
dove consumare i pasti, scuderie per ricovero dei cavalli sia dei viandanti che
quelli da dare in cambio, locali con funzione di deposito per alimenti e
foraggi, ampi spazi esterni per la sosta di carri merci e carrozze passeggeri.
I
conosciuti ruderi di alcune Mansio, ritrovati lungo le consolari imperiali, ci
dicono che in genere, avendo anche spazio a sufficienza tutto intorno, queste
costruzioni si espandevano orizzontalmente e non in altezza; dopotutto non necessitavano
di piani rialzati ed il servizio offerto era più rapido ed utile se svolto a
livello stradale.
Ora
cosa, della struttura di Quarto, ci porta a riconoscerla come una Mansio e cosa
invece la accomuna ad una qualsiasi fattoria di campagna?
Conosciuta
da sempre come “Masseria Crisci”, alquanto vasta come altre similari in questo
stesso Territorio, fu probabilmente sopraelevata dal suo “padrone” al di sopra
dei locali rustici affinché potesse servire anche come luogo di “ozio”, oltre
che per meglio seguire l’opera dei fattori nei momenti essenziali di un Podere.
La
stessa evoluzione edile la riscontriamo, fino a tempi recenti, con la
sopraelevazione di ambienti padronali al di sopra delle preesistenti masserie; come
era Villa Maria alla Starza, Villa Spinelli o come le esistenti Villa
Cordiglia, Villa Cardito, ed altre ancora.
Volendo
credere che l’edificio di Quarto sia una Mansio, con forte immaginazione e giusto
per seguire le mode archeologiche, viene allora da chiedersi perché sia stata
costruita in quel luogo.
Generalmente
queste stazioni sono erette lungo le strade consolari a distanza di mezza
giornata di viaggio tra loro in modo che, partendo di buon mattino, sia
possibile usufruire dei suoi servizi durante la pausa pranzo o la pausa
notturna.
In
questo caso la Mansio di Quarto non avrebbe avuto necessità di esistere in
quanto la Pozzuoli romana si trova a solo mezz’ora di strada e Capua, l’altro
capolinea della Consolare Campana, sarebbe facilmente raggiungibile in mezza
giornata di viaggio.
Quale
sarebbe stata la necessità di fermarsi a Quarto?
Rapportata
al tempo d’oggi sarebbe come imboccare la Tangenziale ad Arco Felice e, prima
d’iniziare un lungo viaggio, fermarsi a prendere un caffè all’Area di Servizio
“Antica Campana”.
Resta
l’ipotesi che questa di Quarto non sia una Mansio intermedia ma una terminale, ovvero
la meta finale per coloro che dovevano raggiungere Pozzuoli per poi imbarcarsi
per l’Oriente o per dignitari designati a risiedere in questa città.
Ma
allora perché costruirla a Quarto e non nella stessa Pozzuoli in modo che i viandanti
possano più facilmente raggiungere a piedi qualunque centro di potere, luogo
termale, di svago, o punto d’imbarco?
Solo
in tempi recenti le barriere autostradali sono state spostate a Caserta Sud, a
Nola, a San Giorgio a Cremano; son trascorsi pochi anni da quando erano ubicate
sul retro di piazza Garibaldi dove garages multipiano e capienti alberghi
ospitavano auto e viaggiatori che, una volta rifrescatosi dopo il lungo viaggio,
si immergevano nella cosmopolita vita notturna di un movimentato Suburbio.
PELUSO GIUSEPPE – SETTEMBRE 2023